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Trio

COME LA VALENTINA

By 29 Gennaio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

COME LA VALENTINA

Anna aprì le tende della finestra, la sua camera dava sulla campagna e a perdita d’occhio si vedevano solo campi e i filari di viti che, in autunno, avrebbero dato un ottimo vino rosso.
Le sette di mattina, la sveglia ormai scarica gettata da una manata giù dal comodino, una luce perlacea dai vetri da dove il sole ancora pallido della fine inverno entrava per ritrovare i suoi colori.
E’ sempre duro, pensò la ragazza, il lunedì, è sempre una giornata che non finisce mai, e la fine della settimana sembra sempre lontanissima.
C’è più traffico.
C’è più lavoro.
C’è meno voglia…
Alla fine si decise; andò in bagno; fece scendere l’acqua della doccia; s’immerse in una nebbia di vapore calido.
Si lavò, fece colazione con latte e cornflakes, distrattamente, sentì le ultime notizie alla radio.
Poi, davanti allo specchio si guardò un po’ compiaciuta: 24 anni, gambe lunghe, pancia piatta, una buona terza di seno che, senza essere eccessivamente appariscente, risultava ‘llamativa y sugerente’ come le avevano detto i suoi amici di Barcellona…
Proprio carina, e lo sapeva.
Scelse un vestitino nero corto, ma non troppo, e delle collant lavorate a fiori, molto coprenti, che la mattina faceva ancora freddino, si passò poi un rossetto deciso.
I suoi occhi neri scintillavano nello specchio ancora appannato dai vapori della doccia, i suoi capelli nerissimi, fini come fili lucenti di seta indiana, li incorniciavano degnamente.
Li aveva tagliati sabato, a caschetto come la Valentina…
Indosso un paio di stivali aderenti al polpaccio, in nabuk nero, tacco 70, coprì la mise con un trench avorio;uscì nel mattino lattiginoso della campagna Trevigiana.
La piccola utilitaria era piuttosto fredda e faticò a partire la dovrò cambiare una benedetta volta…, pensò, poi, finalmente riuscì a far girare il motore e si diresse verso il suo ufficio, vicino all’autostrada.
Una delle tante ditte del mitico Nord-Est, tanto lavoro, soldi abbastanza pochi, ma, in compenso, una qualità della vita che, forse, in una grande città non avrebbe potuto avere.
Anna si occupava di spedizioni, nel suo ufficio, un open space di una sessantina di metri quadri c’erano tre scrivanie e un tavolo da lavoro circondato da sedie.
Tutto era dipinto di un bianco immacolato ‘ la sede della ditta era stata spostata lì da pochi mesi – e i serramenti nuovissimi isolavano completamente dal mondo esterno.
Oltre a lei, nell’ufficio si trovavano Monia, una bionda di quasi trent’anni, addetta agli acquisti, e Marco, il programmatore, che si occupava di incasellare la produzione secondo le necessità del reparto e dei clienti.
Oltre al tavolo, che serviva loro anche per le riunioni operative, si trovava l’ufficio di Denis, il figlio del titolare: quarant’anni, un po’ brizzolato, occhi castani sotto gli occhiali da miope leggero, la montatura firmata, sempre vestito sportivo, perchè sportivo era, fisico da trentenne.
Molto istruito, decisamente colto; intensamente affascinante.
Anna salutò, si sedette alla scrivania ‘ era la prima ad arrivare di solito, delle due ragazze-, poggiò la borsetta sul piano della cassettiera, di fianco alla stampante, accese il PC, cominciò a controllare le distinte materiali che avrebbe dovuto spedire ai clienti qual giorno.
Entrò Marco, si salutarono, ma non si trattenne molto perchè la notte c’era stato un intoppo con la produzione ed ora si trovava con alcune urgenze da sbrigare che richiedevano la sua presenza in reparto.
Probabilmente non si sarebbe fermato un attimo fino a mezzogiorno… a volte capitava così…
Dopo una mezzoretta, e già qualche distinta stampata e qualche telefonata ai corrieri che avrebbero preso in carico la merce, arrivò anche Monia.
Monia non era solo ‘carina’, era il tipo di donna che i ragazzi sognano sulle riviste di carta patinata: alta quasi un metro e ottanta, e la cosa era anche aggravata da tacchi sempre generosi, 80 o 90 mm, capelli lunghi, biondo caldo, di quella tonalità che gli antichi pittori usavano per le aureole dei santi, seno sodo e abbondante, gambe lunghissime e perfette.
Occhi verde intenso e labbra sensuali, occhiali dalle lenti sottilissime e un poco rosate che le davano un’aria al tempo stesso terribilmente sexy e candida come petali di ciliegio.
E sempre elegante.
Indossava un pullover rosso aranciato, quasi dello stesso colore della montatura, dei pantaloni color panna, piuttosto attillati che giungevano poco sopra le caviglie, i piedi infilati in un paio di peep dello stesso colore, tacco 90.
Nonostante alla primavera mancassero ancora un paio di settimane buone, aveva osato privarsi delle calze, e dal buchetto della scarpa s’intravvedeva l’unghia laccata di bordeaux lucido dell’alluce.
E’ matta pensò Anna, ma non potè non pensare anche che era bellissima, e attraente in modo pazzesco.
A volte si trovava a pensare che se fosse stata un uomo avrebbe perso la testa immediatamente per una ragazza così.
Lo pensava, a volte.
Monia le sorrise, la salutò e si mise al lavoro.
La mattina passò abbastanza rapidamente e, come aveva previsto, Marco non si fece più rivedere fino a poco prima di mezzodì.
Quando le due ragazze stavano per uscire e tornare a casa per pranzo, Denis arrivò trafelato:
-Anna, vieni nel mio ufficio, subito!
Lo disse mentre si sfilava il giubbotto da aviatore e a grandi passi attraversava l’open space.
Monia salutò e si avviò, Anna fece in tempo a percepire nitidamente il ticchettio dei tacchi della collega mentre scendeva le scale.
-Anna, fra una settimana abbiamo una fiera in Russia: devo assolutamente inviare dei pezzi che ho fatto approntare da un terzista, devono essere assolutamente presi in carico dal corriere oggi e spediti al più tardi domani al nostro agente che provvederà a portarli in fiera. Tutto chiaro?
– Si, certo, ho bisogno delle solite cose: dimensioni, pesi valore doganale.
Denis tirò fuori dalla valigetta una cartellina formato A4 e la posò sulla sua scrivania.
-qui trovi i recapiti del terzista, senti lui per tutto quello che ti serve. Io devo riuscire fra una mezzora e tornerò solo a pomeriggio tardo, mi raccomando…
-Non ti preoccupare, sarà fatto, lo faccio per prima cosa appena rientro dal pranzo.
Il Sole era finalmente riuscito a restituire i colori appropriati al paesaggio campestre, e l’aria finalmente più calda invogliava certamente a godersi una bella passeggiata, certo non a tornare al lavoro.
Anna passeggiò, infatti, dopo pranzo, ma, un po’ per l’aria di quasi primavera che si respirava quel pomeriggio, un po’ perchè presa a guardare le vetrine del centro, non si rese conto di quanto tardi fosse.
Quando guardò l’orologio, scoprì che avrebbe già dovuto trovarsi in ufficio: si mise quasi a correre, arrivò alla macchina, l’avviò; bruciò il percorso a un’andatura da straccio di patente.
Quando arrivò in ufficio, trovò che Monia era già al suo posto, Marco, che continuava ad avere grattacapi in reparto, continuava ad andare avanti e indietro fra fabbrica e uffici.
-mamma mia, non mi ero accorta che fosse così tardi! E c’ho un sacco di cose da fare!
Monia quasi non la salutò tanto era indaffarata pure lei:
-Ti sei distratta?
– Si, stavo guardando le vetrine passeggiando…e …
-fa niente, tanto hai perso solo qualche minuto, no?
-si, ma avrò da recuperare, stasera!
Anna guardava lo schermo del PC, non poteva vedere il brillio negli occhi della sua collega.
Il pomeriggio passo veramente in fretta, troppo in fretta ed Anna si alzò dal suo posto solo due volte: una per andare in bagno ed una per un caffè, preso alla macchinetta e portato sulla scrivania.
-Ciao Anna, io vado. Ti fermi ancora molto?
Anna sollevò gli occhi dallo schermo e vide Monia in piedi già con la giacca indossata e la borsetta a tracolla.
-beh… visto che devo recuperare, provo a portarmi un po’ più avanti, così preferisco stare qui ancora un’oretta. Ma Marco?
– non l’ho visto, penso che a sto punto se ne sia già andato a casa, oggi è arrivato prestissimo.
Si salutarono; Anna si ritrovò sola, nell’ufficio si sentiva solo il ronzio della ventola del Pc.
Quando, finalmente, ritenne d’aver ‘espiato’ a sufficienza il ritardo cominciò a rimettere in ordine i fogli sul piano di lavoro… e lo vide…
Il foglio con i recapiti del terzista era rimasto per tutto il pomeriggio sepolto sotto ad una pigna di bolle di consegna.
E adesso? Chi glielo dice a Denis!
Ma non fece a tempo a pensare ad una strategia d’uscita che accaddero due cose: un cellulare squillò nella stanza, dalle parti della scrivania di Monia ‘ evidentemente la ragazza se l’era dimenticato lì; Denis irruppe nell’ufficio a grandi falcate come era solito fare.
-Anna, che diavolo ci fai ancora qui? Non ce l’hai una casa?
Sorrideva, ma la ragazza restò di sale comunque.
-C’è qualcosa che non va?
Anna ingoiò un po’ di saliva …
-Ecco… io… c’è un problema…-
Denis la fissava con aria interrogativa:
-Un problema? Che problema?
-Beh, ecco… io oggi sono arrivata in ritardo perchè stavo passeggiando e… insomma, mi sono distratta e non mi sono accorta dell’ora e… avevo anche tante cose da fare e ho cercato di sbrigare tutto quanto ma…
-ma?
Lo sguardo dell’uomo si fece più curioso.
-Ma… mi sono dimenticata dei tuoi campioni per la fiera.
Lo disse tutto d’un fiato, buttando l’aria fuori di colpo e d’improvviso sentì un senso di leggerezza, come se avesse finalmente confessato qualche rato.
-No!? E adesso come faccio?Anna!
Seguirono alcune bestemmie in dialetto trevigiano
-cazzo Anna! Ma sai che casino che è adesso questo qui! Ti rendi conto?
La ragazza era sempre più mortificata, gli occhi bassi…
– Mi…mi spiace, veramente… non so come rimediare… se posso in qualche modo…
– Dammi il foglio che ti ho dato, presto!
Denis le strappò quasi il foglio di mano, scattò verso il suo ufficio; sbattè la porta alle sue spalle.
Anna poteva sentire Denis sacramentare in dialetto con qualcuno al telefono, che immaginò essere o il corriere o il terzista, poi lo sentì parlare in inglese, e immaginò che stesse per sistemare la faccenda con l’agente sul luogo della fiera.
Alla fine riemerse dall’ufficio; s’appoggiò allo stipite della porta con l’aria stravolta.
-ce l’ho fatta: domani il corriere riesce a ritirare i pezzi, anche se gli ho dato così poco preavviso… l’agente li riceverà fra due giorni, chiederà aiuto a qualcuno per montare lo stand in tempo utile.
Anna si sentì molto sollevata, per tutto il tempo in cui Denis era rimasto dentro nell’ufficio era rimasta in piedi, davanti alla scrivania senza poter muovere un passo, preoccupatissima.
-Meno male! Mi spiace, veramente, non volevo…
-Vieni nel mio ufficio!
Anna entrò, si sistemò in piedi davanti alla scrivania ampia e ordinata del suo capo, che vi era appoggiato di spalle, le braccia conserte.
-Anna, così non va! Oggi hai combinato un casino: sembra una cosa da niente, in fondo per te può essere semplicemente una spedizione scordata, ma qui c’è in ballo un grosso progetto dietro quei campioni. Ci ho lavorato personalmente per mesi e ci sono in ballo un sacco di soldi.
La ragazza era evidentemente sempre più mortificata: tentò di balbettare qualche scusa, ma un gesto della mano dell’uomo la zittì.
-devo prendere provvedimenti, Anna, non mi posso permettere, in un momento difficile come questo, che succeda ancora una cosa così. Devo essere sicuro di avere qui del personale affidabile.
-No, dai Denis! Per favore, sai che non l’ho fatto apposta io… io…
Denis si alzò, arretrò e si spostò di lato al tavolo, estrasse dal cassetto della scrivania una chiave che infilò nel lucchetto di un armadio da ufficio proprio di fianco a lui.

-Non ti preoccupare, non sto pensando a trattenerti ore di paga o a farti una lettera di richiamo… ho i miei metodi.
Anna lo guardò sorpresa, non sapendo bene se essere sollevata o preoccupata.
Denis aprì l’armadio e ne tirò fuori una specie di acchiappamosche, ma con il manico più lungo e la paletta più larga.
Anna lo guardò stupita, senza capire di che si trattasse.
– Lo uso per i tappetini della mia auto: sai, sono di lana…

Richiuse l’armadio; girò dietro alla ragazza.
– Per favore, Anna, piegati sulla scrivania

La ragazza si voltò incredula
-Cosa?! Stai scherzando?

-Non scherzo affatto, cara, piegati sulla scrivania altrimenti, se preferisci, usiamo i sistemi soliti…

I sistemi soliti volevano dire richiamo scritto etc…, Anna ne aveva già ricevuti, in passato, dal titolare sempre per distrazioni come quella odierna.

In una frazione di secondo decise che avrebbe fatto come lui voleva; si chinò sulla scrivania e allungò le braccia sul piano.

Denis le sollevò la gonna mostrando le natiche fasciate dal collant stampato: erano rotonde, sode e, pur se lo scopo non era certo il piacere, non potè fare a meno di carezzarle, di sfiorarle dolcemente.

La sorpresa si stampò sul viso di Denis:

-ma?! Non hai niente sotto ai collant!

Anna arrossì. Era la verità: infatti le piaceva la sensazione di libertà che le dava non indossare le mutandine, ma lo faceva, e non sempre, solo con i jeans, i pantaloni in genere, o quando era sicura che nessuno se ne sarebbe accorto, come quando indossava calze pesanti.

-beh… si… io…

Divenne rossa di vergogna.

-Così è ancora meglio.

Lui cominciò a batterla con la paletta, sistematicamente, lentamente sempre con la stessa forza; prima una chiappa, poi l’altra.
La paletta fischiava nell’aria; s’abbatteva poi con un suono sordo e attutito, sulle natiche della ragazza.

Anna, in principio, cercò di resistere: passato lo stupore del primo colpo, che l’aveva colta impreparata, si preparava al colpo nel momento in cui sentiva il sibilo della paletta e stringeva le labbra per non singhiozzare o gemere.
Ma i colpi continuavano, non particolarmente violenti, anzi, si sarebbe potuto dire piuttosto loffi, ma costanti,schaff, destra, schaff,sinistra.
Anna cominciò a sentire crescere il bruciore sul culo, immaginò le sue chiappe che stavano diventando sempre più rosse.
Si sentiva imbarazzatissima, era piena di vergogna, si sentiva umiliata da quel trattamento, e il bruciore crescente la faceva gemere, al fine.

Denis continuava imperterrito, senza proferire parola, a colpire ora a destra ora a sinistra.
I gemiti di Anna crescevano via via d’intensità ad ogni colpo ‘ormai aveva perso ogni remora e si lasciava andare a grida sempre più forti-.
– Basta, Basta! Per favore, Basta Denis, non lo farò più , lo giuro.
– Zitta! Senno uso la cinghia!

La ragazza si vide con terrore sotto la cinghia e preferì zittirsi all’istante; poco dopo riprese a gridare e gemere, ma senza più chiedere di smettere.

E Denis, infatti, non smetteva: era già una decina di minuti che la stava battendo, il culo di Anna ormai doleva tantissimo ed era rosso fuoco, immaginavano entrambi, sotto ai collant.

Ma la ragazza cominciò anche a sentire che la scena, stranamente, la cominciava ad eccitare: non era la prima volta che succedeva…
L’estate della maturità aveva conosciuto un ragazzo, in Inghilterra, che l’aveva sculacciata: all’inizio aveva tentato di ribellarsi, poi quel senso di essere sottomessa, posseduta, aveva cominciato ad eccitarla… se n’era stupita, ma alla fine, quando finiva di farle il culetto rosso e facevano l’amore godeva come mai avrebbe immaginato.
Ed una volta aveva anche tentato di farle il culo, dopo una sonora sculacciata, approfittando della sua eccitazione: era riuscito ad entrare solo per metà, non che le fosse dispiaciuto, la cosa le sembrava tanto proibita da eccitarla ancora di più, ma lui, abbastanza inesperto, era venuto quasi subito.
Aveva avuto altre storie, e anche qualche altro episodio anale, ma di sculacciate non ne aveva prese più… fino a quella sera.
Mentre pensava a tutto ciò, s’accorse di una sensazione bagnata, sempre più bagnata, fra le gambe; i suoi gemiti erano ora un misto di dolore e piacere.

-Basta così… credo che tu abbia capito.
Anna fu sorpresa della fine della sessione di spanking, e al tempo stesso delusa, stava cominciando a godere: l’istinto di portarsi una mano lì davanti fu più forte di lei.
-Ma che fai? Ma… sei una maiala, non mi dire che ti è pure piaciuto?!
Denis la guardava stupito, mentre lei, con la mano sfregava sulla fighetta bagnatissima, gli occhi semi chiusi, i sospiri dalle labbra rosse di rossetto.
Lui la guardò; gli si incendiò lo sguardo e una luce fortissima gli abbagliò il cervello.
Si sbottonò i pantaloni e ne estrasse un cazzo semiduro che prese a menarsi con la destra,mentre con la sinistra prese a carezzare quelle chiappe.
Le abbassò i collant: le natiche erano bordeaux, dai tanti colpi ricevuti, e caldissime.
Le prese la mano e la spostò introducendo due dita della mano sinistra nella figa che pareva un lago d’acqua calda.
Anna sussultò per l’intrusione, ma emise un lento sospiro; Denis le infilò, a secco l’indice della destra nel culo.
La ragazza ebbe un sussulto ancora più forte ma poi si lasciò andare al piacere mentre le tre dita le davano piacere davanti e dietro.
Adesso farà come Henry, m’inculerà, lo sento quel pensiero la eccitò ancora di più nel profondo…
Ma non andò così: d’un tratto Denis tolse entrambe le mani e diresse il suo membro ormai duro nella figa della ragazza, da dietro, penetrandola in un colpo solo fino a che sentì le palle sbattere su quelle chiappe rosse e calde.
Anna si sentì riempire di colpo e sentì che lui, senza troppi complimenti, la cominciava a sbattere sempre più forte, sempre con più durezza.
Si sentiva impazzire dal piacere diretto procuratogli da quello stantuffare e da un ancor più sottile e profondo godimento che le dava la situazione.
Come se potesse separarsi dal proprio corpo, si vide: piegata a novanta gradi sulla scrivania, i gomiti sul piano, i collant abbassati al ginocchio, l’uomo dietro di lei che la sbatteva grugnendo; sentì i suoi stessi gemiti mentre si passava la lingua sulle labbra umide e dischiuse.

Denis fu bravo: la sbattè per quasi mezz’ora, andando avanti anche un bel po’ dopo che l’orgasmo l’ebbe mandata lunga distesa sul piano della scrivania e si sentisse mancare le gambe dal tremore del piacere.
-Sto venendo, sto venendo
Anna riemerse dall’oblio orgasmico in tempo per sentirlo accasciarsi su di lei mentre le stava scaricando dentro un fiume di liquido bollente.
Restarono qualche istante così, poi lui si sfilò, e con terrore capì d’esserle venuto dentro.
Anna capì:

-Non ti preoccupare, prendo la pillola: quella non me la dimentico mica, non come di guardare l’orologio.
Sorrise; sorrise anche lui.
Le dette un bacio sfiorato sulle labbra dal rossetto disfatto…

-Devo andare adesso, ci vediamo domattina e…
-Non dire niente. Va bene così… domani è domani.
Lui le sorrise, prese il giubbotto da aviatore e prese la porta.

-Ah, Anna.
-Si?
– Vattene a casa.
-Certo, mi sistemo e vado.

Lo specchio le restituiva la sua immagine col trucco disfatto; si sciacquò la faccia;l’asciugò; prese lo stick di rossetto.

-Ti ha castigata, vero?
Nello specchio vide le lenti scintillanti di Monia dietro di lei

– Ma tu? Da dove sbuchi?
-Mi sono scordata il cellulare, l’ho fatto suonare e non lo trovavo, così ho pensato di averlo lasciato qui: sono tornata a prenderlo, ho visto che c’era ancora la tua macchina e che c’era quella di Denis ma voi non c’eravate. Ho visto la luce filtrare dalla porta dell’ufficio di Denis e, mi sono avvicinata, stavo per aprire, quando mi sono accora dei gemiti e dei tuoi gridolini.
Ho sbirciato ed ho fatto a tempo a vedere che ti stava sculacciando con una specie di paletta.
Anna si girò verso la collega, con gli occhi sgranati.
-ed ho anche fatto in tempo a vedere il resto…
– E adesso?
Anna aveva ripreso a fissare l’immagine bellissima di Monia nello specchio…
-Adesso… credo che tu stessi per metterti il rossetto…
Anna restò un attimo sospesa, poi fece scattare la punta dello stick e cominciò a passarlo sulle labbra.
Allungò la vista all’immagine dietro di lei e non vide più la ragazza bionda…
Ma prima che potesse voltarsi…
-Non ti preoccupare, va bene così…
Si girò un istante e guardò in basso: Monia era in ginocchio dietro di lei e le stava abbassando i collant.
-Continua a metterti il rossetto.
Sentì le mani fredde della collega abbassarle le calze fino al ginocchio, e darle dei colpetti sull’interno della coscia affichè aprisse le gambe il più possibile.
Mentre si passava e ripassava lo stick sulle labbra, altre labbra sentì sfiorarle il sesso ancora bagnato, sentì la lingua di Monia farsi strada dentro di lei.
– Sei un lago qui, uhmmm…. e sei piena!
Sentiva quella lingua dentro che la leccava, le sfiorava le parti più sensibili della sua fighetta congestionata dalla mezzora di sesso brutale.
Sentiva che Monia la stava svuotando, succhiandola, degli umori che l’avevano farcita.
Fu un attimo: il rossetto cadde nel lavandino; chiuse gli occhi.
Un altra ondata violenta di piacere le esplose dentro.

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