La supplente di matematica
Capitolo 12
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«Vuoi farla finita?»
Le parole che Nando sussurra mi fanno tornare alla realtà. Sbatto gli occhi, distogliendoli dal corpo della Nobili che, ormai, è diventato l’unico soggetto della mia mente. L’unico, oltre a trovare un modo per scoparmela. Guardo il mio compagno di banco, il quale mi fissa a sua volta, decisamente scocciato. «Cosa… cosa c’è?»
Lui indica la mia mano destra sul banco. Mi rendo conto che ho le dita semi-arcuate e che ho passato gli ultimi minuti tamburellando per la tensione.
«Scusami…»
Nando torna a concentrarsi sulla lezione. «Nemmeno fossimo agli esami. Certo che, con una simile, ci vorrei fare l’orale più che lo scritto». Sogghigna. «Magari poi l’orale lo fa pure lei a me».
Sandra, in piedi alla lavagna, intenta a tracciare triangoli e lettere incomprensibili, si volta verso di noi. «Avete finito di fare baccano, voi due?»
Sento una tensione tendere i miei muscoli, un senso di pericolo inondare le mie vene. Quella splendida donna, con la quale vorrei rotolare in un letto, il mio cazzo infilato in profondità in ogni suo buco, il mio sogno erotico, è al contempo la mia causa di malessere. Mi vengono in mente le scene dei film e dei videogiochi in cui il protagonista deve nascondersi da qualche nemico o mostro troppo potente per lui, e sono sicuro che anche lui provi lo stesso senso di terrore che sto sperimentando io.
Sento mozzarmi il fiato quando la Nobili lascia cadere il gessetto sulla cattedra e si avvicina a noi. Riempie l’aria del profumo di bouquet di fiori che in altri momenti troverei piacevole o anche stucchevole, ma in quel momento aggredisce la mia mente come il fetore che la ributtante creatura aliena deve lasciare dietro di sé mentre passa accanto ad Alex Sterling che si nasconde in un livello di Shadows of Andromeda.
Inghiotto qualcosa che ha la consistenza della gomma da masticare, la mia mente che sembra svuotarsi e il petto farsi di piombo.
Sandra si ferma davanti a noi, degnando Nando di appena uno sguardo e fissando me. Scuote la testa. «È la tua ultima occasione, Pierobon, e ancora non hai capito cosa devi fare? Sono molto delusa… Sono molto delusa da tutti e due», aggiunge, ma continua a tenere gli occhi fissi su di me.
«Io…», prova a dire Nando, imbarazzato quasi quanto me.
Lo sguardo della Nobili lo ammutolisce meglio di uno schiaffo.
Torna su di me. Se fossi in piedi, le gambe mi cederebbero.
«Pierobon, sono certo che avrai inteso che sono una donna», e un accenno di sorriso solleva un angolo della sua bocca voluttuosa, «e se non sei stupido avrai capito che cosa voglio…»
Farti sbattere fino a perdere la coscienza, urla qualche parte della mia mente, con il mio cazzo che sembra risvegliarsi improvvisamente dopo essersi nascosto come una tartaruga quando la donna si è voltata e avvicinata a noi. Dalla mia gola esce solo un filo di voce. «Rispetto».
La Nobili dischiude le labbra appena, come a voler controbattere, ma pare cambiare idea. Scuote la testa. «Credevo potessimo arrivare a qualcosa… e invece…»
Cosa sta succedendo? C’è… quello che dice e fa la donna non ha senso, io… cosa? Vorrei alzarmi in piedi e fiondarmi fuori dall’aula, per non farmi più vedere. É la situazione più imbarazzante…
…un’idea. Mi alzo in piedi. Deglutisco di nuovo qualcosa che sembra del cotone, la testa che mi gira come se soffrissi di vertigini. «Mi spiace, signora professoressa…»
Sentir uscire dalla mia stessa bocca quel titolo rivolto alla donna davanti a me, quando ho sempre usato termini che non ripeterei davanti a mia madre, mi suona strano. La Nobili pare a sua volta stupita.
«…per… per il mio comportamento irrispettoso. Mi… mi permetta di prenderle una tazza di caffè, come scusa».
La consapevolezza di essere in piedi nella classe, come un coglione, a fare il leccaculo di un insegnante, mi piomba addosso come un uccello da preda. Se la Nobili mi ha fatto fare figuracce, io sto raggiungendo un livello superiore da solo.
La donna sorride sorniona. «Cosa vuoi fare, Pierobon, lisciarmi il pelo?»
A quelle parole, l’immagine della mia lingua che le lecca la figa e una mia mano che le accarezza il ciuffo di peli appena sopra invade la mia mente. Mi è necessario uno sforzo per scacciarlo.
«Non… no». Anche perché, tanto ormai, per lei, devo passare per l’equivalente di Pierino nei film di Vitali…
La Nobili sembra contraria alla mia proposta, ma solo per un istante: la sua espressione di scherno si scioglie in un sorriso. «Va bene…»
Senza perdere un istante, afferro una manciata di monete che ho nella tasca della giacca e mi fiondo fuori dall’aula, sbattendo la porta.
Attraverso il corridoio e scendo le scale a due a due, una bidella mi fissa ma senza dire nulla. Quando la troia ci ha rimproverati, un pensiero è nato nella mia mente, la proposta di andarle a prendere il caffè è solo la metà. La metà che considero attuabile. “Legale” è la parola che più si adatta a quella metà. Soprattutto considerando com’è l’altro cinquanta percento.
L’atrio della N. Sandrini è vuoto, come al solito, e non c’è nessuno davanti alla macchinetta. Prendo dalla tasca le monete, sperando siano sufficienti. Che cazzo di figura di merda farei, se non bastassero per un caffè… Le conto: non riesco a raggiungere il prezzo esatto, ma non mi importa buttare via una decina di centesimi.
La macchinetta comincia a pisciare la miscela preferita dalla puttana nel bicchierino. Rifletto ancora sulla mia idea… è fattibile? Una parte della mia mente dice che è una cazzata, che devo essermi rincoglionito per fare qualcosa di simile: sarebbe come dare fuoco alla scuola o rubare una macchina e investire i passanti. Ma…
Un cinguettio elettronico esce dalla macchinetta, riportandomi con i piedi per terra. Sollevo lo sportello e afferro la tazzina bollente. Il liquido nero ha un paio di bollicine addossate alla plastica bianca, e mi fa tornare in mente la mia intenzione, di qualche giorno prima, di sputarci dentro.
Serro le labbra, come ad impedirmi di farlo davvero. Nonostante questo, il mio cuore prende a battere più forte, e il mio respiro a farsi più profondo. Provo ciò che quelli bravi a parlare definiscono “le viscere di gomma”.
Mi avvio per tornare all’aula, convinto di non portare a termine la mia idea. É una follia, è una vera cazzata. É…
E se poi, davvero, come sostiene Daniele, la Nobili rimarrà per sempre infissa nella mia memoria, se davvero non potrò più dimenticarla? No, è una stronzata, come può… Ma la Tadini io non riesco a togliermela dalla mente. Quante volte ho scopato Isabella e fatto l’amore con Francesca? Quante volte ho posseduto il corpo della mia ragazza diciottenne, bella e tutto, ma immaginando di fottere quello da dea strafiga della Tadini?
Inspiro a fondo, l’afrore della mia eccitazione che sovrasta l’aroma del caffè.
Fanculo, voglio fare l’amore con Isabella, non sognare quella troia di una Nobili!
A pochi metri dalle scale, mi guardo attorno, uno studente fuori dalla classe durante le ore di lezione con una tazzina di plastica con del caffè. Continua a non esserci nessuno. Le mie gambe, di loro volontà, mi spingono a sinistra, nel corridoio accanto alle scale: in pochi attimi divento uno studente fuori dalla classe durante le ore di lezione con una tazzina di plastica con del caffè che entra nei gabinetti.
La puzza di piscio, merda ed erba mi soffocano. Entro in uno dei gabinetti e chiudo la porta. Trattengo il fiato, ascoltando: sono solo, non ci sono rumori di qualcuno che usi i gabinetti o di videogiochi per il telefonino.
Seriamente, cosa porca puttana sto facendo?
Appoggio il bicchiere sul coperchio della tazza del cesso e mi sbottono i jeans. L’eccitazione mi sta opprimendo, ma con in mano il cazzo mi rendo che ha le dimensioni di un mignolo.
«Anche tu ti metti contro?»
Mi coglie un attacco di ansia, rendendomi conto che ho poco tempo. Davvero poco tempo. La troia deve aver capito quanto ci vuole a prendere un caffè e riportarglielo, con tutte le volte che l’ho fatto…
Tasto la tasca dei pantaloni e, con un sospiro di sollievo, trovo il cellulare. Lo prendo, accedo alla cartella delle immagini del mio cloud e trovo quella che mi serve: la foto di Francesca Tadini, nuda, modificata dall’intelligenza con la faccia della Nobili. La metto a pieno schermo e appoggio lo smartphone a destra della tazzina di caffè.
Sandra ammicca nella mia direzione seduta al tavolino di un bar, completamente nuda. I due grossi seni calamitano all’istante il mio sguardo, ma subito scivola in basso, lungo la pancia piatta, fino al basso ventre, dove, dalle gambe incrociate, compare un ciuffo castano…
“Cosa vuoi fare, Pierobon, lisciarmi il pelo?”
Il mio cazzo si ingrossa, pronto ad entrare in azione e soddisfare il profondo bisogno di scopare quel corpo stupendo e la vendetta. La mia mano inizia a muoversi lungo l’asta, il rumore della mia sega come l’unico nei gabinetti. Stringo i denti, ammirando quello spettacolo e immaginando la zoccola seduta davanti a me. Allungo la mano libera davanti al mio cazzo, come se stessi davvero tenendo ferma la testa della Nobili, le mie dita tra le sue ciocche castane.
Succhiamelo, puttana…
Il mio cazzo sprofonda tra le labbra di Sandra, la mia cappella che scivola sulla sua lingua; lei mugola qualcosa, scuotendo le spalle, le mani legate dietro la sua schiena.
Stai ferma, troia, e succhia!
Aumento la velocità con cui le scopo la bocca, il plop-plop-plop che risuona nei gabinetti. Chiudo gli occhi, alzo la testa, inspirando profondamente la puzza dei cessi che riempie le mie narici.
Ecco lo stimolo, le palle che si ritraggono. È qualcosa di squallido rispetto al piacere delle pompe che mi fa Isabella, o le seghe che mi sparo sulle foto della Tadini: sembra più quello che provo alla quarta sborrata quando scopo con la mia ragazza, ma senza il calore del suo corpo sudato e il suo ansimare.
Vengo, la bega che si prepara a sgorgare dal mio meato. Abbandono le mie fantasie, apro gli occhi. Afferro il bicchiere, il caffè che quasi straborda, lo porto accanto alle mie palle e abbasso il mio cazzo sopra il liquido nero ancora fumante. Mi lascio andare.
Uno schizzo, poi un altro e un altro ancora finiscono nel caffè, sciogliendosi. Qualche altra goccia cola nel bicchierino. Metto un dito nel liquido bollente e mescolo, controllando che la mia sborra si sia disciolta. Sollevo il bicchiere, assicurandomi che non ci siano peli o gocce biancastre. Niente, è pulito…
Appoggio la tazza sul serbatoio del cesso, accanto allo smartphone che mostra ancora la Sandra elaborata dalla IA, afferro i pantaloni che sono scesi e me li alzo. La mano destra è bagnata dalla mia sborra e la pulisco su una gamba, strisciandola un paio di volte, sperando che non resti la macchia.
Spengo lo schermo del telefonino, lo infilo in una tasca e riprendo la tazza del caffè. L’aroma del caffè è intenso, quasi sovrasta quello dei gabinetti… mi auguro che non prenda il sapore della mia sborra, ma nemmeno l’odore di piscio e cannabis che impregna questa fogna disgustosa.
Avrei dovuto spararmi una sega nel bagno dell’ambulatorio, coglione che non sono altro… Ma l’idea di tornarci lì, dopo quello che è successo ieri con Isabella, la sua sfuriata per averla coperta di bega… Un senso di disgusto mi stringe lo stomaco più di quanto possa fare l’aria viziata dei cessi.
I cardini stridono mentre apro la porta ed esco dal cesso. Tengo in mano la tazza in modo da nasconderla dietro di me, pronto a gettare il contenuto nel lavandino accanto alla porta, mi appoggio allo stipite e spingo abbastanza da aprirne solo uno spiraglio.
Niente bidelli o professori in vista.
Sguscio fuori dai gabinetti e faccio un profondo respiro: mi rendo conto che il mio cuore sta battendo come impazzito, mentre la mia mente, probabilmente snebbiata dalla calma che la sega mi ha infuso, inizia a comprendere cosa cazzo ho in mano.
Non importa, se l’è meritata. Abbasso lo sguardo sul caffè che sciaborda appena nella tazza di plastica. Controllo per l’ennesima volta che non ci siano striature bianche nel liquido nero: niente, il solito beverone nero e poco invitante. Sandra non avrebbe dovuto trattarmi in quel modo. E non avrebbe dovuto sedurmi… troia…
Arrivo in cima alle rampe di scale con il fiatone e le gambe che mi tremano come se avessi raggiunto a piedi la cima della montagna sopra Caregan. Deglutisco e mi passo la mano sopra sulla fronte, togliendo alcune gocce di sudore che stanno cominciando a prudere.
Appoggio la mano sulla maniglia della porta e sospiro, cercando di rallentare il mio cuore. Le mie interiora si mescolano. Mi sembra di puzzare di sudore e di gabinetto. E sborra… porca puttana, quanto puzzo di sborra! Un altro sospiro. Non importa, ormai: abbasso la maniglia e apro la porta.
Sandra volta il capo verso di me, le magnifiche labbra della bocca congelate in una parola che stava dicendo alla classe. Non riesco a decifrare il suo sguardo.
Questa troia mi guarda come se non sapesse se insultarmi di nuovo o cavalcarmi…
«Il suo caffè, professoressa». Appoggio la tazzina sulla cattedra. Il fiato mi si mozza quando noto una goccia bianca colare lungo il la- No, è solo un riflesso dei neon…
«Alla buon’ora, Pierobon». Sandra mi fissa in volto, prendendo la tazzina e avvicinandola alle labbra.
Stringo involontariamente le cosce, mentre sento il mio cazzo prudere a quella vista erotica… L’idea che, in più, quella troia stia per bere la mia-
La troia si ferma con la tazzina di plastica appoggiata alle labbra. Mi guarda. Sandra ha capito! Porca puttana, ha capito! Cosa…
«Sei rosso in viso, Pierobon». Allontana la tazzina, i suoi occhi si chiudono appena, come se stesse passando ai raggi x la mia anima. «Cos’hai fatto?»
Serro il buco del culo mentre le mie viscere perdono ogni controllo, il sudore sulla fronte diventa ancora più intenso, le mie ascelle puzzano. Ha sentito l’odore della mia sborra! «Sono… corso per le scale… C’era la fila alla macchinetta». Coglione! Scoprirà che non è vero che c’era gente a prendere il caffè, a quest’ora.
Sandra annuisce appena. I suoi occhi passano quasi impercettibilmente da scrutatori a sorridenti. «Bravo, Pierobon,» e appoggia la tazza alle labbra.
Deglutisco quando il primo sorso di caffè muove la sua gola, smetto di respirare quando il secondo lo segue. Sorsi lenti, come se stesse degustando quella bevanda corretta la prima volt-
Sandra allontana la tazzina ancora mezza piena dalla bocca e vi pone davanti l’altra mano. Colpi di tosse le squassano il grosso, magnifico seno. Le tette si muovono impazzite sotto il tailleur, una visione magnifica, qualcosa di incredibilmente eccitante. Non perdo un solo fremito di quelle bocce che ballavano, come se volessero ipnotizzarmi. Il mio cazzo sembra muoversi al loro ritmo…
«Scusate…» Sandra toglie la mano dalle labbra, la voce ancora strozzata, e poi svuota il caffè nella sua bocca. Fino all’ultima goccia.
Fino all’ultima goccia della mia sborra.
Appoggia la tazzina sul piano della scrivania. «Davvero ottimo», commenta, poi mi lanciò un’occhiata. Non c’era più il livore che ha sempre accompagnato ogni sua espressione nei miei confronti. «Grazie, Pierobon, ho davvero apprezzato. Adesso puoi tornare a sedere».
Sono ancora in piedi, me ne rendo conto solo in questo momento. Annuisco. «Prego… prego, signora professoressa». Torno al mio posto. Nando mi guarda incuriosito per il sorriso che ho stampato in faccia e che non riuscirò mai a togliermi.
Sandra si alza in piedi. «Bene, ragazzi. Qui finisce la mia supplenza: è stato bello conoscervi e…»
Mi appoggio allo schienale della sedia, soddisfatto. Mi gusto la soddisfazione della mia vendetta e l’erezione che sta crescendo nelle mie mutande al pensiero della mia sborra nello stomaco di Sandra, e come la stessa mi abbia ringraziato. Non è come si sarebbe aspettato Daniele, ma gliel’ho fatto bere davvero come mi aveva consigliato. Cancellerò la sua foto modificata e la dimenticherò per sempre. Tornerò a vivere il mio felice fidanzamento con Isabella.
Oggi pomeriggio me la scoperò senza immaginare al suo posto la troia.
Continua…
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Sono colpito: temevo non avrebbe avuto il coraggio di farlo, e invece…
Ma ho la netta sensazione che non sia ancora finita. Proprio no.
Intanto il mio racconto procede lento. Panne d’ispirazione. Sto cercado di elaborare qualcosa di nuovo.
Un punto di vista diverso, atipico
Ma ti aspettavi che sarebbe andata così, con il protagonista che “corregge” il caffè? Ho usato il tormentone di Sandra che manda Gabriele alla macchinetta perchè, quando succede, abbia un senso – anche di rivalsa del ragazzo verso l’insegnante – ma era troppo evidente che sarebbe successo questo?
Manca ancora un capitolo, pubblicato oggi (non guardare il numero dei capitoli, ho fatto un mezzo casino perchè questo doveva essere diviso in due parti ma l’ho unito per un motivo di maggiore drammaticità): se fino ad ora la storia aveva poco senso, con l’ultimo capitolo perde qualsiasi aderenza con la realtà.
Io, spinto da una specie di concorso che proponeva di scrivere un racconto erotico sull’estate dove celebrare l’amore, la passione e alti valori simili ho scritto un folk horror (sì, ho scoperto che esiste un genere simile) erotico (che di erotico ce n’è, in realtà, ben poco) che ho caricato ieri (ovviamente non ho presentato il racconto al concorso). Spero piaccia, anche solo per il tempo che ho passato per fare la grafica di contorno. Ovviamente, essendo un racconto estivo, è ambientato in montagna durante una grandinata.
Poi un mio amico ha sostenuto che non si possono scrivere racconti in prima persona plurale e allora ho scritto un racconto fantasy erotico in prima persona plurale (e sono giunto alla conclusione che aveva ragione lui). Il problema è che affronta un argomento che mi sta molto a cuore e questo mi ha spinto a non trattenermi affatto nelle scene di sesso (che hanno un valore più simbolico che pornografico) al punto tale che, quando ho chiesto a Grok di revisionarlo (cosa che ho fatto anche per l’horror, e qui non ha detto nulla contro la scena di sesso, anzi mi ha dato interessanti spunti), si è rifiutato di correggerlo per contenuti inadatti già alla sesta scena. E non aveva letto nemmeno l’ultima… Spero che, quando lo caricherò, non me lo blocchino.
Comunque, “La malga nella tempesta” e “Le spose di Krakh’thul” (sì, il nome della divinità l’ha inventato Copilot) sono autococlusive e spero piacciano, non solo a livello di erotismo.