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Trasformazione totale: da dom a schiavo 3

By 5 Settembre 2024Settembre 7th, 2024No Comments

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Ogni istante lontano dal mio padrone sembrava durare un’eternità, e il desiderio di ricevere un suo segnale cresceva in me con una forza incontrollabile. Continuavo ad eseguire il mio compito, segandomi ogni giorno senza mai venire, come mi aveva ordinato. Era una tortura dolce, una privazione che aumentava la mia dipendenza da lui, facendomi sentire sempre più schiavo del suo volere.

Passarono alcuni giorni senza ricevere alcuna notizia, e l’angoscia iniziava a prendere il sopravvento. Mi chiedevo se stesse davvero pensando a me, se il legame che sentivo fosse reale o solo un’illusione della mia mente disperata. Ma un pomeriggio, quando ormai stavo per cedere alla frustrazione, il campanello suonò di nuovo.
Corsi alla porta, il cuore che batteva all’impazzata. Il postino mi porse un nuovo pacco, e sentii un’ondata di eccitazione attraversarmi tutto il corpo. Il pensiero che fosse stato lui a inviarmelo mi faceva tremare di desiderio.
Rientrai in casa e mi sedetti sul divano, il pacco tra le mani. Era più grande del precedente, e pesava di più. Lo aprii con la stessa impazienza di un bambino che scarta un regalo, le mani che quasi non riuscivano a trattenersi dall’affrettarsi. All’interno, trovai un’altra lettera e, sotto di essa, vari oggetti che riconobbi immediatamente come strumenti di sottomissione.
Aprii la lettera con una sorta di reverenza, sapendo che conteneva parole che avrebbero segnato ulteriormente il mio destino. Iniziai a leggere.

“Cagna mia, so che stai soffrendo per me, ma è così che deve essere. La tua sofferenza è il segno del tuo amore, della tua devozione. Dentro questo pacco troverai nuovi strumenti per la tua educazione. Voglio che tu li usi secondo le istruzioni che ti lascerò. Ogni volta che ti sentirai indegna, che penserai di non meritarmi, voglio che ti punisca. Non devi mai dimenticare che la tua sofferenza è il mio piacere. IL TUO PADRONE”

La lettera mi lasciò senza fiato. Era come se il mio padrone potesse leggere dentro la mia mente, sapere ogni mia paura, ogni mio desiderio più nascosto. E la sua risposta era sempre la stessa: punizione, sottomissione, dolore e piacere mescolati in un vortice da cui non riuscivo, e non volevo, fuggire.
Guardai gli oggetti nel pacco: una frusta di cuoio nero, lunga e sottile, un ball gag rosso, e delle clip per capezzoli ancora più dure delle precedenti. C’era anche una piccola candela nera, con un biglietto che recitava: “Il fuoco purifica, il dolore illumina.”

Con le mani tremanti, presi la frusta. La pelle era liscia e morbida al tatto, ma sapevo che una volta usata sarebbe stata spietata. La portai al viso, annusandone l’odore, lasciando che quel profumo di cuoio nuovo mi inebriasse. La frusta era l’arma del mio padrone, e ora, nelle mie mani, rappresentava il suo potere su di me.
Indossai il ball gag, lasciando che la sensazione di avere la bocca riempita mi costringesse al silenzio, al controllo totale. Le clip per capezzoli, più dure delle precedenti, si strinsero sulla mia pelle con una morsa che mi fece sussultare. Il dolore era immediato, intenso, ma portava con sé una scia di piacere che percorreva tutto il mio corpo. Ero sulla soglia dell’estasi.
Accesi la candela, osservando la fiamma danzare nella penombra della stanza. Era piccola, ma il calore che emanava prometteva un piacere crudele. La sollevai sopra il mio petto, facendo scendere lentamente la prima goccia di cera sul mio petto. La sensazione fu elettrizzante, un bruciore che fece sussultare i miei muscoli e che si trasformò rapidamente in un’ondata di piacere. Un’altra goccia, e poi un’altra ancora, disegnando una mappa di dolore e piacere sulla mia pelle.
Presi la frusta, e con un gesto deciso, colpii la mia coscia. Il suono del cuoio contro la carne riempì la stanza, e il dolore esplose come un fuoco d’artificio. Ancora una volta, e poi un’altra, fino a che il mio corpo non fu ricoperto di segni rossi. Ogni colpo era un messaggio, un promemoria della mia devozione. Più soffrivo, più mi sentivo vicino a lui, al mio padrone.
Nonostante il dolore, o forse proprio grazie ad esso, sentii il mio cazzo diventare sempre più duro, pulsante, in preda ad un desiderio che non avevo mai provato prima. Ero in ginocchio, con la frusta in mano, il ball gag che mi costringeva al silenzio, e le lacrime agli occhi, mentre continuavo a punirmi per lui, a dimostrare la mia dedizione.

Ero esausto, ma non potevo fermarmi. Ogni fibra del mio essere chiedeva altro, voleva di più, cercava il limite estremo di quella sofferenza. Ma anche stavolta, quando sentii che stavo per raggiungere l’orgasmo, mi fermai. Non avrei mai osato disobbedire all’ordine di non venire. Il mio padrone doveva essere soddisfatto, e io non ero ancora degno del suo permesso.
Rimasi lì, ansimante, con il corpo che bruciava e il cazzo in fiamme, ma con la mente lucida, consapevole di essere suo, completamente e irrevocabilmente suo. Il dolore e il piacere si erano fusi in un’unica sensazione, una nuova forma di esistenza in cui la mia unica ragione di vita era obbedire, soffrire, e desiderare.

In quel momento, compresi che ogni giorno, ogni istante lontano da lui, non era che un preludio a questo, a quel momento in cui, attraverso il dolore, avrei potuto sentire il suo potere su di me, la sua presenza dentro di me.

E così, sfinito ma soddisfatto, caddi a terra, sapendo che la mia trasformazione non era ancora completa, ma che ogni colpo, ogni goccia di cera, ogni stretta delle clip, mi stava portando sempre più vicino a diventare ciò che lui desiderava: la sua perfetta e obbediente cagna.

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