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Trio

Il fine giustifica i mezzi.

By 9 Gennaio 2024One Comment

Mi chiamo Lucrezia ed ho 20 anni. Sono alta, snella, bionda, occhi azzurri, terza di seno e un bel culetto a compendio di un paio di cosce ben tornite. Ero praticamente in rotta di collisione con i miei genitori, che volevano che frequentassi l’università, ma il mio carattere, decisamente ribelle, mi aveva portato, dopo una furiosa litigata, ad andarmene di casa. Un trolly, con un po’ di biancheria, jeans e qualche maglietta, un paio di maglioni e quello che avevo nel mio salvadanaio. Volevo esser libera e indipendente ma, in effetti, non sapevo neanche da dove cominciare. Ho raggiunto una cara amica che viveva in un’altra città, dove si era iscritta all’università. Ho deciso che volevo trovare un lavoro, in fondo avevo un diploma di ragioneria, ottenuto con il massimo dei voti e, quindi, decisi che, prima di dar fondo ai miei 4000 euro di risparmi, avrei dovuto trovarmi un lavoro. Mi son subito messa alla ricerca di un’occupazione confacente agli studi fatti, ma sembrava che nessuno studio di ragioneria avesse bisogno di una nuova dipendente. Girando per la città, mi son resa conto che dovevo esser indipendente in tutto e, avendo notato che c’erano parecchi cartelli “affittasi”, soprattutto su delle porte a livello strada, chiamo un paio di numeri e trovo quasi subito una specie di monolocale a 100 euro al mese, ovviamente a nero, niente contratto, affitto anticipato ogni mese, ma mi sta bene lo stesso. Mi costava poco e così avrei avuto un letto ed una cucina, qualche sedia, un tavolo ed un frigorifero. Lo metto in ordine, pulisco tutto e lo rendo igienicamente accettabile. Dovevo però sempre trovare un lavoro, di qualsiasi tipo. Giro a vuoto tutto il giorno. Niente da fare. A sera, seduta su uno sgabello in un bar, per cena mi concedo un cappuccino. Sono demoralizzata e, ad un tratto, vedo che una delle bariste saluta un signore appena entrato, parlano fra di loro ed il tizio si volta verso di me e mi guarda con attenzione. Mi si avvicina e, dopo essersi presentato, mi fa qualche domanda.
«Ho appena appreso che lei sta cercando lavoro: cosa sa fare? Che studi ha fatto?»
Lo guardo e gli dico che ho il diploma di ragioniera e che, in ogni caso, accetto tutto ciò che mi viene proposto. Lui ci pensa un po’ e poi mi dà un indirizzo, dicendomi di presentarmi il giorno dopo, che ne parlerà con il suo socio, perché forse ha un lavoro adatto a me. Il giorno successivo, mi trucco, mi vesto con cura e mi presento all’indirizzo lasciatomi da Gennaro, il tizio entrato nel bar.
Quando entro, trovo una signora anziana che mi dice che, in quel momento, sono tutti assenti per motivi personali, però prende il mio numero di telefono. La guardo sconsolata e ipotizzo che sarà un altro buco nell’acqua. Invece la sera, sul tardi, il mio telefono squilla: è Gennaro e mi dice che, se voglio e sono disponibile, posso andar a fare un colloquio con lui e il suo socio. Fisso subito l’appuntamento. Mi presento all’appuntamento puntualissima. Voglio fare una buona impressione. Mi vesto in modo da valorizzare la mia figura: minigonna, una magliettina aderente e, guardandomi allo specchio, trovo che faccio la mia bella figura. Entro e trovo solo lui ed un altro signore, che sembra della sua stessa età, sulla cinquantina. Si presenta anche l’altro, dicendo di chiamarsi Giovanni. Chiedono di me e della mia storia. Mi ascoltano e poi Giovanni mi avanza la loro proposta.
«La signora che c’era ieri è in pensione e mia moglie sta male, per questo motivo ieri non c‘era nessuno. Qui c’è bisogno di una persona che abbia voglia di lavorare, senza guardar troppo l’orologio.»
Li guardo e mi rendo conto che devo giocare bene le mie carte. Loro restano un po’ in silenzio, in attesa delle mie parole.
«Ho bisogno di lavorare, davvero bisogno; gli orari non mi spaventano e, soprattutto, imparo in fretta. Se mi assumono, saprò e potrò dimostrare di esser un valido elemento.»
Si scambiano una occhiata e poi non mi danno subito una risposta; dicono che mi chiameranno. Così me ne vado, sempre più sfiduciata nell’animo. Giro un po’ per la città, senza una meta precisa. Poi me ne torno nel mio monolocale, faccio una doccia, indosso la mia solita t-shirt da uomo e, senza nient’altro addosso, mi siedo a mangiar qualcosa; è sera tardi, quasi le undici. Sono delusa, mi sembra che tutto vada male, quando, improvvisamente, il mio telefono squilla di nuovo. È Gennaro, uno dei due titolari incontrati quella mattina, e mi dice che sono appena usciti dall’ospedale, dove è ricoverata la moglie di Giovanni e che avrebbero raggiunto un accordo; avevano solo bisogno di definire con me qualche dettaglio, come la retribuzione ed altre cosette. Mi chiede se ero disponibile, a definire subito, in quanto erano in zona. Mi è sembrato un colpo di fortuna e li ho invitati a raggiungermi.
«Non vorremmo farla uscire da sola a quest’ora cosi tardi.»
«Nessun problema: vi do il mio indirizzo e vi aspetto.»
Feci un po’ d’ordine e m’infilai velocemente una gonna, la prima che trovai abbastanza decente. Arrivarono velocemente. Li feci entrare e ci sedemmo al tavolo, sulle uniche tre sedie che possedevo. Il loro discorso fu abbastanza conciso ed estremamente chiaro.
«Come le abbiamo accennato, ci servirebbe una persona che si faccia carico dell’ufficio e lo consideri come suo. La retribuzione sarà come da contratto nazionale e, in più, ci saranno dei bonus in base all’impegno che mostrerà di profondere. È chiaro che si dovrà instaurare un rapporto di estrema fiducia fra noi: dovrà esser un dare per avere e, quindi, io dovevo…»
Ho subito realizzato dove volevano andare a parare. Del resto non ero nuova a proposte di quel genere. Aggiungo che non ero vergine da tempo e che prendevo la pillola, perché il sesso fatto bene mi piaceva e, in fondo, questi due erano esteticamente due bei esemplari di maschi anche se un po’ maturi, ma sicuramente corretti e di un certo fascino. Mi sono alzata dalla sedia e li ho guardati, mentre mi sono avvicinata al letto. Loro mi hanno seguito e si son messi davanti a me, in attesa della mia prima mossa. Mi son lasciata scivolare la gonna ai piedi ed ho, poi, sbottonato la camicia; poi mi son seduta sul letto, aspettando. Ci misero un attimo a denudarsi. Avevano un bel corpo tonico ed asciutto. Mi sono ritrovata davanti alla faccia le loro verghe. Non erano ancora in piena erezione, ma erano di buone dimensioni, sia in lunghezza che in larghezza. Sarebbe stata una lunga notte. Non era la prima volta che facevo questo gioco a tre; mi era capitato solo un’altra volta, poco tempo prima. Ho allungato le mani e, impugnati i loro cazzi, ho cominciato a segarli, dando, di tanto in tanto, una leccatina ciascuno. Nonostante non fossero giovanissimi, raggiunsero presto la giusta consistenza. Mi son trovata davanti due belle verghe di tutto rispetto. Gennaro era dotato più in lunghezza, mentre Giovanni era sicuramente più grosso. Il sesso mi è sempre piaciuto, ma era la prima volta che lo facevo con due persone che potevano esser mio padre. Anche questo aspetto era per me eccitante: se fosse servito per ottenere un lavoro, tanto meglio. Ci eravamo distesi sul letto e loro due erano al mio fianco: ero certa che erano rimasti sorpresi dalla mia farfallina completamente rasata.
«Che splendida la tua patatina, completamente rasata!»
Gennaro mi baciò, accarezzandomi un seno ed infilandomi tutta la lingua in bocca. Giovanni mi allargò le cosce, scese giù e con le dita aprì le grandi labbra; cominciò a leccarmi. Ebbi un orgasmo improvviso e ne fummo tutti stupiti.
«Oddio, mi fai venire! Vengo!»
Gennaro mi tirò su di sé e, continuando a baciarmi, si prese in mano il pene e cominciò a strofinarne la punta sulla mia farfallina, fino a quando le mie grandi labbra si aprirono da sole, consentendogli di penetrare. L’ho sentito entrare molto lentamente, fino in fondo. mi ha aperto tutta e, nello stesso tempo, mi sentivo piena! Era una sensazione stupenda! Mi ha fatto mettere in verticale ed ho preso a cavalcare con quella verga che mi sfondava il ventre, da quanto lo sentivo in profondità! Giovanni continuava ad accarezzarmi il seno, le spalle, la schiena ed il culetto. Ad un certo punto ho sentito le sue dita allargarmi il buchino. Mi sono irrigidita. Ero consapevole che mi avrebbe fatto male. Lo sapevo, all’inizio sarebbe stato doloroso ma lui continuò ad infilare solo il dito. Mi ha dato tempo per abituarmi a quel tipo d’intrusione e, quando ha sentito che mi ero rilassata, le dita son diventate due. Mi stava allargando pian piano. Intanto ero già al secondo orgasmo. Gennaro sotto di me invece niente, continuava imperterrito ad assecondare il mio movimento, spingendo ogni tanto il bacino verso l’alto, per farmelo sentire meglio.
«Brava, puttanella! Godi, che ti facciamo impazzire!»
Giovanni intanto mi aveva lubrificato con della saliva il buchetto e poi, smise di usare le dita: sentii la punta del suo cazzo forzare il mio buchino, cominciando ad entrare un millimetro dopo l’altro, lentamente, ma inesorabilmente. Ho sentito i muscoli cedere ed il mio sfintere abituarsi pian piano all’intrusione. Mi son fermata per permettergli di entrare e sentir meno dolore. Finalmente arrivò in fondo, sentivo le sue palle contro il mio culetto. Cominciò a muoversi e Gennaro sotto di me lo imitò. Trovarono subito il giusto ritmo. Urlai, non tanto per il dolore, quanto per il piacere: ero al mio terzo orgasmo.
«Vengo! Cazzo, mi fate impazzire! Vengo!»
Loro mi sorrisero, compiaciuti.
«Certo che ti facciamo impazzire! Adesso ti sfondiamo ogni buco, puttanella!»
Mi pomparono per una buona mezz’ora, facendomi godere ancora altre due volte, poi il loro ritmo aumentò. Io godevo e mugolavo come una gatta e mi contorcevo per il piacere, con quei due pioli di carne dentro di me. Li ho esortati a godere dentro di me.
«Su, venite! Voglio godere della vostra broda dentro! Su, sborrate, vengo!»
Accelerarono il ritmo e poi mi inondarono ogni buco. Mi sono sentita completamente farcita del loro sperma caldo. Sfinita, mi sono sciolta dal loro abbraccio e li ho guardati: mi sorridevano compiaciuti. Sentivo colare il loro seme da ogni buco e poi mi alzai per andare in bagno a lavarmi.
Al mio ritorno, erano ancora sul letto.
«Non vorrai dirci che sei già stanca?»
Gli ho sorriso e me li sono presi di nuovo in bocca.
È stata una lunga notte, ma ho goduto moltissimo. Ho avuto il lavoro e, per anni, mi son fatta scopare da loro insieme, ma anche da qualche altro cliente maturo e porco.
Oggi lo studio è mio e non ho vergogna a dire che “il fine giustifica i mezzi”.

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