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Il sole pomeridiano filtrava pigro tra le fronde dei pini, gettando ombre tremolanti sulla ghiaia del sentiero che portava all’ambulatorio. Sofia pedalava piano, il sellino un po’ scomodo contro i pantaloncini leggeri, cercando di non farsi notare troppo. I nonni dormivano sotto la veranda della tenda, abbracciati dal tepore e dal silenzio tipico delle prime ore pomeridiane al camping.

Erano passati quattro giorni. Quattro lunghi giorni di frutta, litri d’acqua, camomilla, e nulla. Solo quel fastidioso gonfiore, e quell’aria che le sfuggiva nei momenti peggiori, come durante un pomeriggio con le amiche o quando stava in fila per la doccia. Non ce la faceva più. Così aveva deciso: sarebbe andata all’ambulatorio. L’aveva visto mille volte, un piccolo bungalow verde con un’insegna sbiadita appesa al portico: “Servizio medico – orari 15:30 / 18:00”.
Scese dalla bici in silenzio, il cuore che le batteva un po’ più forte del normale. Bussò.
La porta si aprì quasi subito.
Un uomo sulla quarantina, abbronzato e dall’aria tranquilla, le fece un sorriso appena accennato. Indossava una camicia leggera di lino e pantaloni blu, niente camice. L’ambiente odorava di crema solare e disinfettante.
«Ciao. Prego, entra pure», disse con voce calma, squadrandola dalla testa ai piedi.
Sofia annuì, entrando nel piccolo studio. Le pareti erano bianche verniciate di recente, e un ventilatore a pale muoveva l’aria calda.

«Allora… dimmi pure. Cos’è che ti preoccupa?» le chiese il medico, sedendosi con naturalezza alla scrivania.
Lei si morse il labbro. «È un po’ imbarazzante…» iniziò, stringendo le mani sul grembo. Sentiva la pancia gonfia, il disagio salire. Ma ormai era lì.
Sofia si sistemò sulla sedia di fronte alla scrivania, le gambe chiuse nervosamente, lo sguardo basso.
«È da quattro giorni che… non riesco ad andare di corpo», disse a bassa voce, quasi sperando che il ventilatore coprisse le sue parole. «Ho provato a bere molta acqua, mangiare frutta, camminare… ma niente. E… ho spesso aria nella pancia. Mi dà fastidio anche solo stare vicino agli altri.»
Il medico annuì, senza interromperla. Le sue mani erano intrecciate davanti a sé sul tavolo, lo sguardo professionale ma gentile.
«Capisco. È abbastanza comune, soprattutto quando cambia l’alimentazione, l’ambiente, il ritmo sonno-veglia. I bagni pubblici, poi, non aiutano certo a rilassarsi. Ma direi che dopo quattro giorni è il momento di intervenire in modo un po’ più diretto.»

Il dottore le fece cenno con la mano verso il lettino, coperto dalla solita carta bianca che frusciava appena sotto il ventilatore.
«Se vuoi sdraiarti un momento, controllo l’addome. Solo per capire meglio dove si concentra il fastidio.»
Sofia esitò un istante, poi annuì. Si accomodò sul lettino tenendo le ciabatte ai piedi, sollevando lentamente la maglietta mentre lui si avvicinava. Il medico non poté fare a meno di notare quanto le ragazze di quell’età avevano quasi tutte un bel fisico, Sofia inclusa.
Non aveva certo un corpo statuario ma era ben fatta e ordinata, i capelli in ordine, mani e piedi ben curati pur essendo in campeggio.
Aveva scoperto il ventre sollevando il bordo della canottiera fino a sotto il reggiseno del costume, cercando di favorire il lavoro del medico. L’uomo invece le afferrò delicatamente anche l’elastico dei pantaloncini, abbassandoli per scoprire il più possibile l’addome. Si fermò proprio sopra al pube. Non c’era fretta nei suoi movimenti, solo una decisa professionalità che la faceva sentire in buone mani.
Sofia si irrigidì un po’ sentendosi così esposta, con l’elastico dei pantaloncini che lambiva il monte di venere. Il medico iniziò a palparla delicatamente. Le dita scorrevano ferme e sicure, premendo con progressione lungo i quadranti dell’addome. Ogni tanto le chiedeva se sentisse fastidio. Lei annuiva, specialmente nella parte inferiore.
«Un po’ gonfia e sensibile… sì, è normale dopo diversi giorni senza evacuare», mormorò lui, osservando le reazioni del suo corpo al tocco. «Il transito si è fermato del tutto, direi. Il gas che senti è solo un effetto secondario.»
Il suo tono era calmo, tecnico, ma mai freddo. Terminata l’esplorazione, si allontanò di qualche passo, sedendosi nuovamente alla scrivania.
«Puoi rivestirti e accomodarti alla scrivania», le disse con tono gentile. «Così ti spiego meglio.»
La carta sul lettino scricchiolò appena mentre Sofia si sollevava, sistemando la maglietta sul ventre scoperto.

Si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, incrociando le mani sulle ginocchia.
«Considerando quello che mi hai detto, e quello che ho sentito… credo che i rimedi naturali, per ora, non bastino più. L’unica soluzione efficace che vedo, oggi, è un microclisma.»
Sofia abbassò appena lo sguardo, annuendo lentamente. Era quello che temeva… o forse che sperava. Ma non immaginava che potesse essere lui a proporglielo direttamente.
«È un metodo rapido ed efficace. Una piccola soluzione rettale agisce localmente e in genere fa effetto in meno di mezz’ora. È sicura e non dolorosa, solo un po’ fastidiosa da applicare, ma ti libererai subito del problema.»
Un brivido freddo. Sgranò leggermente gli occhi. «Devo… farlo qui? Ma come funziona?»
Sapeva cosa fosse, non essendo nuova a questo tipo di problema ne ricevette uno un paio di anni prima dalla madre e si ricordava ancora della sensazione davvero poco gradevole e decisamente imbarazzante.
Il medico le sorrise, aprì il cassetto della scrivania, tirando fuori un blocchetto bianco.
«Tranquilla. Ti faccio la ricetta, acquistane uno in farmacia e usalo con calma quando ti senti pronta.»
Sofia si strinse nelle spalle. «Non saprei nemmeno dove andare, e poi… non mi va di farlo sapere ai miei nonni. Se mi vedessero con quella scatola in mano comincerebbero a farsi mille domande.»
Il medico annuì comprensivo. «Capisco. Guarda, io purtroppo non ne ho qui. Ti do le istruzioni e puoi usarlo nei bagni del camping o in tenda quando non ci sono i nonni, è una operazione molto rapida.»
La loro tenda era grande, Sofia ne aveva metà tutta per lei; quindi, non sarebbe stato un problema di privacy, ma i bagni erano lontani e non avrebbe di certo tenuto lo stimolo fino là!
Sofia esitò. Aveva la pelle d’oca, ma più per la tensione che per il caldo. L’idea di affrontarlo da sola la spaventava quanto quella di farsi aiutare. Ma la voglia di risolvere il problema era più forte.
In più quell’uomo sulla quarantina così gentile le trasmetteva molta sicurezza.
«Ok… ma sa, i bagni del campeggio, la privacy… se non è un disturbo, preferirei fosse lei ad aiutarmi.»
Disse quelle parole, quasi non capendo dove avesse trovato il coraggio per pronunciarle, ma l’idea di farsi da sola una peretta in un bagno pubblico era ben peggiore.
Il medico rimase in silenzio per qualche secondo. Non era una pausa distratta, ma carica di un pensiero improvviso che lo aveva sorpreso. La osservò con un’espressione quasi incredula Fare un clistere a una ragazza di 18 anni proprio ora? Ma era lei che gli aveva chiesto di procedere lì e senza esitazioni evidenti.
L’avrebbe accontentata.

Ormai il clistere era una pratica in disuso, ma fino a qualche anno fa era normale per una ragazza dell’età di Sofia ricevere trattamenti di quel tipo, soprattutto se si soffriva di intestino pigro.
«Devo essere onesto con te, Sofia… qui in ambulatorio non capita spesso di dover gestire questa cosa. È una pratica per certi aspetti delicata, non è una semplice fasciatura… vedo cosa posso trovare»
Si voltò verso l’armadietto vetrato, lo sguardo che perlustrava le mensole con attenzione. Bottigliette, buste sterili, guanti, garze. Tutto ordinato, ma niente che sembrasse rispondere esattamente a ciò che serviva, o meglio, quasi niente!
«Il microclisma standard, purtroppo, oggi non ce l’ho. Di solito li forniamo su richiesta e ho finito le scorte la settimana scorsa. Però…» fece una pausa, passandosi una mano sulla mascella pensierosa, «forse c’è un’alternativa. Un po’ diversa, questo sì, ma altrettanto sicura e forse più risolutiva.»
Si voltò verso di lei, il tono calmo ma più serio. «Ma prima di spiegarti, voglio sapere se sei davvero sicura di voler procedere qui. Se preferisci aspettare, o parlarne con qualcuno, è assolutamente legittimo.»
Sofia deglutì. Non era sicura di nulla, in realtà. Ma ciò che sapeva era che non voleva tornare alla tenda sentendosi ancora prigioniera del suo corpo.
«E… in cosa consiste questa alternativa.»

Il dottore fece un mezzo sorriso, un po’ teso, come chi sta ancora riflettendo su come affrontare la situazione.
«Te lo spiego subito. Solo… dammi un momento per preparare ciò che serve.»
E si voltò di nuovo verso l’armadietto, frugando tra le confezioni con un’attenzione diversa. Pensando a cosa sarebbe successo di lì a poco.
Il medico rimase un attimo immobile, le dita che sfioravano il bordo della sacca di fisiologica. Accanto, quasi nascosta tra scatole di garze e strumenti mai toccati, c’era una grossa siringa per instillazioni e, avvolto in una bustina sterile, un catetere flessibile. Non era un set preparato per un clistere… ma tecnicamente, lo poteva diventare.

Li tirò fuori con cautela, appoggiandoli sul ripiano di fianco all’armadietto. Li osservò per qualche secondo, poi inspirò lentamente.
La soluzione c’era. Era semplice, sicura, e anche più efficace di un microclisma. Ma sicuramente più invasiva per la diciottenne.
E ora toccava spiegare tutto a lei, una ragazza visibilmente a disagio, che già aveva superato un certo confine chiedendo aiuto. Si voltò verso di lei.

Sofia lo guardava in attesa, con un misto di tensione e curiosità negli occhi. Le mani strette tra le ginocchia nude, i piedi scalzi che si muovevano appena sulle ciabatte.
«Ho trovato una possibilità», disse con voce calma, scegliendo le parole come si sceglie una medicina precisa. «È una procedura che non faccio spesso, ma ho tutto il necessario qui. Tecnicamente è un clistere vero e proprio, non un microclisma. Si tratta di usare una sacca di soluzione fisiologica, un piccolo catetere e una siringa per regolare la quantità.»
Fece una pausa, lasciando che quelle parole si posassero come macigni.
«È una procedura più lunga e un po’ più invasiva, nel senso che richiede che tu sia sdraiata su un fianco per un po’, e che io ti inserisca questo piccolo tubicino nel sedere, per poi somministrare il liquido con questa siringa. Ovviamente useremo tutto sterile e con il massimo rispetto. Ma… è importante che tu sia davvero d’accordo. Nessuna pressione.»

Il silenzio calò nella stanza, rotto solo dal lieve ronzio del ventilatore. Lei non rispose subito, guardava solo quegli strumenti, e lui attendeva come se fosse pronto a iniziare.
Tutta la tensione si poteva notare sul volto della giovane ragazza.
Sofia si sentì attraversare da una sensazione difficile da definire. Era imbarazzo, certo. Ma anche un senso di fiducia strana, quasi spaesante.
Quel medico, con la sua voce calma e lo sguardo sempre attento, la faceva sentire in un modo diverso dal solito. Non c’era giudizio in lui, solo professionalità e determinazione. E così fu lei a rompere il ghiaccio.
«Va bene… lo facciamo», disse piano, senza guardarlo direttamente. «Cosa… devo fare?»
Il medico rimase per un attimo in silenzio, come se volesse essere certo di aver capito bene. Poi annuì con delicatezza.
«Dovrai togliere i vestiti dalla vita in giù e sdraiarti sul lettino su un fianco, appoggia pure i vestiti sulla sedia. Non cominceremo finché non sarai pronta. Ti lascio tutto il tempo che ti serve.»
Si voltò verso la porta. «Sarò fuori. Quando hai finito, basta che mi chiami.»
Sofia annuì senza parlare, lo stomaco chiuso in un nodo stretto. Quando lui uscì, la stanza sembrò diventare silenziosa in un altro modo. I rumori del camping, lontani e ovattati, sembravano parte di un altro mondo.
Si tolse le ciabatte rimanendo a piedi nudi. Mentre stava per abbandonare i pantaloncini, una parte di lei continuava a chiedersi se stesse facendo la cosa giusta. Ma un’altra, più profonda, sapeva che quella fiducia l’avrebbe aiutata a stare bene.
Tolse i pantaloncini rimanendo solo col bikini verde.
Esitò un istante poi con un gesto lento e imbarazzato tolse anche quello scoprendo quella parte di sé così intima. Aveva un culetto ben fatto, non troppo piccolo ma sodo, segnato dalla riga dell’abbronzatura.
Come tante sue coetanee si era depilata completamente prima di partire e adesso, passata quasi una settimana era apparsa un po’ di ricrescita, sperava che il dottore non l’avesse notata. Che imbarazzo!
Essere mezza nuda dentro quell’ambulatorio e pensare che di lì a poco quell’uomo l’avrebbe vista le generava una strana reazione che non si spiegava nemmeno lei.

Fuori dalla porta, il dottore si appoggiò al corrimano in legno della piccola veranda del bungalow. Le cicale cantavano senza sosta tra i pini, e da lontano arrivavano le voci indistinte dei bambini nella zona giochi. Ma lui non ascoltava davvero nulla.
Incrociò le braccia, fissando un punto indefinito tra gli alberi. Non era nuovo a richieste delicate — la medicina di base lo metteva spesso davanti a situazioni intime, vulnerabili — ma mai si sarebbe immaginato di dover fare un clistere improvvisato ad una diciottenne, così acqua e sapone, con un corpo minuto e ben proporzionato.
Questa situazione lo agitava parecchio. Perché sapeva bene quanto sia sottile il confine tra il gesto medico e lo spazio personale. Era un ruolo che andava maneggiato con lucidità. Quella giovane ragazza sarebbe stata tra qualche istante totalmente alla sua mercé.
Guardò la porta dell’ex bungalow all’interno del quale la ragazza si stava preparando. Prese il cartellino appeso alla porta e lo girò.

VISITA IN CORSO – NON DISTURBARE

L’aria nella stanza, tiepida, le accarezzava le gambe e il sedere mentre si sistemava lentamente sul lettino. Il cuore le batteva forte, in un modo che non sapeva se attribuire all’imbarazzo, alla tensione… o a quella strana sensazione che il dottore le aveva fatto nascere dentro. Non era paura. Era qualcosa di più difficile da nominare.
Si sdraiò sul fianco, come lui aveva detto, con le gambe leggermente piegate al petto, il suo morbido sedere rivolto proprio verso la porta, la sua intimità sarebbe stata inevitabilmente esposta.
Chiuse gli occhi un momento, ascoltando il ronzio costante del ventilatore sopra la testa. Respirò.
Quando si sentì pronta — o perlomeno, il più vicina possibile a quel concetto — chiamò il medico. Un richiamo, quasi un sussurro. E mentre sentiva la porta aprirsi, un pensiero fugace le attraversò la mente: non era più solo il mio disagio o vergogna, ora… sentiva qualcosa di molto simile all’eccitazione.

Il dottore aprì la porta con discrezione, richiudendola piano alle sue spalle per non interrompere la quiete della stanza. L’aria all’interno sembrava più ferma, la vide semi nuda, bellissima, quella posizione esaltava la forma del sedere di Sofia.
Il suo profilo era sinuoso, immobile, un oggetto del desiderio per qualsiasi uomo.
Lei non parlava, lo sguardo fisso al muro, ma tutto nel suo corpo comunicava un’emozione trattenuta: tensione, forse timore… forse altro.
Il medico non disse subito nulla. Si mosse solo con calma. Andò al lavandino, si lavò accuratamente le mani, poi aprì il cassetto degli strumenti sterili. Indossò i guanti in lattice, il lieve schiocco della gomma contro i polsi sembrò quasi amplificato nel silenzio.
Sistemò il materiale sul carrello accanto al lettino: la sacca di fisiologica, la siringa graduata, il catetere sottile ancora sigillato e una pinza emostatica. Controllò che tutto fosse sterile e a portata di mano. I suoi gesti erano metodici, quasi cerimoniali.
Si avvicinò al lettino senza fretta. «Sofia», disse piano, la voce calda, controllata, «ora preparo tutto per iniziare. Ti spiegherò passo per passo, e se in qualsiasi momento hai bisogno di fermarti o fare una pausa, basta dirlo. Ok?»
Lei annuì senza voltarsi, le dita strette sul bordo del telo di carta.

«Va bene. Sentirai solo un po’ di fresco all’inizio mentre applicherò il lubrificante, poi un po’ di pressione all’inserimento della cannula. Nulla di doloroso, ma importante che tu respiri lentamente. Il tuo corpo saprà come lasciar andare.»
Quando il tocco arrivò, fu lieve, cauto. La mano del dottore si posò sulla natica allargandola gentilmente scoprendo così quel giovane e inesplorato forellino. Il suo corpo reagì con una tensione involontaria, un piccolo scatto trattenuto. Non era solo una questione fisica: era il fatto di affidarsi, di accettare di essere toccata proprio lì dove si sentiva più fragile, più esposta.
Nessun ragazzo l’aveva mai toccata dietro, quell’uomo più grande di lei sarebbe stato il primo.

Il medico appoggiò il dito medio della mano destra già cosparso di gel sul giovane orifizio e iniziò un delicato massaggio. Sentì subito quanto la ragazza fosse stretta e sicuramente vergine e proprio per questo sapeva quanto fosse necessaria una buona preparazione.

Continuava a massaggiare il forellino, applicando di tanto in tanto una leggera pressione notando una certa tensione nel giovane sfintere.
Sofia chiuse gli occhi. Cercò di concentrarsi sul respiro, sul rumore del ventilatore, ma quel dito che si muoveva così delicatamente, compiendo movimenti circolari era impossibile da ignorare. Quell’uomo stava facendo il suo lavoro, ma comunque, per lei, era un’esperienza nuova. Intima, nel senso più profondo della parola. Pur apprezzando quel massaggio faceva fatica a rilassare i muscoli.
Il medico, sempre seduto su uno sgabello dietro di lei aveva con sé una piccola vaschetta d’acciaio dove aveva sistemato con ordine tutto l’occorrente. Ogni oggetto era stato scelto con attenzione, come se fosse parte di una procedura che conosceva bene, anche se sapeva che era poco comune in un contesto come quello. Sofia era pronta.
«Adesso preparo il dispositivo poi lo inserisco. Non sentirai dolore, ma potrebbe darti un po’ fastidio all’inizio», disse con voce tranquilla, mentre si sfilava i guanti dopo averla adeguatamente lubrificata.
Sofia annuì appena, con lo sguardo fisso al muro. Il rumore degli strumenti nella vaschetta riempiva il silenzio, ma quell’attesa e quell’esposizione allo sguardo dell’uomo la stavano facendo imbarazzare sempre di più.
Il medico indossò un nuovo paio di guanti, poi controllò che il catetere fosse integro e che la siringa funzionasse correttamente.
Prese un momento per controllare che ogni parte del dispositivo fosse funzionante. Riempì la siringa da 100 ml con una piccola quantità d’acqua sterile e collegò con attenzione il raccordo del catetere. Con un gesto lento e misurato, fece pressione sul pistone. Un piccolo rigonfiamento confermò che il palloncino si gonfiava correttamente. L’avrebbe gonfiato con 30 ml di soluzione per far sì che una volta inserito non ci fossero perdite e brutte sorprese.
Sarebbe stata una delle parti più difficili da sopportare per Sofia, lo sapeva bene. Ma era stata proprio la ragazza ad accettare quella procedura e lui l’avrebbe portata a termine.

Sentiva la presenza del medico, il ritmo controllato dei suoi gesti, ma anche una parte di sé che avrebbe voluto essere ovunque, tranne lì. Eppure, allo stesso tempo, una piccola voce dentro di lei ripeteva che aveva fatto bene a venire.
Il medico non diceva nulla di superfluo. Quando fu il momento, si prese il tempo di verificare che tutto fosse nella posizione giusta. Solo allora procedette con delicatezza. Con la mano sinistra allargò nuovamente le natiche di Sofia.
«Sta andando tutto bene. Sei molto collaborativa», disse, quasi per rassicurarla. «Ci vorranno pochi minuti.»
Lei non rispose, sentì solo la mano dell’uomo stringerle gentilmente la natica per sollevarla e la punta del catetere iniziare a premere contro il forellino.

Forse a causa della gomma morbida e della tensione corporea di Sofia, ma il catetere faticava ad entrare.
«Cerca di rilassare lo sfintere Sofia.» Disse il medico continuando a premere la punta in gomma contro il buchetto, ma senza risultati.
Desistì un istante, appoggiando nuovamente la cannula sul vassoio. Si Cosparse nuovamente il dito di lubrificante e tornò ad appoggiarlo tra le natiche della ragazza.

Sapeva che quello che stava per fare l’avrebbe fatta protestare ma era l’unico modo per dilatarla leggermente.
Dopo aver massaggiato di nuovo leggermente iniziò a premere con il dito, infilando con non poca fatica la falange del dito.

Non poteva vedere. Lo sguardo era fisso su un punto indefinito della parete, mentre dentro di sé combatteva una tempesta silenziosa fatta di vergogna, ma quella pratica così invasiva la fece sobbalzare e protestare. Non era mai stata penetrata nel sedere prima d’ora.
«AHIA dottore, cosa sta facendo??!.»
L’uomo la tranquillizzò rapidamente, continuando a lubrificare lentamente le pareti interne del retto della giovane.
«Shhh, tranquilla, eri molto stretta! Ho già fatto.»
Così dicendo tolse il dito liberando il giovane orifizio per poi riprendere subito in mano il catetere e spingerlo finalmente all’interno di Sofia.
«Sta andando tutto bene. Sei molto collaborativa», disse, per tranquillizzarla. «Ci vorranno
pochi minuti.»
Lei non rispose, sentì solo la mano dell’uomo stringerle gentilmente la natica tenendola sollevata e il tubicino entrare lentamente dentro il suo giovane sedere.

«Ora sentirai un po’ di fastidio, ma dura solo qualche secondo», disse lui con voce neutra, concentrata, mentre faceva lentamente entrare la cannula all’interno del corpo della giovane
Non era doloroso, c’era qualcosa di particolare in quella procedura. Il corpo reagì con un riflesso istintivo, una tensione involontaria. Lei trattenne il respiro, mordendosi appena il labbro. Era completamente nelle mani di quell’uomo.
Il dottore pur non trovando difficoltà nell’inserimento capì dalla reazione della ragazza che fosse vergine.
Una volta inseriti circa 10 cm di catetere l’uomo lasciò il tubicino dentro il sedere, prese la grande siringa e caricò circa 30 ml di soluzione. Con fare sicuro collegò la siringa alla valvola del palloncino. Sapeva che Sofia ora avrebbe protestato.
Per una ragazza vergine sarebbe stata una sensazione difficile da gestire. «Ora cara gonfierò un piccolo palloncino all’interno del retto in maniera da assicurare la cannula all’interno. Cerca di rilassarti, potresti sentire come una pressione, ma ci vorrà poco.»
Iniziò lentamente a premere lo stantuffo della siringa e puntuali arrivarono le lamentele della poverina.
Aprì gli occhi di scatto, sentiva qualcosa gonfiarsi dentro di lei, si sentiva come riempita. «Dottore basta la prego! Fa male!»
L’uomo, aspettandosi quella reazione cercò di tranquillizzarla «Tranquilla Sofia, ho quasi finito.» E così dicendo iniettò gli ultimi 5ml di soluzione per completare il gonfiaggio del palloncino.
Una volta svuotata la siringa afferrò il sottile tubicino tirando leggermente in fuori onde perfezionarne l’inserimento. Operazione che generò un gemito nella povera paziente.

Se ne stava lì sdraiata in balia delle pratiche di quel medico che avrebbe dovuto salvarla da quella costipazione. Era un mix di sensazioni mai provate, fisiche e mentali, che la stavano portando ad un punto davvero inaspettato. Fu addirittura difficile da capire come, ma si stava eccitando e questa cosa la faceva terribilmente vergognare.
Il medico dietro di lei continuava ad armeggiare notando la tensione corporea della ragazza sdraiata a pochi centimetri da lui.
Ora che la cannula era inserita e gonfiata non restava che iniziare con il vero e proprio clistere.
Il medico controllò ancora una volta la siringa e la sacca, per essere certo che tutto fosse pronto. Poi si rivolse a Sofia con voce calma, ora era curioso di vedere la reazione della ragazza.
«Per ottenere un effetto efficace userò circa mezzo litro di soluzione. La somministrerò in cinque volte, purtroppo la siringa non è molto capiente. Durante il processo potresti avvertire un po’ di pressione, ma nulla di doloroso. Se qualcosa ti dà fastidio, me lo dici subito.»
Sofia annuì. Era tesa, ma la spiegazione dettagliata di ciò che l’attendeva ebbe su di lei un effetto rassicurante. Allo stesso tempo, però, la consapevolezza di sapere esattamente cosa stesse per accadere alimentava in lei una nuova, inattesa eccitazione, che si sforzava di celare al medico.
Respirava lentamente, cercando di rilassarsi nonostante la crescente sensazione di disagio. Le parole del medico l’avevano rassicurata in parte, ma il corpo sembrava andare in una direzione tutta sua. Ogni respiro sembrava far crescere curiosità dentro di lei, come se stesse vivendo quel momento in due modi diversi: con la testa, che cercava di mantenere la calma, e con il corpo, che reagiva involontariamente al trattamento.
«Cinque dosi», ripeté tra sé, cercando di tenere la mente occupata con qualcosa di razionale.

Il dottore aveva caricato completamente la prima siringa e l’aveva attentamente collegata al catetere ancora inserito nel sedere di Sofia. Iniziò subito a premere il pistone e il liquido entrò lentamente nell’intestino della paziente.
Il liquido tiepido iniziò a riempirle le viscere generandole un brivido lungo la schiena e la sensazione di essere completamente vulnerabile lì, sul lettino, ora completamente sottomessa ed eccitata.
Il medico somministrò la prima dose con precisione. «Tutto bene?» chiese, senza fermarsi.

Sofia rossa in volto dall’imbarazzo, rispose con un semplice «Sì», anche se sentiva che la sua voce tradiva la tensione che cercava di nascondere.
Non voleva sembrare debole, ma quel trattamento stava generando reazioni che si facevano via via più difficili da ignorare e nascondere.

Il medico proseguì, immettendo la seconda dose, e Sofia cercò di concentrarsi su qualcosa di diverso. Su quando si sarebbe liberata, ma quel liquido che le riempiva l’intestino le faceva aumentare proporzionalmente l’eccitazione.
L’unica tregua arrivava quando il dottore bloccava il catetere tra una siringa e l’altra con una pinza emostatica, lasciando che l’intestino si adattasse all’inserimento del liquido.

Alla terza dose, il fastidio intestinale cominciò a farsi più evidente. I primi crampi si fecero sentire e la poverina iniziò ad emettere piccoli gemiti.
Il medico la osservò con attenzione. Non disse nulla per un po’, lasciando che fosse lei a prendere il suo tempo. «Cerca di respirare profondamente, se i crampi saranno troppo forti potrei farti una iniezione di Buscopan per alleviare il dolore», disse infine, come a confermare quanto si stesse prendendo cura di Sofia.

Una iniezione? Non ne aveva mai ricevuta una e solo l’idea le metteva i brividi.
Ma le restavano due dosi di quel liquido, e non sapeva come il suo corpo le avrebbe gestite.
Da un lato la costipazione unita ai pompaggi le stavano generando un po’ di dolore, dall’altro questa ormai totale sottomissione al medico la stava facendo eccitare terribilmente.
Sofia annuì, ma ora l’unico pensiero ora era che quell’uomo le avrebbe anche fatto anche un’iniezione!
Il dottore ben sapeva che avrebbe sopportato a fatica altri 200 ml di soluzione, ma allo stesso tempo sapeva che per ottenere un buon effetto avrebbe dovuto ricevere almeno mezzo litro in totale.
Caricò la quarta siringa e dopo averla collegata nuovamente al catetere disse alla ragazza che le avrebbe fatto un leggero massaggio all’addome per distribuire meglio il liquido.
«Cerco di aiutarti con un leggero massaggio sull’addome per facilitare la distribuzione del liquido e darti un po’ di sollievo»

Sofia rispose con un timido «Grazie» dopodiché il medico iniziò a massaggiare lentamente il ventre della ragazza, eseguendo movimenti circolari.
In effetti le stava dando sollievo specialmente vista la posizione a cucchiaio, la mano del medico le andava a sfiorare il monte di venere. Il respiro si fece più pesante, come il desidero di piacere.
Un pensiero le attraversò la mente come un fulmine, immaginò le mani di quell’uomo tra le sue gambe.
Il medico dopo circa un minuto di massaggio decise che era arrivato il momento di procedere col clistere. Una volta caricata la siringa con altri 100 ml e collegata rapidamente al catetere, iniziò di nuovo a riempire le viscere della ragazza.
Come previsto purtroppo anche dopo quel delicato massaggio i crampi dovuti al gonfiore del clisma tornarono e con loro anche le lamentele, questa volta accompagnate da una reazione fisica di Sofia, che si iniziò a contorcere leggermente.
«UUUU! Dottore piano!» Disse la ragazza stringendo le natiche e stringendo la carta che copriva il lettino.»
Il medico si accorse che Sofia stava irrigidendo il corpo, e il suo volto era segnato da una smorfia di disagio. «Shhhh, cerca di resistere» Le disse mentre continuava imperterrito a riempirle l’intestino, notando con una certa sorpresa pur ricevendo con fatica queltrattamento, le labbra della ragazza, viste così da vicino fossero gonfie di un desiderio ormai difficile da nascondere. Rimase tranquillo e continuò a parlarle con tono calmo e professionale.

«Sofia, mancano solo 100ml, sei bravissima, ma vedo che hai dei crampi piuttosto intensi. È normale in una procedura come questa, soprattutto se l’intestino è un po’ contratto. Per aiutarti a rilassare la muscolatura e farti stare meglio, ti farei quella puntura.»
Fece una breve pausa, per assicurarsi che lei lo stesse seguendo. Sofia annuì lievemente.
«Si tratta di un antispasmodico: aiuta a ridurre i crampi intestinali in pochi minuti. Vedrai che ti aiuterà.»

Sofia annuì lentamente, ancora un po’ esitante, ma fiduciosa. Il medico le sorrise con discrezione e si alzò per preparare il necessario. Tolse i guanti, si lavò le mani con cura, e aprì la confezione della fiala di Buscopan, tenendola alla luce per verificarne l’integrità.
Sofia era ancora girata sul fianco, il tubo ancora inserito, lo sguardo fisso sul bordo del lettino.
Udì il rumore della plastica strappata, poi quell’odore inconfondibile dell’alcool sul batuffolo. Si voltò appena, quanto bastava per vederlo: era davanti al piccolo bancone, di spalle, concentrato.
La luce del bungalow filtrava tra le veneziane, tagliandogli il profilo, con le mani ferme ruppe l’ampolla con un gesto preciso. Aspirò lentamente il liquido trasparente nella siringa, poi sollevò l’ago davanti agli occhi per controllare la bolla d’aria.
Una goccia luccicante si formò sulla punta.
Sofia non riusciva a staccare gli occhi da lui. Il rumore, l’odore chimico, il suo silenzio concentrato: tutto era stranamente… ipnotico.
Il medico si voltò.
«Serve che tu rimanga ferma. Sarà un po’ dolorosa. È intramuscolare.»
Lei lo guardò mentre si avvicinava. La siringa nella sua mano sembrava quasi elegante, un’estensione naturale delle dita. Si chinò su di lei, sentì l’alcol freddo sulla natica, un brivido lungo la schiena, poi la leggera pressione di una mano che le fermava l’anca, come a bloccarla da qualsiasi movimento.
«Respira.» Sofia strinse un po’ i muscoli, più per nervosismo che per dolore.
L’ago entrò nel sedere, l’uomo lo spinse dentro lentamente ma con un gesto deciso. Poi una volta presa in mano saldamente la siringa fu la volta del liquido.
«UUUUUU, Brucia dottore!!! » Si lamentò subito la poverina, non abituata a ricevere iniezioni.
La sensazione di bruciore fu immediata. Strinse con le mani la carta del lettino, mentre l’umo imperterrito le iniettava il medicinale nella parte alta del gluteo.
Mentre continuava a premere sullo stantuffo l’uomo non poté fare a meno di apprezzare quel giovane e ben fatto sedere e quel catetere ancora infilato, pensando quanto rara fosse la situazione che stava vivendo.

Terminata l’iniezione, il medico estrasse con calma l’ago, premendo delicatamente con il cotone. «Tutto fatto. Tra qualche minuto dovresti sentirti meglio.»
Sofia rimase immobile per qualche istante. Il leggero bruciore al sedere si stava irradiando su tutta la natica, come un ricordo di quanto appena successo. Era la prima volta che si sentiva così… esposta, dominata. Il medico aveva mantenuto un tono calmo, gesti esperti, ma questo non cancellava la confusione emotiva che le montava dentro.
«Stai andando bene. Il Buscopan ci metterà ancora qualche minuto, ma comincia già a fare effetto,» disse il medico mentre riempiva l’ultima siringa con la fisiologica per il proseguimento della procedura.

Sofia annuì piano, ora la sua mente pensava solo a quello che sarebbe successo dopo quella visita. Avrebbe ripensato spesso a quel pomeriggio, una volta sola.
Il medico si avvicinò con l’ultima siringa riempita di soluzione fisiologica. Il liquido trasparente tremolava appena dentro il cilindro, e Sofia lo seguì con lo sguardo per un istante, come se volesse anticipare le sensazioni che ne sarebbero seguite.
«Questa è l’ultima, Sofia. Dopo di che dovrai trattenere il liquido un po’ prima di liberarti.»
Mentre collegava per l’ultima volta la siringa al catetere il dottore notò che la ragazza era in effetti eccitata, in quella posizione poteva chiaramente vedere le grandi labbra gonfie e bagnate.
Quasi non credeva ai suoi occhi, ciò che aveva sentito dire era vero!

Alcuni colleghi gli avevano parlato di situazioni simili vissute con pazienti più o meno giovani, ma a lui non era mai capitato!
Donne, o uomini, che si eccitavano a ricevere pratiche come clisteri o esami ai genitali.
Gli sembrava quasi impossibile però che una ragazza di 18 anni si eccitasse per un clistere, ma poi Sofia, così semplice e carina, proprio ora, davanti a lui!
Se da un lato era incredulo, dall’altro un tarlo si piantò nella sua testa. E se avesse ricevuto pratiche ancora più invasive? Come avrebbe reagito?

La ragazza, dal canto suo, non sapeva se desiderare di porre fine il prima possibile a quella lunga serie di enteroclismi, oppure se volere che il dottore continuasse all’infinito, alimentando senza tregua la sua eccitazione ormai difficilmente celabile.

Sentì la lieve pressione quando la siringa venne nuovamente connessa al catetere. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul rumore minimo dello stantuffo che si muoveva lentamente.
Il liquido tiepido iniziò nuovamente a fluire, e con esso tornò un senso di pienezza che la fece gemere. La pancia ora era tesa, piena di liquido che avrebbe liberato a breve, ma le era difficile distinguere esattamente cosa stesse provando.

Il medico la osservava con discrezione, ma allo stesso tempo iniziava ad apprezzare l’eccitazione della diciottenne. Quando l’ultima goccia fu passata, disconnesse lentamente la siringa, sistemando gli strumenti sul carrello. La lasciò nella stessa posizione, col sedere esposto e quel catetere lasciato gonfio all’interno della giovane ragazza.

Sofia aprì gli occhi. Sentiva un vago senso di pressione interna dovuta al palloncino, ma anche una sensazione mentale completamente diversa. Era come se volesse continuare a essere nelle mani di quell’uomo. Come se desiderasse altre pratiche come quelle già ricevute e più ci pensava più aumentava il desiderio di piacere.

Il medico le si rivolse con calma: «Resta sdraiata ancora un paio di minuti. Poi potrai andare a liberarti. Intanto respira, e lascia che il tuo corpo faccia il suo lavoro.»
Sofia annuì, stringendo le mani sul lettino coperto dalla carta. Non avrebbe saputo spiegare tutto ciò che stava sentendo, ma sapeva che quel momento le sarebbe rimasto impresso.

Il medico si voltò senza fretta e cominciò a sistemare l’ambulatorio, smaltì il materiale monouso, tolse i guanti e si lavò le mani, senza mai perdere d’occhio la giovane paziente. Sofia era immobile, seminuda in attesa di un suo nuovo comando.
Lo osservava in silenzio, mentre lo stimolo dentro di sé cresceva sempre di più. Il clistere stava finalmente facendo effetto, e il desiderio di andare in bagno si univa al bisogno di allontanarsi per nascondere l’imbarazzo — e l’eccitazione — che la pervadevano
«Dottore devo andare. » Disse la ragazza, attirando l’attenzione dell’uomo.
L’uomo si avvicinò di nuovo e le rivolse un cenno gentile. «Va bene. Ora tolgo il catetere e puoi andare.»
Afferrò il tubicino che spuntava tra le natiche di Sofia, poi dopo aver collegato la siringa, aspirò l’aria per vuotare il palloncino.
Diede un ulteriore sguardo al sedere della ragazza, i pensieri che correvano nella sua mente erano molteplici.
Sofia quasi percepiva lo sguardo del medico e questo la eccitava ancora di più.
Sentì meno pressione al suo interno, poi un brivido quando il dottore tolse completamente la cannula rimasta dentro di lei durante quella lunga procedura.
Era di nuovo libera di muoversi e ora lo stimolo era davvero impellente.
«Puoi alzarti piano, se te la senti. Il bagno è lì dietro, passa direttamente da questa porta. Ci sono degli asciugamani nuovi dentro, usali pure.»

Sofia si mise lentamente seduta, poi si alzò. Il senso di pressione si era fatto pesante e fastidioso. Aprì la porta che collegava direttamente l’ambulatorio al bagno, un piccolo spazio rivestito di piastrelle chiare, essenziale, ma pulito e silenzioso.

Chiuse la porta alle sue spalle, si sedette sul water imbarazzata e lasciò che il suo corpo si liberasse.
Le scariche furono piuttosto forti, ma su un sollievo, ma non solo fisico. Dopo giorni di costipazione si sentiva libera, ma anche qualcosa di diverso si era generato. Sentiva la necessità di masturbarsi e non vedeva l’ora di farlo, ma allo stesso tempo avrebbe voluto sentire nuovamente le mani del medico sul suo corpo.

Quando ebbe finito, tirò l’acqua, sperando che il dottore non l’avesse sentita. Si pulì con cura, e si sedette sul bidet.
L’acqua tiepida e il sapone sulle parti intime ancora così sensibili le diedero conferma di cosa desiderasse. Con le mani si pulì prima l’ano, arrossato e ancora cosparso di lubrificante, fu piacevole, poi la mano passò alla vagina; emise un gemito. Con l’acqua cercò di lavar via gli umori, si sarebbe voluta masturbare, ma non poteva, non lì.
Chiuse il getto d’acqua e si asciugò con un asciugamano pulito, che poi si mise in cintura per coprirsi mentre usciva. Aveva lasciato le mutandine nell’ambulatorio, segno tangibile del momento che aveva appena vissuto.
Prese un respiro profondo, si fece coraggio e aprì la porta, pronta a tornare nell’ambulatorio dove il medico l’attendeva.
Quando rientrò nell’ambulatorio, il medico la osservò attentamente, dalla testa ai piedi. Era chiaro che fosse colpito dalla sua bellezza o forse dalla giovane età, e lei ne percepì un leggero imbarazzo.
Proprio mentre pensava di potersi rivestire, il dottore, con tono calmo ma deciso, le disse che c’era un’ultima parte della visita da effettuare.
Il commento la colse di sorpresa. Il cuore le batté più forte, quell’uomo l’avrebbe toccata nuovamente. Quell’eccitazione che aveva cercato di celare tornò improvvisamente.
«C’è un’ultima parte della visita da fare», disse il medico con calma. «Devo controllare che l’enteroclisma abbia funzionato correttamente.»
Lei annuì, cercando di nascondere il nervosismo, ma poi chiese: «Come… come devo fare?»
Il medico mantenne un tono tranquillo. «Si tratta di un controllo rettale. Devi sdraiarti sul lettino a pancia in giù e rilassarti. È solo per verificare che tutto sia a posto.»
«Dottore… ma è proprio necessario?»
Vedendo il suo viso teso, aggiunse rapidamente: «Non ti preoccupare, non è doloroso e ci vorrà solo un attimo.»
«Per favore, togli l’asciugamano e stenditi», aggiunse lui.
Lei prese un respiro profondo. «Va bene…» disse piano, con voce tremolante e col viso in fiamme. Lei esitò un attimo davanti al lettino, sentendo il cuore in gola. Il gesto semplice di togliere l’asciugamano le parve improvvisamente enorme: una piccola azione che la rendeva nuovamente vulnerabile, sotto lo sguardo del medico.
Con un respiro profondo, lo scostò lentamente, cercando di non tremare. Era di nuovo nuda ed eccitata. Con fare leggermente goffo si distese sul lettino, cercando di posizionarsi nel modo più naturale possibile, pur sentendosi imbarazzata e terribilmente curiosa di quello che sarebbe successo.
Raccogliendo tutto il coraggio che aveva, chiuse per un attimo gli occhi, cercando di concentrarsi sul fatto che si trattava di una visita medica e che il dottore era lì solo per aiutarla. Ma sapeva che non era così.
L’avrebbe di nuovo toccata lì, in quel posto che nessuno aveva mai esplorato.
Mentre Sofia era in bagno, il medico sistemò tutto l’ambulatorio, buttando quanto usato per il clistere, la sacca di fisiologica, la siringa e quel catetere appena tolto dal giovane sedere.
Non poteva non pensare all’eccitazione di quella diciottenne, quell’immagine dei genitali, depilati, esposti e gonfi di piacere lo attanagliava con un pizzico di perversione.

Cosa voleva veramente quella ragazza? Voleva di più di quello che già aveva ricevuto?
Forse avevano veramente ragione quelli che dicevano che certi pazienti si eccitavano con certi esami. Quelle pratiche tanto odiate da alcuni, così invasive da essere temute. Si era immaginato Sofia mentre ne riceveva alcune, e l’effetto di quei pensieri si fece subito sentire nei pantaloni. Tra tutte quelle procedure forse un esame rettale sarebbe stata la degna conclusione di quella visita.
Tanto fu che infatti la ragazza si fidò nuovamente e ora era nuda davanti a lui sul lettino.
Il sedere, così sdraiata era forse ancora più bello e naturale.
Sofia, con il mento appoggiato sulle mani incrociate e il cuore che le stava esplodendo nel petto, guardava l’uomo indossare nuovamente i guanti bianchi in lattice.

Si avvicinò alla ragazza armato di lubrificante, Il suono vischioso del gel che veniva spremuto sul guanto le fece percepire che il momento stava arrivando. Inspirò a fondo, cercando di rilassare i muscoli e si aggrappò ai lati del lettino quasi a voler ancorare il corpo a quella superficie.
«Rilassati…»
Sofia sentì la mano del medico allargarle le natiche scoprendo nuovamente il giovane bocciolo, poi il freddo sul forellino e di nuovo quel dolce massaggio.
Di nuovo quella sensazione rilassante ed eccitante al tempo stesso.
Questa volta, infatti, a differenza della procedura precedente il dottore capì che la paziente era pronta per essere penetrata e così fece.
Introdusse lentamente l’indice ben lubrificato nel retto di Sofia, mantenendo una traiettoria controllata. Appena il dito si fece strada nel giovane forellino, le natiche si strinsero d’istinto.
La ragazza avvertì una sensazione di pressione insolita, nuova, che la fece irrigidire.
«MMMM…Piano dottore per favore» Disse quasi piagnucolando.
Il medico ormai deciso non diede peso a quella timida lamentela, e spinse tutto l’indice all’interno del povero culetto.
Proseguì la palpazione interna in maniera metodica, valutando il tono dello sfintere e la presenza di eventuali residui o anomalie.
Il leggero dolore iniziale era già sparito e anzi, più quel dito si muoveva dentro di lei più l’eccitazione saliva.
Il respiro si fece più affannoso e il dottore se ne rese subito conto. Voleva vedere quanto in là si fosse spinta la giovane.
«Stai andando benissimo Sofia.» e così dicendo iniziò ora a muoverle lentamente e sadicamente il dito dentro e fuori facendo sembrare sempre più quella visita a una masturbazione!
Fu il colpo di grazie per Sofia. Stesa sul lettino, col respiro sempre più affannoso ora prossima al piacere.
Lui la guardava, compiaciuto, seguendo ogni minimo tremito, ogni sospiro.
Il ritmo del suo tocco era costante, calibrato con una precisione quasi crudele.
La penetrava come nessuno aveva mai fatto e il suo corpo seguiva i movimenti dell’uomo.
Senza nemmeno rendersene conto inarcò leggermente la schiena alzando il sedere e allargando oscenamente le natiche, offrendo la migliore vista possibile della sua incontrollata eccitazione.

Sentiva la marea salire, il respiro accelerare, le ginocchia quasi cedere… ma la mano di lui si fermò, allontanandosi del tutto.
Il silenzio che seguì fu assordante.
La mano rimase sospesa a mezz’aria come tenuta da un filo. Il guanto bianco lucido di lubrificante e il sedere di Sofia ancora davanti a lui, aperto e desideroso.
Il cuore gli martellava nel petto, e un calore sordo gli saliva alla testa davanti a questa scena.
La rabbia gli serpeggiava dentro, per aver anche solo pensato di cedere.
Era medico, non poteva dimenticarlo. Si sarebbe dovuto accontentare di quello che già aveva visto e fatto.
Si impose la freddezza di un gesto neutro, togliendo i guanti e pronunciando poche parole formali.
«Tutto a posto Sofia. Rivestiti pure»

Il vuoto la travolse, lasciandola sospesa in un’onda che non aveva potuto infrangersi.
Avrebbe voluto protestare, piangere, ma qualcosa dentro di lei sapeva che il medico aveva fatto bene.
Non era il posto. Non era la persona.
Eppure restava lì, con il cuore in corsa, come in trance, incapace di riprendersi subito.
L’eco di ciò che stava per succedere pulsava ancora in lei, un’ombra calda e ostinata che non voleva svanire.
Dopo qualche istante, trovò le forze per alzarsi.
Ogni movimento era lento, quasi goffo, come se il suo corpo non appartenesse del tutto a sé stessa.
Indossò di nuovo il costume, lo infilò con gesti meccanici, riprendendo a poco a poco il contatto con la realtà.
Il tessuto addosso era freddo rispetto al calore del suo corpo. Era completamente bagnata di umori. Una terribile vergona la assalì.
Respirava a fondo, cercando di scacciare la trance che l’aveva intrappolata, mentre il ricordo di ciò che stava per accadere continuava a pulsare come un’eco nella mente.
Quando finalmente fu completamente vestita, si accorse che le gambe tremavano leggermente e il cuore batteva ancora troppo forte, ma almeno aveva riaperto gli occhi al mondo intorno.

Lui la guardava dalla scrivania, una finta calma, controllata.
«Se avrai qualche altro problema… puoi tornare quando vuoi,» disse lentamente, con voce ferma ma gentile.
Lei non ascoltava davvero. Tutto ciò che riusciva a sentire era il proprio corpo e la voglia di liberarsi da quel nodo di desiderio.

«Grazie, dottore. Arrivederci»
Le parole uscivano quasi in automatico mentre si voltava verso la porta.
Era di nuovo all’aria aperta, il caldo, le cicale. Era come sotto shock.
Doveva raggiungere la tenda ma l’idea di sedersi sul sellino la faceva rabbrividire, troppo eccitata perché potesse sopportarlo.
Decise di camminare, tanto non era lontana.
Ad ogni passo sentiva ancora il lubrificante tra le natiche, un promemoria silenzioso di ciò che era successo, e il corpo le bruciava come se non fosse mai completamente tornato sotto controllo.
Le sensazioni provate durante la visita erano ancora vivide, rivedeva ogni dettaglio, ma ogni pensiero era già rivolto a ciò che avrebbe fatto una volta sola.

Finalmente scorse la tenda, vuota: i nonni non c’erano, probabilmente già in spiaggia e il sollievo le fece accelerare il cuore. Entrò nella sua metà, chiuse la zip e si lasciò avvolgere dal caldo soffocante, il mondo esterno era di nuovo lontano.
Non attese nemmeno un secondo. Si liberò dei pochi vestiti, prima la canottiera, scoprendo il piccolo e ben fatto seno, poi i pantaloncini e infine gli slip. Era nuda e libera. Si toccò leggermente i capezzoli, un brivido, chiuse gli occhi e pensò al dottore.
Nella sua parte di tenda non c’erano tante cose, il materasso gonfiabile sul quale dormiva, qualche vestito sparso sul pavimento e un astuccio dove teneva saponi e trucchi e la sua spazzola per capelli.
La guardò, guardò il manico. Un pensiero perverso le attraversò la mente.

Stava a mala pena in piedi dentro quella tenda, così si mise in ginocchio sul materasso, si toccò di nuovo i capezzoli, un altro brivido, erano turgidi poi col palmo della mano si accarezzò il sedere, il punto in cui le aveva fatto la puntura era ancora leggermente indolenzito.
Ripensò a quel momento su quel lettino. Doveva raggiungere il piacere.

Si sdraiò sul materasso, a pancia sotto, pensando di essere di nuovo su quel lettino.
Si accarezzò nuovamente le natiche, poi col dito ci passò in mezzo. Erano ancora piene di lubrificante.
Il dito medio incontrò le grinze del forellino. Lo massaggiò leggermente, poi senza trovare nessun ostacolo iniziò leggermente a penetrarlo.
Non trovò nessuna resistenza, solo piacere. Lo iniziò a muovere gentilmente dentro e fuori pensando a quell’uomo.
Si interruppe un istante.
Prese con fare sicuro la sua spazzola per capelli. Guardò il manico in legno, grosso più di un suo dito ma liscio e affusolato.
Allargò le gambe alzando il sedere. Il forellino e i genitali completamente esposti.
Senza pensarci due volte appoggiò la punta sul forellino e iniziò a spingerlo all’interno del sedere.
Quasi si vergognava di cosa stesse facendo, ma il desiderio era incontrollabile.
Iniziò a muovere lentamente dentro e fuori il manico, pensando al dito del medico.
Il respiro si fece sempre più intenso, così come il piacere, tanto da sentire un rigolo di umori scendere lungo la coscia.
Si sistemò meglio sul materasso gonfiabile. Il sedere in alto con la spazzola lasciata dentro, completamente aperto, lasciava via libera ai genitali.
Con il volto sul cuscino, gli occhi chiusi e i capelli leggermente sudati, raggiunse la vagina con la mano destra.
Il dito sfiorò le labbra gonfissime e le schiuse leggermente scoprendo un lago di piacere.
Con le dita iniziò a penetrarsi leggermente e a toccarsi il clitoride bagnato e turgido.
Mentre quell’oggetto in legno continuava a riempirle il sedere, immaginava di essere masturbata dal medico durante quell’esame rettale.
La mano si concentrò sul clitoride, massaggiandolo con due dita, ansimando sempre più forte, sentendo le contrazioni farsi sempre più intense.
Iniziò a gemere senza ritegno, un orgasmo dirompente le fece contrarre i muscoli del corpo, dal collo ai piedi.
Quella spazzola nel sedere non fece altro che aumentarne la durata delle contrazioni, così forti che nel momento di massimo piacere l’oggetto le uscì dal culetto.
Si lasciò andare su un fianco, nuda, sudata di piacere.

Tremava ancora leggermente, come mai le era successo pensando a quale scusa avrebbe dovuto inventare per rivedere quel medico.

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