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(Ripropongo un mio racconto, pubblicato moltissimi anni fa e dove la vicenda sente ancora dell’uso della Lira e della scarsa tecnologia -rispetto ad oggi- dei mezzi di comunicazione e dei ritmi di vita. Buona (ri?)lettura)

Anni fa, io e la mia compagna ci siamo trovati in uno di quei momenti complicati della vita, dove i sacrifici aumentano e si cerca in ogni modo di tenere la… testa fuori dall’acqua.
Eravamo intorno ai trentacinque anni (io trentsei e lei trentaquattro) e ci eravamo messi a vivere insieme da quattro anni.
Con i miei turni in fabbrica ed il suo lavoro come impiegata in uno studio professionale, avevamo deciso che era meglio pagare una rata di mutuo anziché un affitto e perciò avevamo comprato un piccolo ma grazioso appartamento, adatto a noi due.
Dopo circa due anni, però, il nostro equilibrio economico venne messo in pericolo dal suo principale che, avendo fatto degli investimenti sbagliati, aveva deciso di chiudere l’attività; però, soddisfatto delle capacità di Angela, la prpoose ad un suo conoscente, sempre come segretaria.
Questi, una persona non gradevole e dai modi bruschi, alla fine propose ad Angela (prendere o lasciare!) un contratto part time con venti ore settimanali invece delle canoniche quaranta.
Ovviamente, risultava neoassunta e quindi anche il suo stipendio venne ridotto ancora di più e quindi diventò più complicato, per noi, far quadrare i conti.
Stringendo qui, rinunciando a quello, rarefacendo questo, potevamo farcela, ma capite bene che una riduzione del reddito non è mai una cosa piacevole, sopratutto quando non entrano decine di milioni al mese (stiamo parlando degli ultimi tempi di quando c’era la Lira, ovviamente!).
Angela si sentiva -in modo tipicamente femminile- in colpa per questa riduzione del nostro tenore di vita e discutemmo a lungo sul fatto che lei, dopo aver passato la mattina in ufficio, si trovasse un’altra attività, nel pomeriggio.
Un giorno, entrammo in un bar per prenderci una bibita ed incontrammo Antonio, un mio conoscente che non vedevo da diversi anni.
Feci le presentazioni tra lui ed Angela e vidi il tipico brillìo negli occhi dell’uomo per la mia graziosa compagna che, pur piccolina di statura, aveva tutte le cose giuste al posto giusto.
Poi partirono le rituali domande del “Come va? Cosa fai adesso?” eccetera.
Lui mi disse che si era finalmente divorziato, che aveva rilevato un cinema (che io conoscevo: era un cinema a luci rosse in una zona abbastanza popolare) e che le cose gli andavano abbastanza bene.
Mentre parlava lo osservai, distrattamente; all’epoca doveva avere sui cinquanta-cinquantacinque anni, non era mai stato un bell’uomo e tra l’età, il peso che aveva lasciato aumentare e quei capelli troppo neri che denunciavano un ostinato ricorso alle tinture, oltre ai tratti del volto abbastanza volgari, non doveva essere una persona in grado di fare strage di cuori femminili…
Poi ci chiese come ce la passassimo ed il mio «Mah, abbastanza bene…» venne scavalcato da Angela che subito gli raccontò delle sue traversie lavorative.
Lui meditò qualche istante, poi fece la proposta: «Beh, io sto cercando una cassiera per il cinema… quella che c’è, sta per andare in pensione… diciamo dalle quattordici a dopocena… ché tanto poi per la chiusura ci vengo io e la cassiera se ne può andare… Angela… sì insomma… (era snervante il suo parlare così, a frasi buttate lì ogni tanto!)… se vuoi provare… sai, finché non trovi di meglio…»
Nonostante io non fossi entusiasta (conoscevo il cinema e la gente che lo frequenta!), la mia compagna era entusiasta di questa possibilità e sprizzava gioia da tutti i pori, tanto che si alzò e stampò un bacione sulla guancia ispida e flaccida di Antonio.
Così l’uomo pagò le consumazioni e ci invitò a seguirlo nel suo cinema.
Pochi luoghi sono più spettrali di un cinema vuoto e ‘spento’: le luci accese mostrano impietosamente gli strappi e le bruciature delle poltroncine, le ‘strane’ macchie lucide e biancastre sul retro degli schienali e sui braccioli, i punti dove la pittura delle pareti comincia a sfogliarsi, i chewing gum incollati sulle poltroncine o sul pavimento di linoleum.
La platea era in condizioni appena accettabili, anche se i servizi erano appena stati rinnovati, mentre la galleria, con le sue dodici file digradanti di poltroncine in due blocchi, affiancate dalle tre scalinate, era in condizioni appena migliori; per accedere ai servizi qui, bisognava andare in cima alla galleria e poi varcare un pesante tendaggio e scendere una scala di una quindicina di gradini: le piccole incongruenze delle vecchie sale cinematografiche!
Comunque, la postazione della cassiera era -ovviamente!- nell’atrio, con un piccolo televisore «per la noia» -sorrise complice Antonio- ed era accettabilmente dignitoso, comodo e abbastanza riparato dagli spifferi della porta.
Antonio spiegò che semplicemente che Angela doveva stare lì a dare i biglietti per la platea o per la galleria e se che aveva… necessità, poteva -rapidamente!- raggiungere il bagno privato, una porticina chiusa a chiave nei bagni della platea.
Mi cadde l’occhio sui prezzi e sussultai: «Antò, perché chiedi ottomilalire per la platea e ben cinquanta per la galleria??»
Lui sorrise, sornione: «Perché ho deciso di riservare la galleria alle coppie… sai, così stanno un pò più tranquille…»
Ci accordammo, infine, per la retribuzione e rimanemmo d’accordo che Angela avrebbe cominciato il prossimo sabato.
Il sabato seguente, pranzammo presto e poi la salutai con un bacio per andare a fare il mio turno in fabbrica, mentre lei, che si era vestita con gonna e pullover sopra una camicetta, sarebbe uscita insieme a me per andare col suo scooter al cinema Gioiello, quello di Antonio.
Trovai cinque minuti, appena prima della pausa-pasto delle 19, per chiamare Angela che mi rassicurò che il lavoro era solo noioso, ma per nulla sgradevole e che ci saremmo rivisti a casa, al mio rientro.
Quando arrivai a casa, poco prima di mezzanotte, mi aspettava a letto, leggendo un libro e mi salutò con un bacio dolcissimo.
Mentre mi spogliavo e mi preparavo a raggiungerla sotto le lenzuola, mi raccontò divertita della sua giornata, delle facce degli spettatori, delle manovre dense di vergogna di molti di loro, che entrano col bavero rialzato e mettono lì i soldi senza osare di guardarla in faccia, afferrano il biglietto e si precipitano nell’oscurità rassicurante della sala.
Mi raccontò che erano arrivate anche due coppie e che Antonio le aveva detto di fare entrare le coppie col biglietto da ottomila, anche se andavano in galleria.
In galleria erano andati nove singoli; uno arrivato prima che arrivasse la prima coppia, altri sette poco dopo l’entrata delle due coppie, intervallate di un’oretta e l’ultimo appena prima dell’inizio dell’ultima proiezione.
Mentre ero accanto a lei e cominciavo ad esplorare il suo corpo con indiscrete carezze, mi raccontò, divertita ma con anche un brivido di eccitazione, che aveva visto uscire la prima coppia, lui a ridosso dei sessanta e lei poco oltre i quaranta; il marito cercava di darsi un contegno, ma la moglie (col rossetto quasi tolto, i capelli un po’ scarmigliati ed una ciocca che pendeva incollata con aria sospetta, il rimmel sbavato ad un occhio) inalberava -come una bandiera- un sorriso soddisfatto che le veniva dal profondo ed uscendo la salutò con una strizzata d’occhio.
Mentre raccontava, sentivo Angela bagnatissima ed anche le sue mani mi afferrarono il cazzo e le palle, accarezzando e massaggiando, mentre la mia erezione svettava al massimo.
«Cosa pensi, amore: la signora si sarà fatta toccare dai singoli, in galleria?»
Angela fece questa domanda, proprio mentre stavo pensando la stessa cosa, ma come certezza, non come domanda…
Ed ero anche pronto a scommettere che i singoli non si erano accontentati di toccarla: probabilmente avevano, come minimo!, rimediato un pompino…
Sull’onda di questa fantasia, facemmo l’amore con particolare furore; decisi di far scorrere i miei polpastrelli lungo la sua coscia fino alla fica, come fossi uno sconosciuto e lei divaricò il più possibile le gambe, per facilitare al massimo la mia risalita fino al suo frutto rorido di umori.
Come raggiunsi il mio obbiettivo, me ne impadronii e le allargai le tumide labbra vaginali, cominciando subito a fotterla con tre dita: era fradicia e dopo pochi colpi decisi di infilarle anche il mignolo, mentre le mettevo due dita dell’altra mano nel culo -stavolta sforzando un pochino…- e cercando di divaricarle per allargarla bene anche nel culo: ho un cazzo di accettabili dimensioni (non piccolo ma neanche spropositato) ed adoro sentire gli orifizi della mia donna belli comodi, che mi sfiorino appena il cazzo… come scopare una nuvola lussuriosa! Lei assecondò il mio progetto e rilassò al massimo i muscoli pelvici, godendo intanto come una pazza, mentre le succhiavo e mordicchiavo leggermente i capezzoli duri come chiodi.
Si contorse fino a raggiungere il cazzo, che cominciò a leccare, succhiare ed aspirare fino in gola, mentre le sue abili mani mi accarezzavano delicatamente i coglioni.
Dopo un po’ si divincolò, mi venne sopra e si impalò con la fica sul cazzo, passandomi i calcagni sotto le cosce e cominciando a fottermi a volte lentamente, altre con violenza.
Mentre le martoriavo dolcemente i seni con le mani, cominciai a parlarle (evento poco frequente, quando facciamo sesso): «Ti ha eccitato vedere la signora uscire dopo aver goduto tanto, stasera?» «Sììììì!!!»
«Sai, io credo che non l’abbiano toccata….» »ma è impooooossibile -disse sospirando di piacere- aveva gli occhi troppo brillanti…»
«L’avranno toccata solo per avvicinarsi… ma io penso che l’avranno afferrata per i capelli e l’avranno fatta piegare a succhiargli i cazzi…» «Ohhhhhhhh!!!!!!!! Ma…. tutti???»
«E certo! Mica vorrai che qualcuno sia stato solo a vedere, no?»
Lei venne travolta da un’onda di piacere e si fermò qualche istante a riprendere fiato; poi ricominciò la dolce danza sul mio cazzo e, quando il piacere non le sembrava troppo lontano, mi interrogò: «Ma tu pensi che lei li ha sbocchinati tutti?»
Risi: «Certo! Glie lo davano a turno in bocca, mentre gli altri la fottevano in fica e culo, davanti al marito che si segava!!!»
L’immagine mentale dell’orgia la travolse e lei esplose in un furioso orgasmo; si fermò, stremata, ma la feci scendere e la misi con un cuscino sotto la pancia, sempre accarezzandola per non farle lasciare lo stato di estasi, in modo che il suo culetto ben tornito fosse ben offerto e che potessi infilzarla anche lì.
Lei si agitava come un’anguilla, travolta dall’orgasmo prolungato ed io non resistetti più di pochi minuti, prima di scaricarle in culo la mia copiosa sborrata.
Ci addormentammo lì a poco, ancora impiastricciati dei nostri succhi, teneramente abbracciati.

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