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La stanza era avvolta da una penombra sensuale, rischiarata appena dalle candele che gettavano ombre danzanti sui muri. Il profumo denso di incenso e cera riempiva l’aria, saturandola di un’atmosfera intima e carica di aspettative. Al centro della stanza, una pedana sopraelevata era circondata da cuscini di velluto rosso e tappeti morbidi, progettati con cura per il rito che stava per iniziare. Ogni dettaglio parlava di potere, sottomissione e piacere.
Ero lì, nudo, con il corpo che tremava di anticipazione. La gabbia di castità che imprigionava la mia virilità era un costante promemoria della mia impotenza, mentre il metallo freddo premeva contro la mia pelle calda. Mi sentivo esposto, vulnerabile, ma al tempo stesso un fuoco ardente di desiderio bruciava dentro di me, alimentato dall’ansia e dalla sottomissione che mi avvolgevano come un mantello.
Il padrone fece il suo ingresso, avvolto in un abito di tessuto pregiato che sottolineava la sua supremazia. I suoi occhi scrutavano la stanza con calma autoritaria, soffermandosi su ogni schiavo presente. Quando il suo sguardo si posò su di me, mi sentii trafitto, come se avesse visto attraverso ogni mia difesa, ogni mia maschera. Un sorriso lento e malizioso incurvò le sue labbra, e sapevo che il momento era arrivato.
“Questa sera,” annunciò con una voce che rimbombava di potere, “vi presento un nuovo sottomesso. È il suo primo passo nel nostro mondo, e sarà sottoposto alla prova che ognuno di voi ha già affrontato. Preparatevi a vedere la sua dedizione, la sua umiltà, e la sua totale sottomissione.”
Il padrone mi fece segno di avvicinarmi alla pedana. Le gambe mi tremavano mentre mi muovevo, ogni passo era un atto di volontà, un passo verso il mio destino. Mi inginocchiai davanti a lui, sentendo il peso dei suoi occhi su di me, e il giudizio che ne sarebbe seguito. La stanza era silenziosa, e ogni sguardo era puntato su di me, i volti degli altri schiavi erano una miscela di curiosità e attesa.
“Sei pronto a dimostrare la tua devozione?” chiese il padrone, la sua voce ferma e autoritaria.
“Sì, padrone,” risposi, la mia voce tremante ma determinata. Non c’era via di ritorno. Ero lì per essere usato, umiliato, e trasformato.
Con un cenno, il padrone ordinò agli altri schiavi di avvicinarsi. Mi sentii circondato, il calore dei loro corpi vicino al mio, la tensione palpabile nell’aria. Mi ordinò di sdraiarmi sulla pedana, e io obbedii senza esitare, sentendo il velluto freddo contro la mia pelle nuda. Ogni movimento era un atto di sottomissione, un passo verso la totale perdita di controllo.
Gli schiavi iniziarono a preparare gli strumenti, le loro mani esperte si muovevano con precisione mentre sistemavano accessori e lubrificanti intorno a me. Ogni tocco, ogni sussurro era un promemoria del mio ruolo. Il padrone osservava attentamente, il suo sguardo implacabile su di me, pronto a giudicare ogni mia reazione.
“Questo è il tuo posto,” disse il padrone, la sua voce come una lama affilata che mi penetrava l’anima. “Imparerai cosa significa essere sottomesso, e lo farai davanti agli occhi di chi già conosce il significato del servizio.”
Uno degli schiavi mi prese per le braccia, allargandole sopra la mia testa e fissandole con corde morbide ma resistenti. Le gambe furono divaricate e ancorate, esponendomi completamente. Sentivo la vergogna bruciare sul mio viso, ma non c’era scampo; l’umiliazione era parte del mio addestramento, parte del mio cammino verso la totale obbedienza.
Il padrone si avvicinò, un frustino in mano. “Questa sarà la tua prima lezione,” annunciò, facendo scattare il frustino con un movimento fluido e sicuro. Il colpo era preciso, il dolore acuto ma breve, eppure bastava a farmi sussultare. Sentivo gli occhi degli altri schiavi su di me, la loro presenza silenziosa un peso che mi schiacciava.
“Ogni colpo, ogni carezza, sarà un segno della tua appartenenza a me,” continuò il padrone, facendo schioccare il frustino ancora una volta. “Non c’è niente di tuo che non mi appartenga, e questa notte lo imparerai.”
I colpi si susseguirono, alternati a carezze che bruciavano più del dolore stesso. Ogni frustata era un’ulteriore umiliazione, ogni carezza una promessa di piacere e sofferenza. Sentivo le risate soffocate degli altri schiavi, i loro sussurri mentre commentavano il mio corpo, il mio comportamento. L’umiliazione era totale, eppure dentro di me cresceva un senso di pace, una consapevolezza che stavo finalmente trovando il mio posto.
Quando il padrone si fermò, mi guardò con occhi che brillavano di soddisfazione. “Adesso, mostraci quanto sei disposto a sacrificare per me,” ordinò, facendo cenno a uno degli schiavi di avvicinarsi. Fu fatto sdraiare accanto a me, e il padrone mi ordinò di servirlo, di dimostrare la mia devozione non solo a lui, ma anche agli altri schiavi.
Con il cuore che batteva forte, iniziai a eseguire i suoi ordini, ogni tocco un atto di servizio, ogni gesto un passo verso l’annullamento del mio ego. Sentivo la loro approvazione, il loro desiderio, e soprattutto sentivo il padrone, il suo potere che mi avvolgeva completamente.
Alla fine, quando il padrone dichiarò che la prova era terminata, il mio corpo era esausto, la mente svuotata da ogni resistenza.
“Hai dimostrato la tua devozione,” disse, la voce carica di una soddisfazione che mi fece tremare. “Ma questa è solo l’inizio. Da oggi, sei mio, corpo e anima, e la tua sottomissione sarà il tuo unico scopo.”
Mi inginocchiai davanti a lui, il cuore colmo di gratitudine e umiltà. Ogni mia difesa era stata distrutta, ogni mia volontà annullata, e finalmente mi sentii completo. Sapevo di appartenere al padrone, e che la mia vita, da quel momento in poi, sarebbe stata dedicata al suo piacere e al suo potere.
Grazie Rebis
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…
Quanto vorrei che il live action di disney fosse più simile a questo racconto! Scherzi a parte: divertente, interessante, bel…
grazie amore