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La distanza dal mio padrone era come una ferita che non smetteva di sanguinare, e il vuoto che provavo cresceva sempre di più. Anche i miei momenti di sottomissione, che avevano iniziato a riempire le mie giornate di una sorta di oscuro piacere, non bastavano più a soddisfare la mia fame di lui. Sentivo il bisogno di qualcosa di più, di qualcosa che mi ricordasse in maniera ancora più potente la mia posizione, il mio ruolo nella sua vita.
Un giorno, mentre ero immerso nei miei pensieri, il telefono vibrò. Un messaggio. Il cuore mi balzò in gola mentre lo aprivo, sapendo già chi fosse il mittente.
“Cagna, questa sera voglio che tu mi mostri quanto sei mio. Ho organizzato una sessione in cam. Ci saranno altri padroni a guardare. Sarai umiliato di fronte a loro e ti assicurerò che ogni singolo secondo sarà indimenticabile. Prepara tutto e aspettami in cam alle 21:00. IL TUO PADRONE.”
Le parole mi fecero venire un brivido lungo la schiena. Il cuore iniziò a battere più forte, un misto di paura e eccitazione. La sola idea di essere esposto, umiliato di fronte ad altri, mi faceva sentire piccolo, insignificante, ma allo stesso tempo, una parte di me desiderava ardentemente quel momento. Era come se la mia mente sapesse che, attraverso quell’umiliazione, avrei potuto raggiungere un nuovo livello di sottomissione.
Le ore che mi separavano dalle 21:00 passarono in un vortice di ansia e preparativi. Seguii le istruzioni del mio padrone alla lettera: indossai il perizoma rosso con le frangette, le polsiere e le cavigliere, il collare che ormai era diventato parte di me. Agganciai i morsetti ai capezzoli, che si strinsero dolorosamente ma con un piacere che ormai conoscevo bene. Il ball gag era lì, pronto, e accesi la candela nera, sapendo che avrei di nuovo sentito il bruciore della cera sulla pelle.
Quando l’orologio segnò le 21:00, ero pronto. Mi sedetti davanti al computer, le mani tremanti mentre accendevo la cam. Lo schermo si illuminò e subito dopo vidi apparire l’immagine del mio padrone. Il suo volto era in parte coperto da un’ombra, ma il suo sguardo era fisso su di me, penetrante e freddo come sempre.
Nelle altre finestre potevo vedere altre persone. C’erano altri padroni, i loro volti severi e impassibili, gli occhi puntati su di me. Il cuore mi batteva all’impazzata, l’ansia e la vergogna che mi attanagliavano. Ero nudo, esposto, e sapevo che ogni mia debolezza sarebbe stata messa a nudo quella sera.
Il mio padrone parlò per primo, la sua voce calma ma carica di autorità. “Cagna, oggi ti farò vedere cosa significa essere davvero mio. Non sei solo un oggetto per il mio piacere, ma anche per quello di altri padroni. Ogni tuo movimento, ogni tua reazione sarà giudicata. E tu, come sempre, farai tutto ciò che ti ordino.”
Deglutii, sentendo le parole farsi strada dentro di me come lame affilate. Non risposi, non avrei osato interrompere. Mi limitai a guardarlo, a cercare di non cedere al panico che mi stava travolgendo.
“Alzati e mostrati,” ordinò. “Voglio che tutti ti vedano bene.”
Obbedii immediatamente, alzandomi in piedi davanti alla cam. Il perizoma era teso intorno ai miei fianchi, il cazzo a malapena contenuto nel sottile tessuto. Le cavigliere e le polsiere strette, il collare mi stringeva il collo con una morsa rassicurante. Sentivo gli occhi dei padroni su di me, ogni loro sguardo un giudizio silenzioso che mi penetrava la pelle.
“Muoviti lentamente,” disse il mio padrone, “fai vedere loro ogni dettaglio del tuo corpo, fai vedere quanto sei indegno.”
Iniziai a muovermi, girandomi lentamente, permettendo che osservassero ogni centimetro di me. Sentivo il sangue affluire al viso per l’imbarazzo, ma non mi fermai. Mi inginocchiai di nuovo davanti alla cam, sapendo che quello era il mio posto, ai piedi di chiunque volesse prendermi.
“Strofinati,” fu l’ordine successivo. “Voglio che tu ti tocchi, ma ricordati: non hai il permesso di venire.”
Le mie mani si mossero da sole, come guidate da una volontà che non mi apparteneva. Mi toccai lentamente, sentendo il mio cazzo diventare sempre più duro sotto il tocco delle dita. La cam trasmetteva ogni mio movimento, ogni mio gemito soffocato. I padroni mi guardavano, impassibili, come se fossi solo un intrattenimento per loro. E forse lo ero davvero.
Ad un certo punto, uno dei padroni parlò. La sua voce era profonda, carica di disprezzo. “Guardatela come si umilia come una cagna in calore”
Quelle parole mi trafissero, ma allo stesso tempo, mi fecero sentire vivo, una conferma del fatto che stavo facendo esattamente ciò che il mio padrone voleva. Il dolore di essere ridotto a un mero oggetto era travolgente, ma in quel dolore c’era una sorta di liberazione.
“Prendi la frusta,” disse il mio padrone. “Punisciti davanti a loro. Voglio che tutti vedano quanto sei disposto a soffrire per me.”
La frusta era lì, a portata di mano. La presi, sentendo il cuoio freddo sotto le dita. Mi colpii sulla coscia, il suono che rimbalzò contro le pareti della stanza. Il dolore fu immediato, ma non mi fermai. Colpo dopo colpo, la mia pelle si copriva di segni rossi, ogni strisciata un simbolo della mia sottomissione, del mio totale abbandono a quel momento.
I padroni continuavano a guardare, i loro sguardi freddi, distaccati, ma sapevo che stavano godendo della mia umiliazione, del mio sacrificio. Ogni colpo che mi davo era per loro, ogni singolo istante di sofferenza era dedicato a soddisfare il loro piacere.
“Più forte,” ordinò uno di loro. “Voglio vedere il dolore sul tuo viso.”
Obbedii, aumentando la forza dei colpi. Il mio respiro si fece affannoso, le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance, ma non mi fermai. Ogni colpo era un modo per dimostrare la mia dedizione, per ricordare a me stesso che non ero nulla senza il mio padrone.
Quando il mio corpo fu coperto di segni, il mio padrone mi ordinò di fermarmi. Il sollievo fu immediato, ma sapevo che non era finita. Lo schermo si spostò, mostrando ora la figura del mio padrone più nitidamente. I suoi occhi brillavano di una luce che conoscevo bene.
“Togliti il ball gag,” mi disse, e io obbedii, sentendo la bocca liberarsi. “Ora voglio che implori per il permesso di venire. E voglio che tutti ti sentano.”
Mi sentii sprofondare ulteriormente nella vergogna. Dovevo implorare, supplicare davanti a tutti quegli sconosciuti, dichiarare quanto desideravo il permesso del mio padrone. Ma non mi importava più. Ero disposto a fare qualsiasi cosa per lui.
“Per favore, padrone,” iniziai a dire, la voce spezzata dal desiderio e dalla vergogna. “La prego, mi lasci venire. Non ce la faccio più, padrone. Sono suo, completamente suo. La prego, mi dia il permesso…”
La mia voce si spezzava ad ogni parola, mentre cercavo di esprimere quanto fossi disperato per il suo consenso. I padroni mi guardavano, impassibili, mentre io mi umiliavo di fronte a loro, rendendomi ridicolo e patetico per il loro piacere.
Il mio padrone sorrise, un sorriso freddo e soddisfatto. “No,” disse semplicemente. “Non sei ancora degno. Voglio che tu rimanga così, con il cazzo duro e il desiderio insoddisfatto. Voglio che tu soffra per me. Chiudi la cam e vai a letto. Non voglio sentire altro da te per il resto della notte.”
Quelle parole mi colpirono come un colpo dritto al cuore. Avevo implorato, supplicato, messo a nudo ogni mio desiderio più intimo e profondo, e la risposta del mio padrone era stata un freddo, implacabile rifiuto. La sua decisione era definitiva, e sapevo che non avrei osato disobbedirgli.
Sentii un nodo alla gola mentre annuivo, incapace di rispondere a voce. La mia umiliazione era completa, eppure, in quel momento, sentii anche una strana forma di sollievo. Ero stato messo alla prova, e nonostante tutto, avevo dimostrato di essere suo, completamente e senza riserve.
Il mio padrone mi guardò ancora per un istante, con quel sorriso che ora mi sembrava quasi crudele. Poi, senza una parola in più, chiuse la connessione. Lo schermo diventò nero, lasciandomi solo, nudo e tremante, nel silenzio della mia stanza.
Rimasi lì, con il cuore che ancora batteva forte nel petto, la mente che correva senza controllo. Il desiderio pulsante dentro di me non si era placato, anzi, sembrava solo crescere, alimentato dall’idea di essere stato rifiutato, di essere costretto a rimanere in quello stato di perenne attesa.
Mi sdraiai sul letto, cercando di calmarmi, ma ogni pensiero tornava a lui, al mio padrone, e a ciò che mi aveva fatto provare quella sera. Ero stato esposto, umiliato davanti ad altri, ridotto a un mero spettacolo di sottomissione e dolore. Eppure, tutto ciò non faceva che rinforzare il mio legame con lui, la mia dipendenza dal suo volere.
Chiusi gli occhi, cercando di trovare un po’ di pace, ma il mio corpo continuava a bruciare di desiderio, il cazzo ancora duro e pulsante, la mente ossessionata da ciò che avrei voluto fare, da ciò che avrei voluto chiedere. Ma sapevo che non potevo. Non avevo il permesso, e non l’avrei ottenuto quella notte.
Mi addormentai così, in preda a un tumulto di emozioni, sapendo che la mia sottomissione era ormai totale, che ogni fibra del mio essere apparteneva al mio padrone, e che avrei continuato a soffrire e a desiderare, finché lui non avesse deciso di concedermi il suo favore.
Grazie Rebis
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…
Quanto vorrei che il live action di disney fosse più simile a questo racconto! Scherzi a parte: divertente, interessante, bel…
grazie amore