– Come diavolo si chiamava, il poeta che ha scritto “Pioggia nel Pineto?”- rimuginava l’uomo fra sé e sé nella vana ricerca di una risposta, ma questo non lo distoglieva dal cogliere i colori, apprezzare i profumi e le immagini specchiate sulle pozzanghere che imprigionavano, in basso, scampoli di cielo azzurro e di verdi fronde svettanti. Aveva l’attenzione scrupolosa di chi sa che sta per perdere tutto. La pineta prospiciente al mare aveva acquistato splendore e lucentezza dopo lo scroscio intenso di quel pomeriggio settembrino. L’uomo 65 anni, forse, discretamente portati procedeva agile ma con prudenza sul sentiero, dove gli aghi di pino resi scivolosi dalla pioggia costituivano un’insidia ai suoi passi come pure le radici affioranti che si allungavano serpeggianti sul terreno.
Raggi di sole, fasci luminosi che balenavano fra le fronde, sembravano farsi strada a fatica, ma rendevano l’atmosfera fiabesca. Le gocce di pioggia sui rami, attraversate dai raggi di luce brillavano come gemme. I profumi di resina, che esalavano dagli alberi e dal rado sottobosco, erano distillati ed esaltati dal recente acquazzone e come aroma di fondo si diffondeva l’odore salmastro di molecole vaporizzate dal sollevarsi e infrangersi delle onde.
I sentieri, nella pineta, erano quasi deserti fatta eccezione di qualche solitario runner o ciclista. I villeggianti erano scappati, spaventati dalla pioggia.
Lei pedalando rilassata, in direzione opposta alla sua, lo vide e lo riconobbe. Vinse l’istinto di passare oltre e, spinta da una forza misteriosa, si fermò e prese a guardarlo. Era stata in terapia presso quell’uomo due anni fa. Aveva interrotto ogni frequentazione quando aveva scorto in lui il manifestarsi di una passione nei suoi confronti: una passione senile, data la differenza di età, che lei aveva colto solo dai suoi sguardi, intuito da rare, sfuggite parole. Il medico era stato sempre formalmente inappuntabile cercando, per quanto poteva, di occultare i suoi sentimenti e aveva approvato in tutto la scelta della ragazza, quando lei aveva interrotto la loro frequentazione, comprendendo, rassegnato, le ragioni e il suo non essere più adeguato al ruolo che avrebbe dovuto ricoprire. Non poteva però negare quel fuoco che era divampato, violento e inaspettato, irrazionale, sconvolgendo e squassando la sua vita sentimentale ormai fatta di scontatezza e freddezza. Non aveva mai più cercato comunque Ludovica, correttamente.
La giovane donna, facendosi forza, lo salutò.
– Buongiorno dottore, come va?
Lui sollevò gli occhi da terra con uno sguardo che le apparve senza luce, perso nel vuoto.
– Sono Ludovica, rammenta? – lo incalzò.
Nella mente dell’uomo era in corso da tempo un trasloco: venivano impacchettati i suoi ricordi, dai più recenti a quelli più antichi, nell’ordine, e portati via per sempre. I labirinti della sua mente si stavano svuotando ed erano ormai abitati sempre più frequentemente da sogni, fantasmatiche visioni e fra poco avrebbe regnato la desolazione. L’evento terminale e inesorabile sarebbe stato il default delle ultime attività neurali che gli consentivano almeno di badare a se stesso, lasciando completamente disattivata la sua mente razionale.
Decadimento cognitivo si chiama eufemisticamente, quello che tutti chiamano demenza.
L’uomo la fissò: il suo sguardo ancorché smarrito divenne più vivace.
Lei sentì una stretta al cuore, gli occhi le si velarono di lacrime.
– Perché piange? Che strano, io non ricordo più da quanto tempo non piango, non ne vedo la ragione. Piuttosto ho una sensazione ricorrente: galleggio su un mare che mi trasporta al largo con la sua corrente di risacca. So che affogherò – ma son sicuro – senza dolore, dolcemente.- Le prese con tenerezza una mano e sembrò che un’energia nuova fluisse in lui, lo rinvigorisse. Il suo volto si illuminò, sorrise.
– Non so chi lei sia, ma ora che la vedo distintamente posso dirle che è una creatura stupenda, che il caso o chi per lui mi ha voluto regalare come fortuito incontro.
Lo sguardo limpido, dolce e profondo di un tempo si palesò d’incanto. Le sfiorò delicatamente il viso in un’accenno di carezza.
– Qual è il suo nome?
La voce le si strozzò in gola e ne uscì appena un sussurro:
– Ludovica.
– Ludovica, Ludovica, – ripeté lui come volesse assaporare la dolcezza di quel nome e provare a trattenerla. I suoi occhi sembrarono inseguire un’ombra sfuggente, inafferrabile. Poi si fece serio e le rivolse, asciuttamente, una frase:
– Quando non saprò ripetere neppure il mio nome, Ludovica, ricordati di me.
La luce dello sguardo, fugacemente come si era accesa, si spense. Lui sorrise educatamente, accennò ad un inchino galante e riprese la sua strada, gentiluomo solitario verso l’orlo del tempo.
Ludovica, in quel momento, considerò quell’amore, platonico peraltro, che aveva scaldato quell’antico cuore e si rammaricò di non averlo compreso.
La mente del dottore si stava, come spirali di fumo, dissolvendo nell’ombra e nel silenzio, trascinando a fondo nel mare scuro dell’oblio tutti i suoi affetti, pensieri, ricordi.
A Ludovica sovvenne quella frase iconica di un vecchio film:
“…E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.” Tutto perduto, così, così….- Pensò lei, con le spalle scosse dai singhiozzi., fissandolo mentre si allontanava fino a scomparire.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…