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Trasformazione totale: da dom a schiavo 12

By 19 Settembre 2024No Comments

12
Rimasi lì, solo, nel silenzio della stanza che ormai conoscevo troppo bene. Ogni dettaglio di quel luogo, ogni angolo, ogni ombra, faceva parte del mio nuovo mondo. Non c’era più spazio per il passato, per chi ero stato. Ero diventato una cosa, un oggetto plasmato dalle mani del padrone, e quella realtà era ormai scolpita dentro di me.
Sentivo il mio corpo ancora scosso dal dolore, ma era un dolore che aveva perso il suo significato. Non era più un avvertimento, una richiesta di resistenza. Era diventato una parte di me, come il respiro o il battito del cuore. Non c’era più ribellione, non c’era più lotta. Ogni pensiero di rivolta, ogni flebile speranza di fuga, si era dissolto nell’aria pesante di quella stanza.

Il padrone aveva ragione: mi aveva spezzato, ricostruito, e ora ogni parte di me gli apparteneva. Ogni cicatrice, ogni livido era un segno del suo dominio assoluto su di me. Non c’era più un “io” separato dalla sua volontà. Ero ciò che voleva che fossi, e null’altro.
Quando la porta si riaprì, e il padrone entrò di nuovo, non provai più paura. Non provai nulla. Mi inginocchiai automaticamente, senza che nessuno lo ordinasse, come un riflesso, un’abitudine ormai radicata nel profondo. Lo guardai salire su di me, con quel suo sguardo di gelo, e non trovai in me nulla che potesse opporsi. La sua voce, quando parlò, era come un’eco lontana, che si perdeva nel vuoto che avevo dentro.

“Hai finalmente compreso qual è il tuo posto,” disse, posando una mano sul mio capo come un padrone con il suo cane fedele. “Sei mio, e lo sarai sempre. Non c’è più niente al di fuori di questo, niente che ti appartenga. E in questa consapevolezza, troverai la pace.”

Le sue parole non erano una minaccia, né un ammonimento. Erano la semplice constatazione di una verità che avevo ormai accettato. Sì, ero suo. Completamente. Non c’era più alcun desiderio di ribellione, né traccia di orgoglio o dignità. Mi ero arreso alla mia nuova esistenza, e in quella resa, avevo trovato una sorta di quiete, un sollievo perverso nel non dover più lottare.
Il padrone si voltò e uscì dalla stanza, ma stavolta la sua assenza non lasciò alcun vuoto. Ero solo, ma non mi sentivo più perso. Questa era la mia vita ora, un’esistenza fatta di obbedienza e sottomissione, un ciclo senza fine che accoglievo senza paura.

Mi adagiai sul pavimento, il corpo stanco che trovava conforto nella sua sottomissione. Chiusi gli occhi, lasciando che il buio mi avvolgesse completamente. Non c’era più lotta, non c’era più resistenza. E in quel nulla, trovai la mia pace.

Fine

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