Arturo Ferretti, lo psicologo, stava riascoltando la registrazione del colloquio con la sua paziente Magdalena Ortis. La paziente era una magnifica quarantaduenne, procace, formosa, ottima carrozzeria. Capelli neri, una elaborata acconciatura splendente, lunga fino alle spalle, occhi scuri, carnagione olivastra e mediterranea, seno grosso e stupendo, bocca e labbra da baciare e, per finire, cosce di burro. Nata al sud, sposata con un imprenditore milanese di un certo successo. Il marito le passava più di venti anni e l’aveva sposata ancora giovanissima, quando aveva solo ventun anni. La donna era sempre stupenda, anche se in quel momento appariva provata e molto vulnerabile.
Era arrivato al punto in cui stava risentendo se stesso, verso la fine della prima seduta.
– Quindi, signora, il tassista l’ha violentata, mentre abusava l’ha fotografata e lei non intende denunciarlo. –
– No, mai! Chi sa cosa succederebbe… mio marito, i miei figli… sono grandi è vero, la ragazza venti anni e mio figlio diciannove, ma… no, no, non oso neanche pensare allo scandalo. –
Mentre Magda Ortis parlava, per la posizione, sdraiata sul lettino del dottore, l’agitazione e le palpitazioni che provava rivivendo quel terribile evento, la gonna era risalita fino a metà coscia ed il seno ansava spingendo sul fine tessuto della camicetta. Il racconto scabroso della violenza, la coscia scoperta di Magda, il grosso seno gonfio, avevano fatto rizzare il dottore. Quella donna bella, quelle cosce scoperte, il seno palpitante per l’emozione, lo stavano facendo sudare.
– E dopo cosa è successo? –
– Il bastardo, come se nulla fosse, mi ha accompagnato a casa. –
– Ed è lì che lei ha preso la targa del taxi. –
-Sì. Allo stronzo non gliene fregava di meno, mi disse, prima che scendessi dal taxi “ricorda ho le tue foto ed è la tua parola contro la mia, mentre lo scandalo è solo tuo. Io non ho niente da perdere, mentre tu… tu fai parte dell’alta società.” E rise. –
– E questo succedeva un mese fa… –
– Sì, il 13 marzo 2012, tra le diciannove e le venti e trenta. Una data scolpita nella mia mente, non me ne dimenticherò mai. –
La donna aveva resistito per un mese, poi per la tensione e la disperazione pensò che doveva parlarne con qualcuno, andò dallo psicoanalista.
Il dottore aveva una cinquantina di anni, mingherlino e basso, ingrigito, aspetto distinto, ma subdolo. Passava per essere un buon professionista, aveva una bella e ricca clientela. Se la passava bene, aveva un autista factotum e una segretaria. La segretaria era anche la sua amante e il suo autista era anche un uomo di fiducia. Era divorziato da una decina di anni, da quando la moglie aveva capito che si fotteva la segretaria e altre. Il divorzio gli era costato parecchio e continuava a costargli.
Mentre riascoltava la sua mente perversa vagava, fino a quando tutti i pezzi non andarono al loro posto. Si mise a cercare il tassista. Un po’ di internet, di Google, qualche telefonata e trovò nome e cognome del farabutto.
– Buongiorno signor Sansone, mi chiamo Ferretti, ho una proposta di lavoro per lei. Ma non per telefono, dobbiamo vederci, può passare dal mio studio. –
Il tassista, come se l’altro non avesse parlato, – di che si tratta? –
– Le ho detto a quattr’occhi. –
– Se si tratta di qualcosa di illegale non lo faccio. Comunque passo per sentire. – Si fece dare un indirizzo e fissarono un appuntamento.
Oscar Sansone, alle quindici del giorno dopo era nello studio di Ferretti, la segretaria lo lasciò passare un minuto dopo. Oscar era un quarantenne, trasandato e malmesso, pancia da bevitore di birra, barba lunga, capelli arruffati, alto centosettanta centimetri, vestito male, atteggiamento untuoso, anche se non era sporco. Indossava un paio di jeans, un maglioncino color vinaccia e un giubbotto di pelle.
Lo psicologo, seduto alla sua scrivania, l’invitò a sedersi dall’altro lato, dove c’erano due sedie, una delle due già occupata da un nero alto almeno centonovanta centimetri, spalle larghe e indubbiamente bello ed elegante nel suo completo nero e camicia bianca.
Circospetto, Oscar, si accomodò sull’altra sedia. – Chi è questo? –
– Il mio autista e factotum – rispose Ferretti e si prese la parola prima che il tassista facesse altre domande.
– Vengo subito al punto – esordì Ferretti, – una mia cliente ha dichiarato che lei, una sera di marzo, un mese fa, l’ha violentata. –
Oscar scattò in piedi – che cazzo dici, stronzo. – Fece per andarsene.
Il nero, una frazione di secondo dopo, era anche lui in piedi, gli mise le mani sulle spalle e lo spinse a risedersi. Jim, questo il nome del nero, lo sovrastava e gli disse a voce bassa – il dottore non ha ancora finito, ascolta. Te ne potrai andare quando te lo dirà lui. –
Come se niente fosse il dottore premette un pulsante del registratore e gli fece risentire la registrazione. Nella registrazione non c’era niente che identificava la vittima, ma Sansone capì di chi si trattava, non se la poteva dimenticare, se l’era spassata alla grande con quella signora, si ricordava soprattutto le grandi tette e le cosce burrose. Della signora non sapeva neanche il nome e si ricordava vagamente dove stava, ma si ricordava che se l’era fottuta, con grande soddisfazione per più di un’ora.
In quel momento però non si poteva soffermare sui piacevoli trascorsi. Il tassista mentre ascoltava la registrazione rifletteva, ad un ritmo, fino a quel momento, a lui sconosciuto.
– Non l’ho violentata, la troia voleva scopare ed io l’ho accontentata, non avete nessuna prova. E lei non può neanche denunciarmi, fa questo cazzo di mestiere… psiologo…non può…, caso mai mi dovrebbe denunciare la signora. Ora me ne vado. –
– Non ci provare – sibilò Jim, – o ti gonfio. – Stavolta il nero era stato minaccioso, molto minaccioso e Sansone rimase seduto.
– Si dice psicologo – precisò il dottore. – Spiegherai la tua posizione al magistrato e mentre sarai agli arresti, magari verrà fuori qualche altra che ti denuncerà – precisò ancora il dottore. Fece una pausa, mentre Sansone provava a trovare una via d’uscita, poi continuò – certo, se ti denuncio violo il segreto professionale, ma la mia scusa ce l’ho, tu potresti reiterare il reato. Fare nuove violenze. – Il dottore non sapeva neanche lui se quella scusa avrebbe retto, stava bluffando, ma il tassista ne sapeva sicuramente meno di lui e aveva la coda di paglia.
Sansone si sentiva in trappola, era vero, negli anni precedenti aveva violentato altre due donne. Come aveva previsto, e come era successo anche con Magdalena Ortis, nessuna l’aveva denunciato. Ma chi poteva dire cosa sarebbe successo se una avesse iniziato a cantare? Se quella troia del mese scorso o il suo psicologo l’avessero denunciato, forse anche le altre due si sarebbero fatte vive. Era già capitato con altri stupratori, ne aveva sentito parlare anche in televisione, dopo la prima che trovava il coraggio per farlo se ne aggiungevano sempre altre. E se fossero saltate fuori l’avrebbero messo definitivamente nei guai, se non lo era già.
Poi capì che qualche carta da giocare ce l’aveva. Fece lo sbruffone. – E perché non mi ha denunciato invece di farmi venire qui? Cosa vuole? –
Ferretti sorrise, questa volta più apertamente. – Finalmente inizi a ragionare. Voglio quelle foto, sicuramente le hai nel cellulare, copiale su questa chiavetta e cancellale, immediatamente, poi te ne potrai andare. –
Sansone ubbidì, gli dispiaceva disfarsi di quelle foro che gli ricordavano quei bei momenti, ma se si trattava solo di quello… Nelle foto si vedeva la signora Ortis in tutte le posizioni più abiette, e si vedeva anche il tassista mentre se la spassava e, in diverse foto, mentre la picchiava per ottenere quello che voleva. Sansone si alzò per andarsene.
– Non hai avuto ancora il permesso – gli disse Jim.
Sansone scontento e frustrato si rimise ancora a sedere. Ferretti gli disse – in queste foto ci sei anche tu, quindi tu, d’ora in poi, farai quello che voglio. –
Il tassista covava la sua rabbia, ma si controllò. – Aveva detto che se le davo le foto era tutto a posto. –
– Ho detto che se mi davi le foto te ne potevi andare e mettiamo anche che non ti denunciavo, ma da te voglio che, quando ne avrò bisogno, tu sia a mia disposizione. Dovrai solo fare il tassista, ma per qualche lavoretto in cui servirà discrezione. Niente di più. In questi casi tu farai quello che ti verrà ordinato e ti pagheremo anche la corsa del taxi. –
– Ma questo – Sansone guardò Jim, – non è un autista? Perché avete bisogno di me? – Jim contraccambiò lo sguardo ed era gelido, letale. Il tassista certò di tenere un contegno, ma ne ebbe paura.
Ferretti gli rispose ragionevole. – Jim è il mio autista, ma fa anche molte altre cose, è molto indaffarato, quindi a volte ha bisogno di aiuto. –
Sansone abbozzò e se ne andò, stavolta nessuno lo fermò.
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