Voglio condividere con voi come è avvenuta, quasi per caso, la mia trasformazione, un momento che ha segnato la mia esistenza e il mio corpo.
Un giorno, il mio padrone mi comunicò una notizia che mi colse di sorpresa: sarebbe partito il giorno seguente per una lunga vacanza. Per due settimane non avrebbe potuto restare in contatto con me, e la sua assenza si preannunciava devastante. La sola idea di trascorrere quindici giorni senza sentire la persona che ormai adoravo più di qualsiasi altra cosa al mondo mi riempiva di angoscia.
Prima di concludere la nostra conversazione, mi chiese il mio indirizzo dicendomi che mi avrebbe mandato una cartolina. Esitai per un momento, incerto se fidarmi completamente di lui. Del resto, in tutto quel tempo passato insieme, sapevo solo il suo nickname e avevo visto soltanto il suo cazzo e i suoi piedi. Eppure, quella parte di lui che conoscevo mi era già sufficiente per far crescere in me un desiderio incontrollabile. Con un misto di timore e eccitazione, gli diedi l’indirizzo.
I giorni passarono lenti e pesanti. Ogni mio pensiero era rivolto a lui, alla sua assenza che sentivo come un vuoto insopportabile. Continuavo ad eseguire il compito che mi aveva assegnato, quello di segarmi ogni giorno senza mai venire, un esercizio di sottomissione che mi teneva in costante tensione.
Una mattina, mentre ero immerso nei miei pensieri, il postino suonò il campanello. “Cazzo sarà una multa!” pensai immediatamente. Ma quando aprii la porta, mi porse un pacco. Lo guardai perplesso. Non ricordavo di aver ordinato nulla. Forse i miei genitori avevano comprato qualcosa senza avvisarmi, era già successo in passato.
Rientrai in casa con il pacco tra le mani, la curiosità mi divorava. Una volta in salotto, aprii l’involucro, dentro trovai una lettera e un altro pacchetto più piccolo. Il cuore sembrava volermi uscire dal petto. Sulla busta c’era scritto a penna: “Per il mio schiavo”. Le parole mi risuonavano in testa, facendomi avvampare. Con mani tremanti che quasi non rispondevano alla mia volontà, aprii la busta e iniziai a leggere.
“Ciao cagna, come procede il tuo compito? Io mi sto godendo la vacanza, ma come vedi, ti sto pensando. Dentro alla scatola troverai un regalo per te, indossalo ogni volta che sarai da sola. IL TUO PADRONE”
Quelle parole mi accendevano il desiderio come fuoco sulla pelle. Ogni sillaba sembrava bruciare, incidendo il suo dominio su di me. Con il cuore in gola, aprii la scatola più piccola. Sulla parte interna del coperchio era scritto a mano, in modo quasi sfacciato, con un pennarello: “KIT BASE SCHIAVO!” Il contenuto mi lasciò senza fiato: un perizoma rosso da donna con le frangette ai lati, una coppia di polsiere e cavigliere con anelli, due morsetti per capezzoli con campanelle attaccate e, infine, un collare.
In quell’istante, i miei vestiti caddero a terra senza che me ne rendessi conto, come se la mia mente fosse ormai troppo concentrata sull’unico desiderio di compiacere il mio padrone. Misi per primo il perizoma, il filo sottile che si insinuava tra le chiappe, il tessuto che non riusciva a contenere il mio cazzo, mi procurava un misto di imbarazzo e umiliazione che mi faceva impazzire. La mia mente si riempì di pensieri contrastanti: “Cazzo, guarda cosa sei diventato, ma non hai un po’ di dignità?”. Ma la risposta era chiara: no, non avevo più nessuna dignità.
Indossai le cavigliere, poi le polsiere. Il contatto del cuoio contro la mia pelle era una promessa di controllo e sottomissione. Mi tolsi il fiato mentre stringevo il collare attorno al collo, un simbolo tangibile del mio essere prigioniero, proprietà di qualcun altro. Infine, venne il turno delle mollette. Temevo che facessero male, ma il dolore era un piacere sottile, che si irradiava dal petto fin giù al cazzo, amplificando ogni sensazione. Il tintinnio delle campanelle appese ai miei capezzoli era il suono della mia schiavitù.
Ogni oggetto che indossavo mi faceva sentire sempre più legato a lui, sempre più profondamente suo. Caddi in ginocchio, sentendomi una cagna, una puttana, e più il mio corpo e la mia mente abbracciavano quei pensieri, più il mio cazzo diventava duro, teso come un arco.
Presi a segarmi con foga, con disperazione, mentre le campanelle danzavano e tintinnavano, ogni movimento aumentando il dolore, come piccoli aghi che penetravano nella mia carne. Stavo soffrendo e godendo per il mio padrone nello stesso momento, la sua assenza riempita da quel dolore e piacere che lui mi aveva donato. Ma anche se il mio corpo bruciava dal desiderio di venire, mi fermai appena in tempo. Non avrei osato disobbedire.
Il mio cazzo pulsava, duro e frustrato, ma il piacere più grande era nella mia sottomissione, nel sapere che stavo soffrendo per lui, che gli appartenevo completamente. E in quel momento, compresi che non sarei mai più tornato indietro.
Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica
Pisellina… fantastico! Un buon mix di Femdom e umiliazione
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…