“E vedi di muovere il culo in fretta per recuperare i soldi, perchè ne ho bisogno”.
La frase rimase come in sospeso nella stanza, mentre il padre di Sara guardava l’uomo davanti a sè, quell’uomo che molti conoscevano semplicemente come Cesare.
Questi allungò la mano e toccò la superficie dell’i-Pad posto sul tavolo davanti a loro, interrompendo la riproduzione.
Avevano sentito abbastanza.
“Allora? – chiese Cesare – Cosa hai da dire?”.
Il padre di Sara rimase in silenzio.
“La nostra società si chiama Vincula – gli ricordò Cesare – In latino significa legami, ma anche doveri. Noi siamo forti perchè siamo legati tra noi, ma la nostra società non sarebbe nulla se non avessimo delle regole, degli obblighi e delle responsabilità gli uni con gli altri”.
Nel dire quello, unì le mani davanti a sè e le intrecciò assieme, in un gesto che il padre di Sara gli aveva visto fare la prima volta dieci anni prima, quando si era affiliato.
“Tutti qui ti conosciamo come Ottaviano – proseguì Cesare – Sii degno di questo nome”.
L’uomo si passò una mano tra i capelli.
“Io…io non ero a conoscenza di tutto questo – disse visibilmente imbarazzato – Ma dove si trova il microfono nascosto? Perchè non ne sapevo nulla?”.
Cesare alzò le spalle.
“Questo non è importante: abbiamo bisogno di prendere le nostre precauzioni e lo facciamo. Ora dobbiamo parlare di altro, e dobbiamo farlo con sincerità”.
Sottollineò con la voce l’ultima parola.
Ottaviano annuì e si abbandonò sulla poltrona.
“Va bene. Cosa volete sapere?”.
Cesare si appoggiò allo schienale, pronto ad ascoltare.
“Tutto. Voglio sapere cosa ha fatto tua figlia, cos’è l’isola di cui hanno parlato le ragazze e cosa vi è successo di recente. Tutto, Ottaviano, senza nessuna omissione”.
Il padre di Sara rimase in silenzio.
“Ottaviano – lo redarguì Cesare – Questo è un momento cruciale per te. Ho bisogno che tu sia sincero e lo devi essere fino in fondo, è la tua ultima chanche”.
Ottaviano deglutì.
“Ho capito. Ma dopo, cosa succederà?”.
Ceare sorrise.
“Dipenderà da cosa ci avrai raccontato, ovviamente”.
Ottaviano annuì, prese una sigaretta e la accese.
Quaranta minuti dopo Ottaviano aveva terminato la storia.
Spense la terza sigaretta nel posacenere e serrò le braccia sul petto, in attesa.
Cesare si passò una mano sul mento, pensoso.
“Abbiamo diversi problemi da risolvere. Quello più grave è sicuramente quello di recuperare la tua ex moglie e tuo figlio dall’isola. Al di là dei rapporti tra voi, sicuramente stanno soffrendo e questo non è giusto”.
Ottaviano annuì.
“Ma, allo stesso tempo – preseguì Cesare – è necessario intervenire sulla tua famiglia, quella con cui abiti. È preoccupante che tu non ti sia reso conto di nulla di quanto capitava, di come tua figlia – che, con tutto rispetto, è una ragazzina di diciotto anni – abbia potuto combinare tutto quanto”.
Ottaviano guardò il suo interlocutore con visibile imbarazzo e non disse nulla.
Rimase qualche secondo a riflettere, poi domandò: “A questo punto cosa succede?”.
Cesare lo guardò dritto negli occhi, facendogli capire come la sua decisione non sarebbe stata oggetto di discussione: “Sia tua figlia che la figlia di moglie devono essere punite. A me non piacciono questi metodi, anche io ho sempre avuto remore a redarguire i miei figli, ma è evidente che in questo momento loro non si sentono nessun timore nei tuoi confronti. Stanno agendo come se non ci fossi, e questo è estremamente pericoloso”.
Ottaviano abbozzò una risposta, ma Cesare lo fermò con la mano.
“La gravità di quanto successo è estremo – proseguì – Chiunque abbia avuto a che fare con tua figlia in queste settimane ha potenzialmente un’arma in mano con cui ricattarci. Cosa succederebbe se qualcuno venisse da me e mi chiedesse qualche favore in cambio del silenzio in merito al fatto che Sara fa la puttana?”.
Ottaviano sentì subito il sangue salir gli al cervello, ma non replicò. Era purtroppo vero: sua figlia si stava prostituendo.
“Per non parlare di tua moglie e tuo figlio – proseguì Cesare – Questi sono già nelle mani di personaggi poco raccomandabili, che per fortuna non hanno ancora capito chi tu sia, ma se lo scoprissero? Un dittatore di uno stato sudamericano, quanti scrupoli si farebbe ad usare la forza per avere dei vantaggi?”.
Ottaviano continuava a guardarsi la punta dei piedi, in imbarazzo.
“Questo non è il circolo delle bocce – continuò Cesare – dove si viene, si gioca la partita e si torna a casa, e quello che succede prima e dopo non è affare degli altri soci. Qui tutta la nostra vita è messa in piazza, dobbiamo essere uniti e amici, diversamente tutto si sgretola e nulla ha più senso”.
Ottaviano guardò Cesare negli occhi: “Cosa devo fare per rimediare all’errore”.
Cesare sorrise: non avrebbe trovato resistenza da parte del suo pupillo.
“Adesso andrai a casa, uscirai a cena o farai quello che preferisci. Non devi fare niente, penseremo noi a tutto”.
Si alzò in piedi, segno che la conversazione era terminata.
“Sono certo che, una volta passato questo momento, non ci saranno più problemi tra noi e potremo riprenderei nostri affati come se nulla fosse capitato”.
Il padre di Sara annuì mestamente.
Sara si fermò al semaforo rosso e guardò istintivamente l’ora. Non era in ritardo, ma non aveva tempo da perdere.
Alice, seduta sul sedile del passeggero accanto a lei, si torceva nervosamente le mani.
Sara sorrise dentro di sé. La prima vendetta che avrebbe attuato nei confronti di sua sorella sarebbe avvenuta di li a poco: l’aveva iscritta ad un provino per uno strip club.
Dubitava che Alice sarebbe stata selezionata, ma almeno avrebbe compiuto un passo in un mondo che lei ancora non conosceva
E poi ne aveva ancora tante da farle fare; la fantasia, da quel punto di vista, non le mancava.
Il semaforo diventò verde e la ragazza inserì la prima, sentendo però come l’acceleratore agisse a vuoto.
La macchina sembrava non riuscire a salire di giri, e dopo qualche secondo già tre vetture dietro di loro avevano cominciato a suonare il clacson.
L’auto fece un piccolo balzo avanti, mentre i giri del motore diminuivano senza che Sara potesse fare nulla.
Lanciò un’imprecazione, mise la freccia a destra e accostò al marciapiede, un attimo prima che l’auto si spegnesse definitivamente.
“Ma vaffanculo! – disse -“Questo è assurdo, l’ho portata a fare il tagliando proprio ieri!”.
“E adesso?”, chiese Alice, mentre il suo volto faceva chiaramente trasparire come quell’inconveniente la stesse rendendo di buon umore.
“E adesso pigiamo il pulsante dell’assistenza e, non appena arriva il carro attrezzi, prendiamo un taxi. Non illuderti, i programmi per te non sono cambiati!”.
Si chinò sotto il volante e premette il pulsante della scatola nera che l’avrebbe messa a contatto con l’assistenza della sua assicurazione.
Questo avrebbe funzionato, ovviamente, se l’officina che si era occupata del tagliando il giorno prima non avesse – dietro ordine preciso di suo padre – disattivato volutamente il meccanismo.
A una ventina di metri di distanza, un uomo su una macchina prese il telefonino e fece una chiamata: “L’auto è ferma e ha appena premuto il pulsante”.
“Okay, mandiamo subito gli altri”, rispose il suo interlocutore.
Cinque minuti dopo, un carro attrezzi si materializzò in fondo alla via e puntò dritto sulle due ragazze.
“Complimenti, siete stati rapidissimi!”, disse Sara.
“E’ il nostro mestiere”, disse l’uomo al comando, il quale, solo il giorno prima, aveva posto in essere il rapimento di una coppia di giapponesi.
Scese dal mezzo, aprì il cofano e finse di armeggiare con con dei cavi.
“Si tratta della centralina – disse dopo alcuni secondi, simulando competenza – Niente di grave, basta sostituirla e tornerà come prima”.
Scesero dal carro attrezi altri due uomini e, con i modi esperti di chi sa cosa fare, in pochi minuti caricarono l’auto sul carro attrezzi.
“Ragazze, il guasto è da poco ribadì – il conducente – ma ci vorrà comunque un’ora circa per ripararlo. Volete che vi diamo un passaggio da qualche parte?”.
Sara era contrariata; il contrattempo le avrebbe fatte arrivare in ritardo all’appuntamento.
Era il caso di farsi dare un passaggio fino allo strip club ?
La tentazione di chiedere loro uno strappo era forte, anche per mettere in imbarazzo Alice, ma se si fossero fatte accompagnare in un posto come quello sicuramente i ragazzi avrebbero pensato che fossero entrambe spogliarelliste.
Non era il caso di mettere in atto una mossa così esplicita, sarebbe suonata quasi come una provocazione.
Anche perchè sarebbero comunque state senza macchina all’uscita.
“No, grazie, tanto non stavamo andando da nessuna parte. Veniamo in officina con voi e aspettiamo che il guasto venga riparato”, rispose Sara.
Salirono tutti quanti sul carro attrezzi e si viaggiarono per circa una quindicina di minuti.
Il mezzo si avventurò nella periferia della città, addentrandosi in un quartiere che Sara conosceva poco.
“Pensavo che la vostra officina fosse più vicina – disse – dal momento che prima siete arrivati in pochissimi minuti”.
“Eravamo già nei dintorni – spiegò l’uomo alla guida – ma quando dobbiamo fare delle riparazioni dobbiamo tornare qui”.
Il carro attrezzi deviò per una strada sterrata e puntò deciso verso la campagna.
A Sara sembrò strano che ci fosse un’officina proprio in quella zona, ma non disse nulla.
Quei ragazzi erano stati chiamati direttamente dal servizio assistenza della sua assicurazione; magari per aderire alla convenzione avevano preferito risparmiare sulla officina e si erano trovati un posto fuori mano.
L’importante era che riparassero l’auto e che ci mettessero poco.
Avrebbe preso un nuovo appuntamento per Alice.
Il mezzo mise la freccia e puntò verso un cancello metallico; attse qualche secondo e la pesante cancellata si aprì, rivelando un ampio cortile.
Sara non aveva grossa dimistichezza con le officine, ma quella, più che un’officina, sembrava il retro di un castello.
Un grande palazzo, infatti, si ergeva proprio davanti a loro.
Il carro si fermò con un’inchiodata e conducente spense il motore.
“Tutti giù, siamo arrivati!”, annunciò.
Le due ragazze scesero a terra, ma anche sul volto di Alice si leggeva una certa perplessità.
“È un’officina qui?”, chiese Alice.
“Certo, seguiteci dentro e vi facciamo vedere la riparazione da fare”, disse loro l’uomo più anziano.
Si diresse verso una porta di legno, l’aprì e fece un gesto della mano per invitarle ad entrare.
Sara si sarebbe aspettata, una volta dentro, di trovare un ponte, degli attrezzi, delle viti…là invece era totalmente vuoto, fatta eccezione delle catene che pendevano dal soffitto.
Sara si voltò verso l’uomo: “Che posto è questo? Non è…”.
Non fece in tempo a finire la frase: l’uomo aveva estratto una pistola e la stava puntando contro di loro.
Sara guardò verso Alice. Era di nuovo opera sua?
Non sembrava, anzi, Alice pareva molto più spaventata della sorella.
“Forza, spalle al muro!”, ordinò l’uomo con la pistola.
Le ragazze eseguirono l’ordine e si accostarono alla parete.
Sara guardò verso la sorella, che stava tremando di paura.
“Mani dietro alla nuca, forza!”, urlò l’uomo, e le ragazze eseguirono.
“Ramon, perquisiscile!”, ordinò ad uno dei ragazzi.
Questo si accostò a Sara e le passò le mani lungo il corpo, senza astenersi dal palparla sul seno o tra le gambe.
“Non c’è bisogno di toccare, non sono armata!”, protestò lei.
L’uomo non diede segno di averla sentita e ripetè l’operazione su Alice.
“Ora spogliatevi. Voglio che rimaniate in biancheria intima”, disse quello con la pistola in mano.
“Non sai in che quaio vi state cacciando – lo ammonì Sara, sperando che la sua voce suonasse minacciosa il giusto – Non sapete chi è mio padre”.
L’uomo la guardò con un sorriso:”Lo sappiamo benissimo, tesoro. E ora togliti sti cazzo di vestiti!”.
Le puntò nuovamente addosso la pistola.
Sara si slacciò la camicetta e si privò dei pantaloni.
Pur in quella situazione, notò con disappunto di avere un intimo scoordinato nero e rosa.
Guardò verso Alice. Anche lei era in biancheria intima, anche se – giacchè doveva andare a fare il provino di strip – era bellissima con un completo di pizzo nero.
“Sollevate le braccia!”, intimò loro l’uomo con la pistola.
Sara e Alice eseguirono, e quello chiamato Ramon serrò i loro polsi alle catene che pendevano dal soffitto.
“Cosa volete da noi? Se volete violentarci ditecelo subito!”, chiese Sara.
L’uomo sorrise:”E se fosse? Cosa faresti?”.
Sara sospirò prima di rispondere: “Se così fosse, facciamolo subito e lasciateci andare. Giuro che non opporrò resistenza e non vi denuncerò”.
L’uomo si avvicinò a lei e le passò una mano sul seno. Sara si forzò di non arretrare, come invece avrebbe voluto.
“Sei veramente una zoccola, come per altro ci avevano anticipato”, disse l’uomo, stringendole coppa.
“Chi? Chi vi aveva detto cosa? Chi siete?”.
La porta di legno si aprì di nuovo ed entraronodue uomini.
Il secondo rimase nell’ombra, ma il primo le era familiare, sembrava un amico di suo padre.
Si avvicinò a lei; era veramente lui.
“Cosa ci fa lei qui? Quando mio padre lo saprà andrà su tutte le furie!”.
L’uomo sorrise.
“Tuo padre già sa”, disse.
Il secondo uomo si tolse dall’ombra e si avvicinò a Sara.
“Papà! – disse lei – Cosa succede? Perchè ci fanno questo?”.
Il padre non rispose.
“Perchè entrambe gli avete mancato di rispetto – disse Cesare, tangliando fuori il padre di Sara dalla conversazione – Perchè tu, Sara, ti sei prostituita e tu, Alice, hai messo in atto un’aggressione alla tua famiglia”.
Nessuna delle due ragazze replicò.
“Quindi – continnuò Cesare – visto che sembrate non possedere il minimo rispetto per chi vi mantiene e per chi vi vuole bene, sarete punite”.
Alice scosse la testa.
“Non è giusto…”, singhiozzò.
Cesare la guardò con sguardo duro.
“Perchè non è giusto? Pensi di esserti comportata bene?”, le chiese.
“Io sono stata solo un’intermediaria! Non sono stata io a organizzare l’aggressione!”.
Cesare si avvicinò a lei.
“E chi è stato?”, domandò.
Alice tacque.
“Parla! Qui sappiamo come torturare la gente”, la minacciò.
Anche Ottaviano si avvicinò a lei.
“Alice, parla se puoi discolparti. La situazione qui è già abbastanza difficile”.
Alice abbassò lo sguardo.
“E’ stata mia madre”.
Il padre di Sara la guardò incredulo.
“Stai scherzando? Alice, è un’accusa grave quella che stai muovendo!”.
La ragazza abbassò lo sguardo.
“No, ti giuro! È stata lei!”, ripetè.
Cesare guardò verso Ottaviano.
“Dov’è tua moglie ora?”.
L’uomo alzò le spalle.
“Non lo so. A casa, immagino”.
Cesare si rivolse all’uomo con la pistola.
“Caio, fai prelevare Inna e portala qui!”.
Caio prese il telefonino e si allontanò.
“Intanto – proseguì Cesare avvicinandosi a Sara – abbiamo comunque una piccola zoccola con cui divertirci”.
Cesare e Ottaviano si voltarono e lasciarono la stanza, lasciando Sara in compagnia di tre uomini.
Cosa le sarebbe successo ora?
Niente di buono sicuramente.
“Cosa avete intenzione di farmi?”, chiese all’uomo più vicino.
Questi si guardò attorno.
Quello chiamato Ramon era vicino alla finestra, al telefono; l’altro stava fumando una sigaretta sulla porta.
“Lascia che ti dia un consiglio – le disse sottovoce dando le spalle agli altri – Assecondali. Non opporre resistenza, non ribellarti. Siamo in tanti, faremo comunque di te quello che vogliamo. Ma questi si nutrono della sofferenza altrui, se vedono che stai male si eccitano e non la smettono più”.
Sara annuì.
Era singolare che quel ragazzo avesse parlato usano la terza persona plurale, ma suppose che forse anche lui non aveva scelto di fare quello che stava facendo.
Ramon si staccò dal telefonino.
“E’ tutto pronto, portate la prigioniera nella sala delle torture!”.
Sara venne staccata dalla catena, ammanettata con le mani dietro alla schiena e presa in consegna dai due ragazzi.
Percorsero in silenzio un lungo corridoio, quindi sostarono di fronte ad una grossa porta di legno.
“Ragazzi, vi prego, non fatemi male”, disse Sara, senza tuttavia ricevere nessuna risposta.
Uno dei due ragazzi disse qualcosa ad un walkie talkie, la porta venne aperta dall’interno e la oltrepassarono.
La sala in cui entrarono era molto ampia e alta, benchè Sara non riuscisse a farsi un’idea precisa a causa della scarsa illuminazione.
Non aveva finestre, infatti, e la luce era fornita da alcune torce appese alle colonne di pietra.
Anche il pavimento era in pietra e Sara provò un brivido quando il suo piede nudo vi si poggiò sopra.
Avanzarono di qualche metro e solo allora si rese conto che lungo le pareti erano disciplinatamente allineate parecchie persone, disposte su tre file di panche.
Gli occhi si abituarono all’oscurità e piano piano distinse i volti delle persone sedute.
Proprio di fronte a lei, seduto su uno scranno più alto, sedeva Cesare; acconto a lui c’era suo padre.
Ma non erano i soli volti che riconobbe.
Più a sinistra c’era Franco; lo conosceva, lavorava nella banca dove suo padre aveva il conto e talvolta era stato a casa loro per proporre investimenti.
Qualche metro più a lato sedeva Giacomo. Era un dipendente di suo padre e una volta ci aveva provato con lei.
Che umiliazione essere così, in biancheria intima, di fronte a quello persone!
Inoltre, pareva che – anche se lei ne conosceva solo alcuni – in molti sapessero chi era lei-
“Non è la figlia di Ottaviano?”, sentì bisbigliare da più parti.
Abbassò lo sguardo.
“Signori, attenzione! – disse Cesare con voce stentorea – Siamo qui tutti assieme per giudicare Sara, che si è resa gravemente colpevole”.
Sara guardò ancora verso il pubblico. C’era anche Benzi, un suo insegnante delle scuole medie!
“Sara si è prostituita, gettando disonore sulla sua famiglia. Ha incontrato uomini a pagamento, esponendo suo padre al ricatto e alla vergogna. Ha fatto sesso con i suoi consaguinei e si è esibita in webcam lasciando che migliaia di persone la guardassero. Ora è qui per essere giudicata e, se colpevole, punita”.
Sara era in estremo imbarazzo. Cosa avrebbe pensato di lei tutta quella gente?
Che era una zoccola, sicuramente.
Cesare si alzò in piedi, imitato subito da tutti gli altri.
“Come la vogliamo giudicare? Colpevole o innocente?”.
Un uomo distese il braccio con il pollice rivolto verso il basso, subito imitato dal suo vicino.
Rapidamente altre braccia si distesero, tutte con il pollice verso.
Anche il suo insegnante delle medie votò contro, anche il suo spasimante.
Possibile che nessuno avesse pietà di lei?
Cesare annuì soddisfatto: a parte Ottaviano, come era comprensibile, tutti avevano votato a favore della colevolezza.
“Forza, spogliatela!”, ordinò ai due ragazzi.
Questi non persero un istante: con un lungo coltello le recisero le spalline del reggiseno e, subito dopo, le abbassarono le mutandine.
Le venne istintivo coprirsi, ma i polsi erano bloccati dietro alla schiena.
Continuò a guardare a terra, aveva paura di incontrare lo sguardo delle persone.
L’uomo alla sua sinistra, quello che le aveva dato il consiglio, azionò una carrucola e una catenza scese dal soffitto.
La agganciarono alle manette e la tirarono nuovamente su; Sara sentì subito un dolore alle spalle che la forzò a piegarsi a novanta gradi.
La risalita della catena si fermò proprio al limite della sua sopportazione.
“Allarga le gambe!”, le disse uno dei due.
Sara eseguì, quindi sentì qualcuno fissarle tra le caviglie una sbarra di metallo, lunga abbastanza da impedirle di chiudere nuovamente le gambe.
Sollevò la testa: tutti la stavano guardando.
I suoi seni erano perfettamente esposti, penzolanti verso il pavimento.
Cesare fece un cenno ad uno degli uomini messi dietro a Sara.
La ragazza sentì qualche rumore, quindi avvertì il tocco di un oggetto contro la sua vulva. Istintivamente cercò di chiudersi.
L’uomo dietro di lei sorrise, quindi spinse con maggiore energia.
L’oggetto, metallico e della forma di un grosso fagiolo allungato, penetrò dentro la vagina di Sara.
Un cavo elettrico fuoriusciva dal corpo della ragazza e si inseriva in una scatola metallica coperta da interruttori e indicatori.
L’uomo prese un secondo fagiolo – anch’esso cablato e connesso alla medesima scatola – e lo accostò all’ano di Sara.
La ragazza si morsicò il labbro quando sentì il freddo del metallo accostarsi a lei, ma – memore di quanto consigliatole – non oppose resistenza.
Anche il secondo oggetto scivolò dentro di lei.
“Ora – disse Cesare rivolto agli astanti – ciascuno di voi ha un telecomando con due pulsanti, come questo”.
Sollevò il proprio. Era una piccola scatola di plastica nera.
“Premendo il tasto rosso, una stimolazione verrà inviata alla vagina della nostra giovane amica”.
Premette il pulsante e Sara sentì una vibrazione tra le gambe. Leggera ma intensa.
“Premendo il tansto nero, invece – proseguì – sarà il culo quello che verrà stimolato”.
Poggiò il dito sul pulsante e la ragazza avvertì la medesima sensazione all’ano.
“La sfida è: ce la farà Sara a resistere dieci minuti senza ansimare e gemere come una cagna in calore? Oppure tradirà la sua natura di zoccola e verrà senza ritegno di fronte al proprio padre e a decine di estranei?”.
Fece un sorriso e si guardò attorno, cercando consensi.
In molti sembravano attratti dallo spettacolo che stava per essere messo in scena.
“Per piacere….”, mormorò Sara.
“I dieci minuti cominciano da…..ora!”, proclamò Cesare.
Un istante dopo Sara sentì la propria vagina e il proprio ano percorsi da violentissime vibrazioni.
Aprì la bocca, in cerca di aria.
Il principio con cui funzionava quell’apparecchio era quello per cui, probabilmente, ogni persona che premeva su un pulsante conferiva a lei una vibrazione che si sommava a quelle di tutti coloro i quali avevano scelto il medesimo pulsante.
Cercò di stringere le gambe, ma la barra metallica glielo impedì.
Sentì il corpo coprirsi di sudore e un sordo ansimo sgorgarle dalla gola.
“Oh, vedo che la resistenza è già al minimo…”, commentò Cesare sarcastico.
Sara chiuse gli occhi.
Sarebbe venuta a breve, nonostante la condizione di estremo disagio in cui si trovasse.
Nessuno sembrava rinunciare neppure per un momento a premere sui pulsanti, regalandole quell’attimo di tregua che avrebbe potuto farla rifiatare.
Sentì l’orgasmo colpirla come un pugno.
Spalancò gli occhi e un gemito le uscì dalla gola.
Tutti si tacitarono, mentre Sara non riusciva a imporsi di non emettere suoni.
Non appena il gorgoglio si attenuò, nuovamente i vibratori cominciarono a ronzare.
Chiuse gli occhi, sperando che i dieci minuti terminassero presto.
Ciao volevo semplicemente ringraziarti per questo bellissimo racconto ; i personaggi ,la trama,lascrittura sono degni di fare parte di un…
Due gemelle come protagoniste scatenano le mie più turpi fantasie. Se il giorno che stavo per cominciare la stesura del…
W-O-W! Non scherzavi quando dicevi che questa sarebbe stata più hot. E devo dire che di carne al fuoco ne…
Questo è forse il capitolo più noioso dell'intera storia, prometto che i prossimi saranno più "ad alta temperatura", come dicono…
Breve, ma d'impatto. Interessante. Attendo il seguito!