Lie Nu entrò. Il monolocale era una stanza in affitto in un pessimo albergo. Un postaccio, insomma. Il fatto stesso che l’arredamento fosse evidentemente dozzinale e l’acqua in quel posto fosse meno che affidabile passando da fredda a ustionante in pochi secondi con poco o nessun avviso lo rendevano un luogo orribile dove alloggiare.
Però la gente non faceva domande, costava poco e niente e soprattutto, lei si era sincerata che non ci fossero microspie o telecamere. Perfetto per quel che doveva fare.
-Sono delusa, Pacuvio. Molto.-, disse. Il mercenario la fissò, senza esserne intimorito.
Era appena tornato da quella sparatoria. Aveva perso due denti, uno dei quali davanti.
-Doveva essere un lavoro semplice, a sentir te.-, disse l’asiatica. Non si aspettava delle scuse, stava solo aspettando che lui osasse ribattere per poter scatenare tutta la rabbia che provava su un bersaglio a portata.
-Com’è possibile che sia andato tutto così fottutamente a puttane!-, l’ira di Lie Nu esplose come un reattore termonucleare oltre il punto di massa critica. Pacuvio la fissò, zitto.
Lie Nu non fece altro che irritarsi maggiormente a quella vista.
Si era aspettata scuse, giustificazioni, un rapporto, invece aveva quello sguardo inebetito, quasi più irritato che altro, che le dava l’idea che quell’incompetente la vedesse come una rogna dappoco. Era questo a farla incazzare in modo non indifferente.
-Ti ho pagato profumatamente per fare una cosa sola e non sei stato in grado di farla!-, ringhiò.
-Cauta, occhi a mandorla.-, sibilò improvvisamente Pacuvio, freddo.
-Non osare! Razza di rifiuto!-, ruggì lei inviperita. E Pacuvio si mosse. Rapido.
Lie Nu alzò un braccio per difendersi, ma il licaneo lo afferrò con una presa ferrea, applicando una leva. L’asiatica scalciò nella sua direzione ma una fitta quanto lui le torse il braccio la costrinse a piegarsi.
-Adesso, Lie, mi hai veramente rotto.-, sibilò lui all’orecchio. Lie Nu imprecò, si divincolò, ma fu tutto inutile. Era completamente inerme. Sentì un rumore di ferri, poi al suo polso si chiuse una manetta con catena da pochi centimetri che Pacuvio avvolse attorno a un tubo in bellavista. Lie tirò, cercò di colpire l’uomo che, pochi istanti dopo le prese l’altro braccio.
-Il problema di voi orientali è che siete convinti di essere meglio degli altri, sempre e comunque.-, disse flemmatico mentre le bloccava anche l’altra mano alla manetta.
Ora Lie era piegata a novanta gradi circa contro il tubo che sporgeva dalla parete.
Una posizione imbarazzante oltremisura.
-Liberami. Ora!-, ringhiò. Pacuvio non rispose, non subito. Poi Lie sentì qualcosa. Lo scatto di una lama. Metodicamente, una passata di lama le aprì la veste e la mano di Pacuvio procdette ad abbassarle qualunque altra barriera tra i suo culo, il suo sesso e l’aria viziata del locale. Lie Nu urlò. Pacuvio le infilò in bocca uno straccio lurido.
-Potresti quasi urlare, tanto il proprietario del posto si fa i fatti suoi e si guarda bene dal chiamare chicchessia, ma sai… non mi piace troppo rumore. Mi fa venire mal di testa.-, disse.
In fin dei conti, Pacuvio Sinodeo era un uomo semplice.
Il servizio militare era stato la sua vera vocazione, scoperata solo dopo anni passati a perdere lavori vari a causa del suo atteggiamento. Sorrise. Il viso ricordava quello di un mastino, gli occhi però erano capocchie di spillo. Osservò per un istante le natiche perlacee dell’asiatica esposte al suo sguardo. Sorrise.
-Vedi, io avrei anche fatto a meno di fare tutto questo.-, sibilò, -Ma siccome sei stata così brava a farmi perdere la pazienza, credo proprio che dovrò renderti ben chiaro il nostro rapporto.-. Si abbassò i calzoni ed estrasse il sesso, già bello rigido e pronto.
Sfiorò il culo di Lie Nu con le mani, scendendo verso la vulva.
L’asiatica tentò di chiudere le gambe, di sottrarsi al supplizio.
L’acqua gli arrivò addosso. Un cavallone marino, in piena regola. Marduk tossì.
Tossì rantolando, sino a riconquistare una respirazione accettabile.
-Bentornato tra noi, Agente Atbash.-, disse un uomo fissandolo. Mascella volitiva, sguardo fiero, occhi azzurri e capelli castani, dizione licanea perfetta senza accento.
Accanto a lui c’erano altri due uomini. Parevano dei gregari. Stavano indietro, rispettosi.
“Dove mi trovo?”, si chiese Marduk. Ricordava di aver parlato con Minah Ahn, e poi era stato colpito. Alle spalle. Da lei, ne poteva essere sicuro. Ma se era stata lei, allora era già stata catturata da altri?
-Credo… ci sia un errore.-, disse, articolando piano le parole mentre la testa gli pulsava dolorosamente. Si guardò. Era legato a una sedia. A torso nudo. Un bendaggio gli avvolgeva l’addome. Medicato, curato con attenzione. Non avevano voluto che morisse.
“E questo può voler dire solo una cosa”, pensò.
Loro, chiunque fossero e chiunque servissero, non avevano Minah Ahn. E speravano che lui potesse dar loro delle risposte. La stanza era spoglia. Un posto perfetto per interrogarlo…
-Nessun errore, Atbash.-, rispose l’uomo, serio, quasi castigato nel tono, anche se gli occhi parevano rilucere di soddisfazione, -Tu sai dov’è Minah Ahn. E ce lo dirai. In un modo o nell’altro.-.
-Parli molto bene la mia lingua.-, commentò lui. L’altro sospirò.
-Meglio di molti, sì. Ma l’adulazione non ti salverà in alcun modo. La scelta è tra parlare, e dire tutto e subito, o farlo dopo aver sofferto parecchio. E credimi: abbiamo modo e tempo di torchiarti a dovere.-.
-Non ho dubbi.-, ammise lui. Poi tacque.
Gannicus sospirò. Era proprio quel che avrebbe voluto evitare. Odiava la resilienza di Atbash, gli suggeriva una fierezza tutta barbarica, che neppure secoli di influenza licanea erano riusciti a piegare. Era qualcosa d’irritante sino alle soglie dell’intollerabile, quell’atavico senso d’orgoglio, una resilienza totalmente abietta di cui ogni uomo disceso da avi barbari si avvolgeva naturalmente come fosse stato un manto.
Era qualcosa che gli faceva ribollire il sangue: i Licanei avevano passato a fil di spada i barbari più e più volte, dimostrandosi superiori ad essi sotto ogni aspetto, e nonostante questo, quei selvaggi continuavano a rifiutare il dono della civiltà. Anche quelli come Marduk, che si erano integrati tanto da non lasciar supporre alcun legame con il loro passato.
Anzi, quelli erano i peggiori, ingrati figli adottivi che si credevano degni di assurgere allo stesso ruolo, agli stessi impieghi e alle stesse responsabilità di chi aveva sangue licaneo!
Inammissibile!
-Vedi, Marduk, magari non te ne sei reso conto, ma l’affare in cui sei finito è veramente molto grosso. Stiamo parlando di qualcosa che potrebbe ridefinire i rapporti futuri tra Chin e Licanes per gli anni a venire. Oh, ora lo so che tu sei un mezzo barbaro e che quindi forse di tutto questo te ne importa poco, ma potrebbe sorprenderti sapere che i miei superiori hanno tutto l’interesse a recuperare la dottoressa Ahn e le informazioni che custodisce. E non lesineranno sui mezzi. Tu sei un mercenario, no? Un agente a contratto, come ce ne sono parecchi in giro. Magari sei pure bravo, te lo concedo, ma non sei un licaneo, non sei un patrizio. Non hai cognizione di ciò che sta accadendo e forse neppure t’interessa, tuttavia, purtroppo per te, a me e ai miei capi interessa. Quindi, fatta semplice, hai due scelte. Parlare ora e risparmiarti parecchio dolore, o farlo dopo che avremo finito di farti rimpiangere di essere venuto al mondo.-, disse. Lo sguardo di Marduk era duro, risoluto.
-C’è solo un problema.-, disse il prigioniero. Gannicus attese. Pacato.
-Io non ho la minima idea di dove sia Minah Ahn, ora.-, disse.
-Un vero peccato. Britus.-, chiamò Gannicus. Era tempo di passare alle maniere forti.
L’omaccione con un manganello si fece avanti, sbattendoselo nella mano aperta mentre lui si allontanava di qualche passo. Non voleva che gli schizzi di sangue gli macchiassero l’abito.
Lie Nu fremeva di rabbia. Pacuvio stava muovendosi con calma.
Sentiva il sesso dell’uomo sbatterle contro le natiche, senza quasi forza. Un umiliazione.
L’ennesima di quella sera. La donna ringhiò, soffocata dal tessuto che aveva in bocca.
Mai, mai nessuno aveva osato trattarla così. Mai!
Pacuvio frugò tra le sue cosce, divaricandole a forza. Lie emise un verso di rabbia inarticolato.
Rabbia e impotenza. Non era mai stata tanto inerme nella sua vita. Si odiava per l’essersi fatta sopraffarre da quel figlio di una scrofa. Lui appoggiò il sesso alla vulva. Carne su carne.
Nessuna protezione di nessun genere, neppure i grezzi metodi contraccettivi tipici della Confederatio. E lei non si proteggeva da un po’ al riguardo.
“Oh, celesti Dei… mi ingraviderà…”, pensò inorridita. Più di tutto il resto, era quello a spaventarla. E quella paura la fece agitare di più. Pacuvio la prese per le anche, con forza, costringendola a star ferma. Non la avvisò, non disse nulla, se non emettere un gemito di puro piacere mentre le affondava dentro con la ferocia con cui i predoni del Khazhak invadevano le province limitrofe di Chin.
Il dolore di quella violenza fu minimo rispetto all’odio. Lie si agitò, cercando di sfilarsi, col solo risultato di eccitare maggiormente l’uomo che la affondò dentro con foga.
-Muoviti pure quanto vuoi! Mi piace quando voi troie vi muovete!-, esclamò mentre si spingeva dentro di lei. Lie emise versi di rabbia impotente. Lacrime di furiosa umiliazione le bagnarono le gote. Pacuvio le afferrò un seno stringendo crudelmente sino a strapparle un gemito.
Senza smettere di affondare dentro di lei.
Le manganellate erano precise, metodiche, e assolutamente implacabili.
Britus era bravo, questo Marduk glielo poteva riconoscere. Colpi rapidi, senza colpire due volte nello stesso punto e senza rispettare uno schema particolare e allo stesso tempo, senza lasciare una soluzione di continuità tale tra una manganellata e la successiva da permettere un qualsiasi sollievo. Un pestaggio a regola d’arte. Da professionista.
Marduk sputò qualcosa di rossastro. Una manganellata l’aveva preso in viso, altre sul petto e altre ancora su braccia e gambe.
Metodico e capace, davvero. Marduk si concesse un istante per respirare mentre Britus si faceva da parte. Lasciando il posto all’altro uomo. Il capo del drappello, sicuro.
Ma era più che possibile che fosse comunque un operativo. Di alto livello, ma un operativo.
-Allora, Marduk? Nessun ripensamento?-, chiese.
-Ho come l’impressione che tu non sappia che potremmo essere dalla stessa parte.-, disse lui, -Io lavoro con Licius, Licius Carcio Quadro. Lo conosci? Dovresti…-.
-Sì, lo conosco. Ma posso garantirti che la tua connessione con lui, o con chiunque altro, qui dentro non conta proprio nulla. Siamo del tutto irraggiungibili qui, nessuno ti salverà. E ti conviene parlare, ora.-, disse l’altro, ostentando una sicurezza e una soddisfazione totali.
Marduk sospirò. L’aveva immaginato che si sarebbe arrivati a quel punto. Fece la sola cosa possibile. Sputò un bolo di saliva sanguinolenta ai piedi del suo aguzzino.
-Capisco.-, disse il suo interlocutore, cupo, -Almius.-. L’altro, Almius, un uomo che pareva un dannato armadio almeno quanto Britius, sorrise in modo demente.
Marduk inspirò, fronteggiando il dolore.
Pacuvio non aveva avuto molte relazioni. Vedeva il sesso come uno sfogo delle tensioni, un modo per rilasciare emozioni tenute troppo tempo sotto controllo.
Mentre fotteva Lie Nu ripensava a Wungyon, alle prostitute dagli occhi a mandorla e la pelle di seta, ai loro sguardi sottomessi, ai loro gemiti…
E mentre affondava dentro Lie Nu, poteva sentire quasi gli stessi gemiti, lo stesso desiderio di essere possedute sino in fondo, qualcosa che molte di quelle donne non osavano chiedere.
La spiegazione che Pacuvio poteva dare era semplice: quelle donne, come anche diverse in ogni altra parte del mondo, avevano paura del giudizio altrui.
Non avevano timore di sembrare dissolute ai suoi occhi, ma temevano di venir eticchettate come tali dalle coetanee. E quella era la catastrofe che le terrorizzava.
Chiaro che, dopo aver preso il suo sesso dentro, il discorso cambiava e le maschere cadevano. La loro duplicità l’aveva spesso portato a farsi domande, che infine aveva scelto di accantonare. Aveva deciso di godersela.
La prima era stata una ragazzina, appena maggiorenne. Gli si era concessa per disperazione, e lui non aveva certamente rifiutato. L’aveva posseduta con foga mentre le forze di Licanes ripulivano Wungyon dalle ultime sacche di resistenza. La seconda era stata una ricca prigioniera, forse annoiata ma troppo timorosa delle malelingue per parlare. La terza, e diverse altre con lei… erano state ben meno entusiaste all’idea del sesso, almeno all’inizio.
Ma i gemiti dopo… Erano stati tutt’altro che fasulli, Pacuvio ne era sicuro.
Improvvisamente, Pacuvio tornò al presente. Le strade infangate di Wungyoun, costellate da edifici in rovina furono sostituite dalle pareti di una stanza, e la giovane diciottenne ridivenne Lie Nu e i gemiti…
I gemiti tornarono a essere esattamente come quelli che si aspettava di sentire da altre, che non fossero Lie Nu. In un momento imprecisato, indefinito, la chin aveva sputato quella sorta di mordicchia improvvisata ma, invece di urlare, gemeva ritmicamente, agitandosi non più per sfuggirgli, ma per offrirsi, per farlo affondare di più dentro di sé.
In un momento impreciso, Lie Nu aveva smesso di opporsi a quello stupro, e cominciato invece a godere di quell’invasione. Anche la sua vulva era divenuta rorida d’umori, un fiore carnoso bagnato delle rugiade più segrete.
-Allora ti piace…-, sussurrò Pacuvio in un tono meno duro di quanto avrebbe forse voluto dire.
-Sì… continua a fottermi…-, mormorò lei ansimando. Lui strinse una tetta di lei.
-Che troia…-, commentò l’uomo affondando ancora. I muscoli della vulva di Lie lo strinsero.
-Déi…-, sussurrò lei sciorinando una frase in dialetto chin che lui non colse appieno.
-Nessun dio qui.-, disse Pacuvio. Accelerò il ritmo. Strappò il vestito di Lie facendo sì di poter ghermire un seno senza interruzioni di sorta, -Solo uomini e donne.-.
Strinse i capelli dell’asiatica, portandola a inarcarsi ancora contro di lui. Lei fletté le reni a ritmo, più volte, emettendo suoni sincopati poi…
Pi, con un urlo che parve non dover finire più, che lentamente andava arrochendosi, Lie Nu s’inarcò, la sua vulva presa da uno spasmo improvviso. L’orgasmo della giovane strappò a Pacuvio qualunque volontà di resistere ancora.
Esplose nella figa dell’asiatica pochi istanti dopo, con lei che ancora si agitava contro di lui.
Poi giacquero uno sull’altra, come fulminati. Solo dopo diversi minuti, l’uomo si alzò e aprì le manette. Lie si massaggiò i polsi, fissandolo.
Cosa diavolo era successo? Lie Nu avvertiva un senso di soppiamento.
Avrebbe dovuto essere disgustata, volerlo morto, odiarlo, ma niente del genere le passava per la testa. Al contrario, si sentiva… diversa.
Non bene, non totalmente, ma sicuramente neanche furiosa com’era stata sino a poco prima.
Che cosa diavolo le era preso?! Sentiva il seme di quell’uomo sgorgarle dal sesso.
“La sua jing è dentro di me… Déi…”, pensò. Perché le andava bene? Perché non la faceva infuriare? Perché non lo aveva ancora schiaffeggiato?
Perché, si rispose, quel che era successo aveva appagato qualcosa dentro di lei, le aveva ridato qualcosa. Una forma di libertà, di ribellione che non pensava di poter avvertire.
-Continua a cercare Marduk.-, disse, -il nostro accordo resta valido.-.
-Senza la mia squadra?-, chiese Pacuvio. Lei lo fissò, non era spaventata.
-Senza di loro. Avrai la loro parte, quando avrai fatto. Ti può andar bene?-, chiese.
-Potrebbe.-, annuì lui senza rifletterci troppo, -A una condizione.-.
Lie attese. Pacuvio sorrise.
-Qualche piccolo bonus.-, disse fissandole il seno in modo palese. Lie si coprì, lentamente, senza fretta, ma con fermezza. Pensò che forse il vestito avrebbe retto sino alla casa sicura…
Ma realisticamente non l’avrebbe fatto. Sospirò. Avrebbe avuto modo di arrangiarsi.
-Questo… si può discutere.-, ammise, maledicendosi per il tono con cui lo aveva detto.
Da quando era divenuta così accondiscendente con quel reietto?
-Allora abbiamo un accordo.-, annuì il mercenario.
Erano andati avanti per quasi due-tre ore. Il tempo stesso si dilatava nel dolore.
Punti di pressione, aghi sotto le unghie, scariche elettriche a basso voltaggio, altre manganellate. Metodici. Si fermavano sempre con criterio. Non esageravano mai. Dei professionisti, altro che no.
Marduk sapeva benissimo di non poter resistere ancora a lungo. Fisicamente era esausto e anche la mente, a furia di subire, implorava requie.
Inoltre c’era il suo male. Aveva tossito qualche volta, avvertendo ogni colpo come un’amplificazione del dolore che gli stava arrivando addosso da muscoli e ossa che, anche senza il manganello, avevano ripreso a farlo patire. “Merda.”, pensò.
-È al limite, il figlio di una troia barbara.-, sputò Britus. Era a torso nudo e impugnava il manganello, ben propenso a ricominciare.
Gannicus si chinò. Marduk era ridotto uno straccio. Teneva il capo reclinato sul petto.
-Mi senti, Marduk?-, chiese. Attese qualche istante.
-Sì…-, un sibilo, appena udibile, asfittico. Venato di sofferenza.
-Può finire quando vuoi. Basta che tu dica quel che devi.-.
Silenzio. Gannicus valutò se rialzarsi o meno. Realisticamente, Marduk non avrebbe ceduto.
-Tu ci dici dov’è Minah Ahn. Noi la recuperiamo e poi sarà tutto finito.
Lentamente, Marduk emise una serie di suoni. Di parole.
Gannicus annuì. Dove trovare Minah Ahn. Sorrise.
-Britus, tu resta con lui. Sorveglialo. Noi torniamo a breve.-, ordinò.
Licius sorrise. Le notizie erano eccellenti. Gannicus sapeva dov’era Minah Ahn.
Questo voleva dire che presto la crisi si sarebbe risolta e quel bastardo di Marduk Atbash sarebbe finito all’inferno. Avrebbe voluto essere presente, anche solo per vederlo crepare.
Sorrise versandosi un calice di vino. Era un vino di quasi un secolo. Pregiato ben oltre la definzione che le parole potevano offrire.
Chiaro, oltre a quello ci sarebbe voluto qualcos’altro, per festeggiare.
Tipo una donna. Aveva già deciso quale. Compose un numero sul palmare.
-Sai cosa voglio. La solita. Sì, al solito posto tra un’ora.-, disse.
Gli sarebbe costato, ma aveva deciso di concedersi quel lusso. Un’indulgenza conclamata che voleva permettersi per godere appieno del trionfo.
Marduk sospirò. Lo avevano lasciato da solo con Britus.
Non aveva molto tempo: presto o tardi avrebbero capito che aveva mentito.
-A che pensi? Lo vedo che stai pensando!-, Britus sorrideva, ebete.
Doveva aver letto qualcosa nel suo sguardo. Male. Molto male. Marduk sorrise.
-Penso al fatto che per essere uno tutto muscoli, non sembri particolarmente sveglio.-, disse.
Britus lo fissò con rabbia, ma senza scattare o reagire alla provocazione.
Neanche questo andava bene. Se fosse stato suscettibile o si fosse avvicinato, magari avrebbe potuto tentare qualcosa, ma evidentemente i suoi catturatori erano gente capace.
Squadrando la sala, Marduk si concesse di tossire due o tre volte. I dolori del pestaggio si sommavano a quelli familiari degli strascichi della malattia. Vide un tavolo con su una giberna, loricae antiproiettile e una mitraglietta Legatus-4. Un’arma di ottima fattura.
Difficile, molto difficile procurarsela fuori dai canali ufficiali della Confederatio. Quella e la frase del capo della banda in merito a Licius gli diede modo di intuire che i suoi catturatori erano licanei. Ponderò l’azione successiva. Avrebbe potuto parlare, cercare di convincerli che erano dalla stessa parte, come infatti sembrava. Licius era sicuramente al soldo di qualche pezzo grosso nella piattaforma organizzativa della branca militare della Confederatio.
C’era persino la possibilità, assurdamente remota, che quei tizi lavorassero per qualcuno al di sotto, o al di sopra di Licius…
Oppure, quel qualcuno voleva battere il suo committente. Una lotta intestina nei servizi federali era l’incubo di qualunque ufficiale di alto livello. C’era sicuramente sufficiente margine per chiunque abbastanza in alto da poter dirottare risorse e uomini su obiettivi o missioni non ufficiali, senza doversi giustificare. La giungla del potere…
Una giungla dove quelli come loro erano pedine, spesso beatamente ignare della complessità degli schemi che si evolvevano sotto i loro stessi occhi. L’idea di simili doppigiochi gli diede quasi la nausea: lui aveva creduto nella Confederatio, nei suoi valori, nella promessa della pace e della possibilità di un mondo migliore per tutti gli uomini, e per questo si era battuto.
Scoprire le verità dietro tutto ciò lo aveva annientato, ancor più della malattia.
“Schemi dentro schemi, già nell’Ugiuria, quando fummo costretti ad abbandonare degli alleati per necessità strategiche poi rivelatesi un ulteriore doppio gioco…”, pensò.
Decise come agire, in quel preciso istante.
-Lavori per la Confederatio, vero?-, chiese.
-Taci.-, replicò l’altro, senza neppure alzare la voce.
-Possiamo collaborare. Siamo dalla stessa parte, anche se magari il tuo capo non è il mio.-, tentò ancora lui. Britus lo fissò.
-Taci.-, ripeté con tono tanto flemmatico che Marduk sospirò.
L’approccio collaborativo era fallito. Ma forse poteva tentare qualcos’altro.
-Ok, ma pensaci, credi che Licius sarà contento? Lui e il suo capo non prenderanno bene questa cosa- Non vi conviene uccidermi, e lo sapete.-, disse.
Britus non si mosse, cosa che Marduk aveva inizialmente sperato. -Taci.-, ripeté di nuovo.
Il prigioniero chinò il capo.
In sé, non era un problema.
La figura in nero osservava la baita con assoluto, totale distacco. Aveva già individuato due sentinelle, nessuna nascosta e nessuna talmente abile da percepirne la presenza.
Avrebbe potuto colpire la prima sentinella con la pistola silenziata, sgusciare alle spalle dell’altra e tagliargli la gola prima che si accorgesse che qualcosa non andava.
Avrebbe anche potuto ignorare la prima sentinela, abbattere la seconda, interrogare il superstite e scivolare dentro la baita. Era una sorta di abitazione montana, molto distante dai sentieri battuti.
I rapitori di Marduk erano stati diligenti. Peccato per loro, non erano neanche lontanamente al suo livello. Ma improvvisamente, la figura si fermò. Percezione diretta. Un pericolo.
Si acquattò nella vegetazione. Non ci voleva molto a sparire e aveva convenientemente sostituito l’abito nero con qualcosa di pIù adatto alla mimesi richiesta dalla situazione.
Colse i movimenti. Cauti, metodici, un avvicinamento molto, molto capace.
Non abbastanza da non venire visti, ma per non allertare le sentinelle bastava.
Il capo del drappello era un nero calvo dal viso camuso. Sollevò un fucile las munito di un soppressore sonoro al titanio anonizzato. Sparò un singolo colpo.
La sentinella neanche seppe cosa l’aveva uccisa. Crollò a terra.
Il suo compagno sentì qualcosa. Una percezione appena appena superiore al defunto lo portò a girarsi ed alzare la Legatus, in una mozione fluida. Riuscì anche a togliere la sicura prima che due colpi lo centrassero. L’arma volò via dalla sua presa mentre crollava colpito al ginocchio sinistro e alla mano destra. Colpi chirurgici. Certo: lo volevano vivo.
La figura in nero osservò il nero scattare in avanti lasciando il fucile a pendere dalla cinghia mentre estraeva un pugnale. Dietro di lui, altri due neri lo coprivano. Africani.
L’Unio Africae. Come avevano capito che Marduk era lì?
Dovevano essere stati in grado di tracciare i suoi movimenti.
La figura esalò un respiro. Inspirò. Espirò e ripeté. Decise.
Interferire avrebbe potuto sicuramente risolvere un problema, ma l’Unio Africae non era un branco di imbecilli. Erano profondamente lucidi e molto, molto capaci.
Che poi non avessero chissà quali mezzi e contatti, era un fatto, ma non era necessariamente un male. Abbattere quel gruppo avrebbe potuto significare complicare le cose anche a Marduk, e non era nei piani.
Per i suoi piani, Marduk doveva andare avanti, vivere. Sino alla fine della corsa.
Britus fissò il prigioniero. Odiava intimamente i barbari. Il suo bisnonno aveva combattuto i barbari ed era morto contro di loro. Suo nonno aveva partecipato a numerose missioni in Sarmatia e lungo il corso dei fiumi larghi come laghi che scorrevano in quelle piane aveva trovato la sua morte. Suo padre l’aveva cresciuto per emularli, ma era morto durante le fasi iniziali del conflitto di Chin e per allora, Britus si era fatto una carrierca come agente al servizio della Confederatio.
Gli ci era voluto il massimo autocontrollo per non sparare a Marduk Atbash, ma gli ordini erano ordini. Gannicus aveva sancito che il mezzo barbaro sarebbe morto solo ed esclusivamente dopo aver recuperato la Ahn.
E a lui andava benone. A patto di poter essere lui a piantargli una pallottola nel cranio.
-Hai sentito?-, chiese il prigioniero. Aveva alzato il capo.
-No.-, rispose Britus.
-Passi. Sopra.-, disse lui. Britus sorrise, giulivo.
-Sono i miei soci. Cambio della guardia, necessità di pisciare, quel che ti pare, ma non farti illusioni, Atbash. Sei già morto, e posso garantirti che farò qualunque cosa per essere io a finirti. Dovevi restartene nella tua topaia fetida…_, rispose con un sogghigno.
Poi la porta si aprì. L’occhio di Britus individuò l’oggetto in volo. Forma cilindrica.
“Merda!”, fu il suo unico pensiero.
Marduk vide l’oggetto. Lo riconobbe. Granata accecante! Si buttò con la sedia su un lato.
La granata esplose. Britus era vicino alla granata. Molto. L’esplosione a base di fosforo e fulminato di mercurio gli lambì il viso. Lo ustionò. Urlò.
Marduk non sentì nulla: le orecchie ronzavano, gli occhi, anche se chiusi, dolevano per il biancore che aveva invaso la stanza. Lampo e tuono. Perfetta.
Si accorse di avere la bocca aperta, stava urlando. Non sapeva neppure lui cosa.
Le orecchie continuavano a ronzare, si sforzò di aprire gli occhi e sbatterli. Una, due, tre, sei volte. Lentamente, la vista riprese a funzionare e, al posto dell’istantanea del pavimento e della stanza, si trovò vedere tre figure entrare. Erano africani.
“Unio Africae.”, pensò, o forse lo disse.
Uno del trio indicò Britus, che rantolava strisciando al suolo mentre cercava di raggiungere la Legatus che era da tutt’altra parte. Gravi ustioni al viso e al petto. Accecato e assordato, sicuro. Difficile che se la cavasse senza qualche aiuto medico urgente.
Quello che pareva il capo del drappello gli sparò un colpo di grazia al petto.
Marduk tentò di parlare. Le orecchie ronzavano meno. Distingueva i suoni a stento, ma era già qualcosa. Il capo del drappello lo fissò. Si avvicinô con una chiave. Gli tolse le manette.
Lentamente, Marduk si alzò. L’avevano salvato. Inviati da Hawo e Saida, sicuro.
Come avevano fatto a sapere dove fosse stato portato?
Inutile chiederselo: il trio ripiegò in buon ordine. Marduk riuscì ad articolare.
-Grazie.-, disse.
-Ordini del capo. Non seguirci. Per il tuo bene.-, rispose il nero col viso camuso a capo del gruppo. Lui annuì. Prese la Legatus, controllò il caricatore, afferrò la lorica e la giberna. Indossò il tutto. Trovò i suoi vestiti. Sopravveste, pistola silenziata, palmare, tutto.
Frugò nella tasca dell’abito. Prima una poi l’altra. Lo trovò. Era grande come una moneta da due crediti, due antichi Calus per i nostalgici. Un chip.
-Hawo…-, sussurrò. Sicuramente quella manovra era stata pensata e, guardacaso, si era rivelata molto più utile per lui di quanto forse le due gemelle avessero preventivato.
Si mise l’impermeabile, domandandosi cosa fare con il localizzatore.
Saida non aveva provato a contattarlo, ma quello poteva comprenderlo.
La domanda era se quindi le offerte di alleanza da parte loro fossero vere, e gli veniva da credere di sì. Che poi fossero interessate non cambiava nulla: gli avevano salvato la vita.
In un certo senso, era in debito.
Saida ricevette il rapporto. Annuì. Diede nuovi ordini. Hawo la fissò, pensierosa.
-Non capisco: avevi detto che avrei dovuto dimenticarmelo.-, disse, -E ora lo salvi.-.
-Sì. Perché lui si è fidato di te.-, disse la gemella, -Di noi.-.
-Non abbastanza da non tramortirmi.-, rispose Hawo, piccata.
-Ma avrebbe potuto ucciderti. Invece ti ha solo stordita, e ci ha dato un modo per contattarlo. Ora che l’abbiamo salvato, forse si sentirà in debito, se i profili psicologici a suo nome sono veriteri. E questo ci garantirà margine di manovra.-, spiegò Saida, con calma olimpica.
-Speri che diventi uno dei nostri? Ammetto che scopa bene.-, disse Hawo.
Detto da lei, era una valutazione indiscutibilmente rilevante, ma Saida scrollò le spalle.
-Non so. È… bizzarrro. Non è il classico agente di Licanes, né un nostalgico dell’Impero. A giudicare dal profilo, ha combattuto contro Chin, poi è sparito dalla circolazione dopo alcuni lavori al soldo di alcuni patrizi italici…-, disse, rimuginando.
-Molto comodo. Potrebbe essere un doppio agente?-, chiese Hawo.
-Troppo ovvio.-, escluse la gemella. Fatto stava che ora dovevano aspettare che Marduk tornasse alla civiltà. Poi, Saida aveva già deciso, lo avrebbero contattato.
-Ferelea.-, disse Marduk. L’informatrice tradì il suo sollievo.
-Marduk! Sei ancora vivo! Ti ho chiamato tre volte!-, esclamò.
-Sì. Ero… trattenuto.-, disse lui, -Invia qualcuno a recuperarmi a queste coordinate.-.
-Sei quasi a Dalma!-, esclamò Ferelea, -Come diavolo hai fatto?-.
-Camminando. Dobbiamo parlare, magari anche con Licius.-, disse l’uomo.
Ferelea sospirò. Conosceva quel tono. Non sarebbe stato uno scambio gradevole.
-Marduk… come hai fatto a liberarti?-, chiese.
-L’Unio Africae.-, replicò lui, secco, -Mi hanno tracciato. Sono intervenuti.-.
Ferelea imprecò dentro di sé. Era una pessima notizia: Marduk non era uno che dimenticava un debito d’onore, e quello corrispondeva all’archetipo.
Se fosse stato salvato da qualcun altro, e Ferelea sapeva benissimo di chi si sarebbe dovuto trattare, avrebbe potuto proseguire senza alleati, ma ora…
Ora Marduk avrebbe potuto considerare l’Unio Africae come una sorta di alleato di convenienza. Una tattica pericolosa, ma vista la quantità di nemici in campo non dubitava che l’avrebbe considerata.
-Ti mando un mezzo.-, disse. Chiuse la chiamata, diede l’ordine e ne iniziò un’altra.
-Pare che ci abbiano anticipato.-, disse.
-Avrei potuto eliminarli, ma non fa i nostri interessi.-, rispose la figura in nero, la voce neutra come sempre. Ferelea strinse il palmare sino a sbiancare le nocche.
-Marduk dovrebbe rimanere isolato, solo!-, esclamò, -L’hai detto anche tu!-.
-Sì. E lo sarà. Ma eliminando quel commando gli avremmo solo complicato le cose. Invece ora la situazione è molto, molto più a nostro favore. I servizi di Licanes e quel furbone di Licius si sono rotti i denti, come i Chin. Il gioco continua al nostro ritmo.-, replicò la voce.
-Capisco. Prevedi di tornare a breve?-, chiese Ferelea.
-Ho solo una cosa da fare.-, rispose la figura in nero chiudendo la chiamata. Guardò il mezzo salire la strada sfidando le asperità della strada montana.
Attese che l’auto si fermasse, poco distante dalla baita.
-Tu avevi detto che nessun bastardo, nessuno mai, sarebbe stato in grado di mentire dopo tutto quel che gli abbiamo fatto!-, esclamò infuriato un uomo in vesti azzurre.
-Questo bastardo è diverso, signore.-, rispose, deferente quello che pareva un agente.
L’altro imprecò. E qualche secondo dopo sbiancò.
La figura era apparsa sul limitare del bosco, alzato la pistola e sparato nel tempo che l’uomo l’aveva vista. Il gregario fu colpito in pieno volto. L’altro si voltò, ma contro un’arma alzata, non c’era molto che potesse fare.
-Gannicus.-, disse la figura.
-Mi conosci. Ma io non conosco te. E se volessi uccidermi non ti saresti fatto vedere. Potevi fare molto più in fretta, abbattendo entrambi senza esporti-, disse l’uomo. Era rimasto decisamente abile, capace e deduttivo sino in fondo.
-Molto perspicace. Di fatto, vengo per darti un messaggio, che vorrei arrivasse anche a chi ti dà ordini.-, la figura non abbassò la pistola.
-Tu come… come sai chi comanda la mia unità?-, chiese.
-La tua unità è cenere al vento.-, disse la figura, pacata, -Ma tu ancora no. Dovrai dire a Licius e al suo padrone che questa faccenda per loro si risolverà solo in uno smacco. E molti cadaveri.-.
-Tu sei folle! Non posso semplicemente dirgli questo! Ci sono in gioco interessi che…-, iniziò lui. La figura scosse il capo, con un atteggiamento mesto, deluso.
-Interessi che vi impediscono di vedere il resto. Vedete l’albero ma non la foresta.-, commentò. Gannicus scosse il capo. Non capiva.
-Chi… chi sei?-, chiese. La figura non rispose. Ricaricò e sparò un singolo colpo.
Dardo tranquillante. Gannicus si sarebbe risvegliato in seguito, ma la perdita di tutti i suoi uomini non gli avrebbe fatto fare una bella figura coi suoi superiori.
Andava bene. Non era nei suoi piani che morisse. Anzi, era molto meglio l’opposto.
Chien Lie era un uomo pratico. Non s’illudeva che la situazione in cui era sarebbe migliorata, quindi aveva proceduto a un accordo a stretto giro di risposta.
L’ufficiale licaneo che gli aveva lsciato il messaggio si era rivelato interessato alla sua volontà di cambiare fronte, ma aveva altresì sottolineato che Chien doveva prima dare qualcosa.
Qualcosa come i codici del Celeste per le comuncazioni, ovvio.
Peccato che farlo subito sarebbe potuto risultare molto, molto pericoloso.
Il Celeste non era stupido. In realtà, Chien sospettava che qualcuno dei suoi uomini lavorasse per lui. Forse la stessa Xie Ji. In fin dei conti, perché no? Sarebbe stata l’infiltrata perfetta…
In ogni caso, Chien era fortemente conscio che l’ultimo rapporto non aveva reso lieto il superiore: il Banatleus era stato un fiasco, e infiltrare i servizi di Licanes non era servito a nulla. Neppure cercare di sfruttare vecchi agenti riattivati aveva permesso progressi.
Ciò significava che i licanei brancolavano nel buio almeno quanto lui, o almeno la maggior parte di loro. Perché poi c’era Marduk.
Marduk, che era al Banatleus.
Marduk che aveva ucciso Hong e Rhade.
Marduk che era stato prelevato da alcuni che potevano essere agenti operativi di Licanes.
Marduk, che evidentemente non aveva parlato. Si era rivelato coriaceo. E problematico.
Erano passate solo quattro ore dalla sparatoria al Banatleus e l’intera città era stata messa a soqquadro dagli agentia. Prefectii, certo, ma anche altri. Brutta situazione.
Chien e il Celeste avevano già deciso di spostarsi al di fuori della città, cosa che lui aveva rapidamente comunicato al suo contatto sull’altro lato della barricata.
Il medico di Ferelea gli aveva prescritto alcuni tranquillanti. Aveva avvuito notando la medicazione fatta. Un otttimo lavoro. Marduk era rientrato al suo albergo, aveva fatto una doccia, mangiato e si era infilato a letto dopo che Svalok gli aveva fatto avere altre munizioni su ordine della padrona. In tutto ciò però, il sonno gli era giunto difficile.
Perché Licius conosceva quel tale che l’aveva interrogato? E perché sembrava che Ferelea fosse stata sorpresa dall’averlo saputo salvato dall’Unio Africae?
Non sollevata, né preoccupata. Sorpresa. Come se un simile salvataggio non l’avesse pianificato ma fosse finito col sostituirsi a un suo piano?
Domande. Molte. E altre ancora si affollavano nella sua mente. Troppe.
L’indomani avrebbe cercato di fare chiarezza. Avrebbe iniziato con Minah Ahn, decise.
Lie Nu non sapeva ancora se definire la sua strategia il frutto di una logica ineccepibile o l’impulso autodistruttivo di un sentimento sbocciato nel meno prevedibile dei modi.
Si muoveva lungo la strada. Fuori da Ruamaillia, la situazione era più tranquilla.
I Prefetcii avevano preso a compiere perquisizioni sommarie. Cercavano Ahn, o agenti nemici.
Impossibile dirlo con certezza. Di certo, Lie non intendeva farsi trovare. Sun Di aveva ordinato alla cellula di disperdersi e l’asiatica aveva obbedito. Superò una curva non badando ai commenti tutt’altro che eleganti di un uomo che pareva un manovale sul suo fisico.
Certo, aveva fatto rapporto ed eseguito gli ordini, da brava agente, ma la verità era che lei ormai stava giocando una partita ben distinta da quella dei servizi del suo paese.
Una violazione. L’ennesima. Tutto era violazione, ormai.
Violazione era stata contraddire agli ordini, assoldare Pacuvio e i suoi, prendersi i fondi di Sun Di per le sue vendette private ed eventualmente venire posseduta dal mercenario…
A questo punto, una in più, o in meno, non avrebbe realmente cambiato le cose. Non s’illudeva: se l’avessero scoperta, la aspettava una fine tutt’altro che gradevole.
Percepì passi dietro di sé. Un agente? Forse. Zigzagò lungo delle curve, uscendo lungo un sentiero secondario. Osservò un tempietto votivo al dio dei boschi, Phos, un dio minore.
Phos non aveva mai ricevuto particolare adorazione al di fuori delle regioni renane e quel tempietto era talmente lontano da quella zona da far pensare a qualche iniziativa di proselitismo finita male. In quel momento, non c’era praticamente nessuno.
Perfetto. Lie si fermò di scatto, scalciando all’indietro. L’uomo, perché di un uomo si trattava, emise un verso doloroso. L’asiatica volteggiò sulla gamba, ritirando l’altra e sferrando un secondo calcio. Colpì al costato ma l’uomo emise un sibilo e le imprigionò la gamba contro il corpo tirandola. Lie non fece resisistenza: balzò verso di lui sbilanciandolo con la sua improvvisa accondiscendenza. L’uomo perse l’equilibrio e inciampò a terra e l’agente gli atterrò addosso, sul petto.
-Puttana!-, sputò lui. In lingua chin, dialetto dello Sien-zu. Lei gli strappò il cappuccio dal viso. Un viso asiatico, capelli neri e occhi a mandorla. Lie gli puntò un coltello alla gola, affilato ma corto, discreto. Sufficiente a fargli capire che non scherzava.
-Chi ti manda?-, chiese in un soffio.
-Qualcuno che vuole qualche risposta, Lie Nu.-, disse un’altra voce. Lo scatto di un percussore gelò la donna sul posto. L’altra voce era femminile, e Lie la conosceva.
-Ti manda Chien?-, chiese mentre si sollevava e alzava le mani, reggendo il coltello con due dita. La donna che la teneva sotto tiro era una bellezza diafana, anche intabarrata in abiti che non ne valorizzavano affatto il fascino.
-No.-, disse Xie Ji, -Ma è di lui che voglio parlarti. A nome di qualcun altro.-.
Lie annuì, accogliendo quell’ennesima novità.
Un’altra violazione. Forse definitiva.
Pacuvio schiumava. La notte pareva eterna. Forse lo era.
L’aver scopato Lie Nu era stato soddisfacente, ma l’aveva solo temporaneamente acquietato da quello che sentiva essere il suo reale scopo.
Marduk. Uccidere Marduk Atbash. Era inutile negarlo: era quello che voleva fare.
Quel bastardo l’aveva umiliato nel peggiore dei modi. Se la sarebbe goduta con lui.
Ogni istante di attesa gli pareva il prologo alla sofferenza di Atbash, un prologo che avrebbe voluto poter evitare di dover leggere, quello, come le introduzioni di certi testi a scuola.
Beh, fanculo! Lui odiava la scuola. Aveva dato fuoco alla sua scuola!
Quel figlio di una troia impestata l’avrebbe pagata cara. Non era importante se, peché ciò accadesse, Pacuvio avrebbe potuto rimetterci la vita, era uno scambio equo.
Ogni volta che si vedeva allo specchio scorgeva i pertugi dei denti mancanti che il calcio di Marduk gli aveva strappato.
Si concesse un secondo bicchiere di liquor imponendosi di finirla.
Saida rifletteva. La notte portava consiglio, e lei ascoltava.
Contattare Marduk era la migliore delle idee, ma non subito. L’avrebbe fatto domani, all’alba.
Forse, unendo le forze, avrebbero potuto svelare i misteri che circondavano Minah Ahn.
E poi… poi avrebbe dovuto prendere una decisione anche lei, a sua volta.
L’indomani, Marduk si recò presso la base di Ferelea. Un buon informatore aveva modo di delocalizzare la propria attività alla svelta e lei non faceva eccezione alcuna.
In realtà per lei doveva essere relativamente semplice mantenere una serie di basi e punti d’appoggio. In fin dei conti, si trattava di fare ben poco. Il fatto che a Ruamaillia ci fossero una esigua quantità di spazi l’aveva resa più prudente. Nella fattispecie, aveva riservato un’osteria. Per quel preciso orario.
Svalok accolse Marduk senza antipatia, anzi con uno spettro di saluto che faceva presagire il nervosismo di Ferelea, forse dovuto non solo all’operato dell’agente, ma anche ad altro.
Purtroppo per i suoi nervi, non aveva idea di quanto fosse nel giusto a temere che la giornata potesse solo peggiorare. Marduk entrò. La sala principale dell’osteria era in ordine, salvo un tavolo dove Ferelea sedeva, fissandolo.
-È scoppiato un bel casino.-, disse Ferelea. Vestiva un abito totalmente fuori dai canoni tipici: Nessun costume da amazzone del Kelreas stavolta. Marduk non si perse in facezie.
-Con almeno tre servizi diversi implicati, posso considerarmi fortunato a esserne uscito vivo.-, disse, -Diversi altri, non hanno avuto questa fortuna.-.
-Ed è tutto qui, Atbash? Ha salvato la sua pellaccia?-, la voce di Licius irruppe sulla scena.
Marduk rimase immobile. Totalmente. Perché sapeva benissimo che anche la minima reazione avrebbe innescato una catena di eventi molto, molto spiacevole.
L’entrata di Licius Carcio Quadro fu accompagnata da un sussulto che Ferelea si premurò di celare. Quell’uomo aveva una pessima abitudine: quella di credersi al di sopra di chiunque altro, e oggi, lei lo sapeva bene, qualcuno l’avrebbe rimesso al suo posto. In modo definitivo.
-Ha salvato solo la pelle, o è persino riuscito a portare a casa un risultato? Magari qualche informazione che, con il suo maniacale attaccamento all’egocentrismo, si rifiuta di condividere con noi?-, chiese Licius, -Forse qualcosa che mi possa convincere a non revocarle l’incarico e a non dare il via libera ai miei sottoposti di divertirsi un po’?-.
-Forse.-, ammise Marduk,-Ma potrei anche essermelo scordato… Cose che capitano dopo ripetuti traumi fisici come quelli inflittimi da un’unità di torturatori decisamente capace e soprattutto ben equipaggiata. Mitragliette Legatus, corazze Loricae X… Visi da licanei e ottimo accento nella lingua di Licanes. Devo andare avanti, Licius?-, chiese, quasi distaccato, affettato. Ferelea rabbrividì, stavolta. Perché conosceva quel tono, e sapeva esattamente cosa sarebbe accaduto.
-Licius, credo che lui non intendesse…-, iniziò, cercando di disinnescare la bomba.
-Io credo proprio che intendesse dire quel che ha detto. Ma vai avanti, Marduk. Continua pure! Perché immagino che ci sia qualcos’altro che vuoi aggiungere! Magari qualcosa su una squadra di servizi licanei? Una qualche ipotesi su una lotta intestina? Ma tutto questo ti turba? No, no tu sei un duro, un cazzo di eroe, ecco cosa ti credi, vero?-, chiese sputacchiando e perdendo la compostezza di poc’anzi in uno scoppio di ira, -Forse crederai che sia qualche mio rivale, vero? Magari la cosa ti spaventa, eh? Come un bambino ignorante finito nel cortile dei grandi durante la ricreatio!-.
-Marduk…-, iniziò Ferelea. Inutile: il movimento fu rapido, rapidissimo.
L’istante prima, Marduk Atbash era fermo, forse calmo, se non apertamente rilassato.
Quello successivo, si era mosso. E il pugno destro di Marduk aveva centrato Licius al viso.
Il pugno successivo fu altrettanto forte portando Licius a barcollare, ma Marduk non si fermò. Sfilò qualcosa dalla cintura.
Ferelea si alzò. Fece per parlare, ma la voce dell’agente la silenziò, unitamente a una sua occhiata. La lama appoggiata alla gola di Licius pareva calamitare l’attenzione. Di tutti.
-Non ti sgorgo le giugolari per un solo motivo. Trovo sia eccessivamente dispendioso per l’oste procedere a ripulire tutto. Ma è pur vero che ci sono altri modi, molti altri, con cui posso renderti edotto alla sofferenza. Non credo di dovermi dilungare a spiegarli, penso che preferirò metterli in pratica.-, sibilò Marduk. Licius emise un gorgoglio.
-Marduk… Pensaci…-, supplicò Ferelea.
-Oh, ma io ci penso, Ferelea. Ogni giorno. Penso che per dei bastardi agghindati come lui siamo andati a morire a migliaia. E che cosa è cambiato? Niente. Il mondo resta uguale. La Pax Licanea è finita ben prima della guerra tra Chin e Licanes. Ma forse, ora, qualcuno vuole tutto questo. Qualcuno si sta divertendo, vero?-, chiese Marduk rivolto a Licius.
-Tu questa non la passi… Ti faccio castrare, maledetto cane!-, sputò l’altro.
-Certo. Le solite, identiche, eterne minacce. Così noiose.-, disse Marduk, annoiato.
Ferelea sospirò. Faceva sul serio, era questo il problema.
-Dopo una volta possono spaventare, dopo tre, sei, dieci volte… Sono una noia mortale.-, continuò Marduk, -Chiunque può dirtelo, Licius. Ma forse, nel tuo sempiterno complottare, non ci hai badato. Forse non mi hai voluto avvisare di servizi licanei deviati o di operativi venduti, oppure persino di qualche squadra di riserva non informata del mio coinvolgimento. Tutto normale, no? Ordinaria dis-amministrazione! Succede anche ai migliori! Una fortuna che ora, tu, prode rappresentativo di grigie eminenze, saprai porre rimedio alla tua idiozia. Perché si dà il caso che quel tizio che mi ha torchiato, ti conoscesse. E io voglio sapere chi é. Ora.-, la pressione del pugnale sulla gola di Licius aumentò strappandogli un verso, -O ti garantisco che l’oste dovrà rivalutare la pavimentazione.-.
-Tu sei pazzo… pazzo!-, esalò Licius.
-Licius… Lui non è pazzo. È dannatamente deciso. E ti ucciderà per davvero.-, le parole di Ferelea le parvero massi scagliati da cime abissali. Suggelli della nuova realtà.
Silenzio. Finalmente. Si udivano solo i respiri. Svalok non fece una mossa per intervenire, né la fece Ricutius. I due parevano piuttosto osservare. Senza interferire.
Ferelea si risedette, cercando di calmarsi. Impresa ardua.
-Allora, Licius?-, chiese Marduk.
-Gah… Gannicus! D-Dai resoconti che hai mandato… è Gannicus!-, cedette quello.
-Un licaneo, vero?-, chiese ancora l’agente.
-Un estremista. Della peggior risma. È quasi un cane sciolto. Ottime autorizzazioni ai livelli Quartus e Quintus. Autorizzazioni non revocabili.-, ammise Licius.
-Ma non mi dire. E un ottimo finanziamento. Da chi?-, chiese Marduk.
-Non lo so!-, esclamò lui.
Era vero. Licius non stava mentendo. Non sapeva chi pagasse Gannicus e i suoi, ed era giusto così. Ma in quel momento gli premeva solo che Marduk riponesse quel coltello.
Dopodiché avrebbe ridiscusso le priorità di missione con Gannicus. Atbash doveva pagarla per quella sua insubordinazione.
-Ma non mi dire…-, fece Marduk, -Però scommetto che puoi dirmi qualcos’altro. Tipo chi lo comanda.-.
-Ignatius! Ignatius Glavio Subrio!-, proferì infine. Era l’unica. Dare a Marduk un bersaglio. Uno che non fosse lui. Una tattica semplice, -È uno dei membri della Piattaforma Operazioni Interne per il territorio dell’Europica. Un uomo che manovra numerosi assetti. Incluso lui-.
-E perché questo Ignatius non ne sapeva niente di me?-, chiese l’agente.
-Perché non ho avuto modo di comunicargli del tuo contributo… inoltre è un tradizionalista. Ti vedrebbe comunque come un mezzobarbaro.-, rispose Licius.
-Come te, no?-, chiese Marduk, -Anche tu mi vedi così.-.
Lui tacque. Inutile mentire, o innalzare difese. Poi, Marduk lo spinse via. Licius rimbalzò contro un tavolo in quercia e crollò su una sedia, respirando pesante.
-Visto? Una cosa semplice, lo scambio di informazioni. Do ut Des, no?-, chiese Marduk, sorridendo causticamente alla volta dell’uomo.
“Maledetto bastardo! Ma ti giuro che questa me la paghi…”, si ripromise silenziosamente Licius. Già aveva dovuto posticipare una fantastica notte di piacevolezze con quella sottomessa slava che aveva avuto modo di procurarsi, e ora… questo.
Non gliel’avrebbe fatta passare, ma per ora, doveva fare buon viso a cattivo gioco.
Per ora.
Marduk sospirò. Rinfoderò il coltello.
-Marduk, l’hai trovata? Minah Ahn…-, chiese Ferelea.
-Ho una pista. Forse una che potrebbe portarmi a lei. E credo che lei si fidi di me, d’accordo. Quindi esigo che quando mi muoverò nessuno mi segua. Penso che questo mi permetterà di ritrovarla senza troppi problemi.-, disse lui, -Mi preme molto di più un eventuale copertura dagli agenti di Chin. Li ho già incontrati e non sono dilettanti.-.
-E l’Unio Africae?-, chiese Ferelea. Marduk scosse il capo. La verità era che di loro non sapeva ancora cosa pensare ma… “Ma mi hanno salvato la vita.”, pensò.
-Non credo che daranno problemi.-, riconobbe infine.
-Sono sovversivi.-, disse Licius, -Danno problemi.-.
-Ma in questo caso non sono il nemico. Credo che con loro si possa negoziare.-, disse Marduk, fissando il rappresentativo che intanto si era ricomposto.
-E lo farai tu?-, chiese Ferelea.
-Sì.-, annuì Marduk, -A costo di farlo senza l’autorità o il suppporto di voialtri.-.
-Sei folle. Sei un cane sciolto a cui avrebbero dovuto mettere la museruola anni fa.-, borbottò Licius. Lui sorrise. Sì. Forse era vero.
-Magari sì. Ma sono anche l’unico ad avere una pista sicura per Ahn. E tu la vuoi, questa pista.-, disse. Licius chinò il capo, vinto.
Marduk non attese oltre e uscì
Ferelea sospirò. Osservò davanti a sé. Anche Licius se n’era andato. Tutt’altro che di buon umore. Ma l’attenzione della donna era polarizzata da un punto della sala.
-Che ne pensi?-, chiese. La figura in nero parve venire partorita dalle tenebre.
-Davvero notevole. Non è intenzionato a mollare. Il che è un ottimo segno per il futuro.-, disse.
-Sicuramente. Marduk è motivato. Spero lo rimanga.-, ammise l’informatrice.
-Lo rimarrà. Il suo attaccamento alla verità supererà persino l’orrore.-, disse la figura.
-E se non lo facesse?-, chiese Ferelea, -Se cedesse?-.
-Allora gli forniremo qualcuno in grado di supportarlo.-, fu la risposta.
L’informatrice annuì. Certo: Marduk doveva continuare. Doveva.
Anche contro il proprio buonsenso.
-Immagino tu abbia già in mente un nome.-, disse .
-Ce l’ho.-, ammise la figura, -Ed è qualcuno che anche tu conosci.-.
Quando glielo disse, Ferelea trasalì.
-Marduk?-, chiese la voce. Lui aveva risposto alla chiamata. Sul secondo palmare.
-Hawo.-, disse riconoscendola. Un risolino divertito fece capolino dall’altra parte della linea.
-Lieta di vedere che ti ricordi bene di me. Non sei stato molto gentile, l’ultima volta che ci siamo visti.-, disse lei. Marduk si concesse un sorrisetto.
-Mi farò perdonare.-, promise.
-Oh, ho qualche idea su come potrai farlo.-, disse lei. L’uomo era certo che stesse sorridendo.
-Ma non chiami certamente per questo.-, disse lui sforzandosi di riportare la conversazione su argomenti forse meno lieti ma più pressanti. Vi fu un istante, poi lei parlò.
-Possiamo parlare di una… collaborazione?-, chiese.
-Dipende di cosa si parla. Lo capisci che non posso consegnarvi quella donna, vero?-, chiese.
-Non vogliamo che ce la consegni! Ci basta poter parlare con lei. Poi potrai anche ridarla ai tuoi superiori, se ti va.-, aveva detto bene: Marduk non era convintissimo di cosa fare con quella donna e le terribili conoscenze che si portava dentro. Era legittimo che esitasse…
Ma d’altronde, sarebbe stato un tradimento, no?
E l’alternativa era tradire sé stesso. Rivide l’espressione di Minah Ahn quando l’aveva incrociata la prima volta. No. Consegnarla non era l’unica opzione. Non per lui.
-Capisco. Penso… penso si possa parlarne.-, disse con cautela, -Cominciamo a trovarla.-.
-Ottima idea. Ho visto che hai ancora il localizzatore.-, disse Hawo.
-Una precauzione, per me. E un gesto di buona fede per voi.-, chiarì Marduk.
-Sei molto gentile, agente Atbash.-, disse la nera.
-Tu dovresti sapere quanto…-, alluse lui. Lei ridacchiò di nuovo.
-E non vedo l’ora di sondare profondamente la tua gentileza…-, disse.
Il solo tono provocò a Marduk un principio di erezione.
-Girerò tre volte attorno all’edificio dove si trova la Ahn. Vi aspetterò. Ci vediamo lì.-, disse infine. Dopo un breve saluto chiuse la chiamata.
-Certo che sei davvero abile a imitarmi…-, fece Hawo. Saida posò il palmare.
-Ti conosco da quando eravamo lattanti, cara sorella. Anche se posso sembrarti noiosamente efficiente, sono pur sempre te.-, disse con un sorrisetto.
-Davvero! Mi chiedo se pensavi davvero tutto quello che hai detto…-, replicò Hawo, curiosa.
-Questo non è importante, tanto più che realisticamente lo incontreremo nuovamente, e avrai la tua occasione di divertirti, a lavoro finito.-, decretò la gemella mentre osservava una mappa della città e il localizzatore di Marduk che si muoveva in tempo reale sullo schermo.
La sua sorella sbuffò con sufficienza, come a voler minimizzare l’importanza di quella risposta e a rimarcare l’interesse di sapere, ma Saida era già lanciata in altre considerazioni.
-I servizi degli asiatici… quelli non mi convincono affatto. Ngodjo ha confermato che ce ne sono diversi, che potrebbero essere dei loro in zona.-, disse Saida.
-Di tutti quelli che si sono scontrati al Banatleus, sono quelli che ne sono usciti peggio, mi pare di ricordare.-, osservò Hawo.
-Già. Vorranno recuperare. In effetti mi sorprenderebbe se non avessero preso contromisure in tal senso.-, ammise la gemella.
-Perché ti preoccupa tanto?-, chiese Hawo.
-Perché sarò io a raggiungere Marduk, non tu. Almeno, non stavolta.-, sancì Saida.
-E io che farò?-, chiese l’altra. Le due si fissarono, per un breve istante.
-Depisterai i nostri nemici. Semplice, no?-.
Chien Lie era stato scrupoloso.
Contatti tra la popolazione, informatori prezzolati, aveva attivato di tutto.
E finalmente, ce l’aveva fatta. Aveva qualche risposta.
Certo: non era granché, ma sapere che Marduk Atbash era ancora in città significava che, realisticamente, anche il loro bersaglio lo era. E trovare tracce delle operaizoni dell’Unio Africae era stato altrettanto semplice.
Comunicò la notizia ai suoi “alleati” licanei, sperando che venisse apprezzata.
Dal fallimento del Banatleus non aveva più voluto la compagnia di Xie Ji. Aveva preferito mantenere alta la guardia, diffidare di tutto e tutti e tagliare metodicamente i contatti con l’esterno. Neppure la figura in nero che l’aveva tormentato si era rifatta viva. Tanto meglio.
Aveva già qualche idea delle prossime mosse. Comunicò a due suoi operativi di procedere ad acquisire Marduk appena possibile, e ordinò a un secondo gruppo di pedinare con discrezione il primo. Se avessero fallito, l’ordine era di seguire Marduk. Ovunque.
Senza interferire. Era un esercizio di somma prudenza, eseguito in corda doppia.
Intanto lui avrebbe visto come avrebbero agito i licanei.
-Unio Africae.-, ponderò l’uomo. Licius non fiatò. Non osò farlo. Non dopo aver perso quasi un intera squadra in un operazione non coperta da ordini superiori.
-Parliamo di una cellula piccola, ma fastidiosa. Stando ai rapporti, erano già presenti al Banatleus. Gran brutta faccenda. Liberarcene sarebbe quantomeno gradito.-, commentò l’altro. Era una figura massiccia, dal viso aristocratico. Licius attese. C’erano ordini.
Ce n’erano sempre. Ne sarebbero arrivati.
-Tu organizzerai un’azione contro quella cella, Licius. Userai Gannicus e altri operativi. E quanto all’agente Atbash, che pare preoccuparti tanto… Beh, non hai di che temere.-.
A quella frase, Licius si era fortemente insospettito. Cosa non gli stavano dicendo?
Il timore sottile, eppure acuminato come uno stiletto di aver involontariamente pestato i piedi al suo stesso superiore lo pugnalò allo stomaco, un groppo che gli si strinse nelle interiora.
-Mio signore… io…-, iniziò lui.
-Tu, Licius Carcio Quadro, procederai con gli ordini che ti sono stati dati. E non devierai minimamente da essi, o altrimenti posso garantirti che avrò la tua testa prima del calar del sole.-, sibilò l’uomo. A quelle parole seguì il silenzio. Licius si accorse di star sudando.
Di star persino tremando. Perché era ben conoscio di essere a pochissima distanza dalla fine.
Di tutto quanto!
“Maledizione a te, Marduk Atbash. Per chi diavolo lavori, davvero?!”, si chiese.
Era possibile che quel reduce, che pareva capitato per caso sulla strada di quell’enorme casino, fosse stato in realtà assoldato in precedenza da qualcuno?!
E lui, stupido idiota tronfio, l’aveva assunto con la convinzione che fosse stato sacrificabile…
No, no… C’era qualcosa che non quadrava. Marduk poteva essere un agente doppio, anche triplo, forse. Magari aveva inflitrato l’Unio Africae, riuscendo a manipolare la loro cellula per i suoi fini. Eppure, anche così, non capiva.
I Chin? Lavorava per i Chin? No. Sapeva che avevano tentato di ucciderlo al Banatleus.
Eppure era proprio ciò che un doppio agente avrebbe dovuto aspettarsi. Cos’era successo durante la guerra, quando quell’uomo aveva combattuto contro di loro?
I rapporti dicevano che aveva negoziato la ritirata da Zhoughanzuou, trattando con l’ufficiale nemico in capo, tale Chien Lie.
Chien Lie… Che poteva essere coinvolto nell’intera faccenda. Di fatto, quel nome usciva anche da altri dati, in altri luoghi, luoghi segnati.
“E poi c’è quella figura in nero. Quel tizio che mi ha detto di lasciar fare Marduk…”, ricordò Licius. Troppe. Troppe fottute variabili. Impossibile districarcisi dentro senza ammattire.
Improbabile procedere senza almeno tentare di capire.
-Sarà fatto, signore.-, annuì infine. L’altro annuì a sua volta.
Licius uscì dalla sala. Estrasse un palmare criptato. Aveva bisogno di due cose: uno sfogo e informazioni. Il primo sapeva procurarselo, ma le seconde avrebbero richiesto tempo, e denaro. Il suo, crediti non tracciabili. Fondi neri per operazioni nere.
“Opus Nigra all’opera…”, pensò. Intanto avrebbe organizzato l’attacco alla cellula dell’Unio Africae come aveva richiesto il suo superiore.
Poi avrebbe indagato per conto suo su Marduk, su Ahn, e su quel tizio cinese.
E fosse incappato in risposte spiacevoli, avrebbe reagito di conseguenza.
Marduk percepiva qualcosa. Un senso d’inquietudine protratto che lo portava a spingersi nella folla, come a cercare protezione dagli sguardi. Ma Raumaillia non era la sua città, né una metropoli come Roma o Madridia, o ancora Lisbona, o Nova Leptia, o Apollonia. La folla non offriva grande mimesi in quella cittadina.
Tossì. Sentì la testa dolere all’attaccatura del naso. Il suo male che rialzava il capo…
Resistere… S’impose di raddrizzarsi. E lo sentì dietro di sé. Appena un senso di puntura alle reni. Attraverso la veste. E una voce all’orecchio. -Cammina. Verso il vicolo.-. Ordine diretto.
Impossibile dire chi fosse. E se agisse da solo. Marduk obbedì.
Era stato stupido e arrogante a credere che non l’avessero in qualche maniera rintracciato.
Ora doveva pagarne il prezzo… e rimediare.
Saida osservò il localizzatore. Aveva gli occhi stanchi. Aveva mangiato pcoo durante il pranzo, ma la buona notizia era che Marduk sembrava star girando attorno a un edificio. Era la volta buona? Quando vide il segnale fermarsi, le venne un dubbio.
Si era sbaglaito? Informazioni incomplete… O…?
Oppure qualcosa non andava. Decise.
-Kutawanyika.-, ordinò. Era l’ordine che i suoi avevano atteso: Hawo, pigramente assopita sul vicino divano si alzò di scatto. Anche gli altri si mossero.
Marduk imprecò: i due tizi, il primo era stato raggiunto da un secondo all’interno del vicolo, erano bravi. Nessuna mossa brusca, non lo perdevano di vista. Erano capaci. E tanto.
Doveva aspettare. Agire appena ci fosse stata un’apertura, ma prima di giungere in una qualche struttura o base anche solo temporanea, perché a quel punto le probabilità di sfuggirgli sarebbero calate drasticamente.
Incespicò, come per tentare una reazione ma quello davanti lo bloccò.
-Non fare scherzi, amico.-, lingua licanea con accento barbaro. Qualcosa dell’est europeo. Forse una zona della Balcanica. Non era un buon segno. Quelli erano mercenari, agenti a pagamento. Gente capace, dunque, ma forse non alle dipendenze di uomini della Confederatio. E ciò significava un bel casino.
Impossibile dire chi li avesse mandati. Impossibile anche capire dove lo stessero portando, ma c’era da supporre che avessero un punto a cui appoggiarsi nelle vicinanze.
Sarebbe stato illogico allungare i tragitti.
Espirò, cercando di calmare il battito del cuore. Agire, sì, ma quando? Quando si sarebbe presentata l’occasione? Improvvisamente, l’uomo davanti a lui si voltò.
Stavano camminando tra i labirintici passaggi tra un edificio e l’altro, impossibile o quasi colpire un uomo alla testa con spazi di manovra tanto ridotti.
Quando la testa dell’uomo fu centrata in pieno da un proiettile, dunque, Marduk non si sorprese a sentire l’assenza della punta del pugnale. Anche l’altro era stupefatto.
L’agente agì: si volse rapidissimo intercettando il braccio dell’uomo e afferrandolo. Applicò una leva che gli permise di disarmarlo e colpì al viso. L’uomo emise un verso atroce di dolore, che fu silenziato da un secondo colpo, al petto. Un colpo letale. Perfetto.
Marduk osservò verso l’alto. Nessun colpo giunse per lui. Espirò, rilassando i muscoli.
Chi era il suo salvatore?
-Sono morti, capo. L’uomo è da solo. Sembra confuso almeno quanto noi.-, disse uno degli uomini di Chien. La seconda squadra. L’asiatico rifletté. Possibile che Marduk avesse una copertura tanto efficiente senza saperne nulla? Chi erano? Operativi licanei? Forse.
-Non interferite. Seguitelo e riferite. Cauti. Priorità alla furtività, non all’intervento.-, ordinò.
Ricevette segnali di assenso. Si sfregò il mento, pensieroso.
Chiunque avesse effettuato quel colpo, era stato molto, molto abile.
Fece un numero sul palmare e chiamò.
Marduk si alzò. La rapida perquisizione non aveva fruttato granché.
Pochi crediti, diverse immagini sue e di Minah Ahn per come auttalmente era.
E due palmari, criptati. Ovviamente.
Un palmare suonò. Il suo. Quello personale. Rispose.
-Marduk… Va tutto bene?-, Hawo, o Saida. Difficile se non impossibile dirlo.
-Sì. Sai dove mi trovo, vero?-, chiese.
-Sto arrivando lì. Ho due uomini con me. Sei ferito?-, chiese la nera con sollecitudine.
-No. Niente di grave…-, disse lui. Osservò ancora i due morti.
Possibile che il suo salvatore fosse uno dell’Unio Africae?
-Mi stavate facendo seguire?-, chiese. La sua interlocutrice rispose subito.
-No! Non ci saremmo mai permessi di farti pedinare, non ne avremmo neanche bisogno. Hai ancora il localizzatore. E se l’hai tenuto e stiamo parlando, vuol dire che entro certi limiti ti fidi di me, di noi.-, la risposta fu rapida, rapida e, molto probabilmente, sincera.
-Forse è meglio se mi raggiungi.-, disse.
Qualcosa non quadrava affatto.
Appollaiata sul cornicione di un edificio duecento metri più in là, la figura in nero scrutò la scena attraverso l’ingrandimento del mirino. Poteva vedere Marduk con nitidezza perfetta. Ingrandì sino a che il suo viso non occupò la totalità del reticolo di mira.
Ucciderlo sarebbe stato facilissimo, ma non era ciò per cui era lì.
Improvvisamente, lo vide voltarsi con un sorriso. Allargò la visuale.
Sulla scena era arrivata una nera, una bella donna, davvero, accompagnata da altri due africani. La figura strinse sulla donna. Abiti non appariscenti, pratici, viso grazioso e altero, fronte bombata, incarnato scuro, capelli neri crespi ondulati sino a metà scapola.
Si leccò le labbra. Non era affatto brutta, anzi. Era decisamente un bel pezzo di donna, e sicuramente anche Marduk doveva pensarlo. Anzi, se le sue informazioni erano vere, quella era Saida Pulchra Rea, formalmente intrattenitrice e prostituta d’alto calibro, ed evidentemente agente dell’Unio Africae.
Posizionò la testa della nera nel suo reticolo di mira. Con cura. Con pazienza.
Inspirò. Espirò. Poteva ucciderla. Poteva farlo senza che i suoi due gregari potessero anche solo fiatare per impedirlo. Inspirò, espirò. Poteva, ma facendolo avrebbe compromesso Marduk. Terzo respiro, la nera non rappresentava un pericolo. Casomai era l’opposto.
Poteva persino adattarsi ottimamente ai suoi piani. Ciò significava che lì, non c’era altro da fare. Sgusciò tra le ombre.
-Mercenari balcanici…-, commentò la nera. Nessuna frecciatina, né attenzioni inopportune. Se era Hawo, allora era tremendamente seria. Il che suggeriva anche la serietà della situazione. Marduk le allungò i palmari. E le immagini stampate su carta.
-Pochissimo su cui lavorare.-, disse. L’africana annuì, pensosa. Analizzò brevemente tutto.
-Potrebbero essere stati assoldati da chiunque. Impossibile capire con esattezza chi ci sia dietro. Questa è roba da due soldi.-, disse, non senza stizza.
-Capisco.-, annuì l’uomo, -Tua sorella?-, chiese.
-Hawo ti saluta, ma è troppo occupata a chiudere una questione in sospeso.-, disse Saida.
-Quindi ci rivediamo, Saida.-, disse Marduk. La nera annuì, distaccata, con un sorriso cordiale, ma nulla più.
-Spero tu non sia dispiaciuto.-, disse con ironia.
-No, affatto.-, disse lui. Lei sorrise, più un ghigno di scherno che altro.
-Lo so che ti piace. Anche tu piaci molto a lei.-, disse, -Ma te lo dirà in un secondo tempo. Ora, immagino che stavi dirigendoti da Minah Ahn.-.
Marduk annuì. Fece strada, non senza rivolgere un pensiero ad Hawo. E non senza sorprendersi di quanto Saida fosse a suo modo bella e in qualche modo meno prorompente della gemella ma forse più vulnerabile, emotivamente meno schiusa….
Scosse il capo. Non era il momento per simili pensieri.
Hawo era intenta a guidare. L’idea era stata di muoversi su almeno due-tre mezzi.
Si aspettava problemi. Sapeva che ce ne sarebbero stati. Dopo il Banatleus era impossibile che i servizi di Licanes non si fossero accorti di avere qualche infiltrato in casa.
Ma era preparata. Lei e Saida avevano un piano.
Raggiunsero Via Glaviassira 54, trovarono l’appartamento a nome di Ferma Pasinia.
Marduk entrò per primo, arma pronta. Quei due idioti dei mercenari balcanici non l’avevano disarmato, ma non ne avevano neppure avuto motivo…
Dietro di lui c’era Nkumo, un nero che pareva una statua di marmo lucido, pistola pronta. E dietro di lui, Saida. La nera impugnava una pistola con fermezza.
Si trovarono davanti una crisalide vuota. I Prefectii dovevano aver cercato Minah là. L’avevano obbligata a fuggire, sicuro. Impossibile l’avessero presa. Il gruppo perquisì le stanze, metodico. Finché Marduk non imprecò, sedendosi su un divano sfatto.
-Dannazione!-, esclamò con rabbia. Saida rimase ferma, in centro al monolocale che costituiva gran parte dell’appartamento. Forse non era stata catturata, ma era svanita.
-Non può essersene andata senza lasciare traccia…-, ragionò tra sé e sé passando una mano guantata lungo un mobile in legno d’abete. I suoi uomini piantonavano la zona.
-Sapeva che stavi arrivando. Sa che può fidarsi di te.-, ragionò la nera, -Deve aver lasciato un indizio, qualcosa su dove trovarla.-, disse tastando le pareti e i mobili come una cieca.
-Non ha senso: anche i Prefectii troverebbero la traccia, no?-, chiese Marduk.
-No, se non sanno dove guardare. Loro cercano una persona, non una scritta su un mobile.-.
Con l’aiuto di Nkumo, Saida staccò dal muro uno dei mobili. Niente. Procedette a fare lo stesso col divano. Niente. Si fermò.
-Un mobile… ma non uno ovvio…-, ragionò tra sé e sé senza badare al resto. Si spostò in camera da letto con passo rapido. Era il punto che tutti avrebbero scandagliato e probabilmente ignorato dopo aver trovato poche sporadiche tracce. Realisticamente, se i Prefectii erano passati, dovevano aver fatto un sopralluogo superficiale.
Marduk la seguì, mentre la nera faceva scorrere le mani lungo il comodino. Toglieva cassetti, rovesciava scomparti. Niente. Niente, niente e niente! Eppure non demordeva.
Doveva esserci qualcosa, Saida ne era convintissima.
Minah Ahn era straniera in terra straniera. Aveva bisogno di aiuto, di risorse, di un alleato.
Marduk era quell’alleato. Aveva senso che lo fosse divenuto. Anche se non era chiaro quanto, era palese che la fuggiasca si fidasse un minimo di lui.
Tastò gli interni del comodino. Niente. Il letto? Valeva la pena provare. Niente.
Infine prese il cassetto del comodino. Era un cassetto in legno come tutto il mobile. Roba fatta per essere sostituita in capo a due, tre mesi al massimo. Mobilio di poca qualità.
E lo sentì sotto le dita, un graffio, una tacca incisa nel legno, sul fondo della testata del cassetto. Lo girò. Sorrise.
-Trovato.-, disse. Marduk si avvicinò. Saida si sentì elettrizzata da quella scoperta.
Osservò i caratteri. Alfabeto cuneiforme di Lho. Una forma di crittografia semplice dove le lettere erano sostituite da simboli semplici quali quadrati vuoti o linee convergenti in angoli retti la cui direzione determinava il carattere , ma nota solo a pochi. Una vera fortuna che lei avesse studiato anche quella scrittura insieme ad altre.
-È un messaggio codificato in Lho.-, disse Marduk, -Ma così com’è non vuol dire niente.-, osservò l’uomo. La nera annuì. Tradotto letteralmente dava una serie di lettere e numeri che non significavano nulla. Nulla! A meno che…
-Specchio.-, disse Saida.
-Specchio?-, chiese Nkumo.
-Specchio! È un messaggio capovolto, da leggersi speculare!-, esclamò lei.
Frugò nella borsa. Parte del suo travestimento implicava portarsi dietro roba che le permettesse di reggere il ruolo della sorella. Estrasse uno specchio.
La scritta cambiò. Specchiata, divenne interamente diversa.
-M. Aquae Sulis. V.A.M. 31.-, lesse. Fissò Marduk, -La “M” sei tu. Il resto ti dice niente?-, chiese. L’uomo rifletté, indubbiamente meditabondo.
-Aquae Sulis è una città abbastanza distante, alle foci del Saennarius. V.A.M… Forse.-, disse.
-Allora ci muoviamo.-, decretò Saida.
-Sì.-, disse Marduk, -Immagino voi abbiate una base fuori città.-.
-È lì che siamo diretti.-, confermò la nera.
I due mercenari Chin sorrisero. I microfoni direzionali che avevano piazzato nell’appartamento funzionavano nonostante alcune interferenze. Aque Sulis.
Era quella la prossima meta. Anche Chien sorrise.
E, molto lontano, ignorato e pronto a fare la sua mossa, sorrise anche il Celeste.
Gannicus sorrise. Il suo infiltrato nell’Unio Africae era stato affidabile. Le tre vetture motorizzate quadrigommate si muovevano verso il tragitto previsto.
Lui fece appena un cenno. Il guidatore del loro mezzo, Raumus, era il terzo elemento di una squadra di tre uomini che comprendeva Gannicus stesso. La terza della squadra era una donna, Serea. Tutti fieramente licanei, e tutti consapevoli dell’importanza di quella missione.
-Nessun prigioniero.-, ricordò agli altri. Serea sorrise, controllando il Lanciagranate Zeus da 60 mm. Arma dal sufficiente potenziale esplosivo da far saltare veicoli blindati leggeri, figurarsi gli altri. Gannicus impugnava una Tribunus Tercii, una mitraglietta dal calibro notevole, adatta a penetrare le blindature e ad abbattere bersagli anche dietro corazzature leggere. I due erano piazzati sui sedili dietro del mezzo, che di fatto era quasi un blindato nel vero senso del termine. Raumus mise in moto.
-Si va a caccia!-, esclamò il pilota.
Di tutto il gruppo era quello che Gannicus conosceva di più. Serea era una recluta fresca e quella era la sua prima operazione. Gannicusa sapeva di essere lì per grazia ricevuta. La perdita della sua squadra era stata uno smacco che intendeva vendicare alla svelta.
Poco importava che a uccidere i suoi fossero stati gli africani, i Chin o chissà chi altro…
Contro tutti, Licanes avrebbe prevalso!
Stabrone, un licaneo convertitosi agli ideali dell’Unio Africae li vide per primo.
-Abbiamo compagnia! Mezzo a velocità sostenuta.-, disse.
Quando vide Serea sporgersi da uno dei vani posteriori e alzare un tozzo lanciagranate, poté solo imprecare. Khalid, il loro pilota, imprecò. Zigzagò selvaggiamente cercando di spezzare la linea di tiro. Se ci fossero stati altri mezzi avrebbe potuto cercare copertura dietro di essi, ma la strada era interamente sgombra, il che suggeriva una sola cosa.
Era una trappola, e loro c’erano cascati!
-Waa dabin!-, esclamò alla trasmittente.
-Helay.-, la voce di Hawo non tradiva quasi nessuna emozione. Quasi.
Fu l’ultima cosa che Khalid sentì: il lanciagranate fece fuoco. L’esplosione della carica disintegrò la parete dello sportello posteriore, scagliando shrapnel all’interno e mandando il mezzo fuori strada. L’esplosione finale giunse pochi istanti dopo.
-Uno di meno!-, esultò Serea con un ghigno. Ricaricò. Gannicus annuì. Livellò la mitraglietta. Sparò contro l’altro mezzo. Una raffica sostenuta di sei-sette colpi.
Jamal Akhatab e Ngoro furono falciati dal piombo insieme alle portiere.. Al volante, Charle imprecò pesantemente. Era ferito alla tempia, ma di striscio. Gli era andata bene.
Accanto a lui, Tacho alzò la mitraglietta e si sporse sparando.
I due mezzi non erano affiancati, gli aggressori erano di appena un mezzo metro indietro.
I colpi si schiantarono sulla blindatura. Inoffensivi. Raumus ridacchiò.
-Li abbiamo in pugno!-, esclamò Serea. Fece per sporgersi. Boom!
Il boato improvviso la costrinse a tornare dentro mentre Raumus lottava per mantenere l’assetto di guida. Penumatico andato! Improbabile riuscire a rimediare senza rallentare almeno un po’.
-Merda! Che cos’è stato?!-, chiese la donna. Gannicus lo vide. Sbiancò.
Mezzo a doppia rotatoria. In altri tempi, tempi prima del Cataclisma, l’avrebbero chiamata “motocicletta.”. Un mezzo rapido, veloce nel traffico e agile. Sacrificava la protezione del pilota a vantaggio di velocità e manovrabilità su quasi ogni terreno.
Hawo, fusa con il manubrio, aveva sparato un singolo colpo.
La pistola, una Judiciar .50 era idonea a perforare il cemento armato, figurarsi i pneumatici.
Il mezzo dei licanei sbandò. La nera strinse i denti, decisa.
L’avevano addestrata per questo, e lei aveva imparato bene.
Quei bastardi avevano ucciso i suoi amici, messo in pericolo l’operazione, ma più di tutto, continuavano a opprimere le province africane in una situazione di sudditanza economica bellamente ignorata dalla Confederatio, quando non accettata. Un po’ come altre zone.
Per lei bastava e avanzava. Diede gas, spingendo il mezzo a tavoletta.
-L’abbiamo dietro, cazzo!-, esclamò Gannicus sporgendosi a sparare. La moto andò in derapata, evitò i proiettili. Per un gioco di percezioni, o forse per mero presentimento dovuto a troppo tempo passato sulla linea del fuoco, seppe che non l’avrebbero fermato, quel pazzo.
“Sopravvivere! Devo sopravvivere! Sopravvivere per vincere!”, pensò. Aprì la portiera mentre udiva Serea urlare qualcosa. Si catapultò fuori dal mezzo in movimento. Il cemento della strada sterrata lo graffiò, l’impatto fu duro, ma non letale. Riuscì a proteggersi il capo ma picchiò male, molto male, il braccio sinistro e le costole. Dolori multipli, sangue in bocca.
Era messo male. Sentiva di non riuscire ad alzarsi. Anche la gamba destra aveva grattato contro l’asfalto.
Hawo pigiò il grilletto. Equipaggiare un’arma simile su una motocicletta di quel tipo aveva richiesto tempo e perizia, usarla richiedeva la certezza colpire il bersaglio.
Il missile partì, lasciandosi dietro una coda biancastra. La costrinse a stabilizzare.
-Mixilia!-, esclamò Serea. Raumus tentò, disperatamente, di schivare, ma con il mezzo azzoppato a quel modo non ci sarebbe stato verso, si capiva. In un estremo tentativo di chiuderla, Serea sparò. Il boato del lanciagranate lambì l’ogiva in avvicinamento.
Non la fece deviare.
Gannicus imprecò. Vide il loro mezzo esplodere, catapultato di un metro e mezzo verso il cielo dalla deflagrazione. Impossibile che si fossero salvati all’interno…
Fu l’ultima cosa che vide. Sentii qualcosa. Un rumore progressivamente più debole e più vicino. Un mezzo che si fermava poco distante. Poi svenne.
Hawo scese dalla moto. Si tolse il casco. Tremava ancora per l’adrenalina. Quell’azione le aveva sciolto nel sangue una carica di eccitazione indescrivibile. Era quasi paragonabile al sesso. Emise un verso inarticolato di trionfo. Osservò l’uomo. Sanguinava da alcuni graffi, ma era vivo. Ed era un nemico.
Gli altri mezzi, più in avanti stavano rallentando. Non c’era tempo per recuperare i morti.
Doveva decidere. Decise.
-Lo portiamo con noi.-, disse in sumali al comunicatore. Ricevette assensi.
Licius imprecò. Le informazioni erano arrivate persino prima dello sfogo. E non erano buone.
Minah Ahn, un fottuto genio, cosa nota. Meno noto era il suo gruppo, un progetto talmente secretato da essere inavvicinabile persino agli Excubitores dei Servizi Licanei.
Sigle, trasferimenti di risorse, fondi spostati, Intere reti ridislocate…
Ma perché? Era quello il problema. Non lo capiva.
Ma capiva altro. Chien Lie. Un nome che ricompariva, più e più volte. Un demone.
O forse un uomo capace di sembrare tale.
Operazione Pugio, durante i primi mesi di ostilità, e Chien era lì, sull’altro lato della barricata.
Operazione Danalius, durante la devastante, quanto devastante! Ritirata di Licanes dalle Insulae Filippicae. Migliaia di morti tra i soldati della Federatio falciati da morbi biongenierizzati, ma anche dai guerriglieri autoctoni sovvenzionati dal governo di Chin che aveva inviato anche un contingente, capitanato da Chien Lie.
Operazione Galbanicus, culminata nella distruzione delle forze dell’Ujurstan orientale, apertamente schierate con la Confederatio. Un capolavoro di inganno di massa.
Chien Lie aveva guidato le truppe Chin che avevano stretto le forze di Ignatius Glavio Subrio in una morsa nella città di Zhoughanzuou. La morsa era stata spezzata solo dalla tenacia.
La tenacia disperata dei difensori. Il cui ultimo e solo ufficiale superstite in grado di negoziare una ritirata era stato Marduk Atbash. Un caso? No, Licius non ci credeva.
Atbash aveva parlato con Chien. Aveva stretto accordi con Chien. Forse aveva persino iniziato a vedere Chien come un alleato più affidabile dei suoi superiori?
Ma allora perché, stando alle sue fonti, ora, quel Chin pareva intenzionato a disertare?
Troppo sangue sulle mani? O il sangue sbagliato?
Magari c’entrava col progetto Ahn…
Improvvisamente Licius richiamò dati e confrontò.
Date. Il progetto Ahn era iniziato appena prima dell’armistizio tra Chin e Licanes.
Perché? Perché iniziare lì un simile programma. Cos’era l’obiettivo? Sviluppare deterrenti? Deterrenti che fossero solo e unicamente appannaggio di una delle due parti? E perché fidarsi di personale non licaneo? Era semplicemente troppo compromesso per poter essere a prova di doppi giochi. Neanche questo aveva senso. A meno che…
L’ombra di un sospetto, un sospetto orribile, contrario a ogni logica, si affacciò sulla sua mente, togliendogli il respiro.
“Qualcun altro tira le fila.”, pensò. Decise: seguire Marduk Atbash. Doveva scoprire chi era questo qualcuno e quell’agente pareva prossimo a scoprire altro sul caso. Doveva farlo, perché se Minah Ahn aveva lavorato a tecnologie belliche di grado Mars Abscondor, era illogico pensare l’avesse fatto da sola e senza appoggi dall’alto o altri assistenti. Doveva esserci altro. Doveva. Era impossibile però capire con esattezza cosa.
Marduk Atbash era la sua sola speranza di avere altre informazioni. Anche perché lui stesso era un mezzo enigma. Stando alle info ricevute era stato un soldato, prima di divenire un mercenario, ma il suo stato di servizio era eccellente. Anche nella sconfitta.
“Almeno quatttrocento uomini gli devono la vita. Proposto per la Maxima Laurea Honoris Militaria Licanes. Rifiutata…”, rifletté. Perché rifiutarla? Perché non aveva voluto quell’onore?
Sentiva di aver fallito? Richiamò il suo profilo psicologico.
“Controllato, capace, esente da traumi… Almeno stando alle ultime valutazioni. Poi c’è stata la malattia. Da lì, un crescente isolamento, disinteresse, fatalismo…”, lesse.
Fatalismo… Pessima cosa. Eppure forse era anche quello che l’aveva portato a rimettersi in gioco. Marduk aveva osato minacciarlo, con quel tono sdegnoso di chi la prima linea l’ha vissuta. Non come lui. Licius annuì.
Sì. C’era qualcosa, come una linea d’ombra che univa Marduk a Chien, e Chien ad Ahn e Ahn a Marduk e tutti e tre a qualcosa di potenzialmente devastante.
Il che portò Licius a domandarsi seriamente come agire.
E lì, ricevette la comunicazione. La squadra di Gannicus era stata annichilita. Nessun superstite. Altre pessime notizie. Ma almeno di quella, lui non sarebbe stato ritenuto responsabile. Sapeva che c’era qualcuno. Una fonte nell’Unio Africae.
Un infiltrato dei servizi di Licanes. E aveva fatto il suo lavoro in modo sicuramente molto, molto meno efficiente del previsto. O forse, per quel che poteva saperne lui, non si era trovato in condizione di fare di meglio. Impossibile dirlo. Riprese il palmare e riprese a cercare dati.
Chien Lie sorrise. Le dita di Xie Ji erano magiche. Scioglievano tensioni con abilità celestiale.
In realtà stavano anche iniziando a sortire altri effetti, ma l’uomo non intendeva certo affrettare la fine di quel piacere solo per compiacere i suoi istinti animaleschi (che peraltro Xie avrebbe avuto cura di appagare alla fine del massaggio). La sala ospitava solo loro.
Nella sua mente, Chien visualizzava con immenso piacere l’esito finale dei suoi piani: Marduk cancellato, il Celeste umiliato e i licanei costretti a stare alle sue condizioni.
Ah, sarebbe stato glorioso. Uno schema perfetto, semplicemente perfetto.
-I tuoi uomini sono stati molto, molto in gamba.-, la voce fece svanire qualunque desiderio erotico o sogno di gloria di Chien Lie, ripiombandolo nell’incubo.
-Tu!-, esclamô alzandosi. La figura in nero emerse da un angolo della sala, sotto gli occhi attoniti di Xie Ji, che alzò le mani alla vista della pistola in pugno a quell’incubo fatto carne.
-Io.-, disse. Parve fissare il petto di Chien, o forse più in basso, dove il sesso penzolava in un mero rimasuglio dell’erezione provata poc’anzi grazie alle mani di Xie e al pensiero del suo corpo nudo… -Deludente.-, disse la figura in nero, -Il prode e vigoroso Chien Lie…-.
-Tu pagherai per questo! Pagherai!-, sbraitò lui, infuriato, umiliato.
-Già. È quello che quelli come te dicono sempre. Ma penso che non t’interessi sapere perché sono qui.-, fu la risposta, venata di puro tedio.
-Per sapere dove sta per recarsi Marduk, vero?!-, sbottò Chien.
-No. Quello lo so già.-, replicò la figura, con tono annoiato.
-Lo sai?!-, esclamò l’uomo. Non credeva alle sue orecchie!
Quell’individuo… come poteva sapere? Chi era?!
-Chi… Chi sei?-, chiese infine.
-Me lo potrai chiedere altre due volte, Chien Lie. Poi lo saprai.-, disse la figura.
-Mio signore…-, iniziò Xie Ji. Lui non rispose, fissava la figura.
-Perché? Perché fare questo giochetto con me?-, chiese lui. La figura non rispose.
Poi alzò la pistola. Sparò senza quasi mirare, con un tedio abissale. Colpo silenziato.
Xie Ji incassò allo stomaco. Andò giù crollando in avanti con un’espressione di puro stupore.
-No!-, esclamò Chien Lie.
-Invece dovresti ringraziarmi, Chien.-, disse la figura. L’uomo appallottolò un telo per far pressione sulla ferita. Xie Ji muoveva le labbra, incapace di emettere un suono.
-Dovresti davvero benedirmi. Come Zhao Ti, ho estirpato la menzogna e la duplicità.-, continuò la figura in nero.
-Sei un mostro! Era disarmata! Che diritto avevi di farlo! La vita di una donna non significa nulla per te?-, chiese l’ufficiale di Chin, ignorando l’allusione al mito del suo paese.
-La sua vita significa molto poco, per me. La sua morte, significa molto per te. È questo che conta, Chien Lie.-, spiegò la figura, -Comunque è una ferita minore. Si salverà, se verrà soccorsa in tempo. Sempre che tu voglia salvarla… più di quanto tu voglia salvare te stesso.-.
-Perché?-, chiese Chien.
-Perché stava tradendoti. O credi che il Celeste riponga fiducia in te?-.
La domanda rimase senza risposta mentre Chien si sforzava di premere sulla ferita, di arrestare l’emorragia. Alzò lo sguardo.
-Il Celeste…-, inziò. Niente figura in nero. Era svanita. Come un dannatissimo fantasma.
Xie Ji se la sarebbe cavata. Il proiettile aveva colpito lo stomaco, ma solo di striscio.
Se la sarebbe cavata, se fosse arrivata alla svelta in un qualche avamposto medico degno del nome, ma in tutto ciò, Chien Lie aveva più domande che risposte.
Xie Ji stava davvero tradendolo? Per il Celeste? Era possibile.
Cosa sapeva il Celeste? Cos’era stato in grado di capire? Le domande assillavano Chien con foga. Gettò uno sguardo ai suoi uomini, che parevano più costernati di lui.
-Signore…-, iniziò Wu Ming.
-Zitti. Tutti.-, ordinò Lie. Silenzio totale. Chien si concesse di pensare.
Perché la figura aveva voluto salvarlo dalle macchinazioni del Celeste? Per mettere fuori causa una pericolosa variabile dei suoi piani? Perché lui fosse in debito? Perché?
Era semplicemente contorto. Si concesse di vedere Xie Ji come l’infiltrata del Celeste.
Di fatto, si accorse che non era improponibile. Ma a quel punto, cosa poteva dire al Celeste?
Doveva mitigare i suoi sospetti. E c’era un solo modo. Fissò i tre uomini. Decise.
-La tua arma, Ming.-, ordinò. Wu obbedì. Gli passò la pistola. Niente sicura. Nel caos del ferimento di Xie non l’aveva rimessa. Tanto meglio. Tempo guadagnato.
Chien mirò e sparò. Due colpi al petto. Wu andò giù senza un gemito.
Lan Song fece per reagire. Si beccò due colpi alla testa. In pieno viso. L’ultimo, Shen Jie fissò Chien con stupore. Stupore, non rabbia. Una domanda muta era sospesa nell’aria.
Due colpi furono la risposta. Chien non esitò: sparò un colpo conclusivo alla testa a Xie, puntò la pistola alla sua gamba. Coscia sinistra, bocca da fuoco distante dalla gamba. Sparò, stringendo i denti. Dolore, un lampo rosso negli occhi. Sangue. Il suo.
Alzò il palmare. Chiamò il Celeste.
-Sono io… Siamo stati traditi… Song… Lavorava per i Licanei!-, esclamò a fatica, il tono venato di vera sofferenza. Il Celeste ascoltava, senza parlare. Prese una delle armi dei morti.
-Ha ucciso Xie… E Shen… E Ming. Io… l’ho abbattuto. Merda… sanguino parecchio… Fai venire qualcuno…-, disse. Chiuse la chiamata. Schiaffò in mano a Lan la sua pistola. Stesso modello, ma niente impronte digitali, se non quelle di Lan stesso. Sparò un colpo con l’altra.
Con il caos che ci sarebbe stato, era improbabile che il Celeste eseguisse una verifica.
-Cosa ne pensi?-, chiese il Celeste posando il palmare. Lie Nu si concesse di pensarci.
-Mi sembra strano.-, ammise, -Quasi troppo perfetto. Però potrebbe essere. Certo, i servizi occidentali sono un caos assouto. Non mi sorprenderebbe se questa fosse la manovra di qualcuno. Ora Chien, comunque, ha bisogno di noi. E noi di lui. -.
Il Celeste non parlò. Erano più i suoi silenzi che le parole a inquietare Lie Nu.
-Per ora, Chien ci serve vivo.-, decretò infine l’anziano. Altri si mossero. Lie annuì.
-Tu e il tuo mercenario avete l’ordine di prepararvi. Chin manderà dei rinforzi ma non saranno infiniti. Questa storia deve finire. Hai il mio benestare per fare tutto quel che occorre per recuperare quella donna e uccidere Marduk Atbash.-, disse.
Il sorriso di Lie Nu fu raggiante.
Marduk osservava Raumaillia sparire oltre la curva della Via Pradaestina.
“Questa parte del viaggio è finita.”, pensò senza emozioni. Aveva la certezza che non sarebbe mai più tornato a Raumaillia. Saida, seduta sul sedile anteriore del mezzo pareva molto più concentrata su una situazione di cui stava discutendo al telefono. Non era chiaro di cosa stessero parlando: Marduk non parlava le lingue native dell’Africae e Saida stava esprimendosi rapidamente, quasi a mitraglia. Tuttavia gli pareva chiaro che la situazione fosse… complessa.
-Problemi?-, chiese quando la nera ripose il palmare da comunicazione.
-No. Un piccolo intoppo, ma non irrimediabile. In effetti, si è già pressoché risolto.-, disse.
-Mi posso permettere di dire che avete una discreta organizzazione.-, disse Marduk. Lo pensava davvero. L’Unio Africae non aveva moltissime risorse ma compensava con le capacità organizzative e la qualità dei singoli.
-Il tuo apprezzamento è gradito. Ma immagino che tu voglia almeno una risposta.-, disse Saida. Perspicace, Marduk non poté negarlo. Annuì.
-Sì. Vorrei capire dove stiamo andando, di preciso.-, disse.
-Verso una base esterna. In un punto discosto. Ben al di fuori della città e lontano dai sentieri principali. Irraggiungibile, almeno in teoria. Ci riorganizzeremo e ci muoveremo verso Aquae Sulis e V.A.M.-, chiarì la nera. Era indubbiamente molto capace, una capomissione di ottima levatura. Anche una bella donna, ma senza la sfrenata sessualità aggressiva della gemella.
Ed era quello a rendere quel duo potenzialmente inarrestabile.
Hawo era il braccio, Saida la mente. Funzionava benone.
Ferelea sospirò. Il piano procedeva secondo le intenzioni. Il problema era Licius.
Licius e i Prefectii, per intendersi: il primo cominciava a fare ricerche tutt’altro che piacevoli e rischiava di scoprire cose nient’affatto utili a fargli continuare a recitare il ruolo per cui era preposto e i secondi, a seguito di scontri sulla Via Lemaneana, avevano blindato la città.
Nessuno entrava, o usciva. Chiaro, a meno che non si fosse già fuori.
Fortunatamente, Ferelea aveva saputo giocare d’anticipo. Le mosse del personale di sicurezza pubblica erano palesi, oltre che comunicatele in largo anticipo da alcune sue fonti all’interno dell’Officio Preafectorum.
Per quello, l’informatrice aveva spostato il suo quartier generale nella vicina cittadina di Dalma, dove ovviamente le restrizioni non erano applicate. L’errore totale dei Prefectii, e di gran parte delle menti dietro ai servizi coinvolti in quella faccena, era di ragionare a settori.
Non era l’errore che intendeva fare lei.
Stirò la schiena, in un movimento che altri avrebbero definito sensuale ma che a lei parve solo un tentaivo (fallito) di dare sollievo a muscoli immobili su quella seduta da troppo tempo.
-Svalok?-, chiese.
-Signora?-, domandò lui. Era un buon elemento. Ferelea sorrise.
-Tutto regolare?-, chiese. Lui annuì. Ottimo. Sì. Tutto secondo i piani. I suoi. I loro.



scusa, al quarto sono bloccato!
ti ringrazio, mi fa molto piacere sapere che ti sia piaciuto! il secondo capitolo l'ho completato. nel terzo sono bloccato.…
ne ho scritti altri con altri nick...spero ti piacciano altrettanto.
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Ti ho scritto, mia Musa....attendo Tue...