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Racconti Erotici Lesbo

Tradire l’eroina con l’amore

By 11 Settembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Avevo diciassette anni quando decisi di morire.
Volevo qualcosa di strabiliante, pari alla mia personalità da prima donna, alle poesie che scrivevo; volevo morire come le rockstars che amavo a quel tempo. Ci voleva una overdose!

In famiglia venivo solo criticata per i vestiti da vampira punk che indossavo, non mi ascoltava mai nessuno, si soffermavano sui teschi disegnati sulla carta e non leggevano le parole che scrivevo.

Odiavo il mio corpo.
Ero bulimica da anni e mi vedevo sempre grassa, sebbene le persone mi vedessero magra; per questo non ebbi molti problemi a farmi toccare da un uomo. Avevo paura di venire giudicata brutta. Con i loro sguardi sembravano sempre mangiarmi, mentre io’ io non ero mai sazia.
La bulimia &egrave un’insoddisfazione personale che arriva quando ti addentri nel sogno sbagliato.
Soluzione: cambiare sogno.
Come lo spiego oggi &egrave riduttivo. Perché ho superato il problema in un modo assolutamente atipico, attraverso la droga.
Fu anche nello stesso periodo che mi avvicinai alle donne; mi veniva più facile.
Iniziai a farmi le ragazze e, uccidevo l’imbarazzo di fare sesso, con quel veleno dal sapore orribile, chiamato alcol.
Erano tutte belle, quelle che sceglievo o, perlomeno, lo erano sotto l’ effetto dell’alcol. Amavo le donne e non dovevo essere, poi così brutta, se a volte riuscivo a convertire qualche devota al fallo: le etero convinte, fidanzate da cento anni.

Il fatto &egrave che la donna &egrave curiosa e molto più portata per l’ignoto e l’intraprendenza sessuale degli uomini.
Me ne facevo anche due o tre alla volta, più ne avevo più mi divertivo a farle venire. Il patto era che loro potevano fare tutto tranne penetrarmi in qualsiasi modo; a loro sembrava una scelta da vera lesbica, in realtà ero vergine e ci tenevo a rimanere tale. Non lo so perché.

Mi leccavano le cosce, mi mordevano i polsi, mi infilavano la lingua nell’ano, mi stringevano i capezzoli tra i denti e ci colavano sopra cera da candelabri, la leccavano e ci stavano contemporaneamente una, due, tre, anche quattro lingue affusolate che solo le donne hanno, me la baciavano come fosse un fiore fragile e delicato, un’orchidea rarissima ma che aveva tanto bisogno di bagnarsi’

A volte ero dominata, altre la dominatrice.
Dopo molti preliminari, le facevo venire con un particolare movimento con le dita: le succhiavo e poi, fradice della mia saliva le mettevo qualche millimetro al di sopra del clitoride e iniziavo a fare su e giù, come una piccola sega al loro piccolo pene, variavo la pressione aumentandola poco a poco, poi muovevo in circolo fino all’orgasmo assicurato, oh!

Fare sesso con me e le donne che sceglievo, e volevano, non era un semplice toccarsi e godere, era un sogno, una situazione estemporanea alla vita quotidiana, senza identità individuali, ma qualcosa come un quadro dove ogni elemento fa parte del dipinto nella sua unità; un Monet en plein air, dove il fiume miscela con la tecnica del pointillage il suo colore alle magnolie e, con la brezza, lo stesso colore si sposa alla passeggiata di una signora.

Cambiavo una ragazza ogni sera, mi eccitava vederle ansimare, avere un’espressione quasi di sofferenza mentre godevano, sapere esattamente dove toccarle e sentirle bagnare, lasciando le mie mani e la bocca inzuppate del loro piacere.

L’odore che esalavano le loro fiche era di gamberetto fresco, proprio come diceva Verlaine nelle sue poesie erotiche…

Annamaria Lakme P.

to be continued

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