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Racconti di DominazioneSensazioni

La dominazione è una forma di liberazione interiore e conoscenza di sé

By 8 Settembre 2024One Comment

“Si può sapere che problemi ha questo stronzo?” esclamò Sara tra i singhiozzi mentre le lacrime miste a mascara le rigavano le guance “ha visto due refusi nella lettera e si è messo a urlare, ha strappato tutto, l’ha appallottolata e me l’ha lanciata addosso! Misogino demente…” Camilla annuiva con aria seria e dispiaciuta, in silenzio “l’hai mai visto comportarsi così con Giorgio? Nicola? Gianlu? Questo studio è un inferno, lavoriamo dalla mattina alla sera, non ho tempo neanche di fare il bucato e questo pezzo di merda…” e giù una serie infinita di insulti.
In effetti, l’Avv. Valerio Caracciolo del Leone, avvocato tributarista della capitale, era noto tanto per la bravura quanto per la difficoltà nel contenersi una volta perse le staffe.
Sulla cinquantina, di una bellezza classica ma respingente, elegantissimo, passava la settimana segregato nel suo studio limitando al minimo il contatto con le persone (ivi inclusi i propri collaboratori) che per lo più lo ripugnavano; da trent’anni, alle 20:00 in punto si allenava per un’ora nella sala pesi della Virgin (una palestra, sosteneva, sufficientemente costosa da non poter mai essere affollata) e infine se ne tornava a palazzo dalla sua bella, magra e silenziosa moglie, mentre i bambini si accingevano a migrare verso il letto.

“A volte mi domando cosa trovi di gratificante nella vita” “Mia madre lo vede in chiesa tutte le domeniche” “ma poi qua, come diavolo ci siamo finite? Voglio dire: vi rendete conto che il diritto tributario è orribile?”
Le giovani praticanti parlottavano tra loro quando furono interrotte da Giorgio, il prediletto di Valerio “eh no, qui non posso darti ragione: il diritto tributario è meraviglioso, e conoscerlo al punto da averla vinta contro l’Agenzia delle Entrate è un piacere sublime. Con questo dovrei aver chiarito anche il primo dubbio”.
“Comunque è un pezzo di merda, odia le donne, è un moralista, un sociopatico. Se non fosse che le aziende hanno adottato quelle policy sul gender balance, non ci avrebbe neanche assunte.”
Camilla era arrivata da un paio di mesi e cautelativamente parlava poco e ascoltava molto, per studiarsi bene l’ambiente e quello strano Avvocato.
Che però- pensava tra sé e sé- sociopatico o meno, aveva un corpo piuttosto appetitoso: i bicipiti tendevano il popeline della camicia -nonostante fosse rigorosamente su misura- come anche i pettorali, i dorsali, mentre i pantaloni, sempre perfettamente stirati e della lunghezza perfetta, disegnavano quasi impercettibilmente le belle linee di glutei, bicipiti femorali e i quadricipiti.
La divertiva pensare che, al contrario, lui poteva considerarla una specie di cesso: infatti, nonostante Camilla fosse di una bellezza mediterranea fuori dal comune (lineamenti partenopei, lunghi e foltissimi capelli neri, altezza nella media, fisico a clessidra e forme generose, sedere pieno, alto e sodo, un seno così perfetto da non sembrare naturale, gambe dritte e toniche) se il tipo ideale di Valerio fosse stato effettivamente la propria moglie bionda, alta e magra, Valerio avrebbe dovuto considerare Camilla grassa e terrona.

Una volta a settimana Valerio era costretto a ricevere nella sua stanza uno dei praticanti per rivedere le bozze degli atti, con ciò assolveva l’obbligo propria coscienza che gli suggeriva che fosse forse opportuno insegnare qualcosa ai ragazzi oltre a spremerli ogni giorno come limoni in cambio di due spicci a fine mese.
Gli ultimi appuntamenti non erano andati particolarmente bene: Nicola se l’era cavata con un paio di imprecazioni; Daniela con la minaccia di essere buttata fuori dallo studio e un paio di insulti sessisti; con Lucia le urla avevano fatto tremare le vetrate e infine Sara, più o meno lo possiamo intuire.
Stava per toccare a Camilla, che dopo essere stata assunta lo salutava ogni mattina nonostante lui la ignorasse.
Anche questo fatto la divertiva: non era abituata ad essere ignorata; al contrario, le era già capitato cinque volte di essere causa indiretta di tamponamento tra veicoli.
Nonostante mantenesse un profilo basso sul lavoro, tutti gli avvocati e i praticanti dello studio erano infatuati di lei, anche i due soci di Valerio che di tanto in tanto azzardavano con lui qualche battutina (che Valerio non coglieva e tantomeno alimentava).
Ma poco prima che si vedessero in studio, accadde un episodio curioso.

Era un sabato pomeriggio e Camilla, quasi irriconoscibile rispetto ai casti abiti professionali che indossava per andare in studio, sedeva a un bar con un impeccabile smocky eye, un abito nero le strizzava la vita e le faceva quasi esplodere il seno, scoprendole delle splendide gambe accavallate e focalizzando l’attenzione sulla vera star di quell’outfit: delle magnifiche Louboutin tacco 100, stiletto.
Davanti a lei era seduto un ragazzo poco più grande di lei, con aria adorante.
Valerio stava passando fuori dal bar quando vide questa scena. Incuriosito, e sorpreso dalla propria curiosità, non poté fare a meno di assecondarla, e si mise a spiarli da un punto cieco rispetto a dove era seduta Camilla.
La coppia era seduta davanti a un drink, e conversava amabilmente quando all’improvviso Camilla gli mollò un ceffone. La cosa strana è che lui non reagì, anzi la guardava con gli occhi da cane bastonato, mugugnando qualcosa come “Scusate” (la cosa era sempre più strana, perché le stava dando del voi?”).
Poi lei fece cadere qualcosa dal tavolo, il ragazzo cercò di raccoglierla, ma lei gli calpestò le dita. La gente attorno guardava stupita, ma lei non se ne curava affatto.
“Ordinami un altro drink, questo fa schifo. Se anche il prossimo fa schifo peggio per te. Fai in modo che sia buono…”
Valerio era allibito, ma continuava ad assistere con la curiosità morbosa che provoca un incidente stradale o un fatto di cronaca nera.
Il ragazzo tornò con un drink che non aveva l’aria di essere troppo diverso dal primo, e infatti Camilla dopo un sorso lo afferrò per i folti capelli neri “mi stai prendendo in giro?! Certo che sei davvero un buono a nulla. Ma Non ti vergogni? Non meriti di essere seduto davanti a me… mi stai davvero annoiando” disse con aria minacciosa e glielo versò in faccia.
Mentre il poveretto si asciugava, lei si accese una sigaretta e gliela fumò in faccia.
“Questo è troppo” pensò Valerio indignato e perplesso, “per quale motivo quel ragazzo si fa trattare così?” cercando spiegazioni razionale a qualcosa che… di razionale aveva ben poco. Eppure, trovava qualcosa di stranamente gradevole in tutto ciò, ma non capiva proprio cosa.

Mercoledì alle 19 Camilla stampò 20 pagine di ricorso, chiuse la propria stanza e si diresse verso quella di Valerio, sotto agli occhi solidali dei propri colleghi che incrociavano le dita e la incoraggiavano.
Bussò, alla porta di Valerio.
Attese.
Niente.
Bussò di nuovo.
“ENTRA!” disse sgarbatamente Valerio, già irritato dal dover sostenere l’incontro.
La stanza si componeva di una libreria in mogano piena di volumi di diritto, una scrivania antica massiccia, la classica lampada Churchill che Camilla trovò davvero banale, due poltrone Chesterfield davanti a un tavolino di legno dello stesso stile della scrivania; l’aria era pulita (evidentemente un maniaco del controllo come lui faceva arieggiare spesso) e profumava di qualcosa che le ricordava il Vetiver, legno di cedro, tabacco e… gelsomino? Ciliegia? Era comunque un profumo straordinariamente gradevole.
Valerio era seduto con la mascella serrata e le sopracciglia aggrottate, le strappò dalle mani i fogli e si mise a leggerli.
“purtroppo devi venire vicino a me, se vogliamo ottimizzare questa mezz’ora”. La ragazza andò dietro la scrivania e prese posto accanto a quell’uomo insopportabile, ma sentì più distintamente il profumo.
Lui leggeva velocemente per porre fine all’agonia di avere un altro essere umano (per di più una donna, forse attraente!) nella sua stanza preziosa quando si soffermò su un punto “questo è sbagliato” disse solenne.
“no, Avvocato, è corretto. L’ho appena ricontrollato. Il riferimento normativo è aggiornato alla luce di…”
“COME TI PERMETTI DI CONTRADDIRMI”.
Camilla lo guardò calma, in silenzio. “TI SEI LAUREATA NELLA FACOLTA’ DI STOCAZZO E VIENI QUI A INSEGNARE A ME COME SI FA IL MESTIERE?!”. La sua ira si stava autoalimentando, iniziò a tirare in ballo elementi della carriera e della vita di Camilla che non c’entravano nulla con l’argomento che stavano trattando; diventò paonazzo si alzò in piedi continuando a urlare ma Camilla più che impaurita era divertita, perché le sembrava quasi un tenore nell’atto di tirare fuori tutta la voce che aveva per raggiungere le note più alte e sostenerle.
La scena andò avanti per cinque minuti, nei quali lui gridava e lei restava seduta composta senza fiatare e senza interferire, immaginando dietro di sé un plaudente pubblico in lacrime per l’esibizione del tenore.
Quando finalmente lui smise di urlare slacciò i primi due bottoni della camicia e prese a respirare, lei lo guardò negli occhi e gli disse: “Hai finito?”.
Gli stava dando del tu? Aveva capito bene? Ma ormai era troppo stanco e troppo sgomento per arrabbiarsi di nuovo.
“Anzitutto, avevo ragione io, quando ti sarai ripreso lo potrai constatare personalmente. Ma anche qualora avessi avuto torto, è un comportamento davvero disdicevole. Il tuo problema è che non te l’ha mai detto nessuno, vero?”
Valerio era sconvolto. Non sapeva cosa fare.
“Perché ora non ti siedi sulla poltrona?” Camilla si alzò, e lui, non sapendo cosa fare, fece quello che gli era stato suggerito.
“Dovresti capire cosa ti faccia scattare queste crisi di rabbia che, come dicevo, non sono normali e non ti fanno bene. Sei un uomo bello, elegante, di successo.”
Camminò dietro alla poltrona dove lui era seduto, e si chinò su di lui dicendogli all’orecchio: “Cosa capita nella tua vita per portarti a esplodere in questo modo? Che genere di frustrazione nascondi al mondo?”.
Valerio si sentì percorrere da un brivido di piacere e di terrore, percepiva l’alito caldo di Camilla sul collo, mentre lei gli parlava. Le sue labbra carnose, purpuree, erano a pochi millimetri dal suo viso…
Perché non si era accorto di lei per settimane e poi all’improvviso, la desiderava? Si sentiva impotente di fronte a questa orribile sensazione! Orribile! Per lui, che era un fervido credente, che non aveva mai tradito la moglie, che amava avere tutto sotto controllo… quella donna era una minaccia!
“facciamo così, adesso io me ne vado, tu controlli su Google e poi, una volta appreso che il riferimento normativo da me inserito era corretto, mi chiedi scusa. Però devono essere delle scuse sentite.
Ah, dimenticavo: hai ventiquattrore per scusarti. Hai tempo fino a domani alle 19:30”.
“A-a-altrimenti?” disse Valerio con voce tremolante.
“Altrimenti non mi vedi più. Ho ricevuto ieri un’offerta da un altro studio, mi pagano meglio e la Socia sembra pure sana di mente.”
Questa risposta lo colpì come una frustata: appurato che poteva essere una minaccia, non sarebbe stato meglio farla andare via? Perché allora l’idea gli provocava un dispiacere acuto?
Camilla continuò a parlargli all’orecchio, inalando il profumo di lui che col sudore si era fatto ancora più gradevole ed intenso.
“Pensaci bene, Valerio, a ciò che vuoi. A ciò di cui hai bisogno.”
Girò i tacchi e uscì dalla stanza.

Valerio rimase attonito per dieci minuti, come sotto shock, sopraffatto da una battaglia interiore tra la voce che gli suggeriva di vendicarsi, quella che gli ricordava le incombenze imminenti, quella che gli ripeteva di essere superiore, ignorarla e farla dimettere.
Impotente, disgustato, ne stava individuando anche un’altra, flebile tra le altre ma presente, e inesorabile: quella che gli dava strani brividi di piacere e di paura, quella che gli consigliava di assecondare la ragazza.
Poi cercò di portare a termine la giornata, alle 20:00 come ogni giorno si recò in palestra ma si allenò con tale intensità da farsi male al deltoide destro anteriore; a casa mangiò qualcosa che conteneva proteine animali senza sentirne il sapore e annuì distrattamente alla moglie che dal divano, in completo da casa Ralph Lauren scorreva l’iPad e lo informava delle attività dei ragazzi e di aver rinnovato per entrambi l’iscrizione al Club.
Dopo cena si chiuse nello studio al piano superiore a lavorare, illudendosi di mettere a tacere il frastuono interiore stancandosi all’inverosimile; tuttavia, a mezzanotte non aveva più niente da fare e neanche sonno.
Come ogni sera, si raccolse cinque minuti in preghiera, sotto al crocifisso di legno della nonna Contessa, poi provò a infilarsi nell’enorme letto foderato in squisito cotone egiziano dove la moglie dormiva già da un po’, ma i pensieri continuavano a tormentarlo.
Disperato, raggiunse il bagno, e si versò sulla lingua alcune gocce di Lexotan.
Tornò a letto, sperando che le benzodiazepine facessero effetto: a quel punto, si concesse un breve dialogo interiore, che si concluse con la definitiva, irrevocabile, categorica e soprattutto SAGGIA decisione di non fare assolutamente niente, ignorare Camilla, non chiederle scusa, non interagire mai più con lei e attendere le sue dimissioni.
A quel punto, convinto di aver risolto il problema, si addormentò e dormì profondamente fino alle 7:00 quando, come ogni mattina, fu svegliato dal rituale bacio sulla fronte della moglie che aveva terminato la prima sessione di pilates e preparato la colazione per la famiglia.
Decise di andare in studio in anticipo per non incontrare nessuno – tantomeno la ragazza- e si chiuse nella sua stanza fino a sera, e gli sembrò sorprendentemente semplice porre in essere la propria decisione. Eppure di tanto in tanto qualcosa lo spingeva a guardare l’orologio, e da un lato era felice che il tempo passasse velocemente, dall’altro sentiva come una spada di Damocle pendergli sulla capigliatura folta leggermente brizzolata.
L’orologio a pendolo suonò sette rintocchi, e ognuno di essi era per Valerio un pugno nello stomaco. Iniziò a camminare nervosamente per tutto il perimetro della stanza, stringendo i pugni e digrignando i denti, infilandosi a più riprese la mano destra tra i capelli per tirarseli indietro, e ogni volta che lo faceva la spalla gli faceva male, ricordandogli l’infortunio in palestra del giorno prima.
19.15…. 19.20… ora sentiva come assordante il suono delle lancette, ogni secondo lo torturava. Non avrebbe mai più visto quella donna, ma qualcosa nel profondo gli diceva che stava facendo un errore, che quella persona aveva un senso per lui che ancora non era riuscito a cogliere, e che non sarebbe più capitato, che certi incontri capitano una volta nella vita.
E le labbra vicine al suo collo, il giorno prima… chiuse gli occhi, cercando di rievocare quella sensazione di labbra giovani, carnose, l’alito leggero, caldo sul collo e la voce assertiva all’orecchio… assaporò intensamente quel fresco ricordo, e d’un tratto guardò l’orologio segnare le 19.28.
Corse al telefono col cuore in gola, chiamò la stanza di Camilla.
Primo squillo.
Secondo squillo.
Terzo squillo.
Quarto squillo.
Nessuna risposta.
19.29
Lo pervase una disperazione cieca, si portò le mani sul volto e fece l’unica cosa sensata in quel momento: provò ad andare nella sua stanza.
La disperazione cedette subitamente il passo all’umiliazione quando, entrato nella stanza di Camilla, la trovò tranquillamente seduta alla scrivania.
“Buonasera Avvocato. Cosa posso fare per Lei?”
Valerio la guardò con aria interrogativa, indicando il telefono “ma tu…”
“Io cosa?”
“Lasciamo perdere. Sono venuto a dirti che avevi ragione tu. Scusami”.
Camilla si alzò dalla scrivania e si posizionò a due centimetri dal viso di Valerio, guardandolo con aria severa.
“Ho ragione io su cosa?! Cerca di argomentare, e di essere convincente”.
Valerio deglutì esterrefatto.
“Avevi ragione sul riferimento normativo”
“E…? sto per perdere la pazienza. Mi stai facendo anche perdere tempo.
Guarda, se preferisci, ti rendo il lavoro più semplice. Siediti.”.
Valerio la guardò interdetto.
“HO DETTO SIEDITI, ORA.”
Lui eseguì l’ordine. Camilla restò in piedi, dietro di lui.
“Così non mi devi guardare in faccia mentre ti scusi. Meglio, no?”.
Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e disse: “Avevi ragione tu su tutto, sul riferimento normativo, sui miei modi, su tutto, va bene adesso? Ti prego di accettare le mie scuse, e di restare con noi.”
Silenzio.
Al silenzio di Camilla, Valerio diventava nervoso e pertanto aggiunse con tono concitato: “Poi parleremo anche dell’offerta economica e regoleremo ogni aspetto, ma anzitutto, accetta le mie CA… le mie scuse.”
Camilla era dietro di lui. Si chinò come il giorno prima per parlargli all’orecchio, e rispose: “Certo, accetto le scuse, ma tu non ti sai proprio controllare.”
Lo afferrò per i capelli, tirando forte.
Valerio era sconvolto, ma come paralizzato.
Lei terminò la frase: “Abbiamo un lungo lavoro da fare qui…”.
Lo lasciò. Lentamente, tornò davanti a lui.
Valerio non osava guardarla, lei gli prese il mento tra le dita e gli alzò il viso.
“Ora guardami negli occhi, e ascoltami bene”.
Stordito, la guardò e gli sembrò di non avere mai visto una donna più bella in vita sua.
“Adesso ascoltami bene.
Mi farai avere accesso alla tua agenda.
Mi darai una copia della chiave dello studio.
Il tuo numero di telefono personale, ovviamente.
Ogni giorno alle 21 devi scrivermi su Whatsapp un breve resoconto delle emozioni più violente che provi nel corso della giornata. Sensi di colpa, rabbia, frustrazione, desiderio sessuale, tristezza, gioia.
Fammi un cenno con la testa se hai capito.”
Valerio annuì.
“ah, un’ultima cosa: scenate come quella di ieri saranno severamente punite.
E adesso vattene.”.

Valerio aveva dimenticato di acquistare il suo amato burro di arachidi e pertanto, il giorno seguente, approfittò della pausa pranzo per fare rifornimento.
Al Conad di Villa Borghese, vicino allo studio, vide Camilla al reparto frutta. Non sapeva bene come comportarsi, ma nel dubbio, fingendo di dover prendere anche lui della frutta, afferrò una confezione di pesche a caso e si avvicinò per salutarla.
“Le pesche non sono di stagione. Prendi l’uva.”
Valerio, che non aveva intenzione di mangiare né le pesche, né l’uva, ripose le pesche e prese dell’uva.
“Non questa, prendi l’uva fragola. Ha un sapore dolce, delizioso… Stasera, alle 21, mentre mi scrivi, devi mangiarne sei chicchi.”
“O-ok”.
Alle 21 Camilla stava guardando La Casa di Carta su Netflix, mentre Valerio si sentiva stupido come mai nella sua vita e allo stesso tempo gli sembrava di non avere altra scelta: staccava sei chicchi di uva fragola e li assaporava pensando a una giovane, bellissima ragazza che per qualche strano motivo si permetteva di dargli ordini.
Una notifica illuminò lo schermo dell’iphone di Camilla.
1 messaggio da Valerio: “Frustrazione, umiliazione, stupore, desiderio”.
Valerio masticò l’ultimo chicco per vedersi mettere la reazione col pollice in su al suo messaggio.
Alle 23 era a letto: quella notte dormì come quando aveva cinque anni.

Per i tre giorni successivi, Valerio se la cavò con il suo messaggio delle 21 e qualche piccolo ordine qua e là tipo: “mi piace la tua voce. Mandami un messaggio vocale mentre leggi queste righe…”; “manda un’auto a prendermi che ho perso il tram”; “Mandami una foto mentre sei in palestra”; “fai cambiare alla signora delle pulizie il sapone per le mani in bagno che fa schifo, voglio quello all’Argan.”; “oggi indossa la cravatta grigia, sta bene coi tuoi occhi.”
Ma giovedì aveva l’incontro con Lucia per fare il punto sulle pratiche che lei stava seguendo.
Camilla si concesse di ammonirlo in anticipo “fai molta attenzione a come ti comporti oggi”.
Valerio era molto nervoso quel giorno, e ignorò il messaggio.
“LUCIA, DAI VELOCE MUOVITI” le urlò dalla sua stanza tirandosi indietro i capelli, con espressione dura in viso.
La ragazza corse verso di lui sui tacchi stringendo a sé un mucchio di fascicoli “sì Avvocato arrivo, mi scusi”, e si chiuse la porta dietro la schiena.
Dopo dieci minuti si sentì dal corridoio un urlo “NO, CAZZO NO NO NO!!! QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE!? NON SI PUO’ ANDARE AVANTI COSI’, COSA TI VIENE IN MENTE!!!”
Camilla sentì.
Si alzò e uscì dalla sua stanza.
Attraversò a falcate il corridoio ed entrò senza bussare nello studio di Valerio che stava dando un pugno al fascicolo di Lucia mandando per aria tutti i fogli.
Lucia era in lacrime quando vide Camilla marciare verso Valerio, fermarsi davanti a lui e guardarlo con lo sguardo più atroce che si fosse mai visto: uno sguardo penetrante come una lama, che infliggeva un profondo disprezzo in chi lo riceveva.
Valerio tremava di rabbia di terrore, si portò indietro i capelli con la mano, e subì il rinnovato dolore alla spalla.
Camilla lo guardò, come a maledirlo, per due interminabili minuti.
I tre erano in silenzio, l’atmosfera in quella stanza era pregna di una tensione insostenibile.
Poi, di colpo, Camilla si girò e uscì dalla stanza.
Mezz’ora dopo, Lucia la raggiunse con aria divertita “Cami, non so cosa tu abbia fatto ma l’Avvocato ha cambiato completamente atteggiamento! Non solo si è scusato, ma mi ha anche detto che crede in me, mi ha fatto dei complimenti mai sentiti prima…”.
Camilla sorrise, sorniona.
Poco dopo le arrivò un lunghissimo messaggio di Valerio che tentava di arrancare scuse, razionalizzare l’accaduto, ridimensionare il potere di Camilla… insomma, un messaggio che a lei non piacque affatto.
Ignorandolo completamente, Camilla gli scrisse: “ti riconosco l’attenuante di aver cambiato atteggiamento dopo il mio intervento, ma capisci che ciò che hai fatto è un gravissimo errore, che richiede una punizione molto severa. Ci vediamo sabato alle 17 in studio”.

Alle 16:50 di sabato, Valerio sedeva alla propria scrivania attraversato da un vasto spettro di stati d’animo che andavano dall’indignazione all’autocommiserazione alla paura, al desiderio.
Alle 17:05 Camilla non era ancora arrivata, e così Valerio iniziò a sentirsi sollevato pensando che fosse libero di tornarsene a casa.
Improvvisamente sentì la porta d’ingresso aprirsi, e l’eco del rumore dei tacchi di Camilla che risuonava nelle ampie stanze dello studio deserto.
“METTITI DAVANTI ALLA SCRIVANIA, IN PIEDI. SCHIENA RIVOLTA VERSO LA PORTA. NON MI GUARDARE.”
Sentì dal corridoio.
Non aveva tempo per pensare, quindi eseguì l’ordine.
Subito sentì entrare Camilla con passo deciso; sentiva dei movimenti dietro di sé, l’armadio accanto la porta aprirsi e richiudersi, ma non capiva cosa stesse facendo né come fosse vestita.
“Giovedì hai contravvenuto a un mio ordine, mi sembrava di averti fatto capire chiaramente che il registro qui deve cambiare. Non sei più autorizzato a dare di matto. Tu non hai più una volontà autonoma e devi attenerti a quello che ti ordino io. Ti troverai bene, vedrai…”
“mi disp…”
Sentì Camilla afferrargli i capelli, con una presa forte da fargli male.
“COME OSI INTERROMPERMI!!!”
Lo lasciò, sbuffando.
“Sei una delusione continua, ma sapevo che all’inizio sarebbe stata dura con te. Per questo è necessario correre subito ai rimedi. Anzitutto, quando siamo soli, parli solo se sei autorizzato da me. Non ti è mai consentito interrompermi. Mi devi dare del Voi, e devi chiamarmi Mia Signora e Padrona. Hai capito?”
“S-s-sì”
“SI COSA?” Lo afferrò di nuovo per i capelli, con più violenza.
“Sì, mia Signora e Padrona!”
“Adesso puoi guardarmi.”
Camilla lo lasciò, sbuffando con disapprovazione. A quel punto gli camminò davanti e Valerio constatò che Camilla indossava le stesse Louboutin che le aveva visto addosso in quel bar del centro, delle calze trasparenti con una riga nera posteriore, una minigonna nera stretta, a vita alta che esaltava i glutei tondi e sodi e la vita stretta, e una camicia bianca.
Rispetto al look acqua e sapone di tutti i giorni, il viso era valorizzato da un trucco sfumato nude ad eccezione delle labbra cremisi.
Nella penombra di quella stanza destinata a non ospitare persone di sabato pomeriggio, appariva di una bellezza mozzafiato.
La scia di profumo che la seguiva gli sembrò molto simile a Black Opium di Yves Saint Laurent chissà, forse era proprio quel profumo oppure uno simile (interrogandosi su questo particolare si sorprese di quanto poco conoscesse quella ragazza).
“Sai, purtroppo non riuscirò a punirti come vorrei; devo tenere in considerazione il fatto che per te è la prima volta e non ci sei abituato. Quindi ho deciso che la punizione sarà ripartita nel tempo. Ci vedremo una volta ogni tre giorni, per dieci volte. Durante la settimana, accadrà alle 13:30, quando tutti sono via; ad ogni modo la tua stanza è insonorizzata e ti puoi chiudere a chiave e pertanto, anche qualora ci fosse Chiara in giro a sistemare le sale, non sentirà nulla. L’unico che sentirà tutto sarai solo tu. Vedrai come ti farò pentire del tuo comportamento da pazzo.
Ora, ti starai chiedendo cosa io intenda esattamente fare, corretto? Parla.”
“Sì mia Signora e Padrona, me lo sto chiedendo.”
Camilla andò a parlargli all’orecchio, e Valerio assaporò ogni sua parola con un brivido di piacere e di terrore.
“Adesso te lo spiego bene. Concentrati: dovrai slacciarti la cintura, lentamente. Successivamente passerai ai pantaloni. Te li farai scendere giù fino alle caviglie, non è necessario che tu li tolga, va bene abbassarli.”
Valerio deglutì, imbarazzato.
“Poi farai la stessa cosa coi boxer, sempre molto lentamente. Immagina di essere una puttana che si deve spogliare per un cliente… sei la mia puttana oggi pomeriggio” e scoppiò in una fragorosa risata.
Valerio arrossì, e pregò in cuor suo che la punizione si limitasse a quella specie forma di voyeurismo da parte di Camilla, finalizzata forse a metterlo in ridicolo.
“Poi metterai le mani bene aperte sulla scrivania e ti chinerai sulla scrivania offrendomi la vista del tuo bel culo… ovviamente a gambe divaricate.”
Camilla camminò verso l’armadio, lo aprì, lo richiuse, e si posizionò davanti a Valerio con in mano… uno strumento di tortura?! Cos’era quello?! Non sapeva neanche come si chiamasse, lo aveva visto solo in qualche film in bianco e nero, una specie di bacchetta di legno lunga che usavano i maestri per fare indicare i numeri alla lavagna…
Oddio, non aveva mica intenzione di colpirlo con quel coso?!
Iniziò ad agitarsi, valutò seriamente di andarsene ma era come se fosse inchiodato al pavimento.
Camilla glielo portò sotto agli occhi, tenendolo per le estremità.

“Si chiama cane, canna, è di rattan, flessibile ma resistente allo stesso tempo…” e tenendolo da un lato, se lo faceva rimbalzare sul palmo dell’altra mano.
“… e sarà il tuo migliore amico per la punizione stabilita. Ti colpirò con intensità crescente, oggi purtroppo solo cinque volte.”
Valerio sbarrò gli occhi, iniziò a sudare.
“sai, in alcuni paesi del sudest asiatico viene usato come punizione per molti reati, ma soltanto per un massimo di ventiquattro colpi. Pertanto, aumenteremo ogni volta, ma l’ultimo appuntamento ne prenderai solo ventiquattro. Sei contento? Puoi rispondere sinceramente.” chiese Camilla con un sorriso malvagio.
“Non sono contento mia Signora e Padrona.”
“e perché mai? Dovresti essere felice del fatto che dedico il mio sabato pomeriggio a correggere te anziché vedere le mie amiche, passare la giornata in una spa o nel mio letto, con un bel ragazzo tra le cosce. Non trovi?”

Questo modo di parlare feriva Valerio più di ogni altra cosa, e si vergognava della gelosia che provava verso Camilla. Come? Un bel ragazzo tra le cosce? Si sentiva umiliato, ferito, impotente.
“Percepisco distintamente la tua riluttanza: è difficile per un uomo abituato ad avere tutto sotto controllo slacciarsi i pantaloni, denudarsi fino alle caviglie e farsi fustigare da una ragazza. Ti peserà ogni secondo di questa terribile e dolorosa umiliazione. Ma è necessario, è per il tuo bene, lo capisci?”
Lui sentiva il cuore battere sempre più forte, voleva andarsene ma sentiva di non avere scelta.
“Beh, ci siamo detti tutto, ora procedi pure. Non farmelo ripete due volte, altrimenti da cinque diventano dieci, hai capito?”
“Sì, mia Signora e Padrona”.
Iniziò a slacciarsi la cintura con lo sguardo rivolto verso il basso, ora la fronte era imperlata di sudore. Lentamente sbottonò i pantaloni e li fece cadere attorno alle caviglie.
Camilla ammirava quelle gambe meravigliose finalmente libere da tutta quella stoffa pregiata.
“Ora i boxer”.
Valerio infilò le dita sotto all’elastico dei boxer neri, e vinse l’esitazione pensando con terrore alla minaccia di Camilla di raddoppiare il numero di colpi.
Per vincere il terribile imbarazzo cercò di pensare di essere dal medico, che Camilla non fosse una bellissima ragazza che lo stava guardando ma un dottore abituato a vedere decine di corpi nudi ogni giorno.
Si liberò anche dei boxer.
Poi diligentemente appoggiò le mani sulla scrivania, piegò la schiena e divaricò le gambe.
Camilla era ammaliata dalla bellezza di Valerio, restò due minuti in silenzio studiando quelle gambe perfette, lunghe, muscolose, i glutei scolpiti da Policleto, la pelle leggermente olivastra coperta da una virile, ma non eccessiva, peluria nera: aveva voglia di toccarlo, di morderlo, baciarlo, farsi possedere da lui e godere.
Poi tornò alla realtà, e cercò di empatizzare con i suoi stati d’animo: doveva sentirsi profondamente umiliato, mezzo nudo con i pantaloni e le mutande abbassate in quel modo; ma sospettò che Valerio stesse ricorrendo a qualche mezzuccio per non prestare attenzione alla cosa, come se si stesse convincendo che non accadeva a lui ma a un’altra persona, o che stesse facendo qualcosa di diverso dall’essere lì in procinto di farsi frustare da una ragazza.
Si intenerì per un istante.
“Capisco che tu non voglia tutto questo, ma come ti ho già detto, è per il tuo bene. Concentrati ora, resta qui con me, sii presente a te stesso.”
Quel “resta qui con me” in effetti prestò a Valerio un po’ di coraggio, suonava come qualcosa di tenero e sentimentale…
Col volto paonazzo e la fronte sudata, i battiti accelerati e il respiro affannato, guardò Camilla slacciarsi lentamente i polsini della camicia e tirarsi i capelli all’indietro, legandoli in una coda con un elastico nero; imbracciò di nuovo il cane, e si posizionò dietro Valerio.
Non fece in tempo a sentire il fruscio del cane nell’aria che il rattan lo colpì violentemente a metà delle natiche, facendogli sfuggire un gemito.
“CONTALE”.
“Uno…”
Camilla vibrò il secondo colpo che, come promesso, era un po’ più forte del primo, ma in un punto diverso.
“Due!” Adesso l’umiliazione faceva spazio al dolore fisico.
“Sì, fa male, ma non è insostenibile” pensava tra sé e sé.
“AHHHH” il terzo si sovrappose parzialmente al primo, e lo fece gridare “TRE…AH…”
Valerio stringeva i denti; Camilla sentì i propri slip inumidirsi alla vista di quell’uomo stupendo e dolorante, era vero, avrebbe voluto picchiarlo molto più duramente ma doveva trattenersi, era solo la prima volta per Valerio.
Gli camminò davanti e gli disse, con un tono severo “Sei già a tre. Ne mancano due. Ti faranno molto male. Voglio che ti concentri e pensi che questo tipo di dolore è niente rispetto a quello che tu hai deliberatamente inflitto a tutte quelle persone, umiliandole, gridandogli addosso solo perché non sai gestire le tue emozioni.
Le persone non sono tutte uguali e c’è chi a causa tua si convince davvero di non valere niente. Quando fai così non sei un leader, sei solo un capo di merda. E adesso concentrati, pensa a quando hai alzato la voce con me, con Lucia… con Sara.”.
Fece una pausa e poi aggiunse: “Ah, già, dimenticavo: non devi assolutamente contrarre i muscoli. E’ molto peggio. Ti fai più male, e poi non mi piace colpire i muscoli tesi, non va bene, mi fai passare la voglia.
Poi succede che devo usare lo zenzero, e tu non vuoi essere penetrato con un pezzo di zenzero, vero? E’ davvero molto, molto doloroso, ma devo dire piuttosto efficace perché con quel coso piantato nel culo non puoi proprio contrarre i muscoli, sei troppo concentrato su quanto ti brucia lì.”
Mentre lui ascoltava inorridito, Camilla era mostruosamente eccitata; sperò ardentemente che Valerio- in una delle successive sessioni- le desse motivo di ricorrere a quella punizione deliziosa.
Il quarto colpo fu terribile, non ricordava di aver subito un dolore simile negli ultimi anni, urlò, muovendo il bacino avanti e indietro, e si toccò la pelle con le mani.
Camilla portò gli occhi al cielo e fece un giro della stanza, aspettando che il dolore acuto a poco a poco sfumasse, ma era sempre più bagnata.
Lui era sul punto di piangere, si sentiva sopraffatto dal dolore e da tutte quelle emozioni che non riusciva a distinguere.
Lei non voleva avere pietà di lui “come tu non ne hai avuta con noi, mi risulta. Adesso smettila, ricomponiti. Apri le gambe e vai giù con la schiena, già lo vedo: se fai così le prossime volte ti dovrò legare. Mio malgrado…”
“No, no ti prego basta, mi fa troppo male. Camilla ti giuro…”
“Faccio finta di non aver sentito solo perché per te è la prima volta, ma ti invito a fare molta attenzione alle parole che dici. Ora, giù la schiena e fuori il culo, muoviti.”
Valerio cercò di darsi coraggio con la frase che lei aveva detto prima “resta con me”, solo quello gli dava la forza di piegarsi di nuovo e accogliere l’ultimo terribile colpo.
Che vibrò, come un tuono, appena sopra al primo. Il più violento di tutti.
Valerio si portò le mani alla bocca per soffocare le urla mentre le lacrime ormai gli scorrevano sul viso.
Camilla cambiò completamente il tono di voce, era tenero e confidenziale.
“Ascoltami, non devi vergognarti di niente con me. Non vergognarti di piangere, ok?” Andò a sedersi sulla poltrona e gli disse “vieni qui”.
Lui si rannicchiò per terra, con il viso sulle ginocchia di lei, singhiozzandole sulle calze leggere mentre lei gli accarezzava i capelli.
Quando ebbe l’impressione che il pianto stesse per cessare, gli prese il viso tra le mani e con i pollici gli liberò le guance perfettamente rasate dalle lacrime.
Poi lo baciò con passione e tenerezza.
Quella sera Valerio era a casa da solo e non sentì dolore alle natiche, i punti colpiti erano solo leggermente indolenziti; di contro, nel profondo dell’anima percepiva un crescente senso di libertà e di gioia.

Die Zauberflote

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