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Trio

CAVALCANDO

By 6 Marzo 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Ad Anna, dolcissima amica.

Cavalcava da anni, ormai. Cavalcava cavalli non suoi. Ambiva averne uno ma non poteva; cavalcava e, per cavalcare, lavorava in scuderia, piccoli turni che le permettevano di stare lì, coi cavalli. Quando lui le disse che le avrebbe comprato un cavallo quasi non ci credeva, era folle di gioia… un suo amico, allevatore, l’avrebbe aiutata a scegliere quello giusto.
‘Come? Non vieni con me?’
‘Non capisco nulla di cavalli… che vengo a fare?’
Già, ma senza di lui… somigliava più al buono d’acquisto di un supermercato che a un dono. Lui assente presente, indiscreto asociale, misterioso e solare, contraddizione perenne. Lontano dal suo ideale ma… insidioso, intrigante.
‘Vai là a nome mio, chiedi di Attilio, lui ti fa scegliere il cavallo e poi ci penso io… non serve che venga con te; se ci vedessero, sarebbe un bel casino, lo sai…’
Lo sapeva, lo sapeva sempre… però, almeno stavolta, almeno per il dono… invece nulla.
Telefonò ad Attilio e lo raggiunse, il giorno del suo anniversario, due anni con lui, due anni strani, due anni di sotterfugi, due anni che non avrebbe mai pensato… due anni di passione vera.
Per essere giugno era terribilmente caldo, aveva addosso solo una gonna e una maglietta leggera ma le sembravano anche troppo; biancheria non ne portava più, lui non voleva. Che lui ci fosse o meno, che la chiamasse oppure no, biancheria non doveva averne… per lei era come un gesto d’amore, di sottomissione, aveva rinunciato a portarla. Attilio le si parò davanti vestito più da stalliere che da imprenditore, passava lì le ore che aveva libere, sudando e lavorando come gli altri, senza problemi. Un largo sorriso la mise subito a suo agio, era cordiale, quasi affascinante… affascinante, senza quasi.
All’ombra delle scuderie già stava meglio, l’odore acre dei cavalli le piaceva e le metteva buonumore. Li volle vedere tutti, prima di scegliere, prima di decidere quale diventasse suo. Cavalli giovani, pronti per la doma, belli e forti, cavalli arabi. Attilio spesso le si avvicinava, le cingeva le spalle con fare paterno, la consigliava e lei si sentiva bene nelle mani forti di quell’uomo. Ma quelle mani si facevano stranamente audaci, scendevano spesso dalle spalle, lisciavano la schiena quasi nuda, giungevano all’orlo della gonna, stringevano delicatamente ma con decisione il suo fianco. Cominciava a sentirle un po’ troppo padrone, quelle mani… ma padrone di che? Per chi? Lui sapeva, doveva sapere… l’avrebbe raccontato al suo amante, non avrebbe dovuto permettersi… invece si permetteva… eccome! Ancora più audaci, ancora più in basso, ancora più forti, ancora più calde, sulla natica quasi nuda.
‘Ma allora &egrave vero… non porti biancheria…. quando me l’ha detto non ci credevo, ma si sente che non hai nulla!’
Lui glielo aveva detto? Lui? E per quale motivo? Tentò di mandar via la mano ma non ci riuscì; era una mano forte, decisa, consapevole anche del fatto che ella non avrebbe resistito troppo, alla sua morsa. E non si ingannava! Anche lei cominciava a capire che non avrebbe resistito abbastanza, che quelle mani frementi e sapienti le avrebbero fatto perdere ogni volontà di resistere… poi c’era quel sapere che lui aveva detto ad Attilio una cosa così intima, così perversa e così sua da farle sembrare tutto una sorta di ordine: ‘Fai ciò che ti chiede, sarà come farlo a me…’ le labbra di Attilio sul collo fecero il resto, si abbandonò con un gemito a quelle carezze, reclinò la testa in avanti per meglio farsi baciare, allungò le mani alla sbarra del box per sostenere le gambe che già vacillavano incerte. Pensava a lui, al suo amante… glielo avrebbe raccontato? Avrebbe atteso che fosse lui a chiedere? Non ora, non poteva pensarci, ora… non aveva la forza di pensare. La mano destra di Attilio era scesa a prelevare l’orlo della gonna, l’alzava tranquillo, padrone. La sua sinistra era già andata a ghermirle il seno e lo palpava attraverso la maglietta madida di sudore. Infilando il bordo sotto l’elastico della vita, Attilio ebbe la mano libera di muoversi sulle carni nude, s’introdusse fra le sue cosce, le scostò, le divaricò, si creò un vasto spazio e prese a carezzarle la figa da dietro, senza alcuna delicatezza. Non una parola, non un sorriso, solo il rude stimolo delle sue mani, delle sue labbra, della sua lingua e dei suoi denti. La costrinse a inginocchiarsi, gambe larghe e culo nudo, la costrinse senza alcun ordine, senza alcuno sforzo. I sospiri della ragazza erano intensi serrati, ritmici e palesi; non poteva nasconderlo, non voleva nasconderlo. Tutto quel trattamento le piaceva, la faceva impazzire di piacere. Quando lui ne fu certo, smise di baciarla e di frugarla, le prese il mento con la mano e lo volse verso sinistra, verso altri box, verso altri cavalli, dicendole:
‘Guarda…’
Ed ella vide… vide un giovane stalliere che si godeva la scena, che si era goduto tutta la scena.
‘Ora lo chiamo e ti faccio scopare da lui…’
E senza aspettare che ella rispondesse, che ella si riprendesse, che ella capisse, lo chiamò e lui non si fece pregare.
Pochi secondi dopo era già trafitta da chi non sapeva, carponi sulla paglia della scuderia mentre Attilio la guardava e sorrideva. Il ragazzo, eccitatissimo, la sbatteva violentemente, le tirava i capelli e mugugnava forse anche qualche sillaba… lei vedeva il sorriso beffardo di Attilio e godeva, godeva come una pazza di questo strano regalo che le stavano facendo. Quando Attilio la vide veramente scossa dai sussulti dell’orgasmo, si calò i pantaloni e si parò di fronte a lei con la verga in mano, l’avvicinò alla sua bocca, ve la introdusse e cominciò a spingere come fosse una figa, un culo, con ritmo sincrono a quello del ragazzo così che ella si ritrovava riempita e svuotata simultaneamente, compressa ed estesa, motore a due cilindri di un sistema complesso. Se ne vennero insieme, uno davanti e l’altro di dietro, aggiungendo i loro ai nitriti dei cavalli. Il ragazzo se ne andò via quasi subito, tornò a lavorare. Lui la prese per mano, la fece alzare e la portò, senza darle modo di coprirsi il sedere, in una specie di ufficio; passando davanti ad un box aperto guardò istintivamente dentro; il ragazzo, lo stalliere, col forcone in mano la guardò e le sorrise. Dall’ufficio passarono in un salottino, fresco di condizionatore, elegante e pulito.
‘Se vuoi lavarti lì c’&egrave un bagno, facciamo una doccia insieme?’
Ella lo guardò senza espressione, volse lo sguardo alla finestra, priva di tende, che dava verso i box e rivide il sorriso dello stalliere sulla porta della scuderia… non importava, avrebbe visto tutto ma non importava. Anzi sì, importava! Si accorse che le sarebbe piaciuto, esser vista da lui. Si tolse la maglia, la sfilò dal collo, liberando prima i suoi seni e poi i suoi capelli, la gettò su una sedia e allargò l’elastico della gonna facendola scivolare fino ai piedi… per ultimo tolse anche i sandali e andò lentamente verso la finestra guardando gli occhi del ragazzo là fuori. Pettinava i riccioli scuri del pube, con le dita, aperte e serrate, alzate e riscese fino allo schiudersi delle labbra. Attilio la prese da dietro con le possenti braccia, si era già denudato anche lui e così, nudo e sudato, pareva ancora più possente, più alto e più forte. Ancora quelle mani su di lei, ancora le sue labbra sul collo, ancora le gambe che vacillavano e gli occhi puntati su altri occhi, di fuori, lontani. Sotto la doccia Attilio non la prese, continuò a baciarla e leccarla e morderla ma non la prese. Dopo l’asciugò un poco, non molto, e la riportò nel salotto, le offrì da bere e la fece sedere sul divano che fronteggiava la finestra. Ella avrebbe voluto vestirsi ma lui non volle. Guardò fuori, il ragazzo era sempre lì, sullo stipite della porta, all’ombra; guardava e sorrideva. Anche Attilio si sedette, accanto a lei. Le sue mani ripresero a coprire il suo corpo, ad aprire il suo corpo, a plasmare il suo corpo. La sua bocca cominciò ad aprire, scoprire e plasmare il suo cervello. Non gli ci ci volle molto, dopo qualche minuto ella stessa si decise a cavalcarlo infilandosi decisa il nerbo in corpo, strusciando i seni sulla faccia di lui, implorando che li mordesse, baciasse e leccasse. Si regalò un altro orgasmo, violento, convulso e liberatorio. Urlò più che poteva affondando le dita nelle spalle di lui, volgendo il pensiero allo stalliere lì fuori. Poi si accasciò disfatta, quasi senza sorriso. Lui la cullava dolcemente, carezzava la sua schiena e i suoi capelli appena sopra la nuca. Lo fece finché ella non si riprese, finché non si ridestò dal torpore. Ancora una volta ella stessa volle cambiar posizione, volgendo lo sguardo fiero allo stalliere fuori dalla finestra, rivolte le spalle ad Attilio, si calò lentamente sulla verga eretta, facendosela scivolare in culo con l’aiuto della mano sinistra. Con la destra spalancava le labbra del sesso per esser sicura che anche lo stalliere ne fosse sicuro, sicuro che Attilio la stesse sodomizzando, sperando che egli capisse che se non lo aveva fatto, poteva farlo quando voleva, lei l’aspettava. Fece salire il ritmo con un crescendo delicato, accompagnando ogni pompata con mugolii e canti sempre più intensi finché non riuscì a farlo godere, godendo un attimo dopo ella stessa, con l’aiuto della sua manina e degli occhi del ragazzo fuori dalla finestra. Poi si accasciò di schiena sopra ad Attilio che non aveva mai smesso di torturarle i seni con le mani.
Così la trovò il suo amante entrando, riversa ansimante con Attilio confitto nel retto, con qualche goccia di sperma che già colava fuori, con gli occhi riversi e pieni del sorriso dello stalliere.
‘Che brava, amore mio! Che magnifico regalo di anniversario che mi hai fatto oggi! Te ne comprerei un paio di cavalli, non uno solo… magari per il secondo torniamo insieme e mi fai vedere ancora come sei brava…’

Sempre a disposizione per le vostre critiche…
e per fare due chiacchiere… luca
silverdawn@virgilio.it Ad Anna, profumo di vaniglia, sapore di Donna, occhi di Cerbiatta.

Una sera, sui primi di luglio, dopo una cena veloce in una trattoria, leggera e veloce, prima che il sole tramontasse del tutto, prima che la luce diventasse fioca, la fece salire in macchina come piaceva a lui, alzando la gonna, posando i glutei nudi sulla pelle del sedile.
L’aveva chiamata presto, nel pomeriggio; l’aveva fatta andare in ufficio, l’aveva fatta aspettare davanti alla segretaria. L’aveva accolta con fare professionale, lei si era seduta, aveva ricevuto le sue istruzioni ed era uscita quasi subito. Poi era andata ad aspettarlo alla trattoria, come lui le aveva detto. Fatti pochi chilometri, si era fermato a lato della strada, le aveva chiesto di alzare la gonna, di farsi vedere; una rapida occhiata al pube, alle labbra rasate, alle cosce discoste e le aveva dato un cencio di seta blu, raccolto dietro il sedile:
‘Bendati, voglio farti una sorpresa…’
Non sorrideva, neanche lei sorrise; era in quello stato mentale in cui non si faceva domande ma non si dava risposte. Prese il cencio, si bendò, si fidò di lui. Sentiva la bocca asciugarsi, il cuore battere un po’ troppo veloce ma non sentiva domande, non vedeva risposte. Solo, quasi distrattamente, la sua figa pulsare, i suoi umori spandersi sul sedile di cuoio, i suoi capezzoli più turgidi. Restò così, bendata, con la gonna sollevata, con le gambe divaricate e con la lingua più asciutta. La macchina riprese a marciare nel silenzio quasi angosciante di un buio artificiale. Marciava, rallentava e accelerava; talvolta si fermava, ripartiva. Semafori? Traffico? Non poteva sapere, immaginava… immaginava la gente che tuffava l’occhio nel finestrino, nella sua figa spalancata, sulle sue labbra gonfie e sui suoi umori sparsi. E la lingua era sempre più secca.
Quando sentì che lui spense il motore, che senza una parola era sceso e aveva richiuso la porta, quando sentì aprire la portiera dal suo lato, sentì solo un odore familiare, l’odore del cavallo. Attorno c’era solo il frinire dei grilli, qualche sperduto nitrito, forse un gracidare di rane e i loro passi sulla ghiaia e i suoi occhi bendati.
La fece entrare dentro qualcosa, ancora una porta, nessuna luce, lievissimo il ronzio del climatizzatore; si sentì denudare del poco che aveva addosso, si sentì condurre a sedersi, si sentì abbandonata al buio che aveva attorno e aveva sete ma non disse nulla. Seduta sul bordo di quella sedia, immobile e bendata, nuda, con le gambe lievemente divaricate e la schiena che non poggiava, non doveva poggiare allo schienale; busto eretto, mani sulle ginocchia, come manichino, come lui l’aveva plasmata. L’altra presenza la percepì immediatamente, qualcuno era entrato, richiusa la porta, piano, senza rumore; silente si era avvicinato, sentiva gli sguardi sulle labbra dischiuse, sentiva l’emozione di non sapere, leggeva i racconti della sua fantasia. Qualcosa di caldo si avvicinava al suo sesso, lambiva appena l’interno delle cosce, sfiorava appena le labbra gonfie. Percepì delle guance non troppo rasate, maschili, non lisce ed emise un lieve gemito, lievissimo, prima che una lingua calda cominciasse a leccare il miele dalla sua figa, ma non si mosse. Ebbe la forza di restare immobile. La sua lingua continuava a vorticare e lambire, straziare e lenire e lei cercava di restare immobile. Poi, per forza, la sua testa cominciò lievemente a roteare, vorticare attorno ad un selvaggio mondo mentre le sue dita affondavano nelle sue ginocchia, inchiodate da un ordine che nessuno le aveva dato. Cominciò a gemere, sempre più forte, abbandonata al piacere, in un luogo lontano e sperduto. Ancora non si faceva domande, ancora non aveva risposte ma raggiunse la meta, arrivò fino in fondo, ferma, immobile, la testa vorticando piano, le dita affondate decise, le unghie confitte nella carne, il suo clitoride nelle labbra di un uomo, succhiato, rifiutato, sputato e spremuto, titillato e abbandonato, ripreso e ridato, perduto, trovato… goduto. Lacerò anche il suo buio, quel grido, lacerò ogni buio presente ed assente, lo lacerò come fulmine notturno. E lui le sorresse le spalle mentre l’altro continuava, dolcemente, a cullarle il clitoride; le sorresse le spalle, da sola non avrebbe potuto, si sarebbe accasciata, si sarebbe mossa anche senza volerlo. Poco dopo le sciolse la benda, le cadde il cencio ma i suoi occhi non videro nulla; ancora scossa dai fremiti, le rimasero chiusi. Piano, molto piano, tentò di riaprirli, trovandoli umidi di lacrime dolci. La stanza era buia, solo un faro da fuori la stemperava di azzurro; il cielo era quasi nero, non ancora, blu scuro. La schiena di uomo, fra le sue cosce; la testa di uomo, fra le sue cosce; le mani di un altro, sulle sue spalle.
‘Ti ricordi dello stalliere di Attilio, vero?’
Anche se avesse potuto dimenticarlo, anche se l’avesse dimenticato davvero, anche se non l’avesse mai più sognato, anche se non gli avesse dedicato buona parte delle sue carezze solitarie, ora se lo ricordava bene. Annuì, senza parlare, ancora ansimante.
La stanza era quella, la stessa finestra; si volse a cercare il divano, ricordava il divano… sul divano, strano, stava qualcuno, ancora qualcuno. Confusa, guardò meglio, incrociò il suo sguardo, il dolce sorriso, la malizia di un mignolo nelle labbra dischiuse. Labbra di ragazza, giovane, occhi allungati, sensuali, ammaliati. Seduta composta, vestita, le gambe accavallate, tranquilla; l’aveva vista godere, sentita godere. L’aveva vista guardarla, stupirsi e chiedere ma stava lì, seduta composta… che altro sapeva?
‘Lei &egrave Valentina, la ragazza dello stalliere, amore… le ho detto che ti sarebbe piaciuto, poterla incontrare… lei sarà la tua maestra, lei sarà la tua amante.’
Non si chiese neppure se sapesse insegnarle qualcosa, se fosse possibile diventarne l’amante, se non fosse meglio sceglierne un’altra… strani doni, quelli di lui, strani doni che riceveva senza nemmeno dire grazie, chiese soltanto di bere qualcosa.
Marco, lo stalliere, si sollevò dal suo pube e andò a versarle da bere; tornò poco dopo ma già il suo amante era accanto a Valentina, seduto sul divano, la accarezzava e la baciava. Marco le porse il bicchiere da dietro, una mano sulla sua spalla ed il suo membro eretto contro l’altra, schiacciato dal braccio che le porgeva il bicchiere. Lei era ancora immobile in quella posa oscena, seduta sul ciglio della sedia, le gambe divaricate, il busto eretto e le mani sulle ginocchia. Prese il bicchiere e bevve continuando a guardare Valentina che si lasciava spogliare; sapeva che lui amava altre donne, sapeva che amava la moglie, sapeva che, spesso, usciva con altre, sapeva tutto, lui glielo diceva. Supponeva perfino che facesse l’amore con la sua segretaria, quella che nel pomeriggio la guardava perplessa, ma non l’aveva mai visto. Adesso l’avrebbe visto scopare una ragazza, quella stessa ragazza che avrebbe scopato anche lei. Beveva e guardava, guardava e beveva mentre la verga di Marco era pressata al suo braccio; sentiva il calore, lo sfregamento delicato, il pulsare; sentiva il liquido viscido colarle sul braccio. Sentiva la mano di lui sulla spalla, che premeva, sentì l’altra mano che le afferrò un seno, sentì quel massaggio, sentì che le piaceva. Anche vedere, anche quello le piaceva. Valentina era ormai nuda, ella la biancheria l’aveva, le parve quasi più eccitante che lui gliela dovesse togliere; l’aveva denudata senza smettere mai di baciarla e lei fremeva, delicatamente e sommessamente, di quei baci. Nel farsi togliere gli slip prese una posa ancora più oscena; piantata coi piedi a terra e la schiena al divano, il culo leggermente sollevato, il seno sparso, le gambe lievemente scostate. Non voleva pensarlo, non voleva crederci, non voleva che fosse ma la scena le piaceva, la eccitava; sentiva il suo miele sgorgare libero, tranquillo, fluire. Sentiva la figa pulsare, contrarsi. Poi Valentina spogliò il suo amante, senza staccarsi dai suoi baci, dalle sue carezze; ella vedeva le mani di lui ovunque, frugare quel corpo di un’altra, prepararla a piaceri di cui ella sapeva e Valentina avrebbe imparato… no, Valentina già sapeva, era ovvio. Non poteva che averci già fatto l’amore, non poteva essere la prima volta. Ecco, l’aveva già scopata… dunque, anche Marco, lo stalliere, superbo spettatore a cui lei aveva dedicato quasi tutto quel che aveva dato ad Attilio, dunque anche lui, anche lui già sapeva. Già. La mano di Marco si allontanò dal suo seno, prese il braccio, lo sollevò un po’ di lato e fece insinuare la verga sotto l’ascella di lei, ripremendoci contro il braccio; contatto nuovo, mai provato, strana sensazione. Quel coso che scivolava piano dentro l’ascella, che la scopava in maniera così stravagante, la fece quasi sorridere. Volse un attimo lo sguardo alla punta che sgusciava piano, docilmente, dal suo braccio, lucida e tesa, umida e forte, rossa ed espressiva ed allungò la lingua a ringraziarla poi tornò a guardare il suo amante. Egli aveva già fatto salire Valentina a cavallo delle sue gambe, volta verso di lei, verso di loro, sorretta dalle mani dell’uomo, con la destra ad allagarsi le labbra, con la sinistra a guidare quel nerbo… trovò che era bella, irresistibilmente bella, quella sua figa. Il pelo folto, non rasato come il suo, le labbra incorniciate di nero, non nude come le sue, labbra carnose, labbra piene, umide, scure. Vide inghiottire il loro pasto, fameliche, golose; inghiottire l’asta intera, cercarne, volerne, sentirne… vide e le piacque, la figa riempita, trafitta, confitta. La danza cominciò lenta, accompagnata da lamenti di gioia, da canti sommessi; più il loro ritmo si faceva veloce, più sentiva veloce anche lo scorrere sotto l’ascella, più sentiva la mano di Marco premere il suo braccio. Istintivamente, la mano che aveva ancora al ginocchio si mosse, salì, raggiunse il suo pube e, attenta a non nascondere nulla, cominciò a vellicare piano il dischiudersi delle labbra. Vedeva, vedeva Valentina guardarci, alternare lo sguardo alla sua figa e alla sua ascella, dischiudere gli occhi, puntarli, mugolare e richiuderli nel vorticare della testa. Si sentì sollevare, Marco la sollevava, la voleva in piedi… ella non sapeva se sarebbe riuscita, a stare in piedi; seguì quel suo trascinarla, sorreggerla e spostarla. Lo vide sedersi al suo posto e vide gli occhi di lui invitarla a sedersi, nessuna parola, forse un sorriso. Anch’ella, come Valentina, l’aiuto con le mani, volgendogli le spalle, guardando il suo amante che non la vedeva, guardando Valentina che stava già godendo e non poteva vederla ma, mentre finiva di calare su Marco la colse, all’apice del suo orgasmo, puntarle lo sguardo annebbiato nel pube, goderne anche lei. Mentre gli altri due calmavano il ritmo, ridando a Valentina la possibilità di riprendersi, di godere ancora fra poco, ella incalzò il suo di ritmo, fino a farsi godere, impalata, mentre le mani di Marco le straziavano i seni. Poco dopo, ancora ansante, ella stessa si sollevò, estrasse la verga, si volse a Marco, raccolse i capelli da un lato e si accomodò nuovamente, sorridendo, guardandolo in viso. Lo baciò, non l’aveva ancora fatto, baciò quelle labbra che ancora sapevan di lei, sentiva il profumo intenso dei suoi umori, il sapore di muschio, il gusto di sale, lievemente acidino mescolati al sapore della sua saliva. Nuovamente trafitta ma con più dolcezza nell’anima, l’abbracciò forte, stringerlo a sé, corse via dalla sua bocca, cercò la sua orecchia, leccò lievemente e sussurrò delicata:
‘Che meraviglia… ho voglia di leccarla, baciarla e succhiarla. Se vieni con me, io carponi per terra, mentre mangio la tua Valentina, potresti… infilarmelo in culo… ne avrei tanta voglia…’
Marco non rispose nemmeno, soltanto la sollevò, la cacciò, la spinse… la seguì da vicino.
Gli altri due avevano preso una postura più comoda, avevano aperto il divano, ne avevano fatto un bel letto con un semplice gesto. Ora erano entrambi sul fianco sinistro, lei davanti e lui dietro. Valentina aveva il busto lievemente girato, cercava la bocca di lui, la lingua di lui; la gamba destra di Valentina era talmente sollevata che le labbra erano spalancate quasi come bocca assetata di cane. Ed ella si accucciò lì in mezzo, vicinissima a quel pube di ragazza, vicinissima al cazzo del sua amante che la riempiva e la svuotava. Sentiva nitidissimo lo sciacquio che l’amplesso provocava, i profumi intensi dei loro sessi intrecciati, e la sua voglia di posarci le labbra. Sorrideva e guardava e ascoltava, rapita. Solo quando si sentì nuovamente trafitta, in quel luogo diverso, sospirando e soffrendo, si ritrovò la sua bocca incollata alla figa, spalancata e trafitta di Valentina. Le sue labbra allargate, la lingua protesa, avvertiva chiaramente ogni movimento, ogni contrazione, ogni scorrimento. Sentiva il sapore, lievemente diverso dal suo, sentiva gli odori ed un palo tremendo, nodoso e ruvido, scorrerle dentro, dentro tutta se stessa, fino al cervello. Quasi per magia se ne vennero insieme, tutti e quattro nello stesso istante o poco più. Ella avrebbe voluto estrarre la verga, goderne in gola ma non ne ebbe il coraggio, lasciò che Valentina si nutrisse del suo amante fino all’ultima goccia, com’ella si nutriva di Marco. Fu allora che sentì la porta schiudersi, qualcuno vociare ed entrare, fermarsi accanto a loro e guardarli. Sentì le voci, i saluti, i sorrisi e gli elogi senza riuscire a sollevare la bocca da quella fessura. Poi si decise, volse la testa e lo sguardo annebbiato, sorridente, estasiata. Attilio era lì, in piedi, sorriso beffardo, con una ragazza, giovane, decisamente troppo giovane per lui ad un fianco ed un’altra ragazza, un po’ più matura, con tanti riccioli rossi, all’altro. Le mani di Attilio ne palpeggiavano i seni vestiti di poco, le mani delle ragazze erano intrecciate, due dietro la schiena di lui, due davanti, sulla patta, tranquille.
‘Ma… Attilio! Non puoi far vedere certe cose ad una minorenne… nemmeno al cinema, la farebbero entrare!’
‘Angelica non &egrave più minorenne, oggi compie diciotto anni, questo &egrave un pensierino che le avevo promesso da tempo… poi, tutto sommato, potrebbe insegnare qualcosa perfino a te, la piccola! Non si fa mancare quasi nulla, ultimamente…’
‘Sarà merito di Isabella, come maestra non ne ho mai avute di migliori…’
Quindi, anche Valentina aveva molta più esperienza di lei… le pareva più giovane di lei, le pareva che quasi nessuno potesse insegnarle qualcosa, invece… si ritrovava a dover ammettere di non sapere.
Marco e Isabella, quasi d’accordo, si presero cura della giovane Angelica, baciandola e carezzandola la liberarono degli abiti… anch’ella niente biancheria, nemmeno un tanga… omaggio a qualcuno o imposizione che fosse, ella aveva imparato più tardi a non portarne. Un suo ragazzo le aveva chiesto tante volte di uscire senza ma lei si sentiva a disagio, non le riusciva… solo il suo amante era stato capace di farle buttare tutto, senza trattenere nulla. Intanto Attilio si era seduto in poltrona e guardava ancora lei, il suo viso appoggiato al pube di Valentina, i suoi occhi trasognati, il suo seno che pendeva discreto e sorrideva placido. Anch’ella gli sorrise, estrasse il membro quasi floscio del suo amante e, senza staccare gli occhi da quelli di Attilio, se lo infilò in bocca, ne ripulì la superficie, ne estrasse ciò che potesse uscirne ed infine lo lasciò penzolare da solo. Allargò più che poteva le labbra, prese tutto il sesso dell’amica in bocca e la frugò con la lingua, suggendo tutto il succo del suo frutto. Lo sguardo d’Attilio era più concentrato, sorrideva ma sembrava più stupito ed ella sollevò il viso, ancora con la lingua di fuori, coperta di sperma appena estratto; si passò per bene la lingua sulle labbra, ritirò la lingua, ne gustò il sapore, ne inghiottì le sostanze e, chiudendo gli occhi, emise un gemito di gradimento. Egli, loro, lui, l’altro e tutti dovevano sapere, dovevano capire, dovevano avere la certezza che la cosa le era piaciuta più di ogni altra cosa che le fosse già capitata. Attilio la chiamò a sé con un cenno, si fece spogliare e la fece salire a baciarlo, un bacio lungo, passionale, profondo. Poi la spinse giù, verso la verga non ancora piena, gliela fece prendere in bocca, le prese la testa con le due mani e la guidò delicatamente a farglielo fiorire, costringendola a sentirselo fino in fondo alla gola, fino in fondo al cervello, fin dentro l’anima. Dietro di lei sentiva che qualcuno palpava, leccava e succhiava. Non sapeva chi fosse, non sapeva quanti fossero, non capiva più nulla e non le importava, cullava quel cazzo stupendo carezzando lo scroto, con gli occhi chiusi, immersa in un altro universo. Era talmente concentrata sul sogno che non se ne accorse. Il primo fiotto di sperma le si infilò dritto nello stomaco… gli altri li volle! In bocca, sulla lingua esposta, raccolti, preziosi, quasi reliquie… li volle, li ingoiò, se ne nutrì… tutte le gocce, tranne l’ultima. Quella, si volse, sorrise ad Angelica, la fece un segno e gliela donò in un bacio, quasi avesse potuto scoparla lei, quella fanciulla monella. I maschi si sa, han bisogno di recupero, torpore e fatica li avevano stesi. Neppure Marco, giovane e gagliardo, sarebbe stato in grado di fare qualcosa… probabilmente, nel frattempo aveva già dato, ancora dato. Doveva aver preso Angelica o Isabella, aver goduto in loro, magari in entrambe… fatto sta che si era accasciato per terra, relitto momentaneo senza nulla da dire.
‘Angelica, anche io ho un regalo per te… l’ho comprato oggi… prendi quel pacco, aprilo! Saranno contente tutte le signorine, vedrai!’
Ed ella eseguì gli ordini dolci di Isabella, prese il suo pacco, l’aprì, ne trasse tre scatole e, con occhi scintillanti si volse all’amica:
‘Ma dai… tre addirittura? Bastava uno!’
Nel primo pacchetto c’era un grosso vibratore, molto realistico, nero e invitante; nel secondo c’era un coso molto lungo, con due punte, flessibilissimo ma solido, un fallo serpente, un giocattolo per due; il terzo era ancora più strano, ella non ne aveva mai sentito neppure parlare. Un fallo vibrante, completo di cinghie che si poteva indossare… avrebbe fatto diventare quella bambina un uomo quasi vero ma, soprattutto, anche troppo dotato. Nessuno dei presenti avrebbe potuto reggere il confronto. Attilio aveva un gran bel membro ma niente a che fare… Marco era molto più dotato ma non ci arrivava, il suo amante, quanto a misura, rientrava in una media, tranquilla dimensione.
‘Non &egrave finita qui… vedi questo? Serve a stimolare il clitoride e le labbra mentre lo indossi, altrimenti godi meno! E c’&egrave addirittura questo che puoi infilarlo nella tua bellissima fighetta e nel tuo divino deretano… provare per credere! Io ne ho uno meno accessoriato, adesso bisogna che me lo faccia regalare da Attilio, uno così!’
Lo indossò subito, non attese altro; come maschio dominante e perpetuo si sentiva molto più a suo agio. Cominciò a masturbarsi l’attrezzo per sentire da sola che stimoli le procurasse, lo passò nelle bocche e sui seni delle amiche, volle farlo ingoiare perfino ad Attilio.
Poi, naturalmente, volle scoparsi lei, l’ultima che fosse arrivata, sconosciuta, senza neppure chiederle il nome. Presero posto sul letto, lei sotto, a fianco all’amante, Angelica sopra che faceva il maschio un po’ troppo volgare, perfino.
‘Al&egrave, troia, fatti scopare da un vero stallone che così non ne hai mai presi… ti farò godere per ore e non riuscirai a farmelo ammosciare! Dai, muoviti, fatti vedere dal tuo amante… fagli vedere come sei dentro, davvero!’
Aveva ragione, era così, non poteva negarlo… aveva ragione la piccola Angelica! Sarebbe stata per sempre così, anche l’immagine di se stessa… stampata in una foto che avrebbe portato con sé tutta la vita. Lei in mezzo ad altre sei persone, stesa sul letto accanto al suo amante mentre un uomo con la faccia di bambina monella la trafiggeva di tutto se stesso… in una scuderia, in una scuderia… lei che tanto amava i cavalli.

Sempre a disposizione per discuterne…

silverdawn@virgilio.it

luca

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