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Vertigo, un incubo vissuto due volte – La conclusione

By 1 Maggio 2020Maggio 3rd, 20205 Comments

Il tempo sembrò volare, eppure erano ormai trascorse tre settimane dai fatti di quel sabato sera da  incubo.

Anna, nei giorni seguenti, cercò in tutti i modi di convincermi che si era realmente pentita e, tenendo fede alla promessa fatta tra le lacrime, si dedicò a me in maniera totale, addirittura eccedendo in gesti d’affetto, in effusioni, in baci e carezze, il tutto, evitando accuratamente qualsiasi riferimento legato agli eventi di quella notte. Dal canto mio non ero ancora riuscito a metabolizzare e dimenticare l’accaduto, ma fui davvero sollevato nel sapere, tramite una chiacchierata con l’amministratore di condominio, che Franco e Patrizia, avevano inaspettatamente rescisso il contratto d’affitto, sparendo dal quartiere senza lasciare traccia.

Cercai invano di cancellarli dalla mia mente. Anche se si erano eclissati, al solo pensiero schiumavo di rabbia e non mi sentivo del tutto sicuro fino a che non avessi saputo con certezza che quei bastardi fossero lontani, a chilometri di distanza. Tuttavia, se subito dopo i fatti di quel sabato vivevo col timore che i due potessero nuovamente gravitare attorno a noi, col passare dei giorni, decisi di tranquillizzarmi ritornando alla vita di prima, animato da una nuova carica emotiva.

Il mio ginocchio, nel frattempo, continuava a migliorare e nonostante la completa guarigione fosse ancora lontana, avevo abbandonato la carrozzina e iniziato a camminare con l’ausilio dalle stampelle. Il dolore al coccige si era attenuato ed ero tornato a trascorrere la mia convalescenza tra computer, TV e libri, godendomi la dolce compagnia di Anna nelle serate e nei weekend. “L’armamentario” che mi bloccava la gamba non mi consentiva ancora di poter fare l’amore con lei, avevamo però ripreso a fare sesso orale e questo, per noi, ed in particolar modo per me, fu un notevole (e piacevolissimo) passo in avanti rispetto ai due mesi precedenti.

Benché non dubitassi della sua “prova di redenzione”, a causa di un mio più che comprensibile eccesso di gelosia, senza farmi scoprire da lei, avevo iniziato a controllarle giornalmente il cellulare, i social e l’agenda, così da essere sempre al corrente dei suoi spostamenti, impegni, incontri ed amicizie, durante l’intero arco della settimana.

Nei giorni seguenti, continuando a “controllarla”, mi accorsi che aveva intensificato le ore in palestra e le visite dall’estetista ma, oltre a questi dettagli pressoché irrilevanti, non notai cambiamenti significativi rispetto alla sua solita routine quotidiana.

Durante uno dei miei noiosissimi pomeriggi sul balcone, tornai a meditare su dove potessero essere finiti quei due bastardi del piano di sotto. All’improvviso pensai al motivo per il quale si erano trasferiti in questo palazzo e rammentai che, la sera del nostro primo incontro, dissero che stavano aspettando la fine dei lavori della loro villetta in costruzione. Non avendo nulla di meglio da fare, mi ricordai di un amico motociclista che lavorava come geometra all’ufficio tecnico del comune e lo chiamai per indagare. Dopo avergli fornito alcuni dati, mi confermò che nelle vicinanze del mio quartiere, gli unici cantieri di edilizia residenziale erano due: uno era il cantiere di una nuova palazzina a sei piani in via Battisti e l’altro era di una serie di villette a schiera in Viale Piave, nel nuovo “Quartiere dei Tini”, ovvero, a cinque isolati esatti dal mio.

Cercai subito l’indirizzo su Google Maps e vidi che distava circa due chilometri. Opzionando il percorso a piedi, Maps prevedeva l’arrivo in venti minuti circa ma, tenendo conto delle mie attuali condizioni, con le stampelle e il dolore al coccige, immaginai mi ci volessero almeno una quarantina di minuti. Tremavo all’idea che quei due potessero presto insediarsi anche solo a pochi chilometri da noi, quindi, mi misi a consultare diversi siti di agenzie immobiliari pianificando un nostro possibile quanto imminente trasloco in centro città; del resto con Anna avevamo già discusso dell’idea di abbandonare finalmente l’hinterland, e questo poteva essere forse il momento più opportuno per dare una svolta alla nostra vita.

Il mercoledì mattina successivo, non feci in tempo a vedere Anna, perdendomi la nostra consueta colazione a letto; stranamente avevo dormito più a lungo del solito e quando mi alzai, lei era già uscita per andare al lavoro. Era un mercoledì come tanti altri, illuminato da un bel sole limpido e sferzato da un’insolita brezza leggera. Verso le quattro del pomeriggio, essendo ormai stanco di starmene seduto davanti al computer, decisi che era giunto il momento di fare un bel giro all’aria aperta e la destinazione l’avevo già chiara in mente. Dai miei “controlli” sapevo che Anna avrebbe staccato alle cinque per poi dirigersi in palestra, quindi, sicuro di avere il tempo necessario per poter tranquillamente andare e tornare a piedi, stampelle alla mano scesi in strada e “impostai la rotta” verso Viale Piave. Anna era contraria al fatto che mi sottoponessi a sforzi fisici prolungati nelle condizioni in cui ero, perciò, calcolai che sarei tornato almeno mezz’ora prima di lei, così da riposarmi e non destare alcun sospetto.

La marcia fu più faticosa del previsto, tra il traffico e la mia disabitudine al movimento, fui costretto a fare molte più soste di quelle che avrei immaginato. Arrivai in Viale Piave circa un’ora dopo essere partito ed ero talmente stremato per la “maratona su stampelle”, che mi sembrò un tempo da record. La serie di villette a schiera era situata in fondo alla via, dopo alcuni palazzi, e terminava come strada chiusa, delimitata dalla fitta fila di auto parcheggiate lungo il marciapiede.

Contai in tutto sei abitazioni, i classici “villini” coi due piani fuori terra e con il garage/lavanderia seminterrato accessibile tramite una discesa. Notai che erano tutte ormai quasi ultimate, con tanto di giardino e pavimentazione esterna ed interna. Mancavano solo gli infissi e i cancelli, ad eccezione delle autorimesse, già dotate di saracinesche automatizzate. Dopo essermi fermato per rifiatare, rimossi parte della rete di plastica arancione che fungeva da recinzione e diedi un’occhiata all’interno della prima villetta. Benché fossi in un cantiere era tutto abbastanza in ordine, eccetto per qualche sacco di gres, alcuni attrezzi sparsi in giro e qualche cartone di piastrelle lasciato sul pavimento. Decisi quindi di curiosare al piano superiore, facendo attenzione nel salire le scale data la vertiginosa assenza della ringhiera.

Giunto al primo piano, avvicinandomi alla porta del balcone, guardai verso l’esterno. Accecato dal sole, in controluce, miravo alla fine dalla serie di case in direzione delle auto parcheggiate, quando strinsi gli occhi per acuire la vista e un brivido pungente mi attraversò la schiena come una lama.

Non volevo e non ci potevo credere..

“…Non può essere la sua!”  Pensai, col sudore che mi si gelava addosso!

Col cuore in gola e il battito a mille, rischiando di cadere, scesi le scale più velocemente che potevo e mi fiondai fuori.

Percorsi il marciapiede sino ad arrivare davanti all’ultima delle sei villette quando, con le braccia che mi tremavano sulle stampelle e la rabbia che iniziava a salire, vidi la Smart rossa di Anna parcheggiata di fronte all’ultimo cancello. Aveva lasciato la giacca del tailleur con la sua borsa di Gucci sul sedile del passeggero e sul cruscotto spuntava un post-it giallo sul quale, con una brutta calligrafia maschile, c’era scritto:

“VIALE PIAVE  69

MERCOLEDI’   

17:30”

La rete da cantiere che fungeva da cancello era spostata, così entrai in casa passando dal giardino. Giunto in soggiorno non vidi nessuno ma, cercando di isolarmi dai suoni esterni, udii dei rumori provenire dal corridoio. Da lì si accedeva a quattro stanze e ad una rampa di scale. Presumendo che portasse al garage seminterrato, seguii il mio istinto e iniziai una lenta discesa. Il vano scala era poco illuminato ma vidi che terminava con una porta semichiusa da un pannello in truciolato, dal quale filtrava un fascio di luce. I rumori che avevo sentito farsi man mano più intensi, ora erano accompagnati da gemiti che riconobbi all’istante.

Spostai lentamente il pannello di qualche centimetro, stando attento a non fare il minimo rumore, e azionai la funzione video dello smartphone infilandolo nello spiraglio come fosse uno specchietto retrovisore. Il garage era buio per via della saracinesca abbassata, illuminato soltanto dalla luce di un faro da cantiere fissato ad un treppiede.

Anna era girata di spalle rispetto alla porta dove mi trovavo io. Stava in piedi, con le mani appoggiate contro il muro e le gambe divaricate, ancora vestita come appena uscita dal lavoro: camicetta bianca, gonna stretta che finiva sopra al ginocchio e tacchi alti.

Era senza reggiseno, con la camicetta completamente sbottonata perché quel bastardo di Franco, dietro di lei, le stava palpando e strizzando le tette mentre la baciava sul collo. Dopo qualche minuto le sollevò la gonna fino in vita, le sfilò le mutandine e, dopo averle annusate se le mise in tasca chinandosi e affondando la faccia in mezzo al solco del bel culo tondo di Anna. Ci rimase per una decina di minuti buoni, alternando grandi annusate a leccate di figa e di buco del culo; con lei che, nel frattempo, aveva cominciato a piegarsi e a sculettare lentamente, toccandosi i capezzoli e ansimando più forte.

Lo shock che provai, benché l’avessi già vissuto, fu atroce; tanto che, mentre rimanevo appoggiato con la schiena al muro, iniziai ad avvertire un dolore lancinante alla bocca dello stomaco che tentai di placare digrignando i denti e stringendo la stampella più forte che potevo.

Ormai ero certo che ogni speranza fosse crollata. Dopo i fatti di quella notte avrei dovuto dare  ascolto al mio istinto.. In cuor mio sapevo che ci sarebbe sempre stata una remota possibilità che quel bastardo si facesse vivo e che quella stronza della mia ragazza ci ricascasse.. E questa ne era la dimostrazione. Per la troppa rabbia ed il profondo rancore, non ero ancora in grado di meditare attentamente ad una rapida vendetta, ma il video che stavo girando mi sarebbe stato utile allo scopo.

Tornando su di loro, vidi lui armeggiare con una sacca da lavanderia ed estrarre una spessa trapunta che stese sul pavimento del garage. Anna si inginocchiò sopra la coperta e con fare impaziente e bramoso gli slacciò rapidamente la cintura e abbassò la zip dei pantaloni, calandoglieli alle caviglie. Quel bastardo di Franco, in piedi, mentre le accarezzava i capelli, la tranquillizzava dicendole:

“Calma, piccola.. calma.. sono qui.. lo vuoi tutto vero?”

“Mmm Siiihhh..”    “..Non penso ad altro da giorni..”

Esclamò la stronza a bassa voce, un secondo prima di tirargli fuori dalle mutande il cazzo già completamente in tiro ed imboccarlo affamata, iniziando a fargli uno dei suoi sontuosi pompini. Con le mani lo segava lentamente alla base, mentre gli passava la punta della lingua sulla cappella e sul frenulo, sputandoci sopra di tanto in tanto. Poi, dopo una serie di profonde pompate a tutta gola che le fecero colare la saliva tra le tette, si staccò dall’asta e prese in bocca le grosse palle. Con una mano gli teneva premuto il cazzo contro la pancia mentre con l’altra, si sgrillettava forsennatamente la figa.

Nel frattempo Franco, tirò fuori dal taschino della camicia una canna già rollata e se la accese.. Dopo qualche minuto nella stanza si levò un forte odore di erba unito ad un vago odore di cazzo, odore di figa e odore di culo, il tutto sovrastato dal profumo D&G Light Blue che Anna metteva sempre.

Lui si distese sulla trapunta e lei, sollevandosi la gonna fin quasi sotto le tette, si mise a cavalcarlo impalandosi sul cazzo. Le mani del bastardo si alternavano palpandole tette e culo, quando Anna, chinandosi in avanti per iniziare un lungo bacio in bocca, mosse su e giù il sedere e lui prese ad incularla col dito medio, guidandone il movimento. Il vuoto del garage amplificava i loro versi e potevo distinguere bene i grugniti di Franco dai respiri affannosi di Anna.

Si vedeva che lei aveva una voglia assurda e, a giudicare da quanto fosse lucido e bagnato di umori il cazzo di Franco, capii che era già venuta diverse volte.

Non ci voleva un genio per intuire che quel poco che potevo fare a letto ultimamente non le bastasse, soprattutto poiché ormai era diventata totalmente succube del cazzo e del modo di scopare di Franco. Erano entrambi ad occhi chiusi, stretti in abbraccio e approfittai del momento per spostare ancora un po’ il pannello di truciolato, così da aumentare il mio campo visivo.

Lui le passò la canna, la fece stendere di schiena e le si accasciò sopra piegandole le gambe in avanti, verso di lei. Mentre la stantuffava e le baciava le tette, Anna ansimava ad occhi chiusi e riuscendo a stento a fumare, diede poche intense boccate poi gettò via il mozzicone e presero a baciarsi con la lingua.

Dopo diversi minuti in quella posizione, si alzarono in piedi e lei riprese la posa iniziale a gambe divaricate, appoggiata con le mani al muro. Lui, sputandosi sulle dita, vidi che incominciò ad inumidirle il buco del culo, e Anna, intuendo che l’avrebbe inculata si abbandonò in un desideroso quanto lascivo:

“Ohh siii, ..finalmente!”

Il bastardo iniziò ad incularla con estrema facilità, sfilando ed infilando il cazzo con dei lenti dentro/fuori accompagnati da due o tre scoregge di Anna.. Provò piacere sin dai primi colpi, tanto che per non farla urlare troppo, lui le teneva chiusa la bocca con la mano, e lei, di tanto in tanto, gli mordeva e gli succhiava le dita.

L’inculata andò avanti a lungo, con Franco che con il dito le scopava la figa.. Tutto questo sino a che, dopo un breve cenno da parte di Anna, il bastardo sorrise con sguardo soddisfatto e lei, aprendosi le labbra della figa, iniziò una sonora pisciata schizzando anche sui piedi di entrambi.

“Brava piccola.. cooosì.. lo sai che mi piace!”

Disse il bastardo, prima di piegarsi e iniziare a leccarla in mezzo alle cosce lucide.

Quel che vidi mi bastò..

Rimisi lo smartphone in tasca, e mentre sentivo loro che riprendevano a scopare, cercai in qualche modo di sopprimere la rabbia che mi bruciava dentro, presi forza e iniziai cautamente a salire le scale, puntandomi barcollante sulle stampelle.

Ero giunto quasi a metà scala quando, forse per la polvere accumulata sui lisci gradini in cotto, sentii la punta della stampella perdere aderenza, facendomi completamente mancare l’equilibrio sul lato della gamba infortunata. Per non cadere sul ginocchio operato, franai in avanti battendo la testa contro il muro del vano scala.

B L A C K O U T

Aprii gli occhi stranito, quasi lobotomizzato.. e anche se dalle finestre vidi il cielo grigio di pioggia, faticai comunque ad abituarli alla luce fioca della stanza. Riconobbi che mi trovavo nel letto dell’ospedale, col ginocchio sollevato, completamente immobile e  con la testa fasciata dalla quale percepivo, ad intermittenza, un fastidioso dolore pulsante.

Dopo qualche minuto entrò un’infermiera, non più giovanissima e leggermente in sovrappeso che, con viso bonario e fare disinvolto, mi disse:

“Oh ma buongiorno, ha fatto una bella dormita a quanto pare!”

Mentre mi misurava la pressione e mi sostituiva la flebo, le chiesi perché mai mi trovassi in ospedale.. Ricordavo solo che era pomeriggio, c’era il sole e avevo deciso di uscire per fare una passeggiata, da lì in poi, buio profondo.. E lei, sorridendo tranquilla, mi rispose che ero in terapia da due giorni a causa di una leggera lesione cranio-cerebrale da caduta, com’era riportato sulla mia cartella clinica. Riuscendo a muovere le braccia le chiesi se fosse possibile mangiare qualcosa e se avessi con me degli effetti personali. Lei, annuendo, con tono materno mi rispose:

“Ma certo che li ha! La sua bella fidanzatina ieri le ha portato tutto quello che le occorre.. ah lei dovrebbe essere contento, ha davvero una ragazza d’oro!”

E mise sul tavolino del letto il mio cellulare, una rivista di motociclismo, una scatola dei miei cioccolatini preferiti e il mio beauty-case. Lo smartphone aveva il vetro leggermente ammaccato ma si accese subito senza problemi. Chiamai immediatamente Anna che, raggiante e gioiosa, mi rispose che si sarebbe precipitata qui in cinque minuti. Nel frattempo diedi una rapida scorsa alla galleria delle foto e notai, dalla data, che le ultime le avevo scattate poco prima della passeggiata. L’ultimo video, invece, risaliva a due settimane prima, era del giorno in cui abbandonai la carrozzina per passare alle stampelle.

Dopo circa un quarto d’ora entrò Anna accompagnata dal Primario. Mi strinse subito in un forte abbraccio quasi stendendosi addosso a me, mentre il dottore mi spiegava della non grave entità della lesione alla testa, assicurandomi che sarei stato dimesso in tre giorni.

Passammo assieme l’intera giornata e, chiedendo ad Anna della dinamica dell’incidente, mi raccontò che durante la passeggiata di due giorni prima, ero caduto inciampando sul marciapiede della nostra via e avevo battuto la testa, e che dei passanti avevano prontamente chiamato l’ambulanza. Verso le sei, ora di cena in ospedale, fummo interrotti dall’infermiera che ci avvisava che di lì a poco sarebbe entrata coi vassoi. Anna ed io ci salutammo con un lungo bacio, dandoci appuntamento per il giorno dopo e lei, vedendomi un po’ abbacchiato per il fatto di dover trascorrere altre due notti in quel letto d’ospedale, con un rapido gesto alzò la gonna e si sfilò le sue mutandine rosse, lanciandomele prima di uscire. Non appena vidi la robusta infermiera entrare col carrello, le nascosi subito sotto al cuscino.

“Lei è davvero fortunato mi creda, oggigiorno è raro trovare ragazze così belle e devote come la sua, dovrebbe baciarsi i gomiti!”

Esclamò lei, porgendomi il vassoio con la cena e io le risposi con un sorriso. Stavo per inforcare gli spaghetti fumanti, affamato come un lupo, quando lei, prima di uscire dalla stanza, si chinò per raccogliere qualcosa in terra poi, avvicinandosi, mi disse:

“Mi scusi signore, ma alla sua bella, prima di uscire, dev’essere caduto questo..”

Mi mise sul vassoio un post-it giallo, accartocciato. Una volta aperto lo lessi e, in una calligrafia stentata, c’ era scritto:

“STASERA

ALLE 8

DA TE

F.”

The End

5 Comments

  • Smaliziato Smaliziato ha detto:

    Bel racconto. Spero non sia autobiografico. Immagino che la relazione tra i due fidanzati, a quel punto sia destinata a finire, ma ovviamente la fidanzatina aveva visto e cancelllato il video compromettente, quindi nessun modo di vendicarsi. A parte i video fatti prima ma che probabilmente la troietta aveva già cancellato…

  • Provo a commentare nuovamente anche se probabilmente il commento verrà cestinato. Storia banale e dal finale scontato e insoddisfacente… poteva essere elaborata meglio. Uguale a tante altre e lasciata appunto a metà… Inesistente il dialogo e tante parti non sviluppate potevano rendere la storia migliore.

  • levis_48 levis_48 ha detto:

    Bellisimo racconto molto intrigante per non dire eccitante peccato che sia gia finito,

  • Patrick Bateman Patrick Bateman ha detto:

    Grazie a Smaliziato e Levis_48 per i complimeti, sono contento che il racconto sia piaciuto! Grazie anche a Cantastoriepergioco che, nonostante abbia trovato il mio racconto banale e scontato, ha comunque commentato più volte. Accetto le tue critiche e anzi, le trovo molto utili per migliorare. Posso solo dire che di base a me non piacciono i racconti con dialoghi o parti “recitate”, preferisco la descrizione degli avvenimenti. Il racconto è tratto da una storia realmente accaduta a due persone che ho conosciuto, io l’ho semplicemente trasposta in racconto cercando di essere il più fedele possibile ai fatti, aggiungendo qua e la alcuni dettagli.

  • Giusto per puntualizzare, ho commentato più volte non per interesse ma perchè stranamente, magari per disguidi, i miei commenti di oltre una settimana fa non erano apparsi, tanto da pensare che fossero andati cestinati. Tutto li. Il problema è proprio la mancanza di descrizioni di parti più fondamentali, come la discussione tra i due ex fidanzati ed il finale dove non si capisce se video e foto sono stati cancellati, e se ovviamente recuperabili. E’ una storia lasciata a metà insomma.

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