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LA MATURA DIRIGENTE

By 7 Giugno 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

CAPITOLO 01 – PREMESSA

 

Anna Maria era una giunonica dirigente sulla cinquantina, alta e formosa fin da ragazzina aveva sofferto delle attenzioni morbose dei maschi. Quelle attenzioni che per molte sono miele, per lei, costituivano fastidio, forse per un’educazione repressa, forse per la sua particolare natura, ella subì sempre il rapporto con i pochi uomini della sua vita, senza mai viverlo appieno.

            All’età di 20 anni si sposò, intatta nella natura, regalò la propria verginità al marito, fingendo un godimento che non provò, né quella notte, né nelle successive, Né nei lunghi dieci anni che la portarono alla separazione. Il marito la lasciò improvvisamente, con una figlia di appena un anno e senza alcun fondo. A trent’anni, dovette inventarsi una vita, trovare un lavoro. Come sovente capita, proiettò nel lavoro le sue aspettative, gli studi compiuti le furono di aiuti ed oggi occupava un posto dirigenziale in un’importante compagnia di comunicazioni. La sua vita scorreva tranquilla, la figlia ormai sposa e madre, ella si dedicò al suo lavoro avendo solo poche relazioni negli ultimi vent’anni.

            Il cielo più sereno può essere squarciato da un lampo estivo che manifesta temporale intenso. Le nostre fugaci esistenze, anch’esse, possono essere attraversate da intensi e subitanei lampi che scuotano le nostre anime. Può succedere a ognuno ed anche ad Anna Maria capitò un giorno.

            La primavera aveva inverdito i prati e i fiori aprivano i boccioli a bearsi del sole sempre più caldo. Anna Maria sentiva quel richiamo, lo attribuiva al piacere del sole che si donava e mai aveva pensato che quel risveglio interiore potesse travalicare la spiritualità, mai suppose che potesse trascendere fin nel fisico, mai considerò che quella forza potesse avere un ragionevole legame con una voglia di vita che lungamente aveva represso. Fino a quel giorno.

Roberto era un professionista appena più giovane di Anna Maria, un uomo normale che aveva in dote il fascino della sua forte personalità che sovrastava il pur gradevole aspetto. L’incontro avvenne in modo banale; si trovarono di fianco ad una fugace colazione in un bar e lui diede il passo a lei uscendo. Lei apprezzò molto quel gesto gentile quanto spontaneo e si portò a considerare quanto la gentilezza e l’educazione andasse sfiorendo e, quasi per riconoscenza, si voltò brevemente per uno sguardo riconoscente che egli ricambiò con un luminoso sorriso. L’intensità del suo sguardo quasi la fece arrossire, e la bloccò per quell’attimo sufficiente a farsi avvicinare da lui che le chiese “Tutto bene?”. “Sono semplicemente rimasta felicemente sorpresa della sua gentilezza, è così raro oggi”. “E’ assai più raro trovare chi apprezzi l’educazione e la cortesia piuttosto che gli stessi gesti”. In breve, bastarono quelle frasi di circostanza a rompere il ghiaccio e ad attrarre l’una verso l’altro. Conquistata dall’eloquio di Roberto, dalla sua lucidità nell’esporre le proprie tesi, sempre suffragate da ragionamenti calzanti, Anna Maria subì il fascino di lui e ne rimase ammaliata. “E’ un peccato aver appena consumato la colazione, questo mi toglie il motivo di prolungare questo nostro incontro –ammise lui- ma mi consente di dirigerlo verso sera ove, se vorrà, sarei lieto di ospitarla a cena”. Quei modi così desueti produssero un benefico effetto su di lei che, per la prima volta nella sua vita, si trovò ad accettare un invito da uno sconosciuto. Sorprendendosi per questo ma, incapace di negarsi quel piccolo piacere.

Con civetteria si sentì di dire “Cena informale o abbigliamento di circostanza?” ed egli “ Nulla di formale ma solamente l’obbligo di esaltare le nostre specificità, dunque io indosserò un semplice vestito da sera, Lei indossi ciò che desidera ma che sia conveniente col suo essere donna”. All’attonita Anna Maria non mancò di aggiungere, indicando con lo sguardo i pantaloni da lei indossati che quell’abbigliamento era ottimale per il lavoro non per una cena di conoscenza tra due persone- E la lasciò, senza mai voltarsi, avendo egli nella mente ben chiara l’espressione pensierosa che il viso di lei assunse. Quasi indignata si trovò a pensare che fosse un impudente se si permetteva di indicarle una maniera di vestire, pensò di rinunciare all’invito, ma si era già allontanato. Poi sentì quel languore che trasmette la primavera e per la prima volta non l’associò al sole, ai fiori, alla natura, ma al volto e soprattutto al sorriso e allo sguardo di lui. I dubbi dissiparono, decise di concedersi quella stravaganza, accettare un invito a cena da uno sconosciuto. Si ritrovò a pensare come fosse ben strana la vita se lei, proprio lei, aveva accettato quell’invito. Come molte persone introverse si sentiva unica, non assimilabile alle altre persone, una sorta di superiorità morale dietro la quale spesso si nasconde la inibizione delle proprie voglie.

 

Ripensava a quel loro primo incontro. Certo, in ben altro scenario. Anna Maria giaceva legata a una croce di legno, in un club molto noto nella sua città, il buio era lacerato dalla luce fioca di due candele dietro le quali poteva solo intuire la presenza di altre persone. Legata, con le mani protese in alto, i piedi tenuti larghi, completamente nuda. Esposta allo sguardo di chiunque. Come era potuto accadere? E come mai vivendo, il proprio imbarazzo, sentiva il piacere di viverlo?

 

Quella sera Lui si fece aspettare per qualche minuto. Lei temette che avesse potuto irretirla con un falso invito, ma non fu così. In realtà Roberto era arrivato in orario perfetto e, da lontano, si attardava a vederla passeggiare sul marciapiede nella sua attesa. L’attesa, secondo il suo pensiero, aumentava il disagio e doveva essere lunga fino all’estremo della corda, non doveva mai oltrepassare il segno della stanchezza di attenderlo. Era una sua particolare capacità  saper individuare quanto ogni persona potesse attenderlo rimanendo nell’ansia di vederlo prima di trascendere nel fastidio dell’attesa. Pochi minuti occorrevano per l’austera dirigente, pochi minuti trascorsero e poi si avvicinò, lentamente a raggiungerla, non mancando di notare che aveva indossato una gonna. Ovvio, nulla di trascendentale, da matura signora. Una gonna appena larga, di colore nero, che terminava appena sopra il ginocchio. Collant neri e scarpe lucide con moderato tacco completavano la vestizione inferiore. Sopra indossava una camicetta sui toni dell’arancio sotto una giacchetta anch’essa nera, di completo alla gonna. I capelli biondi erano, a differenza della mattina, lasciati liberi sulle spalle. Un leggero trucco ed un rossetto rosso completavano l’opera. Come lo vide lei si sentì sollevata, la paura di aver avuto un invito a vuoto era al suo massimo apice, civettuola si senti di dirgli “Come sto? Vado bene così? Ordine eseguito?”. Commise il primo errore, non valutando ciò che la personalità che egli dimostrava potesse nascondere. “Come ti ho accennato stamattina ho un grande pregio ed un grande difetto –rispose lui- entrambi si chiamano sincerità. Apprezzo aver destinato i pantaloni al lavoro diurno, lo apprezzo molto. Ma dubito che tu abbia completato l’opera indossando delle calze, piuttosto che quegli orribili collant che non tollero, così come non tollero la barriera del rossetto che, nella migliore delle ipotesi, è destinato ad essere da te mangiato insieme alle pietanze.”. Rimase di stucco, poi offesa reagì “Ma chi ti do il diritto ad entrare su come mi vesto? Come ti permetti?” “Sei tu ad avermene dato il diritto chiedendomi un parere che, per gentilezza, avrei taciuto. Forse preferivi una risposta accondiscendente, ma non rientra nei miei canoni non esporre ciò che penso. Ma se tutto questo ti desse estremo fastidio e fosse intollerabile, nessun problema. Le nostre strade non si erano incrociate ed abbiamo vissuto entrambi. Possono tornare a percorrere transiti diversi.”

Povera Anna Maria, in un solo istante si trovò a demolire tutte le certezze che l’abitudine da dirigente le avevano dato. Lei, proprio lei, si trovava a subire le prescrizioni di uno sconosciuto. Era lì per andarsene, offesa e gli lanciò uno sguardo di fuoco, che si infranse sul sorriso con il quale aveva accompagnato quella perentoria frase. Si sentì smarrire, tremante non riuscì a rispondere nulla. Si accorse che non voleva perderlo, che poteva essere lui quella persona che poteva guidarla in posti sconosciuti ed accuratamente evitati. Si sentì attratta da tutto questo e si sciolse in pianto nervoso. Tutt’altro che commosso Roberto la rimirò piangere un po’ e.. si allontanò, per andarsene. Lei udì la sua voce chiamarlo, pregarlo di fermarsi, implorarlo quasi. Di chi era quella voce che andava contro la sua volontà? Perché non trovava invece il coraggio di girare le spalle e correre via?

Quel sorriso, quel suo sorriso capace di sfondare ogni porta e quel suo sguardo magnetico, duro e caldo insieme che sapeva di possedere e che sapeva usare con maestria. Oggi era sicura che fu per questo che non scappò via e che lo implorò, ascoltata, di non andarsene.

 

Chi poteva essere quella piccola folla che si stava gustando il suo imbarazzo mentre legata attendeva? Poi riconobbe Roberto, vestito elegantemente che si avvicinava e la apostrofava col suo “Cucciola”. Di nuovo si drogò del suo sorriso e dei suoi occhi e ascoltò. “Stasera supererai con gioia una nuova prova, sono certo che ne saprai approfittare; adesso verrai bendata e tutto ciò che succederà ti sembrerà appartenga ad altro mondo ed invece riguarderà proprio te Cucciola, sappi meritare l’onore che ti sto concedendo. Sai quanto mi sei cara, stasera altri godranno di te io sarò soltanto il tuo benevolo carnefice, colui che saprà distillare il tuo dolore, per trasformarlo in piacere; buon viaggio amore mio”.

Fu bendata, tutto l’apparì come in altra dimensione, mani le misero dei tappi alle orecchie, altre mani la imbavagliarono. Si accorse a pensare che, anche se fosse morta, non avrebbe potuto accorgersene, e si senti immortale. Il suo Roberto era riuscito anche in questo. Come poteva un’immortale provare sofferenza? Sarebbe stata più forte di ogni cosa. Il tempo non trascorreva mai, Roberto, conscio della diversa percezione che ella aveva, stava attendendo alcuni momenti prima di iniziare, consapevole che ogni istante era un minuto per lei. Anna Maria era, infatti, nel limbo della non percezione del tempo, ogni istante era lunghissimo e si trovò a desiderare che tutto iniziasse ma il tempo continuava ad essere immobile in lei. Sentì qualcosa di caldo che la avvolgeva, mani delicate stavano spalmandole qualcosa sul corpo. Era una crema riscaldata che Roberto aveva fatta preparare per l’occasione, a base di erbe aveva un profumo intenso che doveva contribuire ad allargare i pori della pelle e che quindi avrebbe reso il corpo di Anna Maria ancor più sensibile- Improvvisamente il segnale. Un colpo di frusta la colpì sulle natiche. Quel gesto apriva i “viaggi” i lunghi, intensi, dolorosi, goduriosi periodi cui lui la sottoponeva. Chiamava quegli incontri viaggi e lei si era convinta che fossero in realtà dei veri e propri viaggi della sua mente e del suo corpo verso mete sempre inesplorate e mai pensate potessero esistere. Racchiuse su di se acor di più l’attesa l’inizio di un viaggio era sempre emozionante, ella sconosceva i luoghi ove lui l’avrebbe diretta e viveva quel momento iniziale con trepidazione. Sentiva, intanto, che la crema aveva reso la sua pelle sensibile, sentiva come se il suo corpo si aprisse davanti a quelle persone che la osservavano e che, c’era da scommetterlo, avrebbero preso parte al gioco.

Come sempre si apprestò a vivere, senza remore, come lui le aveva insegnato quel nuovo viaggio. Come sempre le capitò di ripensare al loro primo incontro. Lui aveva capito, da quel suo supplicare di non andare via, che lei era la preda adatta, ancora una volta il suo intuito non aveva errato. Si voltò, quella sera, e accondiscese a rimanere ma chiese subito una prova di gratitudine per il buon cuore dimostrato. “Via quel rossetto che ti fa somigliare ad una troia, e monta in macchina e sfilati quell’orrendo collant” ed alla sua indecisione, guardando l’orologio, aggiunse “Un minuto da questo istante.” Che cosa indusse lei ad obbedirgli resta un mistero, lei si diceva quel sorriso e quel suo sguardo, quella personalità che subito era entrata prepotente in lei. Obbedì. E lui salendo al suo fianco non mancò di elogiare le sue gambe bianche e lei, in cuor suo, le fu grata di questo complimento. Guardandola negli occhi le disse di aver scovato in lei tracce che lei stessa non conosceva, di aver massima fiducia perché l’avrebbe condotta in un mondo sconosciuto ma che lei, non sapendolo, anelava. La matura dirigente era caduta nella sua tela, completamente avvinta dal suo charme, incapace di ogni reazione. Lui le sollevò un poco la gonna lasciando scoperte buona metà delle sue cosce, poi avviò la macchina senza degnarle di uno sguardo ed intrattenendo una normale conversazione di due persone che, per la prima volta, si incontrano. Con abilità la fece parlare, in fondo lei non attendeva che di sfogarsi con qualcuno, e seppe di elementi essenziali del suo passato e del suo presente, in quegli elementi trovò squarci per tracciare il suo futuro.  Lei si stupì che egli, al di là del braccio, non tentò alcun approccio fisico e quando si lasciarono lui, gentilmente la accompagnò fin sulla porta di casa ma non chiese di entrare e neppure tentò di sfiorare quelle labbra che lei avrebbe volute baciate. Notò la sua delusione e, per la prima volta, la chiamò con quel nome “cucciola” affermando sfrontatamente: – Non hai meritato alcun bacio, devi imparare che tutto si merita e questa sera hai avuto inizialmente alcune esitazioni, ora sei tu che deciderai se rivedermi o no. In ogni caso sarà la tua ultima decisione. Se deciderai di rivedermi sai che dovrai essere una cucciola obbediente e devota, altrimenti sarà stata comunque una magnifica serata della quale ti resto grato. – Con un elegante baciamano si congedò allontanandosi.

 

 

 CAPITOLO 02 – LA RINUNCIA A SE STESSA

 

I giorni che seguirono non furono facili per Anna Maria, sempre in preda all’ansia, col fiato che le moriva in gola, viveva il tormento della sua indecisione. Sulla bilancia era messa tutta la sua vita, le convinzioni, le rinunce che si era imposta e che credeva la rendessero felice. Sull’altro piatto quella sensazione struggente che le attanagliava lo stomaco, quel fuoco che scendeva fino alle viscere scoprendola, ogni volta con sorpresa, eccitata al solo pensiero di lui. Tentò di non pensare, di concentrarsi sul lavoro, ma quella sensazione di vuoto allo stomaco non l’abbandonava. Sperò fosse lui a rompere il silenzio, inutilmente. Dopo sette giorni d’attesa non riuscì a non chiamarlo. Lo sentì freddo, quasi disinteressato alla sua telefonata. “Sono impegnato in questo momento, richiamami tra quattro giorni alle 21,00 esatte; ogni anticipo o ritardo sarà considerata rinuncia definitiva” terminò gelido deponendo il telefono.

La rabbia le salì in gola ma si trovò a inveire contro un telefono ormai chiuso e rimase incapace per molti minuti a pensare. Come ovvio nei primi giorni pensò di mandarlo al diavolo. Cribbio, lei, affermata dirigente che quasi elemosinava un’attenzione. Giammai. Quattro giorni dopo si trovò, indifesa a comporre il suo numero, alle 21,00 esatte. Ogni squillo aumentava la sua angoscia; e se non avesse risposto. Dopo qualche squillo un baleno al cuore annunciò la sua risposta. “Sai che questa telefonata ti consegna completamente a me” furono le sue prime parole. “Si non voglio vivere altri giorni di angoscia come questi” si sentì rispondere. La matura dirigente era caduta, come una bambina, incapace di qualsiasi reazione.

“Immagino tu sia sola in casa, quindi denudati immediatamente ed esci sul balcone sempre con il telefonino per sentirmi”- Egli aveva considerato che il buio e l’aria ancora fredda, di sera, ben difficilmente avrebbe fatto indugiare alcuno sui balconi circostanti. Questa considerazione non attraversò la mente di Anna Maria che si sentì morire alla richiesta. “Hai trenta secondi” ormai sapeva che quei tempi erano irrevocabili e, come in preda a follia, si affrettò a togliersi la gonna, la camicetta, la sottoveste, l’intimo (diavolo quanta roba indossava, si trovò a pensare) e uscì nuda sul balcone, col cuore in gola e con un tremore evidente. “Sei sicura di aver tolto le scarpe?”. Come faceva quel diavolo d’uomo a indovinare questa cosa? Le sfilò prontamente. Rimanendo completamente nuda col corpo che cominciava a riempirsi i brividi di freddo. “Conta lentamente fino a trenta, poi rientra dentro, rimani nuda, e attendi” le ordinò lui staccando la comunicazione. Così fece e rientrò, tremante e col fuoco dentro ad attendere silenziosa. Immobile sentì il campanello della porta e l’angoscia la avvolse. Che cosa doveva fare? Rimase immobile, quando sentì il suono del telefono e lui che le diceva “Cosa aspetti ad aprire, vai così come ti trovi cucciola”. Immaginò fosse lui e corse alla porta gelandosi quando si accorse che era un ragazzo che consegnava la pizza che, imbarazzato da quella visione, rapidamente consegnò il dovuto e corse via.

“Mangia la tua pizza e mettiti a letto ti chiamerò domani sera, usciremo insieme a cena, ti ho concesso un giorno affinché domani tu possa dedicarlo all’acquisto di abiti decenti e di intimo all’altezza. Sono certo che non mi deluderai cucciola.” Ecco, quel cucciola scoprì che era la sua carezza, il modo per dimostrarle che era contento di lei e si sentì contenta che lui lo avesse detto per ben due volte. Mangiò la pizza e andò a letto, durante la doccia e poi nelle lenzuola, forte, l’impeto di accarezzarsi, sentì la sua vagina abbondantemente lubrificata, vogliosa, s’impose di resistere, era sicura che lui se non le aveva detto di carezzarsi non dovesse farlo. Sempre più preda si addormentò felice nella sua nuova dimensione.

Fare compere adatte, il giorno dopo, fu difficile e complicato. Non poteva certo recarsi negli abituali negozi, troppa vergogna e non sapeva, dove dirigersi. Vagò a lungo la mattina, sfiduciata e scontrosa si ritrovò a mezzodì che non aveva trovato nulla di adatto. Ma cosa era adatto? Non mi deluderai le aveva detto e lei non voleva deluderlo, ma aveva il forte timore di sbagliare. Il suono del telefono la fece sussultare, immersa com’era nei suoi foschi presagi. Era lui. D’un fiato gli disse che non sapeva cosa fare, non sapeva come accontentarlo, ma voleva, con tutta l’anima, renderlo felice. “Immaginavo la tua incapacità, dovrai imparare molto ma voglio aiutarti recati a questo indirizzo e chiedi di Elena, una mia amica e affidati a lei, completamente a lei.”. Felice si affrettò a raggiungere quel posto e, quando giunse, si accorse che si trattava di un club, suonò e chiese di Elena e si accorse che quell’anonima porta d’ingresso, introduceva a degli ambienti molto ben curati ove capi di abbigliamento facevano la loro comparsa. Un salone centrale e una dozzina di ambienti laterali, in uno di questi la introdusse Elena. “Roberto mi ha annunciato la tua visita, sai che dovrai affidarti completamente a me, vero?” Annui e al suo invito a spogliarsi lo fece rapidamente. Vide Elena raccattare i suoi vestiti e gettarli in un sacco. “Questi non ti serviranno più e la prossima volta che verrai qua dentro sii attenta a vestirti come si conviene”. Si chiese come sarebbe rientrata a casa e, quasi intuendo i suoi pensieri, Elena la tranquillizzò, tutto era programmato, lei doveva solo affidarsi e abbandonarsi senza alcuna remora.

Come una vettura di formula uno al pit-stop. Così si sentì Anna Maria quando, a un cenno di Elena, diverse persone entrarono nella stanza, scoprì che nessun angolo del suo corpo sarebbe rimasto inesplorato e, adagiatala su un lettino, due ragazze, un’orientale, l’altra africana, cominciarono un dolce massaggio. “Abbandonati completamente a loro, rilasseranno e tonificheranno il tuo corpo, ci vediamo tra un’ora.” Le due ragazze cominciarono il trattamento, facendola mettere di schiena, iniziarono dai piedi, riflessologia plantare e poi un massaggio che attraverso il polpaccio arrivava fin sotto il ginocchio. Sentì piacevoli brividi, soprattutto la ragazza africana, dimostrava di ben conoscere la particolare sensibilità che alcune persone provano dalla solleticazione delle terminazioni nervose nel retro del ginocchio. Accortasi della sensibilità di Anna Maria, ogni volta arrivava a lambirle la zona senza mai affrontarla e questo donava dei brividi continui che, nel rilassamento, erano molto piacevoli. L’altra ragazza si uniformò alla prima e lei sentì raddoppiare queste sensazioni. La musica di sottofondo e l’ambiente profumato la avvolsero. Il continuo massaggio produceva, però uno strano effetto, Anna Maria avrebbe voluto che anche il dietro del ginocchio fosse massaggiato, quasi le dolevano ora nell’attesa. Consce delle sensazioni che donavano le due ragazze, si guardarono bene dal toccare quella parte e passarono alle gambe superiori. Partendo appena sopra la zona della quale stiamo parlando e da quella arrivarono a lambire le chiappe di Anna Maria. Era un massaggio che si rivelava sempre più intenso e che, toccando l’interno delle cosce, non poteva che solleticare un sottile senso di eccitazione che s’impadronì della sua mente. Anche qui scoprì che avrebbe voluto un deciso massaggio sulle natiche ma le ragazze passarono alle spalle e alle braccia, arrivando anche qui a massaggiarla completamente tranne le natiche e una piccola porzione dei fianchi. Anna Maria si sentiva come se le zone non toccate dal massaggio ardessero e, in effetti, era proprio questa la tecnica. Solleticare alcune zone solo indirettamente, lasciandole in attesa. Fu girata sulla schiena e ripartirono dai piedi, andando spedite fino alla zona inguinale che, ovviamente, si guardarono bene dal toccare. L’eccitazione salì a dismisura dapprima nella mente e poi nel corpo di Anna Maria. Per un attimo si vergognò nell’accorgersi delle pulsazioni della sua vagina e dell’umidità che sentiva crescere là sotto. Poi si lasciò andare gustandosi quelle mani sul ventre e poi sui seni, massaggiati a lungo, con insistenza ma senza mai toccare i capezzoli. Le ghiandole si gonfiarono a dismisura e i capezzoli s’inturgidirono, gonfi quanto mai prima. Tentò addirittura lei di toccarseli, sentendone il bisogno. Sentiva le terminazioni nervose dell’areola scoppiare. Ma le fu impedito e poi a turno una delle mani delle ragazze correva a massaggiare il suo monte di Venere facendola ogni volta trasalire e ogni volta lei implorava mentalmente che quelle mani scendessero appena più in basso a darle sollievo. Sentì il suo ventre alzarsi a correre incontro a quelle mani che, sapienti, sapevano esattamente dove fermarsi. Si scoprì eccitata quanto mai prima e le implorò di toccarla più a fondo. Le dissero di rilassarsi e passarono, dopo averla tenuta dieci minuti almeno in questo stato al massaggio facciale. Altre persone entrarono dedicandosi alle unghie dei piedi e delle mani e una al taglio dei suoi peli inguinali, disegnandole un cuore sopra il suo clitoride e rasando completamente il resto, quei tocchi ebbero il potere di infiammarle ancor di più i sensi, ma nessuno le diede e le permise di avere sollievo. La coprirono infine con lenzuola calde e le dissero di rilassarsi per qualche minuto. Quasi si assopì, sconvolta da tutte quelle attenzioni e col ventre in fiamme, sempre eccitato, quasi dolorosamente. Una ragazza rimasta a sorvegliarla impediva ogni suo movimento. Rimase in attesa di quanto sarebbe successo. Il suo ventre pulsava e avrebbe voluto toccarsi. Il desiderio, l’eccitazione erano talmente forti in lei che cadde quasi in un delirio. Elena la trovò tremante sotto le lenzuola, si accorse del suo stato e le disse: “Ora faresti qualsiasi cosa per darti sollievo ma devi imparare a far crescere e maturare in te il fascino dell’attesa, calmati, questa sera, se lo saprai meritare, avrai il tuo sollievo; conosco Roberto da molto tempo, è un uomo fantastico, che sa percorrere i meandri più reconditi della mente; egli saprà renderti felice, dovrai solo meritarlo.” Quasi piangente Anna Maria rassicurò Elena della propria devozione e della sua obbedienza a Roberto e si lasciò condurre in un altro salone dove le furono sistemati i capelli e mentre il parrucchiere si attardava nell’acconciarla, la ragazza africana le solleticava i seni, sempre senza mai toccare il capezzolo, solo sfiorandolo a volte. Si sentì sobbalzare ogni volta. La matura dirigente era ormai un animale in cerca di soddisfazione e se le parve interminabile il tempo che mancava alla sera, le tornò in mente quanto aveva detto Elena, “fai maturare il fascino dell’attesa”. Capì che non poteva far altro e si predispose mentalmente ad attendere la sera. Si sentì sollevata anche se i suoi capezzoli gonfi e ormai doloranti testimoniavano una tensione interiore mai vissuta.

Si giunse infine alla scelta dell’abbigliamento adatto. Anna Maria aveva un fisico giunonico, alta 175 cm, era abbondante di forme con un peso che sfiorava i 70 chili, bionda, occhi verdi, aveva una generosa misura di petto, con aureole non molto estese e capezzoli che ora, duri, sembravano due splendide ciliegie. Una leggera pancetta introduceva a dei fianchi abbondanti che contornavano un sedere maestoso e sodo, due lunghe gambe introducevano a delle caviglie sottili e dei bei piedi che aveva sempre curati.

Elena le fece provare infiniti vestiti e intimi sempre più audaci. Infine le scelse un completo di seta blu, con un reggiseno che le alzava maestosamente il generoso seno e delle culottes morbide che contornavano e abbellivano le sue generose misure. Non mancò di completare gli indumenti a pelle con uno splendido reggicalze e delle calze, ancora blu, che rendevano onore al biancore delle sue carni. Sandali blu, di tacco medio, finivano la prima vestizione. Un abito lungo con generosi spacchi laterali e che valorizzava la sua scollatura completava l’opera. Elena l’avvisò che, a evitare che potesse cadere la sua attesa e che potesse darsi sollievo, sarebbe dovuta rimanere con lei fino a sera, completamente nuda e con la ragazza africana che l’aveva in consegna, prima dell’ora fissata, una truccatrice avrebbe completato l’opera.

Si dispose quindi in un salottino, con la massaggiatrice africana che la solleticava di continuo, ora massaggiandole le cosce, soprattutto partendo dal dietro del ginocchio e salendo ora lungo l’interno ora lungo lesterno, ora solleticandole i seni. Più volte Elena giunse sull’orlo del godimento, sempre la ragazza seppe fermarsi, procurandole strazianti delusioni. Si accorse che, proprio per far maturare il fascino dell’attesa, queste dolorose interruzioni le piacevano poiché erano dedicate a Roberto, questa persona appena conosciuta che già prepotentemente era entrata nel suo cuore. Ogni tanto aveva un poco di tregua dall’incessante lavoro di mani della massaggiatrice e si fermò a riflettere su ciò che stava vivendo e provando. Decise di non rinunciare a nulla, era ormai succube di quel circolo ove dolore e gaudio, ne era certa, si sarebbero fusi.

Rinunciò a se stessa, una nuova Anna Maria, donna, matura, decisa a scoprire ogni aspetto di quella nuova avventura, si apprestò a vivere quell’occasione. Il cuore che sentì più volte battere nella sua gola, le confermò quanto anelasse percorrere quella strada fino in fondo. Le pulsazioni della vagina, il vuoto allo stomaco, furono successivi indizi della certezza e della necessità di quella scelta. Dal canto suo più volte l’esperta ragazza la fece giungere sull’orlo dell’orgasmo, senza mai darle modo di sfogarsi. Ogni cellula del suo corpo, ogni brivido della sua pelle pareva urlare l’oscena voglia di godimento. Giunse alla sera consapevole e fiera dell’attesa che aveva saputo provare ma spossata internamente da quel forte desiderio mai compiuto di godere, di diventare finalmente una cucciola, come lui voleva.

 

 

 

Improvvisamente il tormento finì. Elena venne per prepararla insieme alla truccatrice. Un leggero trucco fece risaltare ancor di più i suoi magnifici occhi verdi e l’insieme delle vesti le donò la sicurezza che sarebbe stata perfetta per Roberto. Quando terminarono di truccarla e vestirla, si sentì improvvisamente insicura. E, se nonostante tutto, lui non fosse stato contento? O peggio, se l’avesse lasciata lì, tremante e indifesa? Elena parve accorgersi dei suoi pensieri e la rassicurò, poi si allontanò per andare a prepararsi anch’essa. Questo fatto la lasciò dubbiosa che lei potesse essere invitata alla serata ma ancora una volta Elena parve leggerle nel pensiero. Non ho notizie di questo, le disse, Roberto deciderà cosa fare, io lo ignoro. Alle 21 Roberto telefonò e la pregò di raggiungerlo lì vicino. Salutò Elena e le altre e si avviò per la strada. Doveva percorrere una viuzza piuttosto buia e questo le mise un po’ di agitazione indosso. L’aria fresca della sera contribuì a riempire di nuovi brividi il suo corpo. Nel mezzo della stradina due fari la illuminarono alle spalle. Si sentì morire di paura ma l’automobile si limitò a seguirla senza avvicinarsi. Affrettò il passo e, girando per la destra, si diresse al punto d’incontro. Lui non c’era.

Rimase immobile e incerta sul da farsi, non sapeva se chiamarlo, poteva adirarsi. Decise di aspettare quando i due fari la illuminarono di nuovo. Ebbe paura. La vettura si era posta a una certa distanza da lei e aveva acceso gli abbaglianti. Lei non riusciva a scorgere chi fosse all’interno della vettura. Poi, finalmente, con sollievo, vide Roberto arrivare. Gli si gettò tremante tra le braccia ed egli la rassicurò, nella macchina c’erano Elena e un’altra ragazza che avevano il compito, di vegliare su di lei- “Ma perché non me l’hanno detto?”, “Perché dovevi continuare ad avere i brividi e vivere il tuo stato d’insicurezza, altrimenti la passeggiata ti avrebbe tolto energia, così invece l’hai conservata tutta intatta, non hai avuto modo di rilassarti”. Dentro di sé pensò che sotto quelle vesti, classiche ed eleganti, si celasse un diavolo, le meditava davvero tutte, accidenti a lui. Chiese se poteva sapere quale serata la attendeva. “Che cosa vorresti fare?” disse lui di rimando. Arrossendo, con titubanza, gli confessò della sua eccitazione e della sua irrefrenabile voglia di spegnerla. Lui la guardò ridendo e le disse che l’attesa non era ancora finita e di non fare alcun’altra domanda per tutto il corso del loro incontro.

Rassegnata, si apprestò ancora ad attendere. Mentre scambiavano queste parole, erano intanto giunti al locale per la cena. Uno splendido ed elegante locale molto riservato. Salette discrete consentivano di mangiare in tutta tranquillità e senza esser visti dagli altri avventori. In una di queste si accomodarono in quattro. Con Elena l’ormai conosciuta africana, Jasmine seppe. Notò che al tavolo, c’erano solo tre posti. Nella sua mente immaginò di dover sopportare la rinuncia del cibo, le sembrò banale. Come? La preparava un intero giorno e poi la solita banalità di lasciarla in un angolo a vederlo mangiare?

Non fu così. Fu invece fatta accomodare al centro del tondo divanetto, alla sua destra Roberto. Alla sinistra Elena. Non ebbe tempo di chiedersi dove fosse Jasmine perché si accorse che i suoi piedi erano tolti dai sandaletti e poggiati sulle gambe della ragazza che, sotto il tavolo, aveva evidentemente la missione di fare non immaginò cosa. Apprezzò molto le attenzioni che lui le rivolse, non mancò di esternarle i complimenti per il suo aspetto e poi le disse una cosa della quale si sentì orgogliosa: “Elena mi ha confermato che non avevo sbagliato a donarti questi momenti, hai collaborato perfettamente,” Gli sorrise, grata. In quel momento avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi per tanta considerazione. Jasmine, sotto il tavolo continuava a massaggiarle i piedi, lentamente e sapendo con cura dove toccare. Una sensazione di benessere la invase e gustò, con il giusto appetito, le prime porzioni. Cibo, delicato e gradevole, vino leggero e fresco. Si sentiva molto bene, ma con quel languore persistente in basso, al ventre. Languore che cominciò ad accentuarsi quando Elena pose una mano sulla sua coscia, profittando dello spacco laterale, entrò sotto la veste e cominciò a carezzarla dolcemente da sopra il ginocchio lungo l’interno della coscia. Jasmine, dal canto suo, le aveva aperte le gambe e con la bocca si soffermava, dove le calze terminavano alitando sopra la sua pelle bianca, poi sentì un brivido più forte. Jasmine aveva cominciato a baciarla delicatamente su quella porzione di coscia, a umettarla con la sua lingua che scoprì particolarmente vivace.

Il viso s’imporporò, quasi si vergognò quando Roberto la guardò. “Scusami, non resisto a nulla.”  “E’ tutto il giorno che mi tengono sospesa, non giudicarmi male, ti prego”. Vide i suoi occhi brillare e le sue parole: “Cucciola non preoccuparti, il tuo tormento durerà ancora a lungo.” Accortosi del suo sguardo di disagio, aggiunse:” E’ ciò che voglio!” .

Capì allora che doveva, se voleva farcela, convivere con quel tormento. Si predispose a farlo, con tutte le sue forze, con la sua residua volontà. Con gioia apprese della fine della cena, il delicato massaggio di Elena lungo le sue cosce e la lingua di Jasmine che non terminò mai di torturarla in prossimità del basso ventre l’avevano letteralmente resa stordita. Rossa in viso, gli occhi lucidi di desiderio, un tremore diffuso sul labbro inferiore, testimoniavano del suo stato.

Roberto, dal canto suo, continuava a sfiorarla delicatamente quando le rivolgeva la parola ma, null’altro.

“Possiamo andare Cucciola – le disse e in quello stesso momento Jasmine le abbassò le calze fino alle caviglie – Dovrai raggiungere la nostra vettura così con le calze abbassate, tutto ciò ti farà sentire come una donna di strada. E’ ciò che voglio.” Una volta di più Anna Maria comprese che stava irrevocabilmente per superare la soglia, oltre la quale non sapeva cosa esattamente ci fosse. Titubò. Vide i suoi occhi indurirsi ed egli si alzò lasciandola lì sola. Elena e Jasmine fecero altrettanto e si ritrovò in pochi momenti a considerare la sua situazione.

La sua intera vita, i suoi convincimenti, tutto era messo improvvisamente in gioco. Poteva rinunciare o affettarsi a raggiungere il terzetto. Ma cosa avrebbero pensato gli altri davanti ai quali, per uscire, doveva necessariamente passare? E se qualcuno l’avesse riconosciuta? Mentre pensava o tutto ciò, in effetti, non passarono che pochi istanti. Troppi per Roberto che mise in moto la vettura e se ne andò. La povera Anna Maria, in preda per un verso all’eccitazione, per l’altro ai suoi pensieri, decise alfine di superare la sua soglia e si avviò all’uscita, con le calze miseramente cadute sulle caviglie. Cosa che molti notarono, accompagnando con un bisbiglio l’uscita dal locale. Elena la informò che aveva atteso troppo e che Roberto l’aveva lasciata. La tensione sfogò in un pianto irrefrenabile. Si sentì persa, abbandonata da lui proprio quando aveva deciso di seguirlo ovunque. Maledì più volte la sua iniziale indecisione. Chiese ad Elena e a Jasmine perdono. Elena, improvvisamente la colpì con uno schiaffo, la guardò incredula ed ella aggiunse “Cosa risolvi continuando a piangere? Hai ancora una possibilità, l’ultima, ancora una volta Roberto si è dimostrato generoso con te, concedendotela. Approfittane. Oppure torna alla tua vita senza rimpianti. Il rimpianto non deve accompagnarti mai. Anna Maria, se decidi di percorrere una strada non pensarci mai più sopra, percorrila”.

Capì che doveva dimostrare prima a Elena di meritare quell’occasione e si sforzò per trattenere le lacrime. Respirò profondamente e poi guardandola con una nuova luce negli occhi si dichiarò pronta a non perdere l’occasione di offrirsi a Roberto.

“E sia, si farà sentire lui, quando deciderà che è il momento; ora ti riaccompagneremo a casa ma, attenzione, non pensare che lì sarai libera. Jasmine si prenderà cura di te e dovrai fare quello che lei deciderà”.

Non aveva scelta.

Capì presto che Jasmine aveva il compito di non permettere di scaricare la tensione accumulata, la seguiva in ogni dove, anche nel bagno per essere certa che non approfittasse della solitudine per donarsi quel piacere la cui attesa le procurava dolorose fitte al basso ventre. Fu Jasmine a lavarla in doccia, velocemente ma sempre massaggiandola nei punti giusti. Le tensioni erano completamente scoppiate nella sua testa. Anna Maria viveva come in trance questa nuova fase. Dopo la doccia Jasmine le impedì di rivestirsi o prepararsi per la notte, aveva ancora dei compiti da compiere. La splendida africana si denudò anch’essa e poi la fece inginocchiare e le porse i propri piedi da massaggiare e da adorare. La matura dirigente non ebbe un attimo di esitazione, sapeva che quella era la prova definitiva, doveva superarla se voleva rivedere il suo Roberto e senza nessuna titubanza si mise a disposizione della ragazza.

L’africana aveva avuto precise istruzioni, peraltro sapeva come comportarsi in quelle occasioni, non era certo la prima volta che svolgeva quei compiti ma, anche lei era in uno stato di eccitazione pauroso. Per l’intera giornata si era dedicata al corpo di Anna Maria e l’eccitazione l’aveva coinvolta, pertanto pensò di profittarne un po’ e impose ad Anna Maria di continuare con la bocca il massaggio ai piedi e poi, pian piano di salire lungo le gambe e le cosce e poi, si fece avanti sulla poltrona per offrire la sua vagina alla matura amica. Anna Maria non aveva mai fatto quelle cose ma, consapevole che un rifiuto poteva chiudere le speranze di veder Roberto e, memore delle parole di Elena di obbedire a tutti i comandi di Jasmine, non ebbe esitazioni. La sua lingua incerta cominciò a vellicare i peli neri dell’africana, lambì le grandi labbra e aspirò l’afrore forte che la vagina emanava. Determinata a tutto, cercò con la lingua il clitoride, duro e sviluppato. Lo leccò, lo aspirò, lo succhiò e sentì che i succhi di godimento della ragazza cominciavano a imbrattare il suo viso. Li ingoiò, sentendosi una perfetta donna di strada. Non importava. Doveva rivedere a Roberto.

Jasmine si dimenava sulla poltrona e veniva copiosamente sulla faccia di Anna Maria. Più volte le strinse il viso contro la propria vagina e guidò la sua ricerca del piacere spingendola a leccare più in profondità e poi, verso il suo buchino. La nostra matura dirigente si rivelò una capace apprendista, capì quel che la ragazza voleva e si applicò diligentemente. Improvvisa una fitta la basso ventre riaccese il suo desiderio. Non ce la faceva proprio più. Si spostò appena e, sperando di non essere vista, una mano corse a cercare la sua vagina. La sentì aperta come mai prima, uno squarciò le attraversò il cervello. La ragazza africana, avvezza a quelle situazioni, si accorse della manovra e la redarguì prontamente. Si alzò in piedi e diede uno schiaffo memorabile ad Anna Maria. Conscia di averla completamente in pugno finse addirittura di volersi rivestire ed abbandonarla per andare ad informare Roberto che lei non meritava la sua attenzione.

Furbescamente finse di ignorare le sue suppliche poi, le fece balenare uno spiraglio di speranza. Inutile dire che Anna Maria lo accolse immediatamente. La fece mettere allora carponi e, metodicamente, cominciò a percuotere quelle sue maestose chiappe bianche impartendole una sculacciata che ben presto fece piangere di dolore la malcapitata. Non paga la costrinse a contare i colpi e a ringraziare ogni volta. Ormai preda della sua follia parossistica Anna Maria si ritrovò col culo rosso a contare i colpi ricevuti e a ringraziare a ogni colpo la sua aguzzina. Furono 50 schiaffi equamente divisi sulle belle chiappe di Anna Maria che alla fine dolorante fu portata davanti allo specchio a rimirarsi il culo rosso intenso. Fu costretta di nuovo a terra e Jasmine avvicinò di nuovo la vagina alla bocca di Anna Maria che, subito, riprese a leccarla aiutandosi, in seguito alla richiesta, con le dita. Gli umori di Jasmine le imbrattarono di nuovo il viso e si scoprì a berli di nuovo apprezzandone gli odori. “Hai un’ultima prova e poi andiamo a dormire, sono stanca” le disse Jasmine. “Non ho voglia di andare in bagno e la tua bocca mi sembra adatta per accogliere la mia pipì; ogni goccia che ne farai cadere riceverai dieci sculacciate e questa volta non con le mani”.

Anna Maria credette di non aver compreso ma ben presto si rese conto che non aveva scelta. Lei non poteva saperlo ma la bella Jasmine, stava approfittando con perfidia del suo ruolo, divertendosi ben oltre il compito assegnatole. Le piaceva quel ruolo insperato e si trovò a pensare che si sarebbe divertita molto nei prossimi giorni. Capendo si non avere possibilità Anna Maria si trovò a bere l’orina della ragazza che, sapientemente, la emetteva a piccoli fiotti. Il supplizio durò un tempo che parve infinito con grande godimento della ragazza.

Giunse l’ora di dormire, finalmente, e Anna Maria si trovò a farlo con le mani legate alla spalliera in modo che Jasmine fosse sicura che nulla potesse compiere durante il proprio sonno. Nonostante la grande stanchezza Anna Maria faticò a prender sonno, quella giornata aveva segnato una svolta nella sua vita. Lei non sapeva ancora quanto.

 

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La mattina seguente Jasmine la liberò di buonora e si fece preparare la colazione. Anna Maria aveva il viso stanco per la notte insonne ma una convinzione era fortemente maturata in lei. Non si sarebbe sottratta a nessuna richiesta. Roberto era non nel suo sangue, era essa stessa. Roberto era in lei e qualsiasi richiesta era misera rispetto alla gioia di rivederlo e di essere perdonata e apprezzata da lui. Confidò questo suo proponimento a Jasmine e, mentre l’acqua scorreva sul suo corpo, nella doccia con la giovane amica che non la abbandonava neppure un istante, insaponava la sua amica con attenzione. Si era convinta che la soddisfazione di Jasmine potesse accorciare la sua attesa, meglio avrebbe soddisfatto la giovane africana, prima avrebbe rivisto Roberto. Solo a pensare a quel suo “Cucciola” sentiva i brividi invaderle il corpo.

La giovane africana, invece, pensava a come sfruttare quell’insperata confessione e più volte una luce le brillò negli occhi mentre si godeva l’amica che la insaponava. Era certa di trarne grande vantaggio personale lei che era delegata a far eseguire gli ordini per una volta poteva ritrovarsi padrona- L’idea la eccitava e la sua mente era impegnata al pensare al farsi.

Anna Maria si preparò, come il solito, con cura per andare al lavoro. Avrebbe giustificato la presenza di Jasmine come improvviso arrivo da parentele lontane che non poteva declinare. Jasmine invece cominciò il suo compito da autonoma padrona e le impose di non indossare il solito collant ma delle belle calze con reggicalze che aveva trovato nei cassetti della matura dirigente. Quel completo, molto bello era stato comprato da Anna Maria qualche tempo prima ma non aveva mai trovato il coraggio di indossarlo, lo spiegò a Jasmine ma questa fu irremovibile, poi la stessa ragazza scelse un completo che derivava dalla fornitura del giorno prima, molto bello con reggiseno che sosteneva notevolmente il seno e mutandine molto delicate a culottes che rimanevano morbide sulla pelle. Un vestito con decisa scollatura (decisa soprattutto per le abitudini di Anna Maria) che terminava poco più sopra del ginocchio, scarpe lucide ed alte. Con grande imbarazzo si avviò al lavoro e prese posto alla sua scrivania. Parve ritrovare la sua maestranza di sempre e Jasmine l’ammirò nel suo lavoro, precisa, decisa nel dare le disposizioni, prona ad affrontare gli imprevisti. Quando a metà mattina le arrivò una convocazione dal Direttore Jasmine le fece togliere le mutandine e, per la prima volta, Anna Maria si ritrovò ad affrontare le delicate questioni con l’imbarazzo che pareva far conoscere a tutti il suo stato. Il Direttore apprezzò la sua nuova mise e le fece un complimento che la fece arrossire, perché le immaginava che lui sapesse che era senza mutandine. Jasmine intanto faceva conoscenza più approfondita con la segreteria di Anna Maria e prendeva notizie sul suo modo di fare, sfruttando la sua naturale simpatia raccolse molte voci che potevano essere utili alla bisogna. Quando fu l’ora di pausa, come d’abitudine Anna Maria si fece portare qualcosa dal bar predisponendosi a mangiare come sempre nella sua stanza. Fu Jasmine ad interrompere quel rito, aveva predisposto che oggi il frugale pranzo sarebbe stato consumato insieme alla segretaria particolare della dirigente. Quando il ragazzo del bar arrivò, Jasmine chiamò la segretaria e tutte e tre mangiarono qualcosa nella stanza di Anna Maria, la quale si sentiva ormai tranquilla sul posto di lavoro, quel posto le dava sicurezza, consapevolezza di sé. MA di tutt’altro avviso era Jasmine. Dopo il pasto Jasmine, considerando che mancava ancora una mezz’ora alla ripresa del lavoro disse improvvisamente ad Anna Maria “Chiudi la tua porta a chiave, fa caldo e ora farà ancora più caldo”. Il tono della ragazza era improvvisamente duro e fece sobbalzare anche la segretaria, Giulia, sorpresa nel sentire la sua dirigente apostrofata in quel modo duro. “Vedi Giulia, La tua dirigente nel suo intimo è una donna con le sue voglie e le sue passioni, adesso te ne darò una dimostrazione. Anna Maria alzati e chiudi la porta  a chiave e poi mettiti con le mani sopra la testa.” Il mondo parve crollare intero sul viso di Anna Maria, i cui colori cambiarono più volte. Qui non si trattava più della sua vita personale, privata, qui cominciava ad essere messa in gioco la sua vita lavorativa, il suo aspetto pubblico.

“Entro dieci secondi o me ne vado e chi sai saprà quel che hai fatto”. Ovviamente non era vero e sarebbe stato imbarazzante per Jasmine spiegare quel che era accaduto se Anna Maria si fosse rifiutata, ella aveva solo il compito di eccitarla e di non lasciarla mai sfogare, non altri. Ma la povera Anna Maria non sapeva questo e oramai era preda dell’incubo Roberto. Roberto era in lei, la possedeva anche se non era presente e la prospettiva di perderlo era diventata più significativa della prospettiva della sua onorabilità. Con sorpresa della segretaria Giulia quindi ella si alzò andando a chiudere la porta e poi ponendosi con le mani sulla testa. “Così va bene e visto che siamo in privato adesso possiamo dire a Giulia che sei solo una vecchia baldracca vogliosa ed obbediente, non è vero?”. “Si” sussurrò Anna Maria e subito un manrovescio le infiammò il viso. “Adesso sono la tua padrona e devi rispondere si padrona” Davanti ad un’esterrefatta Giulia si senti ripetere “Si, padrona”. “Guarda la tua dirigente come è venuta in ufficio” disse Jasmine a Giulia cominciando a tirar su il vestito di Anna Maria, che tentò di fermarla ma un altro manrovescio la convinse della decisione di Jasmine. La poveretta si ritrovò a pensare “Se fa così è perché lo ha ordinato Roberto, devo obbedire a tutto”, mai la sfiorò il dubbio che la ragazza ne stesse approfittando, Ben presto l’inguine di Anna Maria apparve agli occhi di Giulia che tentò di uscire da quella situazione dicendo “Io vado via” ma Jasmine la fermò e la assicurò che qualora lei fosse andata via Anna Maria ci avrebbe solo rimesso e in preda ad uno strano turbamento Giulia non trovò la forza di ribadire il proposito. “E’ una matura vacca non trovi? Aspetta vuoi scommettere che la troviamo bagnata e vogliosa?” Così dicendo Jasmine allargò le gambe di Anna Maria e le carezzò velocemente il clitoride introducendo velocemente due dita nella sua vagina muovendole rapidamente. Il gemito che sfuggì dalle labbra di Anna Maria era inequivocabile. Stava subendo continui eccitamenti da troppo tempo, era perennemente bagnata dalla sua voglia, ogni contatto le giungeva amplificato era fin troppo facile immaginare lo stato della sua vagina. “Vedi Giulia? La tua integerrima dirigente in realtà è una cagna che ama essere comandata e che si eccita se questo avviene, guarda le mie dita” Così facendo avvicinò al viso di Giulia le due dita che erano molto umide e poi le annusò e le fece annusare a Giulia, poi le leccò e Giulia si ritrovò quasi automaticamente a leccare anche lei le secrezioni di Anna Maria.

Giulia era diventata paonazza, quella situazione inaspettata e incredibile aveva auto in lei una reazione strana ma comprensibile, ella era come se stesse guardando la scena dall’alto, come se, pur vivendola, la stesse vivendo un’altra persona. Quella porta serrata a chiave era un simbolo forte, era come aver chiuso il mondo fuori, tutto non esisteva. C’erano solo loro tre e quell’incredibile situazione che stavano vivendo. “Ha un buon odore e un buon sapore la vacca vero?”  “Si” si trovò a rispondere quasi automaticamente. “Vacca chiedi a Giulia di toccarti” “No per favore, questo no!” Ma bastò un’occhiataccia di Jasmine a farla desistere. Ogni volta che la fissava duramente automaticamente per lei era come se Roberto la fissasse e quindi si trovò a sentirsi dire “Giulia, vieni toccami”. Pressata da Jasmine Giulia si alzò e si trovò a mettere le sue mani sul corpo di Anna Maria, cosa inconcepibile fino a pochi minuti prima. Jasmine fece denudare Anna Maria che rimase esposta, con le mani sempre sulla testa, solo con il reggicalze, le calze e le scarpe indosso. Le mani di Giulia carezzavano il maturo corpo e si soffermarono sui seni, Jasmine la invitò a stringere il capezzolo “Hai la tua occasione Giulia, stringile i capezzoli, falla soffrire la vacca, da oggi non ti comanderà più ma dovrai dimostrarmi che sei capace tu a comandarla, altrimenti da domani ti farò trasferire”. La ragazza africana dimostrava una notevole abilità. Sballottolata nelle sue sensazioni Giulia si sentì come in dovere di dimostrare che sapeva “comandare”. Strinse forte i capezzoli della dirigente tra le dita e quando gli occhi di questa si inumidirono per il dolore si sentì come una potenza interiore dentro. Lei, la segretaria, che umiliava la sua dirigente, lei che ora avrebbe avuto un ruolo di comando. “Non lamentarti vacca, altrimenti te li stacco quei capezzoli”. A quelle parole di Giulia Jasmine si sentì soddisfatta, era riuscita nel suo intento. Giulia affondò le sue mani nella vagina di Anna Maria “E’ vero sei bagnata, sei proprio una grande troia”.

Anna Maria era di nuovo preda del parossismo, erano due giorni che veniva solleticata, ella viveva come in uno stato di trance, era capace di svolgere i suoi normali compiti ma aveva sempre un dolore al basso ventre, un dolore erotico, una voglia incontenibile di raggiungere il proprio piacere. In rari momenti tentava di analizzarsi, si sentiva simile ad una bestia ma quell’eccitazione profonda l’aveva ormai avvolta, avrebbe fatto di tutto, se ne vergognava, ma aveva il coraggio di ammetterlo a se stessa. Per questo quando sentì le mani di Giulia non pensò neppure per un attimo a quel che aveva sentito, che era la sua segretaria, che da ora poteva disporre di lei, che stava perdendo ogni senso di comando. Quelle dita erano semplicemente lo strumento per arrivare al piacere, finse quindi indifferenza pensando che questo le avrebbe finalmente permesso di sfogare i suoi istinti. Probabilmente poteva anche riuscire nell’intento con Giulia, ma Jasmine era troppo smaliziata e troppo esperta per caderci. Fermò le mani di Giulia dicendole “La troia non deve venire è in punizione” e senza darle il tempo di chiedere il perché baciò sulle labbra Giulia che, seppur sorpresa, rispose al bacio. Anche lei ormai era preda dell’eccitazione sfrenata, anche Giulia aveva superato il suo punto di guardia. Era eccitata e cercava godimento, con chi non contava.

Le due ragazze si spogliarono e sotto gli occhi di una impotente Anna Maria, costretta a a guardarle con le mani sopra la testa. Cominciarono a divertirsi tra loro. Giulia parve molo apprezzare il pronunciato clitoride della ragazza africana, quell’afrore forte che emanava le inebriava i sensi, cominciò a leccarlo, a suggerlo, a mordicchiarla e Jasmine, anch’essa eccitata da quella sensazione di padronanza che stava esercitando, parve molto apprezzare quelle carezze orali e ben presto si ritrovarono sul tappeto, La lingua dell’una leccava l’inguine dell’altra ed i loro sospiri e gemiti di godimento riempirono la stanza. Più esperta di Giulia, Jasmine con un dito, umettato nella voglia di Giulia, massaggiava lo sfintere di Giulia; ben presto quel dito scomparve negli intestini della ragazza, cominciando un lento andirivieni mentre la lingua completava l’opera leccando a fondo la vagina. Giulia non aveva mai provato quel piacere, quella sorta di doppia profanazione, che nel pensiero l’aveva sempre spaventata, ora le piaceva e i suoi gemiti si facevano sempre più intensi. “Fallo anche tu” le disse Jasmine e Giulia intinse un suo dito nella vagina della ragazza africana e lo pose nell’ano della stessa. Si accorse che quel buchetto era ben più largo del suo, e allora al suo dito ne aggiunse un altro, ficcandoli a fondo mentre con la bocca continuava a leccare gli umori della vagina di Jasmine. Questa, dal suo canto, era ormai molto eccitata e disse a Giulia, ancora mettici le altre dita. Senza pensarci Giulia si trovò a raccogliere le dita strette e cominciò a penetrare nel retto di Jasmine l’intera mano, vedendola affondare, centimetro dopo centimetro. Fu sconvolta, quelle scene che aveva solo immaginato lontanamente, ora le stava vivendo. Fu colta da un furore erotico, spinse ancora e la mano quasi scomparve negli intestini di Jasmine. Si fermò un momento, pensò di averle fatto male. Ma i sospiri di Jasmine dimostravano solo il suo godimento. Continuò allora a penetrarla e la mano fu ben presto ghermita fino al polso dai capaci intestini dell’africana. Con le dita sentiva la sua lingua che stava leccando le pareti vaginali. Sentì Jasmine aggiungere un altro dito nel suo retto e … non capì  più nulla!

Il cervello scaricò tutto il suo godimento nell’inguine delle ragazze, entrambe impazzite godevano ululando tutto il loro piacere, muovendo forsennatamente le mani e le lingue. I loro umori colavano abbondanti e quelle scene continuarono a lungo costringendo Anna Maria, che le osservava impotente a darsi sollievo, a poggiarsi al muro per non cadere per la troppa eccitazione. Mentre le ragazze venivano col viso sfigurato dal godimento, il pianto di Anna Maria determinato dalla sua voglia riempì la stanza. Poi qualche minuto in cui solo l’ansare dei respiri ruppe il silenzio odoroso di sesso che aveva riempito la stanza.

Fu Jasmine a riprendersi per prima “Anna Maria, cagna, vieni a ripulire le tue padrone, in ginocchio forza”. La matura dirigente si trovò in ginocchio a leccare la vagina e lo sfintere delle sue padrone, mentre sulle sue gambe scendeva il lago della sua voglia, quella che aveva tracimato nonostante lei non potesse toccarsi. Mentre leccava Giulia, più volte Jasmine la sculacciò per dimostrare, ancora di più a Giulia quanto fosse sottomessa e poi tocco a Giulia imparare a conoscere le chiappe della sua dirigente, battendole con determinazione.

Non fu facile riprendere i lavoro, infatti entrambe, dirigente e segretaria, presero un permesso per il pomeriggio. Jasmine invitò Giulia a casa per la sera e questa, ovviamente accettò, contenta di poter ripetere quell’esperienza. La bella Jasmine dimostrava ancora una volta la sua particolare abilità a sfruttare le situazioni.

 

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