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le disavventure di uno schiavo – puntata 8

By 26 Febbraio 2022No Comments

PUNTATA 8

Il giorno dopo già a colazione cerco, almeno con lo sguardo, Giacomo, che invece, mi evita Non mi rivolge nemmeno la parola, è scuro in volto, ed è uscito dall’appartamento senza nemmeno salutare. Io sono veramente dispiaciuto, indipendentemente dal nostro rapporto schiavo-padrone, ma per questa amicizia, forse un po’ contorta, che è rinvigorita in questi mesi.
La situazione diventa simile la sera – Giacomo, devo parlarti – e la sua risposta è una porta sbattuta in faccia. Un solo, asettico messaggio il venerdì mattina in cui mi dice che non prenderà il treno con me e da quel momento non faremo più la macchina in comune da casa alla stazione.
I rapporti si stanno logorando e l’atmosfera si fa’ pesante, nei weekend a casa tiriamo ripetutamente il bidone a Francesco, una volta io e una volta lui. Lui lo capisce (io, ad esempio, gli chiedo chi viene a ballare e, se nell’elenco c’è Giacomo, invento una scusa per non andare) al punto che mi manda gli audio-messaggi su whatsapp: – Oh, Matte!! Ma cosa ti ha fatto Giacomo? Qualcosa non mi torna -. Ma faccio finta di niente. Ma vorrei tanto dirglielo. E’ uno dei pochi a sapere che mi piacciono i ragazzi, uno dei pochissimi a conoscere la mia attrazione per Giacomo. Gli altri sono lo stesso Giacomo e una figura furtiva che guardava un pompino notturno in aperta campagna, ammesso e non concesso che la figura furtiva non abbia spifferato qualcosa in giro.
La domenica dopo, ormai a quasi un mese dalla litigata, si gioca la rivincita tra i Fire Red e la mia squadra di calcetto. Francesco è presente, gioca per i Rossi e mi ha garantito che Giacomo non ci sarà. Gianni ha deciso di non scommettere il pagamento del campo, forse ricorda la cocente sconfitta dell’altra volta. Nella mia squadra non gioca Filippo, ha avuto fretta a tornare a fare sport dopo il contatto di gioco della scorsa partita, e ha avuto una ricaduta. E’ in panchina a sostenerci e darci delle dritte, sa che ho litigato con Giacomo perché Francesco, non ricevendo risposta da me, gli ha chiesto se sapeva qualcosa. Mi guarda con una faccia che sembra dire “io te lo avevo detto!”.
Con mio stupore con i Rossi c’è anche Giacomo. Quando entra nel campo mi lancia un’occhiataccia, poi entrambi guardiamo Francesco. Ha detto una bugia ad entrambi.
Cominciamo a giocare. Cristian, il fratello di Filippo, parte punta. Sono nella stessa fascia di Giacomo. La prima azione mi sfugge via, ma non riesce a farsi dare la palla per chiudere a rete. Subito dopo gli faccio una finta, mi giro, lo scarto. Tiro, Federico toglie la palla dall’incrocio dei pali. Mi giro, Gianni si inc4zza con Giacomo perché mi ha perso, mi scappa un sorriso, lui se ne accorge.
Dopo un paio di minuti Giacomo ha la palla, cerca di scartarmi, io gli prendo la palla, riesco a tirare nuovamente e faccio gol. 1 a zero per noi. Gianni si inc4zza nuovamente, stavolta non riesco a tacere – Grazie Giacomo per l’assist -, le prime parole che gli rivolgo da oltre 20 giorni non ricevono risposta. Al mio compleanno eravamo una ventina di persone. Undici persone sono a questo calcetto (contando Filippo che guarda dalla panchina), dieci erano alla mia festa. E’ molto probabile che l’ombra nel bosco sia qui ora.
Ricominciamo a giocare. Giacomo ha la palla, mi avvicino, lui la passa prontamente a un altro, ma fa’ in tempo a farmi uno sgambetto. Cado malamente, picchio il ginocchio con il pavimento, che si gonfia leggermente.
– Ma sei sc3mo?
– Non ho fatto apposta! – dice ridendo
– Già, tu non fai mai apposta – sono furioso, ancora a terra che cerco di capire come sta il ginocchio.
– Basta! Piantatela – dice Francesco, mettendosi tra noi due. Che posizione di ******* la sua, siamo i suoi migliori amici.
Chiedo al mio compagno di cambiare fascia, il gioco con Giovanni, il mio avversario ora in fascia, è più tranquillo e rispettoso. Si avvicina e sottovoce mi dice – hai giocato con i suoi piedi e non gli è piaciuto? – subito sono serio pensando sia lui l’ombra, ma in realtà è l’unico in campo che non c’era al mio compleanno. La sua provocazione è dettata da un’altra storia. A 16 anni sono stato il leccapiedi di Giovanni per alcune occasioni. Era molto carino, ma quello che per me era una gioia, per lui era una mera curiosità che è svanita sul nascere. Peccato. Ora è persino più carino di quando era adolescente, dico tra me e me. Rido divertito alla sua battuta. – niente di tutto questo -.
Giacomo mi vede ridere e giocare sereno se non l’ho vicino, si inc4zza. Chiede a Giovanni di scambiare fascia. Francesco se ne accorge, si mette una mano in faccia, capendo che la situazione degenererà sicuramente. Inventa una scusa per fare un’interruzione del gioco. Metà primo tempo, il mio gol è l’unico per adesso.
– Venite qui – dice arrabbiato come poche volte – sì Matteo, tu. E anche tu Giacomo!! Che ******* sta succedendo? Non si puo’ giocare serenamente nemmeno a calcetto?
– Te la sei cercata, Giacomo non c’è al calcetto. Tu vieni? – dico ripetendo il messaggino che mi aveva mandato per radunare la mia squadra per la partitella di stasera.
– Stesso messaggio, il suo nome al posto del mio. Ma è colpa sua!!! Dai, è sc4zzato, come lo è il suo amico in panchina!!
– Oh, cinno (bimbo in bolognese, usato in modo dispregiativo per indicare chi ha atteggiamenti infantili), stai calmo!!! Stiamo giocando a calcetto. Hai fatto un errore, come ne ho fatti tanti io. E per quello mi tiri uno sgambetto?
– Non ho fatto apposta – urla.
– Aha – rispondo con supponenza, sapendo che la sua è una bugia.
– Basta – ci grida in faccia Francesco – ci state rompendo il ******* a tutti!!!
– Va bene – dice Giacomo
– Ok, scusa – dico io.
Chiedo a Marco di scambiarci nuovamente le fasce. Se la talpa è qua in mezzo ci considererà uno zimbello piuttosto che una coppia padrone-schiavo, comunque prima di passare da destra a sinistra Giacomo si avvicina, senza farsi sentire da nessuno – Scappa pure di là. La prossima volta che ti prendo la tua partita finisce. –
Non è un calcetto piacevole, per nessuno. Ma si gioca. Gianni segna l’1-1. Altri 2 gol, uno di Gianni e uno di Giovanni, su mio errore, ma ora cammino male. Il primo tempo finisce 3-1 per loro.
Marco, nella sua ingenuità, pensando più di squadra, mi chiede di tornare in fascia con Giacomo. Io accetto, ma sono spaventato. Cerco di girargli a distanza di sicurezza, corro e riesco a fare il 3-2. La partita sembra quasi essere tornata normale. Ma a 10 minuti dalla fine Giacomo mantiene la promessa. Ho la palla io, la proteggo da un suo tentativo di prenderla. Ma di potenza mi calcia la gamba, come se ci fosse solo la palla per tirare in porta, ma la palla nemmeno la vede. E’ chiaro come il sole che ha fatto apposta. Urlo, cado a terra. I parastinchi, obbligatori in campionato, non li usiamo mai per partitelle del genere, contando sul minore agonismo e sulla nostra intelligenza a tirare indietro la gamba. Mi fa’ malissimo. Il segno della punta del piede di Giacomo si vede chiara sulla mia gamba, che sanguina leggermente. Ma è la botta a fare male. E comincio a zoppicare, a stento trattengo le lacrime. Esco, mi siedo in panchina vicino a Filippo a cui dico un semplice – Avevi ragione. – Francesco in buona fede pensa che sia stato involontario, ma Marco si avvicina e dice – l’ho visto. Ha fatto apposta, sicuro al 100% – Il calcetto finisce per me, non abbiamo cambi, giochiamo in 4 contro 5 e perdiamo 5-3. Giacomo se ne va, senza salutare nessuno e senza chiedermi scusa. Lo fa’ con calma, solo per controllare che nessuno venga da me a parlare dei suoi interventi di gioco o chieda di qualche fantasiosa ragione che possa aver portato a tutto ciò.
In modo molto diplomatico, lui sente, dico che sarà stata la frustrazione della partita e del primo mio gol in cui l’ho provocato. Riesco a guidare la macchina per andare a casa, ma zoppico vistosamente quando scendo. Vado in camera, metto un sacchetto di ghiaccio sulla botta. Mi alzo dal letto lo stretto indispensabile. Mi addormento, come tutte le volte che sto poco bene, ho gli incubi.
Sono solo con Giacomo, sto leccando i suoi piedi puzzolenti dopo il calcetto, in campo. Il puzzo è piacevole, lo ringrazio per quello che mi concede. Succh1o le sue dita una a una. Bevo il sudore delle dita. Lecco la pianta dei piedi. Mi ringrazia sputandomi in bocca. Poi mi giro, vedo che tutti i miei amici hanno assistito alla scena. Non dicono niente, sono perplessi. Poi lui mi mette le calze sudate in bocca, mi alza in piedi, mi tira lo stesso identico calcio di oggi pomeriggio. Stramazzo a terra in lacrime e gli altri, invece di difendermi ridono di gusto.
Mi sveglio. Sono le tre di notte. Guardo il cellulare, illudendomi che ci siano delle scuse del mio ex-padrone e mio ex-amico. C’è un messaggio di Francesco però, su whatsapp – dobbiamo parlare.
– Non me la sento – gli rispondo.
– Devi parlarne. E’ una c4zzata, la storia della provocazione di oggi. Te le bugie non le sai raccontare, si capisce quando menti.
– Domani non vado a Firenze in queste condizioni – gli rispondo – vieni quando vuoi.
A questo punto, mi dico, uno deve conoscere la verità, la mia verità. Senza sbirciare dalle piante o senza che sia Giacomo a raccontarla a suo modo.
Già che ci sono mando un messaggio a Giacomo. Vorrei essere uno str0nzo, ma non ci riesco. Non riesco a provare rancore. Doveva essere lui a chiedermi scusa per il calcio, sono io invece che gli chiedo scusa per come tutto questo sia degenerato.
La gamba si è gonfiata, il medico mi ha consigliato di sforzarla il meno possibile. E soprattutto di non fare sport per una settimana. Con Francesco andiamo a mangiare in una delle pizzerie più in voga della città, ha aperto da poco e per questo c’è spesso il pienone. Ho poca fame, se ne accorge anche lui.
– Matteo, cosa è successo veramente?
– E’… è una storia imbarazzante… te la racconto solo perché tu sai tutto di me, o quasi tutto. Ora ho il coraggio di raccontarti il quasi.
Mi guarda, senza dire nulla. Ma io comincio a piangere a dirotto. Mi conforta, mette una mano sulla spalla, mi abbraccia.
– Grazie. – gli dico.
Finito l’abbraccio cerco di pensare ad altro. Guardo il cellulare, i messaggi degli amici che mi chiedono se sto meglio. Il messaggio che ho mandato a Giacomo, che si è spuntato in azzurro già questa mattina, senza nessuna risposta.
– La storia comincia ad agosto. Sai già che attrazione provo per i ragazzi.
Annuisce, come per farmi continuare.
– Ho un amico a Firenze che incontravo sporadicamente, Davide il suo nome. E’ un ragazzo carino, non il mio genere, forse troppo effeminato. Ma gli piace essere leccato un po’ dappertutto. Beh, scusa. Sta cosa ti fa’ schifo parlarne davanti a una pizza?
– Vai avanti sereno Matte. – dice Francesco in tranquillità.
Ma evito ulteriori dettagli. Comunque Davide è un bel ragazzo biondo, non tanto alto. Si fa’ leccare ovunque. La prima volta con lui fu terrificante perché, per assurdo, si era lavato prima. Quindi il suo corpo profumato non mi attraeva per niente. Le altre volte veniva da sp0rco, ero felice se passava dopo le sue partite di pallavolo. Lo lavavo tutto. Gli piaceva anche essere leccato alle gambe, intorno al *******, il petto. Cioè anche punti che non sempre puzzano forte come i piedi, o il qlo o le ascelle. Riprendo a parlare a Francesco.
– Il mio ex-coinquilino era già andato via, il nuovo, Giacomo, sarebbe arrivato solo il giorno dopo. Rispetto alle altre volte quindi, mi dico, posso anche non chiudere la porta di camera mia a chiave. Sbagliato.
– Perché?
– Sbagliato perché Giacomo, a sorpresa, arriva quello stesso giorno, aveva già le chiavi. Entra e mi becca che stavo leccando i suoi piedi dopo aver ricevuto uno sputo in bocca da Davide – questo lo dico a voce bassa, vergognandomi quasi.
Francesco mi guarda con tranquillità, con la faccia di uno che sembra conoscere, o almeno immaginare, questa storia.

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