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TRASGRESSIONE IN UFFICIO 4°- Sempre di più

By 28 Ottobre 2024No Comments

Se avete letto le puntate precedenti saprete già che mi chiamano Monica perché dicevano che ero la sosia di Monica Vitti.
A 19 anni sono stata assunta nell’ufficio di due grandi architetti milanesi, che non hanno tardato a chiavarmi e farsi sbocchinare sia da soli che in compagnia. Questa storia è assolutamente vera, voglio raccontarvela fino in fondo. E’ tutto vero, solo i nomi sono cambiati.

La mia giornata di lavoro in ufficio ormai seguiva questa routine: Al mattino alle 9.30 circa il signor Conte mi chiamava nel suo ufficio e mi diceva: “Succhiami l’uccello zoccola”.
Era già pronto seduto sulla sua poltrona con fuori il suo grosso cazzo duro. Io andavo dietro alla sua scrivania, mi inginocchiavo, lui mi tirava fuori le zinne e ci metteva l’uccello in mezzo. gli leccavo la cappella insalivandola per bene, lo facevo andare su e giù poi glielo prendevo in bocca e lo succhiavo finchè l’architetto cominciava a sussultare e mi sborrava un po’ sui capezzoli e un po’in bocca. Ingoiavo il seme poi lo ripulivo per bene con la lingua, mi riassettavo, lo salutavo dandogli sempre del lei, (questa cosa chissà perché lo eccitava) e me ne tornavo nel mio ufficio.

Nel primo pomeriggio il sig. Gianni (il socio giovane e carino) passava a salutarmi. Chiudeva la porta a chiave, mi toglieva le mutandine e le annusava con libidine mentre mi succhiava i capezzoli, poi mi faceva sdraiare sulla mia scrivania, io gli mettevo le gambe sulle spalle così la figa era ben spalancata e lui stando in piedi mi infilava tutto il cazzo in figa con un colpo solo, senza nessun preliminare e mi chiavava di brutto, ma la cosa mi faceva veramente godere, finché non mi eruttava sborra bollente sulla pancia. Lo strano era che quando scopavamo, se suonava il telefono, voleva che rispondessi e mentre parlavo con chiunque le sue bordate diventavano ancora più violente e veloci, ma io mantenevo il tono professionale, cercando di non ansimare, questo gli provocava una libidine pazzesca e lo faceva venire subito. Che gran porco!

Insomma ero diventata la loro puttana, è pur vero che mi avevano raddoppiato lo stipendio e ogni tanto mi davano qualche extra, questo di solito succedeva circa una volta a settimana, quando la sera dopo l’ora di chiusura mi facevano scendere in magazzino dove c’erano mucchi di tappeti persiani e sdraiata su questi mi chiavavano ripetutamente, uno dopo l’altro, poi mentre a uno succhiavo il cazzo, l’altro mi sfondava alla pecorina e finivano per sborrarmi in bocca e sulle tette o sul culo A volte mentre li spompinavo tutti e due contemporaneamente riuscivo anche a prendere le due cappelle in bocca e a farli venire insieme. Inutile dire che nel frattempo io godevo come una pazza, ingoiavo tutto lo sperma squirtavo e venivo almeno 3 o 4 volte.

A volte la sera uscivo con il mio ragazzo, Max, che si accontentava di un bel pompino con l’ingoio e mi leccava un po’ la passera che magari era ancora gonfia e arrossata dai cazzi che avevo preso nella giornata dai miei titolari.

Il problema era che con tutto questo via vai di uccelli, senza accorgermene ero diventata un po’ ninfomane, così se capitava qualche rara giornata in cui nessuno mi scopava, diventavo nervosa, anzi quasi isterica, ormai ero come una tossicodipendente da cazzo,
I pompini e le leccate di figa che consumavo nei week end col mio fidanzato, non mi soddisfacevano abbastanza ed aspettavo con ansia il lunedì per riprendere in ufficio la mia multi-orgasmica settimana lavorativa.

Ciò non significava che non lavorassi perdavvero, anzi lavoro ce n’era fin troppo; infatti, un lunedì mattina che i due titolari non c’erano, perché erano andati a Genova per comprarsi una favolosa barca, un cabinato a motore di 18 metri di cui parlerò più avanti. Arrivò un venditore della Olivetti da cui avevamo acquistato una nuova macchina da scrivere elettrica, (i computer non c’erano ancora, e questa era il massimo della tecnologia). Venne nel mio ufficio per installarla e mostrami come funzionava.

Io quella mattina ero particolarmente nervosa, (anzi meglio ero in crisi di astinenza da cazzo), infatti il mio “fidanzato” durante il week end non si era visto e quindi ero andata in bianco, perciò pregustando i cazzi dei miei architetti mi ero messa un completino sexy che mi aveva regalato il signor Gianni; era di pizzo rosso, il reggiseno sosteneva le tette lasciando però scoperti i capezzoli, il perizoma copriva a malapena la vagina e il reggicalze aggiungeva un tocco di erotismo, insomma era veramente una bella “mise da troia”, come avrebbe detto il signor Conte quando lo avrebbe visto.

Il ragazzo dell’Olivetti non era bello, però assomigliava a Peppino di Capri, riccio, nero e con dei grandi occhiali da miope. Si mise in piedi dietro di me e con la scusa di insegnarmi il funzionamento della macchina vidi che mi sbirciava le tette, la camicetta era un po’ sbottonata e lui dall’alto poteva vedermi i capezzoli, così il suo pacco incominciò a crescere, lo sentivo sulla schiena, la cosa mi eccitò subito, i miei architetti non sapevo quando sarebbero tornati, avevo bisogno di un cazzo e così mi voltai verso di lui, la mia testa era all’altezza del suo uccello e vedevo chiaramente che era diventato gonfio e duro.
Gli appoggiai una mano sulla patta e con tono severo gli dissi “Ma che cosa stà facendo?” lui rispose imbarazzato, “Ma niente perché?…” e io stringendogli il cazzo attraverso i calzoni “Come perché! E questo cos’è?” ma intanto mi scappava da ridere, così lui capì l’antifona, si abbassò la lampo tirò fuori il pene già scappellato e disse “Guardalo è una bella minchia”

A questo punto persi ogni ritegno e cominciai a ciucciarlo. L’uccello non era un gran che, diciamo un normodotato, ma un cazzo è sempre un cazzo, cosi lo feci sedere al mio posto, spostai di lato il perizoma, la mia fichetta era già sgocciolante (per me tre giorni senza scopate erano un vero supplizio), cosi lo montai a cavalcioni facendo sparire la sua minchia (era siciliano) dentro di me e cominciai a trottare, su e giù, a rotta di collo, intanto gli infilai una tetta in bocca (porto la quarta super) poveretto a momenti lo soffocavo, la chiavata durò un bel po’, io feci in tempo a venire due volte, per recuperare l’arretrato, quando mi sembrò che stesse per venire, onde evitare che mi sborrasse in figa, lo feci scivolare fuori e prendendoglielo in mano lo menai dolcemente strusciandolo contro i miei capezzoli che si erano induriti da far male e finalmente la sborra cominciò a spruzzare, feci in tempo a berne un po’ (mangiare lo sperma mi è sempre piaciuto) e mettendomi a posto la gonna che nel frattempo era risalita sulle mie cosce gli dissi: “Il signore è servito”.

CONTINUA

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