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Racconti di Dominazione

topona mora

By 2 Ottobre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

I suoi problemi erano cominciati in quel caldo pomeriggio estivo.
Eva si era incontrata con un’amica che non vedeva da tempo.
Avevano trascorso delle ore piacevoli, passeggiando per il centro semi deserto, visto che molta gente in quel periodo era in vacanza, e poi si erano fermate a bere una bibita fresca nel migliore bar della città.
‘Accidenti, mi sono scordata di farla’, pensò Eva, quando avvertì lo stimolo.
Ci aveva pure pensato, prima di salutare l’amica al momento di uscire dal bar, ma poi le era passato di mente. Ora era troppo lontana per tornare indietro e non amava servirsi dei bagni che non conosceva.
‘Che faccio, entro nel primo bar che capita, mi prendo un caffè e chiedo del bagno?’
La zona che stava attraversando ora non era ben messa e l’idea di infilarsi in un cesso sudicio e maleodorante, non l’attirava per niente.
Eppure doveva trovare una soluzione, perché casa era ancora parecchio lontana.
L’idea le venne passando di lato alla villa comunale.
Ma sì, lì c’erano i bagni pubblici a pagamento, puliti ed in ordine.
Aveva, per quanto possibile, accelerato il passo, mentre si inoltrava nel viale principale della villa.
Ancora cento metri, poi devo svoltare a destra ‘
La delusione si stampò sul suo viso, quando si trovò dinnanzi ad un’alta recinzione, che nascondeva in parte l’edificio dei bagni.
Un cartello colorato spiegava alla cittadinanza che il disagio di OGGI, avrebbe ripagato tutti, DOMANI, con dei bagni pubblici completamente rinnovati.
‘Ma io devo farla ora. Accidenti!’, gridò Eva disperata.
Sentì le prime gocce che le bagnavano le mutandine e fu presa dal panico.
Non posso certo farla qui, pensò.
Una signora quarantenne, elegante e di bell’aspetto, non può fare pipì in mezzo alla strada, di questo ne era certa, però complice la delusione improvvisa dell’aver trovato chiusi i bagni pubblici, si rendeva conto che la sua autonomia era agli sgoccioli e, se non avesse trovato un posto nel giro di pochi minuti, se la sarebbe fatta addosso, e allora sarebbe stato anche peggio.
Poi, come un lampo, la soluzione le passò per la testa.
Il posto!
Quando faceva il liceo, parecchi anni prima, andava spesso in villa con il suo primo ragazzo.
Lì vicino c’era un posto appartato, un vialetto cieco, in curva, che terminava con una panchina riparata di una fitta siepe.
Sicuramente c’è ancora e, a quest’ora, in piena estate, non sarà di certo occupato.
Ora doveva camminare piano, a passi piccoli e lo stimolo si era fatto insopportabile.
Lo ricordava più grande il vialetto che portava al posto suo e del suo primo ragazzo.
La panchina era ancora lì, nella stessa posizione, un po’ malandata ma libera.
La siepe, con il passare degli anni era cresciuta. Meglio non l’avrebbe vista nessuno.
Eva, dopo aver poggiato la borsa sulla panchina, allargò le gambe e si arrotolò la gonna nera.
Per non correre il rischio di bagnarsi le gambe, si sfilò le mutandine e le poggiò sulla panchina, a fianco della borsa, poi si accovacciò, tenendo le cosce larghe e mantenendo la gonna sollevata con le mani.
La posizione era discretamente precaria, ma l’appoggio della schiena contro la panchina le impediva di perdere l’equilibrio, nonostante i sandali dal tacco alto e sottile
Il getto dorato che zampillando iniziò a bagnare la terra in mezzo ai suoi piedi, fu accolto da Eva con un oooh di soddisfazione.
‘Oddio! E questo da dove sbuca fuori?’
Era rimasta come fulminata, in bilico sui tacchi alti, in quella posizione scomoda e precaria, alla vista di quel ragazzo magro con gli occhiali.
In una mano teneva uno spinello e nell’altra stringeva un cellulare.
‘Ed ora che faccio?’
Il primo impulso fu quello di ricoprirsi e di rimettersi in piedi, ma facendo così si sarebbe bagnata completamente la gonna e le gambe, visto che ormai la pipì era partita e non l’avrebbe potuta interrompere di colpo.
Insomma rimase immobile, paralizzata, con il ragazzo che la guardava curioso ed interessato.
Eva era una bella donna, alta, mora e formosa. Ora che aveva superato la quarantina, le sue gambe lunghe, pur mantenendosi snelle, avevano messo su un po’ di carne, ed il ragazzo sembrava come incantato dalla vista delle sue cosce nude ed abbronzate.
Poi si rese conto, dai movimenti di lui, che la stava riprendendo con il telefonino, e fu presa dallo sconforto, ma non poteva farci nulla.
Ora si era avvicinato e stava facendo un primo piano della sua vagina aperta, da cui continuava ad uscire un bello zampillo.
Il getto diminuì di intensità, adesso erano solo poche gocce che scendevano e bagnavano la terra già inzuppata.
‘Asciugati!’
Il tono della sua voce era gentile, ma aveva un qualcosa di imperioso, che la stupì.
è poco più che un ragazzino, forse non ha neanche diciott’anni, pensò lei, mentre prendeva il fazzolettino che lui le porgeva.
Alla fine Eva lasciò cadere il fazzolettino in terra e si rimise in piedi.
Il ragazzo era ancora intento a filmare, ma ora lei doveva riprendere il controllo della situazione.
Si rimise a posto la gonna e fece un passo verso di lui.
‘Ora basta, lo spettacolo è finito. Dammi quell’accidente di telefono e cancelliamo il filmato.’
Il ragazzo indietreggiò.
‘Eh no, non ci penso per niente. Non capita mica tutti i giorni di riprendere una bella topona mora stagionata che fa pipì nel parco.’
‘Ehi, lascia stare la mia borsa!’
Il ragazzo aveva preso la borsa di Eva ed ora ci stava frugando dentro.
Estrasse il cellulare.
‘Che vuoi fare con il mio telefono?’
‘Tranquilla, topona, mi telefono così avrò il tuo numero per il futuro.’
La suoneria, in cui Eva riconobbe un brano rock degli anni ’70, echeggiò per pochi secondi, poi il ragazzo chiuse la chiamata e rimise il cellulare nella borsa.
‘Ciao, ci sentiamo. Ah, queste le prendo per ricordo.’
Eva lo vide allontanarsi tranquillo, stringendo in una mano le sue mutandine.
Aveva impiegato qualche minuto a riprendersi e cominciò a pensare che, per risolvere un piccolo problema, come quello della pipì, se n’era creata forse uno molto più grande.
Ma no, dai, è un ragazzino del liceo, al massimo farà vedere il filmato a qualche amico, e si ecciteranno a vedere ‘ come mi ha chiamato? Ah sì, una bella topona stagionata.
Dovette ammettere che essere definita bella topona, non le dispiaceva affatto, certo la parola stagionata era meno piacevole, ma si sa, a quell’età una quarantenne è considerata quasi una vecchia.
A questo punto si era affrettata a tornare a casa perché, anche se aveva risolto il problema bagno, non le piaceva girare senza mutandine.
Era una cosa che non aveva mai sopportato, fin da piccola, senza si sentiva più vulnerabile e poi non aveva mai amato troppo esibire il suo corpo.
Beh, poco prima aveva mostrato tutto ad uno sconosciuto, che magari adesso si stava masturbando nel bagno di casa, mentre si riguardava il filmato.
L’immagine di quel giovane magro ed occhialuto con l’uccello in mano davanti al telefonino in cui scorrevano le immagini di una bella topona mora, nonché stagionata, intenta a pisciare en plein air, accompagnò i pensieri di Eva per diversi giorni.

Era passato più di un mese, da quella strana esperienza e ormai Eva non ci pensava più.
Al caldo appiccicoso dell’estate era subentrato il fresco dell’autunno, e quando Eva uscì dall’Università, dove insegnava da diversi anni, non si aspettava certo quel genere di telefonata.
‘Buongiorno topona, stai bene?’
‘Eeh? Ma chi parla?’
‘Sono io, il tuo regista di video. Non mi dire che non ti ricordi più di me?
O devo chiamarti Eva, oppure professoressa?’
Lei aveva chiuso la chiamata ed aveva spento il telefonino, ma ormai temeva che quella brutta storia non fosse affatto finita, anzi, qualcosa le diceva che quel ragazzo magro e con gli occhiali fosse molto meno inoffensivo di quello che poteva sembrare.
Tornando a casa aveva cominciato a ragionare.
Lui di me dovrebbe conoscere solo il numero di cellulare, come fa a sapere come mi chiamo e che lavoro faccio?
Da un numero di cellulare non si può risalire all’intestatario, a meno di non essere la polizia, di questo ne era sicura.
Ed ora cosa vuole da me? Ma sì, se ha scoperto che sono una persona in vista, mi ricatterà, minacciando di pubblicare quel filmato. D’accordo, è un ragazzino, magari si accontenterà di un cellulare nuovo.
Ma non era per niente tranquilla, aveva dei sinistri presentimenti.
A casa riaccese il cellulare che subito squillò.
‘Non sei stata gentile ad attaccarmi il telefono in faccia.’
‘Insomma, basta, lasciami in pace, altrimenti chiamo la polizia.’
‘Guarda, ti ho appena mandato un filmato in allegato. Come lo posso inviare a te, posso spedirlo a tuo marito o, meglio, a tutti i tuoi colleghi dell’università.’
‘No fermo, aspetta, vuoi dei soldi?’
‘Ma no, non mi servono soldi, voglio solo fare un altro filmino ad una bella topona mentre piscia con la fichetta all’aria.’
‘Non se ne parla assolutamente …’
‘Tra un’ora, al posto dell’altra volta.’ Il ragazzo aveva messo giù il telefono.
Non sarebbe andata all’appuntamento.
Ma certo, ti pare che torno lì per farmi riprendere mentre faccio pipì, da un ragazzino del liceo.
Quando mi richiama, gli dico che mi sono già rivolta alla polizia, così non mi importunerà più.
Naturalmente non era vero, Eva si vergognava troppo per dichiarare in commissariato una cosa del genere.
Poi fu distolta dal suono che annunciava l’arrivo di un messaggio sul suo telefonino.
Il filmato era nitidissimo, il suo viso si distingueva benissimo come pure il suo sesso nudo ed accuratamente depilato, da cui zampillava copioso un getto di liquido dorato.
L’espressione del suo viso, all’inizio esprimeva soddisfazione, quasi gioia, lo credo, pensò lei, non ce la facevo più, poi si era fatta più seria e preoccupata, perché si era accorta di essere ripresa.
La parte finale in cui lei, prima di ricoprirsi, si asciugava con cura le labbra della vagina ancora bagnate, aveva una notevole carica erotica.
Le passò un brivido lungo la schiena, ripensando a quel momento.
L’avrebbe veramente recapitato ai suoi colleghi d’università?
Aveva sottovalutato la gravità della faccenda.
Il ragazzo aveva aspettato un bel po’, prima di farsi vivo, non doveva essere il tipo che si muoveva a caso, e lei aveva tutto da perdere da uno scandalo simile.
Quando uscì di casa, mancava un quarto d’ora all’appuntamento ed Eva era discretamente preoccupata.
Aveva preso in casa tutti i contanti che aveva trovato e l’idea era quella di pagarlo, sperando che accettasse, ma mai e poi mai avrebbe accettato di farsi riprendere nuovamente.
Anzi, a scanso di equivoci, si era vestita in maniera sportiva ed anonima: una felpa scura, un paio di jeans e dei mocassini bassi.
Insomma, voleva apparire, agli occhi di lui, il meno topona possibile, per scoraggiarlo.

Il ragazzo era già lì.
Questa volta si era portato una telecamera.
Eva non era molto pratica di quegli aggeggi, ma dall’aspetto sembrava un apparecchio semi professionale.
‘Ma come cazzo ti sei combinata?’
Sembrava contrariato e deluso.
Un punto a mio favore, pensò lei.
Così capirà che non mi faccio facilmente mettere i piedi in testa.
‘Senti, stammi a sentire, io non ho nessuna intenzione di farmi riprendere da te. Qui ci sono 500 ”, gli disse porgendogli una busta.
‘Ora ti prendi questi soldi, sparisci dalla circolazione e dalla mia vita.’
Gli mise la busta in mano.
Il ragazzo aprì le dita e la busta cadde a terra.
Non aveva detto nulla, si era limitato a prendere in mano il cellulare.
‘Tu, invece stammi a sentire. Sto inviando un bel messaggio alla tua casella di posta. L’allegato lo immagini, naturalmente.
Tuo marito dovrebbe rientrare tra poco, se ti sbrighi riesci ad aprire la posta prima che arrivi.
Ti aspetto qui tra tre quarti d’ora, vestita come si deve.
E bevi parecchia acqua, sennò non viene bene.’
Peggio di così non poteva andare, pensò Eva mentre correva verso casa, sperando di evitare il disastro.
Aveva appena aperto la posta, acceso il computer e cancellato quel maledetto messaggio, che squillò il telefono.
Era suo marito che le diceva che avrebbe fatto tardi in ufficio.
Accidenti, se lo sapevo, me la prendevo comoda.
Il viaggio di ritorno verso la villa fu lungo e mesto, non aveva certo voglia di correre, anche perché gli stivali con il tacco alto che aveva messo non erano l’ideale per camminare sul terriccio della villa.
Aveva indossato una gonna larga e comoda ed una camicetta a maniche lunghe, sperando che andasse bene al ragazzo.
Accidenti, si era scordata di bere, così si fermò ad una fontanella e bevve a lungo. Non aveva sete, ma ormai era incastrata e doveva stare al gioco.
‘Ora sì che ci siamo’, le disse porgendole una bottiglietta.
‘No grazie, ho già bevuto.’
‘Un altro po’ ti farà bene.’
La fissò finché lei non gli restituì la bottiglietta vuota.
‘Questa volta il luogo del set sarà diverso.
Qui, con la fine dell’estate, si fermano spesso dei ragazzi a pomiciare, non vorrai mica disturbarli. Vero?’
Eva annuì tristemente, ripensando a lei ai tempi del liceo.
‘Faremo le riprese in fondo alla valletta, dove la gente porta i cani a passeggio.
Ti senti pronta?’
Lei fece cenno di sì e lo seguì.
Si sentiva strana: in parte umiliata e preoccupata, per quello che sarebbe stata costretta a fare tra poco, però doveva ammettere che provava anche una certa eccitazione.
‘Sta facendo buio, ma non ti preoccupare, la videocamera è molto sensibile e verrà bene.’
In fondo alla valletta non c’era nessuno, ma più lontano, sul vialetto che passava in alto, lungo il crinale, c’era gente.
‘Ma mi vedranno’, protestò lei.
‘Certo che ti vedranno, solo un po’ da lontano, ma capiranno certamente cosa stai facendo. Io lo trovo molto eccitante, e tu?’
Sentì come uno strizzone in mezzo alle gambe, un po’ era lo stimolo, che si stava facendo più forte, ma dovette ammettere che c’era dell’altro.
‘Allora, adesso tu ti guardi intorno, alla ricerca di un posto adatto, cammini con un po’ di difficoltà perché hai la vescica bella piena, ma questo sono sicuro che ti riesce bene, vero?’
Aveva ragione, la bottiglietta che le aveva fatto bere il ragazzo, le aveva dato il colpo di grazia, ed ora si sentiva veramente piena e gonfia.
La riprese sia da davanti che da dietro, facendola fermare ogni tanto e, ogni volta che ripartiva, Eva si sentiva più vicina al momento in cui sarebbe accaduto l’inevitabile.
‘Lì, vicino a quell’albero andrà benissimo’.
Eva ubbidì, rassegnata.
‘Questa volta, le mutandine non te le devi togliere, ma soltanto tirarle di lato, per scoprire la fica.’
‘Ma così rischio di bagnarmi.’
‘E’ quello che voglio, infatti.’
Eva si arrotolò la gonna fino alla vita, allargò le gambe e si piegò, cercando di non perdere l’equilibrio, poi, senza lasciare la presa sulla stoffa della gonna, tirò di lato lo slip e, proprio in quel momento, trattenuto da ormai troppo tempo, partì il primo zampillo.
Come aveva temuto, visto che le mutandine erano attillate, il tessuto leggero si era messo in mezzo e si era completamente bagnata una coscia ed il ventre.
Fu lì lì per cadere, e sarebbe stato veramente un disastro, pensò lei, ma riuscì a mantenere l’equilibrio, mentre con la mano tirava più forte di lato le mutandine.
Ora la pipì zampillava liberamente davanti a lei, senza più bagnarla, ma il guaio era stato fatto: aveva il ventre e le gambe inzuppate, mentre le mutandine gocciolavano abbondantemente.
Il getto diminuì d’intensità, atterrando più vicino al suo corpo, così lei, per non bagnarsi di nuovo, inarcò in avanti il ventre.
Quando le ultime gocce cessarono di cadere, Eva pensò di lasciar ricadere la gonna, ma il ragazzo la fermò.
‘Aspetta, piano, muoviti leggermente per sgrullarti, ‘ così ‘ brava.’
Più su, dal vialetto che costeggiava il crinale, si sentì un piccolo applauso, Eva alzò lo sguardo e rimase impietrita: cinque o sei persone si erano fermate e si stavano godendo lo spettacolo.
‘Aspetta, fai divertire ancora un po’ gli spettatori.’
‘Per favore, basta!’
Le veniva da piangere, per la rabbia, poi lui le fece un cenno e la gonna tornò finalmente a coprirle le gambe, decretando la fine dello spettacolo.
Lei ed il ragazzo si separarono ed Eva, mestamente, si incamminò verso casa, sperando di non incontrare qualcuno che avesse assistito alla sua performance.
Nel frattempo il sole era tramontato, l’aria si era fatta più fresca ed il bagnato che le avvolgeva ventre e gambe le dava una spiacevole sensazione di freddo e di umidità.
Accidenti, la gonna si era bagnata e le macchie si notavano nettamente, per non parlare delle mutandine, completamente inzuppate, che si erano arrotolate entrandole in mezzo allo spacco della vagina, umida e semiaperta.
Prima di uscire dalla villa, approfittando di un angolo buio, cercò di risistemarle, ma con scarsi risultati, così non le restò altro da fare che tornarsene a casa, bagnata, puzzolente e preocupata per gli sviluppi futuri.
Ma non c’era solo questo nella sua mente: passo dopo passo, mentre la gonna lentamente le si asciugava addosso, cominciò a sentire una strana sensazione, in parte era dovuta alle mutandine messe male, che sfregavano sul suo sesso, ma non era solo questo, c’era una strana eccitazione, dovuta a questa cosa nuova e proibita che si era trovata costretta a fare.
A casa buttò i panni sporchi in lavatrice e si infilò sotto la doccia.
Sperava che il getto d’acqua calda e pulita, oltre al suo corpo ripulisse anche la sua mente da certi pensieri, ma si sbagliava.
Quella eccitazione che non aveva mai provato e che l’aveva presa di sorpresa sulla via del ritorno, non accennava a passare, anzi.
Quando iniziò a strofinarsi in mezzo alle gambe le scappò un gemito, allora posò la spugna ed iniziò a masturbarsi.
Era una cosa che non faceva più da tempo, visto che con suo marito aveva dei rapporti frequenti e soddisfacenti.
Alla fine si ritrovò seduta in terra nel grande box doccia, ansimante ed in preda ad un orgasmo così violento, che non ricordava di aver mai avuto. Con il passare del tempo, le uscite di Eva con quel ragazzo erano continuate.
Ignorava tutto di lui, non sapeva neanche il nome, l’unico contatto era un numero di cellulare, che però lei non aveva mai chiamato, visto che era sempre lui a farsi vivo.
In compenso il ragazzo sapeva tutto di lei.
Dopo la prima ripresa con il cellulare, doveva averla seguita da lontano mentre rientrava a casa ed aveva preso le prime informazioni, poi internet ed i vari social forum avevano fatto il resto.
Le aveva spiegato che quel tipo di foto e filmati aveva degli estimatori, disposti a pagare per vedere delle donne fare cose simili.
Le aveva anche detto che le persone come lei erano ricercate perché difficilmente erano disposte a correre il rischio di essere riconosciute.
In genere si trattava di ragazzine incoscienti e desiderose di mettersi in mostra.
Le aveva mandato anche il link del sito a pagamento dove erano state pubblicate tutte le sue performance ed Eva ogni tanto se le riguardava.
La home page permetteva solo una preview in bassa risoluzione, con una sola posa per ogni protagonista. Per fortuna da lì nessuno l’avrebbe riconosciuta, quindi le possibilità che qualcuno che la conosceva, girando su internet la potesse scoprire, erano scarse.
Facendo invece la registrazione e pagando la quota, c’era tanto di quel materiale, tra foto e filmati in HD, da seppellire lei e la sua carriera universitaria, sotto una montagna di vergogna.
Il ragazzo aveva scelto per lei proprio il nome di topona mora e, con il passare del tempo, aveva aggiunto dei dettagli al suo aspetto, per migliorare l’apprezzamento da parte degli appassionati, diceva lui.
Per esempio Eva si era sempre depilata il pube, ma lui sosteneva che una topona mora e stagionata non può essere liscia e glabra come un’adolescente scandinava, così lei era stata costretta a far ricrescere i peli, ed ora esibiva un bel ciuffetto, folto, riccio e scuro proprio lì.
A volte, quando per esigenze sceniche doveva indirizzare lo zampillo, afferrava il ciuffetto con una mano e tirava un po’ in alto. Aveva faticato a prenderci pratica, ma ora era diventava brava, almeno a sentire il ragazzo che la riempiva di complimenti.
Anche l’abbigliamento aveva subito, per necessità, dei cambiamenti: banditi assolutamente i pantaloni e sotto, nella stagione più fredda, autoreggenti o calze con il reggicalze.
l’aveva fatto in molti posti, lui sceglieva sempre un location diversa, ma facendo in modo che qualcuno la vedesse, però non troppo da vicino.
La vergogna, che l’attanagliava le prime volte, era scomparsa, anzi, ora si eccitava così tanto che, tornata a casa, non mancava di masturbarsi.
Se ne doveva essere accorto anche lui, infatti un giorno, che l’aveva portata su un cavalcavia pedonale che passava sopra uno stradone largo che portava ad un quartiere ancora in costruzione, gli l’aveva chiesto.
Lei stava in mezzo al ponte che aveva solo una balaustra leggera, in sottili tubi di metallo, con la gonna sollevata, a cosce larghe, mentre lui, piazzato a bordo strada con la videocamera sistemata su un treppiede la riprendeva.
Le poche macchine che passavano rallentavano, un paio si erano pure fermate.
In quei momenti Eva non pensava alla possibilità che potesse passare qualcuno che la conosceva, le veniva sempre in mente dopo, a casa, ma poi si diceva che la città era grande, statisticamente era un evento che aveva scarse possibilità di avverarsi, e si tranquillizzava.
Aveva appena finito e si toccò un paio di volte, prima di rimettere a posto mutandine e gonna.
‘Dai, continua’, gridò lui dal basso.
E lei continuò.
Un motociclista si era fermato a bordo strada per godersi lo spettacolo, mentre Eva, con una mano poggiata alla balaustra e l’altra in mezzo alle gambe, si muoveva e gemeva senza ritegno.
Ripensò a lungo al rischio corso: se fosse passata una volante l’avrebbero arrestata, e avrebbe dovuto dire addio al matrimonio ed alla sua brillante carriera universitaria.
Invece dopo quella prima volta lo rifece, perché era troppo eccitante, e poi non riusciva a dire di no a quel ragazzo.

Ormai era passato quasi un anno da quella sua prima esperienza nel parco, era tornato il caldo e così aveva dato l’addio alle calze, anche se il ragazzo aveva insistito perché lei continuasse a portarle. Per un po’ lo aveva accontentato, ma ora faceva veramente troppo caldo e gli aveva detto ‘o così o niente’.
Era appena rientrata dalla sua ennesima uscita proibita, dopo essersi cambiata, si stava rilassando in poltrona quando aveva squillato il cellulare.
Era Matteo, un suo collega d’università.
‘Ciao, Eva, ti ricordi il progetto di quella pubblicazione di cui avevamo parlato tempo fa?’
‘Certo, però mi avevi detto che c’erano delle difficoltà.’
‘Beh, sono state superate, il ministero ha sbloccato i fondi. Se passi domani da me possiamo iniziare a mettere a punto i dettagli. Ho avvertito anche gli altri colleghi interessati.
Per te va bene a casa mia domani alle 16?’
Certo che andava bene, era un progetto importante, che l’avrebbe aiutata nella carriera, e poi Matteo era una persona simpatica ed abitava in una villa bellissima in collina, dove sicuramente avrebbe fatto più fresco che in città.
Dato l’ambiente campestre, aveva scelto per l’incontro un abbigliamento sportivo: una maglietta, un paio di pantaloni leggeri ed attillati, mocassini bassi ed un giacchetto di cotone, tante volte, verso sera facesse troppo fresco.
Matteo veniva da una famiglia molto ricca e lì ci viveva da solo, dopo il divorzio con la moglie.
La condusse nell’ampio salone che affacciava sul giardino e sulla piscina, dove c’erano altre tre persone.
‘Allora, intanto ti voglio presentare agli altri colleghi …’
‘Matteo, scusa, ma ci conosciamo benissimo, forse non ti ricordi.’
‘Ti sbagli, gli ho solo parlato della topona mora, ma non ti hanno mai visto all’opera.’
Sentendo quelle parole, ad Eva si gelò il sangue.
‘Ma che dici ‘ sei impazzito …’, provò a dire balbettando.
Per tutta risposta lui prese il telecomando e lo puntò sul televisore.
Le immagini che apparvero erano inequivocabili.
Eva si mise davanti allo schermo, cercando di impedire agli altri la visione, ma il televisore era troppo grande per riuscirci.
‘Ti prego, spegni quell’accidenti …’
Matteo azionò di nuovo il telecomando ed il televisore si spense.
I timori che Eva aveva manifestato in quei mesi, e che aveva sempre frettolosamente accantonato, si stavano avverando e nel peggiore dei modi.
‘Vieni qui.’
Lei restò immobile, paralizzata, allora fu lui ad avvicinarsi.
‘Oggi avrai la possibilità di esibirti davanti ad un pubblico molto selezionato.’
Le sue mani presero la fibbia della cintura dei pantaloni e l’aprirono.
La tirò dolcemente per un capo ed Eva vide la striscia di cuoio sottile che scorreva attraverso i passanti.
Non fece nulla, restò immobile, ancora shoccata da quanto accaduto.
A questo punto Matteo prese dalla tasca della giacca una sottile catena ed iniziò a farla scorrere attraverso i passanti dei pantaloni di Eva.
Quando ebbe completato il giro, unì i due capi e li bloccò con un piccolo lucchetto.
Sul tavolino basso, in mezzo ai divani, c’era una bottiglia con un bicchiere, Matteo lo riempì e poi lo porse ad Eva.
‘Non ho sete’, provò a dire lei.
‘Non credo che tu possa rifiutarti.’
Lei, rassegnata, prese il bicchiere ed inizio a bere a piccoli sorsi.
Gli altri si erano avvicinati e la osservavano con curiosità.
Eva si mise a sedere, Matteo le riempì nuovamente il bicchiere e gli lo porse.
‘Penso che avrai capito il programma del pomeriggio, vero?’
‘Per favore, non puoi farmi questo.’
‘Dopo che tu avrai bevuto, dovremo solo aspettare. Naturalmente non potrai toglierti i pantaloni, sarà uno spettacolo molto interessante, vede la topona mora che se la fa addosso.’
Eva prese la catena e provò a scuoterla, ma era chiusa e ben stretta.
Allora provò a strappare i passanti, ma erano cuciti saldamente.
Si rese conto di essere bloccata dentro quei maledetti pantaloni e delle inevitabili conseguenze che questo avrebbe portato.
Una cosa del genere l’aveva fatta una volta sola, nelle tante uscite con il ragazzo. Lui l’aveva avvertita prima e si era portata un cambio, ma non le era piaciuto per niente e si era rifiutata di farlo di nuovo.
‘La chiave te la ridarò dopo. Su, bevi.’
E lei bevve ancora.
Cominciava a sentirsi gonfia, mano mano che la bottiglia si svuotava.
Provò a supplicare Matteo, quasi si mise a piangere, ma lui non si lasciò impietosire, e, alla fine, sul tavolo, rimasero la bottiglia ed il bicchiere entrambi vuoti.
Gli sguardi dei quattro uomini erano puntati su di lei e spaziavano dal suo viso che mostrava tensione ed imbarazzo al suo ventre dove si aspettavano da un momento all’altro di veder comparire la prima macchia.
Eva si alzò in piedi e si diresse vero la porta finestra che affacciava sul giardino.
‘Dove vai?’
‘Non voglio sporcare il pavimento’, provò a dire, sperando così di potersi sottrarre ai loro sguardi.
‘Non ti preoccupare, poi verranno a pulire.’
La prese per un braccio e la riportò indietro. Eva rimase in piedi ed immobile, in mezzo a loro.
Teneva le gambe strette a dall’espressione si intuiva che era allo stremo.
I suoi piedi, per alleggerire la pressione, facevano dei piccoli movimenti e lei si comprimeva il ventre, nel tentativo disperato di resistere, mentre i quattro uomini, aspettavano ansiosi.
Sentì le prime gocce uscire e guardò in basso, dove vide solo una piccola macchiolina scura, allora ci mise una mano, un po’ per coprire un po’ per fermare la fuoriuscita.
Cedette di schianto.
Il flusso violento le inzuppò in un attimo le mutandine e la macchia sui pantaloni si allargò di colpo.
Eva tirò via la mano bagnata, mentre la macchia aumentava a vista d’occhio e sentiva la pipì che le scorreva lungo le cosce.
Era completamente bagnata, i pantaloni inzuppati tiravano in basso, ma la catena, ben stretta intorno alla vita, impediva che scendessero.
Allargò le gambe ed un piccolo rivolo, superata la barriera della stoffa, iniziò a colare sul pavimento.
Le sembrò che tutto durasse un’eternità, mentre i quattro osservavano compiaciuti.
Alla fine Eva rimase immobile, a gambe larghe e con il capo chino, in mezzo ad una pozza giallastra.
Matteo le porse la chiave.
‘Ora te li puoi togliere.’
Non se lo fece dire due volte e si liberò dei pantaloni inzuppati, senza preoccuparsi della presenza di quegli uomini.
Anche le mutandine finirono sul pavimento e lei rimase in mezzo a loro con indosso soltanto la maglietta.
A questo punto Matteo le prese una mano e glie la poggiò sulla vagina.
Glie la strofinò un paio di volte, poi lei continuò da sé.
A testa bassa e con i capelli davanti agli occhi, Eva si masturbò sotto i loro occhi attenti, fino a raggiungere l’orgasmo.
Solo allora le permisero di andare in bagno a darsi una lavata.
Quando rientrò nel salone era convinta che l’avrebbero scopata tutti e quattro, invece non accadde nulla.
Matteo le diede un paio di pantaloni di una tuta per coprire la parte inferiore del suo corpo e lei poté tornare tranquillamente in città, anche se sapeva che a quella prima esperienza ci sarebbe stato sicuramente un seguito.

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