Il Re era stanco e infreddolito, la tempesta di neve si abbatteva senza tregua, da due giorni, su di lui e la sua piccola carovana. Non vedeva l’ora di ritornare a casa dalla sua cara moglie, oltre che dai suoi due viziati figli, ma anche quel giorno non ce l’avrebbe fatta. Sarebbe andata bene se prima del buio fosse giunto alla fattoria di Oleg.
Lui e i suoi due luogotenenti montavano dei cavalli possenti, alti e forti, non molto veloci, ma adatti per quelle latitudini. Altri quattro cavalli trainavano, stremati, un carro. Sopra il pianale c’era una grande gabbia in cui avevano stivato il frutto delle loro scorrerie. Un po’ di oggetti di valore, soprattutto oro e argento, e prima di tutto bestiame, otto femmine e due maschi. Il bestiame si era ammassato, un capo sull’altro, per difendersi dal gelo. Altri otto guerrieri seguivano il Re a piedi. Come stagione non era stata granché. C’era bisogno, ogni anno, di sostituire il quattro o cinque per cento del bestiame, quel bottino era di poco superiore all’uno per cento. Non era stata una buona annata.
Il Re aveva ormai quarantacinque anni, troppi per fare ancora quel lavoro faticoso e pericoloso. Dall’anno successivo, la spedizione sarebbe stata guidata da qualche altro, sua figlia o suo figlio, o da un valente guerriero, magari Helly, la comandante delle sue guardie.
Il Re si chiamava Ivan ed era enorme, alto centonovanta centimetri, spalle larghe, muscoloso, bicipiti fenomenali, un petto immenso, cosce impressionanti, capelli lunghi fino alle spalle, biondi e lisci. Occhi grigi e fronte alta. Aveva la barba lunga, non si radeva da alcuni mesi. Era immenso, forte, imponente. Ma lì, all’estremo nord, lo erano un po’ tutti e le donne non erano da meno. Una razza di uomini prestanti, temibili. Alcuni avevano i capelli neri, ma la maggior parte erano biondi.
Vivevano all’estremo nord del continente, in un pezzo di terra che, secoli dopo, sarebbe diventato l’incrocio di quattro nazioni: Finlandia, Russia, Svezia e Norvegia. Non appartenevano a nessuno dei tanti feudi che gravitavano attorno a quel territorio, erano totalmente sconosciuti e anonimi a qualsiasi autorità. Vivevano al di fuori di qualsiasi legge che non fosse quella della loro tribù. Una piccola tribù, vivevano isolati da tutto e tutti, un migliaio di persone, erano dei predoni, sconosciuti al mondo, così come il mondo era sconosciuto a loro. Nessuno sapeva da dove venivano, se ne accorgevano solo quando gli piombavano addosso e raramente lasciavano testimoni, solo qualcuno che riusciva a fuggire. Erano una leggenda diffusa nei villaggi e nelle cittadine del grande nord, se ne parlava, se ne trovava qualche traccia, ma nessuno sapeva veramente chi erano e soprattutto nessuno sapeva da dove venivano e dove scomparivano dopo che avevano depredato e distrutto tutto. Ogni tanto si formavano delle spedizioni con centinaia di volontari, ma dopo qualche settimana, al massimo un paio di mesi, tutti se ne tornavano a casa, semplicemente non si trovava nessuna traccia, i predoni sparivano nel nulla.
La tribù si era formata all’inizio del milleduecento, due secoli prima, erano dei perseguitati. La persecuzione era iniziata perché gli antenati di Ivan rifiutavano il progresso e volevano continuare a vivere come sempre avevano fatto, con il loro stile di vita e gli schiavi facevano parte di questo modo di vivere. Negli ultimi secoli la schiavitù era stata combattuta, in parte dalla chiesa ed in parte dai nuovi rapporti sociali, c’erano ancora degli schiavi, ma andavano a scomparire.
Loro erano irriducibili e questo gli aveva procurato molti nemici, la soluzione finale per loro era ormai prossima. Tutti e tutto erano contro di loro. Dovevano sopravvivere, quella era l’unica cosa importante, il resto non contava. Erano scappati al nord, avevano trovato un territorio, di molte migliaia di ettari, praticamente spopolato, all’interno di quel territorio avevano trovato un’area molto piccola, che era diventata il loro Posto Segreto. Un Posto Segreto, inaccessibile, un’area incredibilmente diversa da tutto quello che li circondava. Per otto generazioni erano andati avanti depredando nel raggio di alcune centinaia di chilometri e poi scomparendo nel nulla, nel loro Posto Segreto.
Si avventuravano fuori dal loro Posto solo per le loro scorrerie, per qualche perlustrazione e più spesso per cacciare. Nel loro Posto c’era poca selvaggina e solo di piccola taglia, se volevano mangiare carne toccava loro uscire fuori.
La famiglia di Oleg da secoli viveva nel mondo, sia pure ai margini, e li teneva al corrente di quello che succedeva. Era la loro base esterna, teneva loro i cavalli, forniva informazioni, in cambio riceveva una parte del bottino e protezione. I cavalli erano fondamentali, Oleg non ne poteva tenere tanti, al massimo una dozzina, ma potevano bastare. Dentro il Posto Segreto era impossibile portarli e non potevano tenerli nei pressi, avrebbero rilevato la loro presenza e quindi minacciato la loro sicurezza.
Sul cavallo di Ivan viaggiava anche una ragazza, una bella e bionda diciannovenne di nome Alika, una preda della scorreria, la migliore. L’aveva sistemata davanti a sé e la tratteneva con un braccio, non perché potesse scappare, ma per evitarle di cadere, era sfinita e ciondolava, ogni tanto il Re le dava un pizzicotto per risvegliare la sua attenzione. Erano molto intimi, ma a Ivan l’intimità, in quel momento, non interessava molto, aveva altro da pensare, doveva mettersi al sicuro e aveva freddo, la ragazza era rigida, un pezzo di ghiaccio, ogni tanto era attraversata da brividi incontrollabili, non solo per la temibile vicinanza del predatore. Era impaurita e tremante, per il freddo e la terribile sorte che l’attendeva. Alika stava zitta, superata la vergogna iniziale, se poteva, si accostava al petto del suo predatore in cerca di calore, il gelo era più forte del terrore e dell’imbarazzo. Ivan l’aveva presa quando tentava di scappare. L’assalto era avvenuto di notte e aveva colto Alika, come tutti gli altri, nel sonno, essenzialmente seminuda. Ivan l’aveva tenuta per sé, era il regalo che cercava per sua moglie. Metterla sotto la sua protezione era l’unico modo per evitare che i suoi uomini la violentassero e la sciupassero. Ogni tanto l’attirava a sé sotto il suo mantello di pelliccia e l’accarezzava distrattamente sul seno, in quel momento non aveva nessun interesse sessuale, cercava solo di rassicurarla e di trovare, anche lui, un po’ di calore. Quella spedizione aveva avuto molti incidenti di percorso, doveva essere già terminata da un mese, in quel momento dovevano già trovarsi nel loro splendido Posto Segreto, invece l’autunno era iniziato e non erano ancora a casa.
Arrivarono alla fattoria di Oleg prima che facesse buio, stanchi, bagnati e tremanti per il freddo. Ivan, per riprendersi, si chiuse, con la giovane schiava, nella piccola sauna di Oleg, i suoi uomini ricoverarono i cavalli nella stalla e portarono il carro dentro un altro capannone. Fecero scendere il nuovo bestiame dal carro e lo impastoiarono, accesero un fuoco per riscaldare ambiente e bestie, lasciarono lì due uomini di guardia ed entrarono nella casa di Oleg, dove trovarono una zuppa di legumi calda, verdure e carne da mangiare. Poi stesero le pellicce per terra e lì, nella grande cucina, si sdraiarono per dormire.
Ivan e la schiava, nel piccolo ambiente, erano avvolti dal vapore che le pietre calde sprigionavano sfrigolando quando Alika ci buttava sopra l’acqua. Ivan si era levato ogni indumento rimanendo nudo. Era impressionante. Alika no, si vergognava e si era rannicchiata in un angolo il più lontano possibile da lui, solo alcune decine di centimetri, più lontano non poteva andare.
– Spogliati! – le ordinò senza alzare la voce. Alika esitò, ma poi si spogliò, non era solo bella, era anche intelligente e aveva capito che quello era il suo nuovo Padrone, la sua riluttanza era istintiva, ma con la ragione sapeva già come sarebbe finita. Si doveva sposare, anche quello, sapeva, ormai era solo un sogno.
– Passami la spugna sulla schiena. – Alika imbarazzata iniziò a passargli la spugna sul corpo.
Aveva visto quanto era grande e grosso, mentre gli passava la spugna addosso sentì quanto era forte, la poteva spezzare in due solo con le mani. L’attirò a sé e se la mise sulle gambe. Alika si irrigidì, Ivan neanche ci fece caso. Erano entrambi caldi e sudati, il vapore li aveva ripuliti e illanguiditi, il corpo di Alika scivolò su quello del Re. La ragazza, fino a quel momento muta, disse solamente – piano, per favore Signore… sono vergine – Poi si fece fare e Ivan ci sapeva fare. A una prima occhiata l’aveva giudicata bella, ora che era pulita vide che era bellissima, morbida e sensuale, oltre che spaventata e impacciata. Alta, non come quelle della sua razza, ma alta. Cosce lunghe, seno delizioso, lui era abituato a seni enormi, ma quello di Alika era ben fatto, tenero e sostenuto, capelli biondi e corti, occhi blu. Sua moglie sarebbe stata felice del regalo, a lei piacevano quel tipo di ragazze. Intanto a lui toccava sverginarla e lo fece senza pensarci due volte.
Alika lo sentì entrare e vibrò per il breve dolore, muggì, poco dopo iniziò a miagolare. Il corpo della ragazza grondava sudore come quello di Ivan e scivolavano l’una sull’altro, l’uno dentro l’altra. Ivan la leccava sul seno e le succhiava i capezzoli, la ragazza si eccitava e non aveva più paura, pensava solo al suo piacere, era bagnata, per lei era tutto nuovo e piacevole. Era totalmente priva di esperienza, non aveva nessun termine di paragone, ma Ivan la stuprò con delicatezza e lei alla fine apprezzò, rassegnata. Non aveva il coraggio di aprire gli occhi e di guardare il suo stupratore. Ivan la lasciava in pace, si limitava a tenerla in equilibrio sul suo palo svettante, facendola andare su e giù. I tempi li dettava lui e Alika si faceva impalare limitandosi a mugolare. Era sempre impaurita, si interrogava sul suo futuro, ma in quel momento era meno spaventata di quanto lo fosse stata negli ultimi giorni. Aveva visto cosa avevano fatto alle altre e si riteneva fortunata. Dormirono al caldo ed in un letto, dopo molto tempo.
Gli uomini si svegliarono ben ristorati, pronti per andare a casa, non vedevano l’ora di compiere quegli ultimi venti chilometri e ritornare al loro Posto. D’inverno, nella neve, a piedi o sopra altri strani cavalli, ci avrebbero messo quasi una giornata, ma i guerrieri sapevano che ormai erano arrivati.
Regina, la giumenta di Ivan, iniziò a nitrire felice quando sentì il suo odore e poi lo vide apparire sul portone della stalla, lui la raggiunse nel suo stallo e prese ad accarezzarla felice quanto lei di rivederla. L’accarezzò sulle mammelle immense, sulle cosce possenti, sulla fica gonfia e umida, le diede un bacetto sulle labbra. La giumenta si strofinò contenta sul corpo del Padrone, aveva voglia di quelle carezze, si eccitò e si bagnò, erano due mesi che non vedeva il suo Padrone. Da quando lui l’aveva lasciata nella stalla di Oleg e se ne era andato in giro a depredare villaggi e fattorie. In quel periodo Regina e le altre cavalle erano state trattate bene, tenute in allenamento e ben accudite. Nessuno della famiglia di Oleg avrebbe mai approfittato di lei, l’avrebbero pagata cara. Non era stato così per le altre puledre. I figli di Oleg avevano fruito dei servizi delle puledre e anche le ragazze si erano divertite. Ma nessuno aveva mai toccato Regina se non per accudirla. A lei ci pensava la moglie di Oleg. Era lei che la puliva, le spalmava le creme protettive e l’accarezzava bonariamente anche sulla vulva. La donna era rude e professionale, non indugiava sulle parti intime della giumenta, ma la curava bene, senza trascurare un centimetro di quel grande corpo. Non era voluto, ma qualche volta Regina era venuta sulla mano che la strofinava, provava una vergogna indicibile, ma non poteva farci niente. La moglie di Oleg sorrideva e arrossiva pure lei, ma capiva che era “umano”. Ci stava che la giumenta, da tempo lontana dal suo Padrone, si potesse eccitare, era bella e calda, poteva succedere, ma la volta dopo diventava ancora più rude e distante e la stessa Regina stava più attenta a non farsi trasportare dal desiderio, sperando che il Padrone ritornasse presto.
Sapeva che sarebbe ritornato, erano già tre anni che succedeva, Regina faceva infatti parte del bestiame razziato quattro anni prima e da allora era diventata la sua puledra e poi la sua giumenta. Quelle bestie venivano definite puledre fino a venticinque anni e dopo, diventando più mature, giumente.
Era una bestia speciale. Una bestia a due zampe come ce ne erano poche. Era alta centoottantacinque centimetri, sulle sue speciali calzature arrivava a due metri. Regina aveva due mammelle belle grandi, spalle larghe, petto forte, cosce robuste. Regina era potente e bella, capelli biondi, lunghi, lisci, raccolti in una treccia, occhi blu e un musetto delizioso. Il suo Padrone la chiamava Regina perché era la figlia di un re di un piccolo regno, rimasto vedovo. Regina, alla morte della madre, aveva iniziato a svolgere quelle funzioni a soli ventidue anni. Ora ne aveva ventisette. Ivan l’aveva rapita l’anno dopo. Aveva potuto mettere a ferro e fuoco il regno solo perché aveva approfittato del fatto che il re, in quel momento, era lontano con il grosso delle sue forze. Il re non si era dato pace e per mesi aveva cercato di scoprire dove fossero finiti i rapitori di sua figlia. Solo in pieno inverno si era rassegnato alla sparizione della figlia e aveva rinunciato alla ricerca. In quello stesso inverno morì di crepacuore e nessuno ricercò più Regina.
Ivan e Regina, a modo loro, si amavano. Il Re l’amava come si può amare l’animale preferito a cui era molto affezionato. Per Regina era un po’ differente, ormai si sentiva una giumenta, ma era stata ed ancora era una donna, il suo sentimento, verso il suo Padrone, era più profondo. Non era stato sempre così.
Mentre pensava agli avvenimenti di quattro anni prima Ivan cominciò a prepararla. Regina era nuda e magnifica, ma a lui piaceva soprattutto quando aveva addosso i suoi finimenti, allora gli appariva anche temibile e terrificante, oltre che bellissima. Per prima cosa la controllò centimetro per centimetro, non voleva che ci fosse neanche la più piccola ferita o piaga in quel corpo magnifico e potente, quindi le fece indossare i suoi strani stivali di cuoio. Avevano un ampio plateau, alto cinque centimetri, senza tacco, dal plateau la pianta si innalzava per dieci centimetri, la puledra era costretta ad avanzare sulla punta dei piedi. Per bilanciarsi, la puledra doveva protendere le natiche indietro ed il petto in avanti, mantenendo comunque il capo diritto. Era una posizione sublime, la schiena si inarcava deliziosamente. Ivan accarezzò Regina sulle natiche e la giumenta si eccitò, l’accarezzò tra le cosce, sulla e dentro la fica. Regina era bagnata, purtroppo sapeva che in quel momento lui non l’avrebbe presa, dovevano andare, ma si consolò pensando che per quasi tutto il giorno lui le sarebbe stato addosso e lei avrebbe goduto del suo contatto, oltre che dello sforzo di portarlo, quella fatica le dava un grande piacere. La giumenta, come tutte le altre, doveva muoversi e correre ogni giorno, altrimenti stava male. Regina era fortissima, i muscoli delle gambe in quegli anni si erano sviluppati immensamente e lo stesso quelli della schiena. Poteva reggere un peso quattro volte superiore a quello di quattro anni prima. Ivan pesava centoventi chili, ma per lei era come se ne pesasse trenta, era forte e riposata, non vedeva l’ora di mettersi in moto. Regina, con Ivan addosso, non era in grado di galoppare, ci sarebbe riuscita con un uomo o una donna che pesava sessanta o settanta chili, ma non con uno che pesava più di cento chili. Nonostante il peso di Ivan lei, e le altre puledre o giumente, sarebbe andata avanti per tutto il giorno senza grandi difficoltà.
Ivan le raccolse amorevolmente i lunghi capelli in una treccia e li legò con lacci di cuoio. Quindi le applicò sul capo la testiera, un insieme di strisce di cuoio ed il morso a cui legò le corte briglie. Le mise un reggiseno rafforzato, Regina aveva un seno enorme, bello e immenso, lui la baciò su quelle grandi tette che durante la marcia avrebbe più volte tastato e accarezzato per piacere, per trasmetterle calore, per farle capire che le voleva bene, che la desiderava. Il reggiseno, sosteneva le grandi mammelle di Regina e le teneva ferme, ma lasciava i capezzoli inanellati e le areole scoperte proprio per permettere al cavaliere di accedere senza problemi. Gli anelli ai capezzoli e nelle altre parti intime, come mezzi di costrizione, li avevano tutte le cavalle, ma Ivan come tali, con Regina, non li aveva mai usati. Sua figlia, che per diverse ragioni cavalcava la giumenta del padre, li aveva usati, con Regina, solo all’inizio dell’addestramento, poi, una volta che Regina si era fatta convincere che quello era il suo ruolo, non ce ne era stato più bisogno. Anzi, era controproducente.
Regina era quasi pronta, mancava l’armatura per sostenere la sella su cui Ivan si sarebbe accomodato. Due grosse cinghie piatte e larghe passarono sopra le spalle di regina e scesero davanti e di dietro verso un robusto e largo sottopancia stretto sopra i fianchi della giumenta. La schiena di Regina era inarcata, protesa in avanti, pronta. Ivan applicò e legò la sella sul sottopancia. Dalla sella scendevano le staffe che Ivan regolò per la sua altezza. Il Re mise un piede nella staffa destra e piroettò sopra l’immensa giumenta che piegò le ginocchia quando sentì che lui la montava e si riposizionò quando lui le fu addosso. Regina nitrì felice quando se lo sentì di sopra.
Mentre il Re sistemava Regina anche gli altri soldati stavano preparando allo stesso modo le loro cavalcature. Erano tutte femmine.
Alika aveva assistito al tutto, sconcertata e terrorizzata, senza parole. Lo stesso sentimento aveva avuto il resto del nuovo bestiame. Alcune di loro pregarono di non fare quella fine, anche se videro che quelle strane cavalcature non si ribellavano mai e che, anzi, erano compiaciute delle attenzioni che i guerrieri riservavano loro. Felici di essere cavalcate.
Un soldato aveva preparato una puledra anche per Alika. Timorosa, la ragazza montò a cavallo imitando il Re e i suoi guerrieri. Anche la sua puledra era altissima e Alika, trovandosi così in alto, ebbe una nuova paura, quella di cadere da quella altezza. – Stringi le cosce sulla bestia e stai dritta – le disse Ivan.
Il resto del nuovo bestiame fu spinto sulla pista a piedi. Ivan diede una leggera frustata sulle natiche di Regina, spinse i talloni nei suoi fianchi e la carovana si mise in moto.
Alika notò, nonostante la sorpresa l’avesse lasciata incapace di pensare, che le puledre non parlavano, né con i Padroni e tantomeno tra di loro, manifestavano le loro necessità in vari modi, essenzialmente con la postura o scalpicciando o scuotendo il capo, nitrivano anche, ma non parlavano. Alika non sapeva che l’uso della parola era stato eradicato dal loro modo di essere, un modo di essere che era stato loro inculcato a suon di frustate e di altre punizioni fin dall’inizio. Tanto inculcato che ormai era per loro inconcepibile e d’altra parte, per quello che erano diventate e che si sentivano di essere, era inutile.
All’inizio Regina si era ribellata, non ci voleva neanche credere che la stessero trasformando in una bestia, ci volle tempo per farle accettare la sua triste sorte, mesi di umiliazioni e punizioni.
Ruth, la vera regina, non nutriva gli stessi sentimenti del marito verso la sua puledra. La detestava, a cominciare dal nome che il marito le aveva imposto. Non le interessava se il marito si divertiva con schiave e giumente, ma lei era lì per ricordar loro cosa erano e più il Re ci teneva e più lei le umiliava.
Il Re era Re per nascita, figlio di una Regina per nascita, mentre Ruth era diventata Regina sposando Ivan.
In quella tribù diventava Re o Regina il primogenito della coppa reale a prescindere dal sesso. Infatti dopo Ivan sarebbe diventata Regina sua figlia, la principessa Freja. Ma per diventare Re o Regina bisognava essere sposati. Ivan aveva scelto come moglie, e quindi Regina, Ruth. Era una donna magnifica, di aspetto e portamento regale, costituivano una coppia superba e andavano anche d’accordo, Ivan non si era mai pentito di averla sposata, anche se tra loro non c’era mai stata una grande passione. Tanto che Ivan aveva finito per scopare più con le sue schiave che con sua moglie e, tra tutte, soprattutto con la sua schiava preferita: Ulla.
Ruth era una donna intelligente che aveva una grande influenza sul marito, a modo suo l’amava, ma lei amava soprattutto il potere. Per il sesso aveva le sue perversioni che riguardavano il bestiame e le donne. Non era gelosa, che suo marito scopasse pure con chi voleva, ma le schiave che si faceva dovevano essere sottomesse anche a lei, quello era un aspetto a cui guardava con grande attenzione e feroce depravazione. In quella perversione trovava il suo vero appagamento sessuale.
Fu per quello che condannò Regina. La vera Regina temeva che quella schiava le avrebbe creato problemi, che non sarebbe riuscita a controllarla fino in fondo. Fu così che la obbligò a diventare una puledra.
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