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Diario di una Mistress – Giorno 2

By 23 Ottobre 2025No Comments

Gemiti dallo scantinato

Oggi ho scelto un luogo meno ospitale: uno scantinato… buio, vetri rotti, silenzio tombale… Proprio per questo è perfetto. Volevo che imparasse a obbedire in un ambiente ostile, senza appigli, senza comodità.

Quando è entrato, ho notato la tensione nei suoi passi. Gli ho ordinato subito di spogliarsi. Ogni indumento è caduto a terra, e l’ho lasciato lì, nudo, vulnerabile, con la pelle che già si copriva di piccoli brividi. Il suo cazzo era già teso, pronto, un segnale che non poteva controllare. L’ho fatto inginocchiare direttamente nella terra umida, che gli si è incollata alle ginocchia.

Ho iniziato dal freddo. Ho preso una bottiglia d’acqua gelata che avevo portato con me e l’ho versata lentamente sulla sua schiena, lasciando che scivolasse lungo la colonna vertebrale fino a insinuarsi tra le natiche. Poi ho preso un po di quella stessa acqua e l’ho lasciata cadere proprio sulla punta del suo cazzetto. 

Un gemito trattenuto, un sussulto. Ho sorriso.

Non mi sono fermata. Ho afferrato un ramo spezzato, abbastanza duro da ferire, con superfici ruvide e irregolari. L’ho passato sulle sue cosce, all’interno, sfiorando la pelle delicata, lasciando graffi che gli avrebbero ricordato ogni giorno questa sessione. L’ho fatto risalire, con lentezza crudele, fino a sfiorare i testicoli. Ha tremato. Gli ho detto di restare immobile, e lo ha fatto.

Ho preso una manciata di terra umida e gliel’ho strofinata sull’addome, fino a scendere verso il pube. Vederlo così, sporco e sottomesso, mi ha dato una scarica di piacere puro. Ho accarezzato il suo pene con le unghie sporche di terra, senza mai toccarlo davvero, solo sfiorando. Ogni volta che cercava di spingersi verso la mia mano, retreggiavo , negandogli quello che il suo corpo implorava.

Poi sono passata al calore. Ho acceso una piccola candela e ho lasciato cadere gocce di cera bollente sul petto, sui capezzoli, e più giù, sull’inguine rasato. Ogni goccia era una puntura, una firma. Una in particolare l’ho lasciata cadere vicino al glande, abbastanza vicina da farlo fremere, ma senza colpirlo direttamente. Volevo che vivesse nella paura costante.

Gli ho ordinato poi di alzarsi in piedi, con le gambe leggermente divaricate, e di aprire la bocca. Con cattiveria ho infilato due dita tra le sue labbra e gli ho fatto assaggiare la terra che avevo passato prima sulla sua pelle, facendogli venire qualche conato. Era umiliazione, pura e semplice. 

Ho usato poi un guanto con gli spuntoni di metallo, che avevo portato. L’ho bagnato con acqua fredda e l’ho fatto scivolare su tutto il suo pene, lentamente, stringendo a tratti, accarezzando con precisione. Il contrasto tra il freddo del guanto e il calore del suo corpo lo ha fatto ansimare, insieme alle punte che lo facevano tremare ogni volta che stringevo. Gli ho sussurrato che non aveva il permesso di venire. Ogni centimetro di lui urlava il contrario, ma IO ho il controllo, non lui.

Per rendere tutto più crudele,gli ho tirato un calcio sulle palle. Il colpo secco lo ha fatto gemere più forte, un gemito che ho subito interrotto stringendogli il mento e imponendogli silenzio. Ho aggiunto un morso al capezzolo, e ho lasciato che la pressione costante lavorasse al posto mio. Non mi sono accontentata. Mi sono inginocchiata davanti a lui, ma non per dargli sollievo. Ho soffiato aria fredda sul suo glande lucid ed eccitato, senza toccarlo. La reazione è stata esplosiva: contrazioni, spasmi, il respiro spezzato. Ogni volta che sembrava sul punto di perdere il controllo, mi fermavo, lasciandolo a implorare con gli occhi. Io non gli devo niente.

Infine, ho deciso che doveva restare acceso, frustrato, prigioniero del suo stesso corpo. Gli ho ordinato di inginocchiarsi di nuovo nella terra, con le mani dietro la nuca, il cazzo ancora duro, esposto, pulsante. L’ho lasciato lì, circondato dal buio dello scantinato, con i morsi che ancora gli stringevano i capezzoli e il freddo che gli mordeva le palle spoglie.

E questo mi basta.

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gaia@mymilu.net

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