Tutto era andato tranquillamente, per Flavio, negli ultimi venti anni.
Dopo essersi diplomato ed aver fatto diverse esperienze lavorative, era stato assunto nella piccola azienda vicino a casa e lì, sbrogliando ogni giorno noiose scartoffie, aveva potuto realizzare il suo sogno d’amore, sposando la sua Elena.
La nascita di Barbara dopo un anno dal matrimonio, il mutuo per la casa, le vacanze al mare… la classica vita tranquilla del travet con poche ambizioni.
Si rendeva conto che, a ridosso dei quarant’anni, stava mettendo su qualche chilo e si stava stempiando, ma considerava i due eventi come il normale corso della vita.
Elena, per contro, si era trasformata, da una ragazzetta magra qual’era ai tempi del matrimonio, in una bella donna che ancora adesso poteva suscitare sguardi d’ammirazione… ammirazione che, comunque, non aveva alcuna presa su di lei, che gli era fedelissima.
Poi, un mese prima, l’anziano titolare aveva ceduto l’attività ed il nuovo proprietario, sulla quarantina, aveva studiato per una settimana il funzionamento dell’azienda e poi aveva iniziato un rimescolamento generale.
Flavio, dal suo tranquillo trantran, era finito nella bocca di un vulcano in eruzione ed aveva la netta sensazione che l’ingegner Corsini lo avesse preso particolarmente di mira: ogni giorno Corsini inventava nuove cose, come mandarlo a fare l’inventario in magazzino, o stare al centralino, o mandandolo in officina a ‘dare una mano’ o ‘aiutare’ a caricare la produzione sui tir.
Si sentiva, ormai aveva pochi dubbi!, nel mirino e capiva che nella situazione economica del momento, se avesse perso quel lavoro, lui che aveva già superato il fatidico spartiacque del quarantesimo compleanno, non sarebbe più riuscito a trovarne un altro… E questa eventualità, con Barbara che si era appena iscritta all’università, lo terrorizzava.
Il suo umore, di solito placido, stava peggiorando, ma per fortuna Elena era sempre molto presente e rassicurante.
Un sabato, per distrarsi, aveva deciso di accompagnare Elena in un nuovo centro commerciale, a pochi chilometri dalla loro città, dove la moglie aveva anche deciso di fare la ‘spesa grossa’, il rifornimento mensile della dispensa.
Mentre spingeva il carrello, carico di sacchetti con gli acquisti, verso la loro auto, si trovò ad incrociare l’ingegner Corsini che, invece, andava verso il centro.
Ovviamente si precipitò a salutarlo: ‘Ingegnere, che piacere!’ esclamò servile.
‘Ah, Cornelli, è lei…’ rispose il principale, annoiato.
‘Sì, ingegnere… Anche lei qui?’ (Il servilismo obbliga a domande ovvie…)
‘Già…’ rispose l’uomo, con tono annoiato.
In quella vennero raggiunti da Elena, che si mise a braccetto di Flavio, il quale, ovviamente… ‘ingegnere, posso presentarle la mia signora?’
Lei, che aveva sentito parlare dell’uomo, era imbarazzata, ma sorrise timidamente e porse la mano: ‘Ingegnere… Sono Elena, la signora Cornelli…’
Morsini sembrò ravvivarsi: fece un ampio sorriso ad Elena -anche se un po’ da predatore: sembrava uno squalo!- e le prese la mano, facendole un galante baciamano.
‘Signora, è veramente un piacere conoscerla! Non immaginavo che il nostro… (ci mise un istante a ricordarsi il nome del dipendente) Flavio avesse una moglie così affascinante!’
Lei, imbarazzata, sentì avvampare le guance ed abbassò pudicamente lo sguardo, mentre Corsini rivolse a Flavio un sorriso che, però, a lui sembro… feroce!
Flavio contemplò la moglie; indubbiamente era ancora una bella donna e l’abitino estivo faceva risaltare piacevolmente le sue forme, rotonde ma molto appetibili. I capelli neri, mossi, inquadravano un bel viso ambrato dal sole, tanto che lei aveva ridotto il trucco a solo una passata di rossetto rosa sulle belle labbra.
Le belle gambe abbronzate erano slanciare da zoccoletti col tacco a spillo, alti il giusto e l’insieme era veramente gradevole.
L’ingegnere contemplò, con fare sornione, Elena per qualche istante, poi fece la proposta: ‘Vedo che state andando via… Beh, pensavo: mi farebbe piacere, stasera, invitarvi a cena nel ristorante di un amico, a pochi chilometri da qui…’
Flavio si schermì: ‘Lei è molto gentile, ingegnere ma…’ ‘Ma cosa? Dovete andare a casa dai figli??’
Allora Elena rispose, sorridendo con orgoglio ‘No, ingegnere: nostra figlia è in vacanza con amici’
‘Ottimo! -esclamo l’uomo- quindi non vedo impedimenti…’
Flavio, pensando ai surgelati nel carrello, provò a protestare blandamente: ‘ma ingegnere, lei è molto gentile ma…’ ‘Insisto!!!’
Il tono era definitivo ed il sorriso del principale non arrivava agli occhi, che anzi sprizzavano… ferocia?
Non riuscì a trovare la forza, il coraggio, di opporsi ad una richiesta così netta: ‘Beh, ingegnere… allora la ringraziamo di cuore… saremo felicissimi di farle compagnia a cena…’
‘Ecco Cornelli: così mi piace!
Adesso scaricate la vostra spesa nella vostra auto e nel frattempo io prendo la mia, ché poi andiamo!’
Così raggiunsero la loro Astra di seconda mano e, mentre l’altro spariva nel parcheggio, trasferirono gli acquisti nell’ampio bagagliaio…
‘Mi sembra simpatico, il tuo principale, anche se un po’ prepotente…’
‘Lo è… prepotente, intendo! Tra l’altro, dovremo buttare via tutti i surgelati, accidenti! Ma come facevo a rifiutare? Sai che mi sta addosso… non vorrei che mi sbattesse fuori… senti: cerchiamo di fare tutto quello che vuole, va bene? Mi raccomando, aiutami!’
‘Ma sì, amore mio, tranquillo! Capisco che adesso perdere il lavoro sarebbe un vero dramma… Non preoccuparti! Farò tutto per aiutarti’ Disse Elena, posandogli un bacio sulle labbra.
Pochi istanti dopo, la Porsche Cayenne dell’ingegnere si accostò alla loro Astra e Flavio, chiuso il bagagliaio, seguì Elena verso il SUV.
‘No, Cornelli… prenda la sua macchina e ci segua: sua moglie la porto io!’
Lui era interdetto, ma… ‘come preferisce, ingegnere!’
Così Elena, dopo avergli gettato un ultimo sguardo impaurito, si sedette sull’alto sedile e chiuse la portiera, mentre lui avviava la station wagon e si cominciava a seguirli, ringraziando il cielo che il SUV procedesse ad un’andatura moderata.
Il SUV si avviò silenziosamente e Corsini sorrise ad Elena, dopo aver controllato di essere seguiti dall’auto di Flavio: ‘Allora Elena… posso chiamarla Elena, vero?’
‘Ma certo, ingegnere!!’ Affermò lei, intimidita.
‘Anzi. Per una serata conviviale, è meglio usare il tu, cosa ne pensi?’
‘Sì, forse è meglio…’ ‘Bene… ah, io mi chiamo Aurelio!’
‘Aurelio! Che bel nome, ingegnere!’
Corsini rise: ‘Ahaha, Elena… ma dai, dammi del tu, non preoccuparti!’ disse, appoggiandole una mano sul ginocchio per un istante.
Lei arrossì: ‘Ma sa… ingegnere… Aurelio! Beh, sì… sa… mi trovo a disagio a darle del tu…’
Lui sorrise, con vaga perfidia: ‘Come preferisci… Ma non ti disturba che io ti dia del tu, vero?’
‘No, no, ingegnere; affatto!’
‘Bene… Dai, abbiamo un pò di strada e di tempo, davanti… Dai, raccontami qualcosa di te…’
‘Ma cosa vuole sapere, ingen… Aurelio? Mi chieda lei… Non saprei da che parte cominciare…’
Lui sorrise: ‘Come preferisci… Cosa fai nella vita, lavori?’
‘No… faccio la casalinga… Lavoravo ma poi, dieci anni fa, il professionista dove lavoravo è… deceduto ed allora ho deciso di occuparmi della famiglia…’
‘Professionista? E cosa facevi, da lui?’
‘Ho fatto il linguistico e gli facevo da segretaria… Era un architetto e spesso aveva a che fare con clienti stranieri… Così, conoscendo l’inglese, il francese ed il tedesco…’
‘Ah!!!! Questo è… MOLTO interessante… Ma dimmi, parlavi di famiglia… Tu, tuo marito e…?’
Elena sorrise, orgogliosa ‘… e Barbara, nostra figlia! Ha 19 anni anni ed è brava, educata, ama studiare… Pensi che fa legge, anche se ha fatto solo un anno…’
Corsini sorrise, subdolo: ‘E immagino che sia bella come la mamma…’
Elena annaspò, tra l’imbarazzo per il complimento e l’orgoglio materno: ‘Noo… lei è molto più bella! Mi assomiglia, ma è alta, ha i capelli più chiari ed un fisico tonico… sa, ama nuotare!’
‘Interessante…’ La mano di Corsini restava appoggiata sul selettore delle marce.
‘Dai, Elena: non stare schiacciata là in fondo! Mica ti mordo! Mettiti comoda, dai… avvicinati!’
La donna colse inconsciamente il tono di comando e si sedette un pochino più a sinistra.
‘Dai, mettiti comoda… avvicina le gambe! Mica te le mordo, sai?’
Lei allora, con un sorriso imbarazzato, piegò le gambe -che prima teneva allungate- ed accostò le ginocchia unite verso la consolle centrale.
‘Ecco, brava… così: comoda e rilassata!’
Stranamente, questa frase la metteva ancora più in agitazione.
‘Sai -disse Aurelio, sfiorandole il ginocchio col dorso delle dita- sto riorganizzando l’azienda e, mi spiace dirlo… non sono felicissimo delle prestazioni di tuo marito!’
Disse ‘marito’ con un’ottava più bassa e contemporaneamente le appoggiò la mano sul ginocchio, lasciandocela stabilmente.
Elena intuì che il reddito della famiglia dipendeva da quella mano, da quel ginocchio… Resistette all’impulso di scostarlo. ‘Cosa intende dire, ingegnere?’
‘Aurelio…’ la corresse lui, amabilmente. Poi rispose: ‘Beh, tuo marito non è, sul lavoro, quello che si può definire un fulmine di guerra… -rise sommessamente- ‘voglio sperare che con una moglie così bella, invece, sia pieno di iniziativa, ardore e fantasia…’
Elena rise, stando al gioco: ‘No, Flavio è… come sembra: tranquillo, senza strane idee… purtroppo non è un fulmine di guerra neanche a casa…’ poi si rese conto dell’imbarazzante ammissione ed arrossì ancora.
Corsini, che la studiava, fece un sorrisetto, toccò il selettore e poi riposò la mano, ma qualche centimetro più in alto. Flavio, nel frattempo, seguiva la Porsche e si arrovellava sul motivo di quello strano invito da parte del principale: l’Ingegnere era un uomo alto, piacente, col viso cotto dal sole ed un fisico che si intuiva muscoloso. Le tempie appena brizzolate ed il naso sottile ma leggermente a becco, insieme ai grandi occhi verdi, rendevano in suo aspetto simile a quello di un pirata, ad un rapace.
Non capiva quello strano ed improvviso invito e rifletteva anche sulla suddivisione tra i due veicoli…
Per un attimo, la sua mente valutò -con terrore!- che volesse insidiare Elena (che è accettabilmente una bella donna, d’accordo, ma un tipo così DOVEVA esser pieno di belle donne!) e che lei, fedelissima com’è, rifiutasse le sue avances… Non riusciva a decidersi su quale delle due ipotesi fosse più angosciante.
Quando dio volle, il viaggio finì nel piazzale di una villetta, accanto alla cui porta una discreta insegna annunciava che quello era il ‘Ristorante Valona’.
Flavio vide la Cayenne andare ad occupare un posto libero in mezzo ad altre auto di lusso (riconobbe altri grossi SUV mescolati ad importanti berline e sportive alte meno di un metro!); considerò tristemente la sua Astra ed andò a parcheggiarla nell’angolo più lontano, all’ombra di un colossale Range Rover.
Dopo averla debitamente chiusa, trotterellò verso l’ingegnere e ed Elena, che lo attendevano quasi davanti all’ingresso.
Alla luce dei due lampioncini accanto all’ingresso, Elena appariva particolarmente affascinante, pur col semplice abitino giallo a fiori sul rosa.
L’ingegnere, invece, sembrava splendere di luce propria, con la giacca azzurra sulla camicia bianca sapientemente sbottonata e pantaloni blu scuro.
Lui, invece, con spiegazzati pantaloni beige ed una polo color vinaccia che denunciava il debordare della sua pancia oltre la stretta cintura, era decisamente poco adeguato al locale.
Comunque, rispose al cenno imperioso dell’ingegnere e li seguì oltre la soglia, notando appena che il braccio dell’uomo cingeva la vita della sua Elena e che lei non dava mostra di sottrarsi al contatto.
Entrarono nel locale e la luce attenuata faceva risaltare i candelieri a tre fiamme che sormontavano ogni tavolo, apparecchiato con raffinata eleganza e poco meno della metà di essi erano occupati, quasi tutti da una coppia, a parte un tavolo dove cinque uomini erano intenti in quella che sembrava una cena di lavoro.
Quello che, evidentemente, era il proprietario li accolse con un grande sorriso ed un abbraccio per l’ingegnere: ‘Aurelio carissimo! Che piacere rivederti!’
Felice dell’accoglienza, Corsini, ricambiò l’abbraccio e chiese all’uomo, Sasha, di condurli al loro tavolo.
Si accomodarono ad un tavolo in fondo e l’ingegnere si accomodò spalle alla parete, con Elena alla sua destra ed a sinistra un sempre più frastornato Flavio.
Sasha in persona venne per prendere le ordinazioni ed ai due coniugi sfuggì il rapido scambio di sguardi e impercettibili cenni del capo dei due amici.
Il padrone propose quindi un aperitivo della casa, da sorseggiare in attesa che le ordinazioni fossero preparate e Corsini, ovviamente, accettò per tutti loro.
Così Sasha arrivò coi tre calici, che posò con cura davanti ai tre convitati, mentre intanto un suo cameriere si occupava irreprensibilmente di raccogliere le ordinazioni, anche se con uno strano sorrisetto sul viso.
Flavio sorseggiò l’aperitivo. Era forte, per lui non abituato a bere ma, incoraggiato dallo sguardo autoritario del principale, lo sorseggiò finendolo proprio mentre il cameriere portava la loro prima portata su un carrello.
Cominciò a mangiare l’ottima portata, ma si rendeva conto che le luci soffuse, il leggero mormorio delle conversazioni, il lieve tintinnio delle posate, la musica di sottofondo avevano un effetto vagamente ipnotico, su di lui: le voci si fondevano in un indistinto rumore di fondo e lui si sentiva come non presente, mangiava meccanicamente ma aveva come l’impressione di vedere delle riprese televisive, invece che essere all’interno, parte, attore della vicenda.
Come guardando un film, vide sua moglie che, invece, diventava garrula, che rideva -sempre più platealmente- a qualunque cosa le mormorasse l’ingegnere all’orecchio.
Inoltre il principale aveva cominciato subito a dargli del tu -cosa che lui, ovviamente!, non osava ricambiare- ed aveva fatto un discorso… una cosa sul lavoro… sì… una cosa… ah sì… che aveva detto che se Elena diventava la sua segretaria, lui non sarebbe stato licenziato, ma… uff… ah, sì! Sarebbe diventato… magazziniere?… Ah, no, ora ricordava: capo del magazzino!
Ma si sentiva la testa come fosse un palloncino, sballottato dal vento… e si stupiva nel vedere che l’ingegnere mangiava con la sinistra… mentre teneva la destra sotto il tavolo… ed Elena che rideva, rideva, rideva…
E poi, vide una cosa strana: Elena che appoggiava le posate sul tavolo, abbassava le mani sotto al tavolo, armeggiava un pochino, poi sembrava alzarsi ma subito si risedeva e poi… boh! E poi passava qualcosa all’ingegnere e ridevano entrambi.
L’uomo portò al viso un qualcosa, lo annusò e poi lo posò sul tavolo, tra lui e Flavio e Flavio fece fatica a metterlo a fuoco, ma poi lo riconobbe come le mutandine di sua moglie!
Voleva protestare, ma si accorse che non riusciva, che non riusciva a comandare alla voce di uscire.
E voleva protestare anche dopo, quando l’ingegnere abbassò le spalline dell’abito di Elena ed insieme anche quelle del reggiseno; sua moglie, invece di protestare, rideva ed anzi, dopo che l’ingegnere le disse qualcosa nell’orecchio, si slacciò lei stessa il capo intimo e se lo tolse, dandolo all’uomo che lo posò in bella vista, sul tavolo, accanto alle mutandine.
Con uno sforzo che gli sembrò titanico, Flavio guardò la sala e si rese conto che la loro cena sembrava durare un’eternità, visto che, a parte una coppia abbastanza vicina all’ingresso ed alla tavolata di uomini, gli altri clienti erano andati via.
Anche l’ultima coppia, in quell’istante, si alzò e rimasero quindi solo i cinque uomini, che però, invece di conversare tra di loro, erano tutti girati a guardarli.
Il suo sguardo riuscì a tornare -faticosamente- su Elena e notò che l’abitino era praticamente appeso ai suoi dolci seni… e che era proprio lì che l’ingegnere aveva infilato la mano. Sotto il leggerissimo tessuto!
Non osava protestare e seguiva come inebetito le manovre dell’uomo, che alla fine della sua ispezione tattile liberò i bei seni di Elena, lasciandole ricadere l’indumento intorno alla vita.
Dopo pochi minuti, arrivò nel suo campo visivo anche Sasha, che portava una bottiglia di Champagne offerta alla signora -disse- dai signori dell’altro tavolo.
La bottiglia venne stappata, dopo cenni di ringraziamento ai cinque uomini, lo champagne versato nei flutes e sorseggiato.
Poi l’ingegnere disse qualcosa ad Elena, qualcosa sull’andare a ringraziare quei signori così gentili e lei rideva e annuiva e poi si alzava e l’ingegnere le faceva notare che aveva le gambe troppo belle per coprirle così tanto e le arrotolava l’abito in vita, mentre lei rideva divertita, fino a farle arrivare l’orlo appena sotto le natiche.
Alla fine, la fece girare in direzione dell’altro tavolo e le disse di andare, dandole una volgare pacca sul sedere ed Elena, ridacchiando, andò da quegli uomini e la vidi che parlava, che rideva, che gesticolava, mentre uno se la faceva sedere sulle ginocchia e gli altri le si stringevano attorno e poi, invece di vedere il suo capezzolo scuro, vide la mano di un uomo e poi un’altra mano, sulla spalla ed una sul pancino di sua moglie…
Poi vide Elena che, aiutata, salì in piedi sul tavolo -appena sparecchiato da due camerieri-
e poi incitata dai cinque, sempre ridendo, cominciò a ballare, afferrando l’orlo del vestitino e giocandoci, facendolo salire e scendere e salire e… arrotolandolo in vita.
Gli faceva uno strano effetto, vedere sua moglie ballare su un tavolo, praticamente nuda, circondata da cinque uomini che, in piedi, allungavano la mano per toccarla ovunque e lei che, invece di scostare le loro indiscrete mani, rideva e li lasciava fare…
Elena si sentiva strana, euforica. Aveva voglia di ridere, di fare pazzie, di lasciarsi andare.
In auto con l’ingegnere era stata molto imbarazzata: dalle domande semplici, banali si era a poco a poco scivolati su domande sempre più personali, indiscrete, intime.
Inoltre, i suoi modi autoritari, avevano avuto facile sopravvento sulla sua mitezza ed i suoi modi, decisi e suadenti assieme, l’avevano lasciata concedere prima il tocco della mano sul ginocchio, poi sulla coscia e poi sempre più su, sino a sfiorare le mutandine.
Una strana corrente la stava percorrendo, spazzando via la sua modestia, il suo pudore, il suo essere una buona e placida moglie e madre.
Quando alla fine arrivarono al locale, sperso in mezzo alla campagna ed in fondo ad una stradina insignificante, la mano dell’ingegner Ottavio era ormai sprofondata nel suo sesso e le diverse dita entrate sembravano ballerini che danzassero ognuno per proprio conto, mandandola in estasi.
Scesero dal Cayenne ed attesero Flavio davanti all’ingresso ed Elena, accanto ad un uomo bello, fiero, volitivo, di evidente successo, vide avvicinarsi suo marito e, per la prima volta, lo vide come si guarda uno sconosciuto: trotterellante, piccoletto, grassoccio, stempiato, sciatto, decisamente servile… insomma: inadeguato.
Pur amando ancora Flavio, intuiva che con l’ingegnere avrebbe potuto cominciare a godere di quelle cose, di quelle piccole gioie che la sua grigia vita matrimoniale le aveva precluso.
Inoltre, l’ingegnere era stato molto determinato, nel pretendere che lei diventasse la sua segretaria ‘particolare’ -come aveva sottolineato il tono di voce dell’uomo- ed Elena si prefigurò, con un misto di orrore ed eccitazione, la classica situazione del boss che ‘si fa’ la segretaria.
Comunque, al di là di questi sviluppi, che forse erano solo frutto della sua fantasia!, la proposta dell’ingegner Corsini le consentiva una discreta disponibilità finanziaria e, fattore non secondario, evitava il licenziamento di Flavio, anche se veniva retrocesso -pur conservando retribuzione e qualifica formale- a capo-magazziniere.
Non osava quasi esternare la sua felicità per questo inaspettato sviluppo, ma l’ingegnere le aveva detto di essere felice, di lasciarsi andare e di non preoccuparsi di Flavio, perché ci avrebbe ‘pensato lui’ a metterlo nelle condizioni di lasciarla agire liberamente…. qualunque cosa sottintendesse questa affermazione. Elena era estasiata per il locale: raccolto, intimo, indubbiamente lussuoso, con tovaglie ricamate, posaterie d’argento e con appena accennati mormorii invece del fastidioso brusio e le chiassose scorribande dei bambini tipiche dei ristorantucci dove la portava suo marito.
Ai tavoli, coppie eleganti, evidentemente di classe, a parte un tavolo con cinque uomini, che comunque si comportavano con l’educazione richiesta dal livello del locale.
Il padrone, con occhi che sembravano fiammeggiare di desiderio per lei (lei che non si era mai considerata mai più che blandamente ‘attraente’!), accolse con clamorosa familiarità l’ingegnere e li accompagnò ad un tavolo in fondo alla sala, strategicamente posto in una specie di nicchia della parete.
Mentre prendevano posto, l’ingegnere le mormorò rapidamente: ‘Segui TUTTE le mie disposizioni e la tua tua vita cambierà in meglio! Lasciati guidare ed andare!’
Lei ebbe solo il tempo di annuire, guardandolo fisso negli occhi, mentre si sedeva e lui fece un lievissimo, quasi impercettibile sorriso.
Il padrone del locale posò, dopo un paio di minuti, un flute davanti a ciascuno di loro; lei interpellò con lo sguardo l’ingegnere che la rassicuro, sottovoce: ‘Tranquilla. Il TUO è solo un ottimo aperitivo…’
Lì per lì non fece caso alla sottolineatura della voce dell’uomo, ma poi, con il procedere della serata, si rese conto che Flavio sembrava… intontito.
Con il calice del vino in mano, guardò l’ingegnere e poi girò interrogativamente lo sguardo sul marito: ebbe dal primo un leggerissimo segno d’assenso.
Mentre l’ingegnere riferiva a suo marito l’accordo lavorativo a tre, cosa che Flavio accettò -ovviamente, vista la sua scarsa personalità!- con un ‘Come meglio crede, ingegnere!’ la mano del capo era sul suo ginocchio e lei sentì la necessità di lasciarsi andare, di schiudere le ginocchia, di lasciare che quella mano estranea potesse risalire lungo la coscia, fino in cima, fino al suo fulcro di donna.
Poi l’ingegnere le diceva cose maliziose, faceva garbate battute e… e le accarezzava le labbrine della micetta.
Ad un certo momento, sotto lo sguardo sempre più bovino di Flavio, l’ingegnere le ordinò di togliersi le mutandine e dargliele. Lei si vergognava un pochino, in quel locale così elegante, ma lui le sibilò un ‘Forza!’ che stranamente la fece ridacchiare mentre, dopo aver appoggiato le posate, armeggiava per sfilarsele e passarle all’uomo che, dopo averle ostentatamente annusate, le ha posate sul tavolo tra lui e Flavio.
Poi le ha fatto scivolare sulle braccia le spalline dell’abitino… e del reggiseno e le ha detto di toglierlo.
Elena ormai era totalmente coinvolta da questo nuovo gioco, da questo meccanismo in cui l’ingegnere diceva e lei faceva e cercava di nascondere il suo imbarazzo ridacchiando, abbandonarsi completamente alle volontà dell’uomo.
E quando l’ingegnere le mise la mano nel decolté, sotto lo sguardo imbambolato di suo marito, e poi le fece scendere l’abito fino alla vita, lì in mezzo al ristorante… anche se ormai quasi tutte le coppie erano andate via, il suo imbarazzo era ormai evaporato.
Anzi, quando il suo nuovo capo le impose, dopo che gli avevano fatto arrivare una bottiglia di champagne, di andare a ringraziare ‘di persona’ i cinque uomini, si sentì come sollevata perché aveva quasi l’incongrua paura che l’ingegnere non la volesse mandare da loro.
Le disse anche, prima di mandarla da loro con una pacca sul sedere, di lasciarsi accarezzare e di salire sul tavolo a ballare…
Stava scoprendo, con stupito piacere, che amava questa situazione, questo… essere abbandonata ai voleri dell’ingegnere, questa situazione di… dominio dell’uomo su di lei.
Altra cosa, poi, che la stupiva, era stato scoprire quanto la intrigava fare la… la porca, insomma, sotto agli occhi esterrefatti di suo marito Flavio, che guardava stupito e senza profferir parola.
D’accordo: la passività di Flavio era anche… aiutata dallo strano aperitivo che gli avevano servito, ma lei che lo conosceva, si rendeva conto che, anche senza ‘l’aiutino’, lui avrebbe supinamente subito ogni ordine… anzi: ogni sia pur blando desiderio dell’ingegnere!
Così era andata fino al tavolo dei cinque, che l’avevano accolta con indubbio piacere (facile, considerando che indossava solo gli zoccoletti ed il vestitino che la copriva -ormai- sollo dalla vita a poco sotto il sedere); l’avevano palpata ovunque -e la cosa l’aveva piacevolmente turbata!- e poi aiutata a salire sul tavolo, ovviamente appoggiandole le mani sul sedere, ed assistito estatici al suo goffo balletto, afferrando anche l’orlo del vestitino e poi alzandolo, come impazzita dalla libidine.
Poi l’avevano fatta scendere dal tavolo e li aveva avuti tutti intorno e qualcuno aveva cominciato ad armeggiare con le proprie cerniere lampo, quando l’ingegnere, con un gesto imperioso, l’aveva richiamata al loro tavolo.
Tornata -leggermente a malincuore: ormai aveva i sensi in tumulto ed era eccitatissima- a sedersi, l’ingegnere le aveva chiesto, secco: ‘Ti sei eccitata?’
Lei si vergognava di rispondere ed aveva abbassato lo sguardo; allora lui l’aveva afferrata per il mento e, guardandola fisso negli occhi: ‘Quando ti faccio una domanda, esigo che tu risponda SEMPRE! Ricordalo!
Allora: ti sei eccitata?’
Lei, facendosi forza: ‘Sì, ingegnere!’ e lui aveva fatto un vago sorrisetto saputo, proprio mentre il padrone portava il conto al quintetto.
Dopo pochi minuti, i cinque lasciarono il locale, non senza averle gettato occhiate vogliose e l’ingegnere alzò un dito, richiamando il padrone che arrivò subito col conto e la macchinetta per la Visa.
Corsini disse di impostare esattamente l’importo e Sasha fece un viso afflitto.
‘Cosa c’è, Sasha, che non va?’
‘Ma nulla Aurelio… cioè, sai: i ragazzi speravano in una mancia… sai come sono…’
‘Ah, sì, già… Ma non ho contante, con me…
Uhmm… pensi che i ragazzi accetterebbero un altro tipo di mancia?’
Sasha annuì, furbesco.
‘Sii gentile, Elena: occupatene tu; tanto, visto che ormai sei la mia segretaria, di queste piccole incombenze dovrai sempre fartene carico tu!’
Elena lo guardò, non capendo.
‘Ma sì: vai con Sasha a… ringraziare il personale’
Lei si alzò, un po’ interdetta, e seguì Sasha nelle cucine, dove i due cuochi stavano finendo di rassettare, mentre i due camerieri fumavano, rilassandosi.
Come Elena entrò nella cucina, i quattro uomini tacquero di colpo, guardandola con imbarazzo e desiderio.
Dietro di lei, Sacha, esclamò, allegramente: ‘Ragazzi! La signora è restata molto contenta del servizio e… voleva venire a ringraziarvi!’
I quattro sorrisero a trentadue denti.
Poi Sasha aggiunse qualcosa in tedesco e gli altri risero.
Elena si sentì avvampare: parlava correntemente il tedesco e comprese quindi perfettamente la traduzione, anche se uno strano impulso la fece decidere di far finta di non capire; Sasha aveva detto: ‘Ottavio ha portato un’altra troia. Fottetela per bene, tanto lei non si opporrà. E’ tutta vostra a parte il culo, ma non fateci mattina!’
Lei, con sguardo ingenuo, contemplò il quartetto e cercò di interpretare le varie etnie; il cameriere biondo dall’aria crudele era probabilmente un balcanico od un ucraino.
L’altro cameriere aveva il viso largo dei sudamericani, mentre i due cuochi dovevano essere uno magrebino e l’altro centroafricano; la perplimeva -lì per lì- il fatto che tutti e cinque conoscessero la lingua, ma poi pensò che forse il quintetto si era conosciuto proprio in Germania…
Nel frattempo, l’ucraino’ le si era avvicinato e le aveva alzato l’abitino intorno alla vita, trasformandolo in pratica in un’ampia, morbida cintura mentre le palpava con forza le natiche, lei si voltò a guardarlo, ma la mano dell’africano l’afferrò per il mento e lei, ancora stupita, si trovò la calda e grossa lingua dell’uomo in bocca.
Mentre cercava di rispondere al bacio, sentì le dita dell’indio violarle di colpo la sua intimità che, per fortuna, era già rorida e dilatata dall’eccitazione della situazione.
La bocca del magrebino, invece, si impadronì di un suo seno e si sentì mordere dolorosamente il capezzolo.
Le mani dell’ucraino le pressarono le spalle, obbligandola ad inginocchiarsi e, come fu in quella posizione, si trovò subito i membri duri del quartetto a batterle sulle guance, mentre gareggiavano per centrarle la bocca ospitale.
Flavio si sentiva stordito. Era sconvolto per ciò che l’ingegnere aveva -evidentemente!- ordinato ad Elena e dell’arrendevolezza che lei, evidentemente soggiogata da lui, faceva, apparentemente di buon grado.
Ovviamente, si guardava bene dal contraddire il suo principale e poi… sì, insomma… gli faceva uno strano effetto vedere sua moglie comportarsi così, con perfetti sconosciuti…
Invece di sentirsi arrabbiato era quasi… contento…
Eccitato, anzi, avrebbe detto!
Vide Elena scendere dal tavolo, subito circondata dai cinque uomini, ma subito richiamata dall’ingegnere al loro tavolo.
Sua moglie si sedette al suo posto, affannata ma con gli occhi più brillanti che le avesse mai visto ed un sorriso appena accennato sulle labbra.
L’ingegnere le si accostò all’orecchio e cominciarono a parlottare, ridendo spesso, mentre gli altri pagavano il conto e lasciavano il locale.
Sasha portò il conto e l’ingegnere pagò, poi i due scambiarono qualche battuta ed alla fine Flavio vide sua moglie seguire Sasha oltre le porte della cucina.
Stava pensando come interpretare il fatto, quando l’ingegner Corsini lo interpellò: ‘Allora Cornelli: ti è piaciuta la serata?’
Lui, lì per lì, fece fatica a comprendere cosa il principale dicesse, tanto che l’ingegnere ripeté la stessa domanda in tono più alto.
‘Ah sì, ingegnere! Bellissima, davvero. Lei è stato molto gentile a proporcela e le saremo grati per sempre…’
L’altro fece un gesto con la mano per minimizzare e poi fece un’altra domanda: ‘Allora, nessuna protesta? Non ti spiace che abbia fatto amicizia con tua moglie? E non ti spiace che venga a lavorare sotto di me?’
‘Ma no, ingegnere! Per cosa dovrei protestare? No, anzi: sono felice che lei abbia trovato simpatica la mia signora e sono davvero felice che lei abbia avuto la bontà di volerla come sua segretaria. Davvero, ingegnere: non so come ringraziarla!’
‘Ma no, tranquillo… per un dipendente come te è il minimo, che io possa fare…
Comunque ho notato che la NOSTRA Elena è una donna molto sensuale e disponibile… Spero che il fatto non ti disturbi, Cornelli’
‘Perché dovrebbe disturbarmi, ingegnere? E’ il minimo, per una persona come lei…’
Poi Flavio si accorse che l’ingegnere e la tavola ed il locale tutto diventavano sfocati e si sentì travolgere da un abbiocco, cullato dal mormorio del suo principale.
Decise di reclinare il capo un attimo e chiudere gli occhi un istante, solo un istante… Il suo cellulare suonava, suonava, suonava e si svegliò, annaspando in cerca dell’apparecchio.
Solo dopo averlo aperto, si rese conto che aveva suonato in quanto impostato (da chi? Lui non sapeva neppure farlo!) come sveglia -alle sei!!!- e che era tutto un dolore, oltre ad avere un mostruoso malditesta…
Normale che fosse indolenzito: aveva dormito in macchina, nel parcheggio desolatamente vuoto del ristorante -che era molto sprangato!- in mezzo a… al nulla.
Rapidamente a Flavio vennero in mente gli sconvolgenti accadimenti della sera prima e si chiese, per prima cosa, che fine avesse fatto Elena, sua moglie, dato che gli sembrava d’essere l’unico essere vivente nel raggio di chilometri.
Scese dall’auto, si stiracchiò, si sgranchì le gambe e già che c’era, fece pipi contro una siepe; adesso si accorgeva di aver riacquistato un po’ di lucidità.
Tornò sull’Astra e vide un foglietto, appoggiato sul cruscotto: ‘Dormivi così bene che i ragazzi di Sasha ti hanno messo in macchina senza che ti svegliassi. Lo hanno fatto con delicatezza, per ringraziarti della bella mancia che gli ha dato tua moglie.
Ti faccio notare che se arrivi in ritardo, SEI LICENZIATO!
Ing. Corsini’
Venne assalito dal panico! Era in un luogo sconosciuto, raggiunto al buio, seguendo un altro veicolo ed adesso…. oddio!!!
Mise in moto e lasciò sparato il piazzale.
Alla fine del vialetto, si trovò su una stradina asfaltata e decise, dopo mille esitazioni, di girare a sinistra; ma poi si trovò a dover decidere poche centinaia di metri dopo, ad un altro maledettissimo bivio…
Sudato per la tensione, riuscì a passare il badge esattamente alle 08,30, dopo un viaggio da incubo; per fortuna un tizio gli aveva dato le indicazioni giuste ed era faticosamente riuscito ad arrivare… appena in tempo, visto che mentre dava un’ultima occhiata al lettore dei badge, l’orologio scattò alle 08,31.
Lui era stazzonato, lurido, affamato, assetato… ma ce l’aveva fatta!
Flavio raggiunse la sua scrivania, si sedette con un sospiro e si posò una mano sul mento, sentendo la ruvidità della barba non rasata. Trasalì, ricordandosi le sue pessime condizioni, dovute alla notte in macchina. Per giunta, abbassando lo sguardo, notò con estremo fastidio una macchia scura sulla polo, proprio sullo stomaco.
Purtroppo non aveva un rasoio, a portata di mano, ma da un cassetto estrasse un pettine e stava alzandosi per andare alla toilette per darsi una rinfrescata alla faccia ed una pettinata, quando il suo telefono squillò sulla linea interna: ‘Cornelli…’ disse con voce esitante, sospettando già chi fosse l’interlocutore.
‘Ah, Cornelli! Bene, sei arrivato. Vieni subito da me… intendo immediatamente! Di corsa!’ ‘Sì, ingegnere, come desidera, ingegnere, arr…’ Flavio contemplò rattristato la cornetta, che col suo click gli aveva tagliato la parola in bocca.
Si precipitò lungo il corridoio, cercando darsi una sistemata ai capelli cammin facendo e giunse davanti all’anziana segretaria del titolare… Donna fortunata -pensò- perché era a solo un mesetto dalla pensione.
La donna lo scrutò, con sguardo severo.
‘L’ingegnere mi ha chiamato…’ giustificò la sua presenza lì.
‘Sì, aspetta che mi dica di farti entrare, Cornelli.
Ma…. una domanda: stanotte tua moglie ti ha mica chiuso fuori? Perché hai l’aria di uno che abbia dormito in un cassonetto della spazzatura…’ Notò, con un piccolo, perfido sorriso…
‘Io? Ma no, figurati… E’ che siamo andati a cena fuori e poi…’ Stava per rivelare tutta la serata, ma si trattenne, pensando che l’ingegnere non avrebbe gradito far sapere come lui passava il suo tempo libero. ‘Beh, in pratica ho avuto un un… un problema, ecco…. e allora ho dovuto dormire in macchina…’
‘Ah, capito… -la faccia dubbiosa della donne smentiva l’affermazione- ‘ e quindi, avete dormito in macchina, tua e tua moglie…?’ Tant’è, non era convinta.
‘No, solo io, figurati! Lei è andata via e…’ Ops! Si stava incasinando da solo!
‘E tu sei rimasto in macchina???’ Ormai l’anziana era incuriositissima.
Flavio annuì, ingoiando colpevolmente.
‘Ma se tua moglie è tornata, non potevi tornare con lei?’
Uff… ‘No, sai… lei… ha avuto un passaggio, da un motociclista!’
‘E non poteva tornare con un taxi, a prenderti?’
‘No… è che… beh, sì, insomma….’ Flavio sudava copiosamente, per la tensione di dover inventar frottole da dare in pasto alle domande della donna. ‘E’ che… si insomma… abbiamo avuto una… una divergenza, ecco!’
La donna lo guardò, gelida: ‘Ah, ecco!!!’
Flavio venne salvato da una telefonata in arrivo, che distolse l’attenzione della segretaria.
Si sedette sulla punta della poltroncina ed attese nervosamente di essere ammesso alla presenza del principale, torturandosi le mani.
Passarono diversi, interminabili minuti, prima che la donna annunciasse: ‘Ti vuole…’
Flavio si alzò, si accostò tremebondo alla porta dell’ufficio, bussò brevemente e, con un sospirone, varcò la soglia.
Subito Corsini lo scrutò: ‘Ma guarda come sei conciato: fai davvero schifo, sembri un barbone, altro che un impiegato di questa azienda!’
‘Ma ingegnere…’ ‘Ma ingegnere, cosa? Ma ti sei guardato? Ho avuto la decisione giusta, a trasferirti in magazzino!
Adesso arriverà Yussuf, così gli spiegherò di insegnarti il lavoro…’
‘Yussuf? Ma…’ ‘Ma cosa? Manderete avanti voi due il magazzino, carico scarico e gestione… Ma se fai un casino, ovviamente ti sbatto fuori!’
‘Va bene, ingegnere, come crede…’
In realtà Flavio era terrorizzato dall’africano: un uomo enorme, alto, muscoloso, nero come la pece, sempre sprezzante, con lui… Adesso poi che non era più ‘uno degli uffici’, ma un suo parigrado, la cosa sarebbe stata terribile.
Il magazzino, se la sentiva colare, sarebbe stato un incubo…
Lì a poco, il senegalese arrivò e quando seppe delle novità, rivolse a Flavio un ghigno feroce.
Dopo le brevi spiegazioni, l’ingegnere li congedò; erano sulla porta, quando però lo richiamò, dicendo al nero di aspettare fuori.
‘Volevo anche dirti… Assumerò Elena, per sostituire Margherita come segretaria del direttore…. cioè la mia; anche se, fuori di qui, lei è tua moglie, esigo che qua dentro tu ti ci rivolga sempre con la massima educazione e senza familiarità, dandole ovviamente del lei! Anzi: senza neanche rivolgerle la parola, se non ti interpella lei! Sono stato chiaro???’
‘Certo, ingegnere: chiarissimo…’ Disse l’uomo, anche se il magone per questa nuova umiliazione gli stringeva la gola.
‘Allora siamo intesi! Adesso non stare qui a fare un cazzo; vai giù con Yussuf, che ti dovrà insegnare tutto!’
‘Come desidera, ingegnere….’
Come superò la porta dell’ufficio, in quello della segretaria vide, oltre all’anziana Margherita ed a Yussuf, anche Elena, tutta ben vestita e truccata, che stava spiegandole: ‘… Mi ha convocata per colloquio di lavoro’
Fece per salutarla, ma si ricordò appena in tempo della draconiana diffida ricevuta e si trattenne.
Quanto a sua moglie, gli gettò uno sguardo distratto che lo attraversò come fosse trasparente, senza considerarlo assolutamente.
Avvilito, seguì Yussuf e dovette anche sopportare in silenzio i pesanti commenti del suo nuovo collega: ‘Hai visto che bella troia, che vuole assumere il boss? Vedrai che poi se la chiaverà, alla grande, quel porco dell’ingegnere!!’ disse, ridendo.
Flavio, ripensando anche frastornato agli accadimenti della sera prima prima, borbottò: ‘Già, molto probabile….’
Quando Elena uscì dalla cucina del ristorante, più di un’ora dopo, era distrutta: i cinque uomini (ovviamente anche Sasha aveva voluto la sua quota della ‘mancia’) l’avevano presa ripetutamente, provocandole ondate di piacere mai provate, prima, in vita sua.
Addirittura si trovò, alla fine, a godere senza soluzione di continuità, come un brano musicale che aumenta sempre più, sempre più fino… all’esplosione, un’esplosione che la fece fremere, vibrare, che le ricordò i fuochi artificiali, il cielo stellato, il volare nell’aria lieve come un palloncino e poi riatterrare, chiedendosi ‘dove sono?’
Aveva preso, in bocca e nella topina, quei membri sconosciuti -il primo a prenderla davanti era stato il padrone del locale- ed aveva scoperto quanto piacere potessero donarle i maschi.
Poi, i loro membri, così… diversi: lunghi e sottili, o grossi e tozzi o enormi e basta… uno anche inarcato verso il basso, che le aveva dato sensazioni strane e sconvolgenti.
L’ingegnere era sempre seduto al tavolo, appoggiato al quale ronfava Flavio, chiacchierando amabilmente con Sasha.
Come la vide, fece un rapido sorrisetto da rapace e si alzò: ‘Bene! Ora che hai finito di… dare la mancia, possiamo andare’
Lei fece un timido sorriso: ‘Sì, un attimo che mi rinfresco un attimo e…’ ‘No, vai bene così! Dai, andiamo!’
Elena sentiva una ciocca dei capelli pesante, diventata un unico malloppo da uno schizzo di sperma, mentre altri schizzi le erano arrivati sul viso -e lei asciugandosi parzialmente con la mano, li aveva trasformati in una sorta di maschera che ora, seccandosi, cominciava a tirare- e sul petto ed inoltre la sua mano aveva ispezionato la vulva, trovandola indolenzita, dilatata e impastata di altro sperma.
Abbassò lo sguardo ed annuì, ma cominciò a risistemarsi l’abitino, sempre arrotolato in vita.
‘No, lascialo così. Mi piace!’ Capì che era ordine tassativo e si adeguò. Poi il suo sguardo si posò su Flavio: ‘E mio marito…’
Sasha, che era rimasto lì accanto, rise: ‘Non si preoccupi, bella signora: chiederò a due dei miei di metterlo in macchina, così potrà continuare a dormire in pace’
Vide lo sguardo interdetto della donna e aggiunse, ghignando: ‘Non si preoccupi: i ragazzi lo faranno mooolto delicatamente… è il minimo, per ringraziarla della mancia che ci ha generosamente concesso…’
Così lo presero di peso e lo depositarono nell’Astra, impostarono il cellulare secondo le indicazioni di Corsini e posarono sul cruscotto un appunto dell’ingegnere.
Elena trotterellò sui tacchi dietro il suo nuovo datore di lavoro, ma quando furono davanti al SUV… ‘Certo che quel vestitino è ormai da buttare… fallo adesso!’
Elena lo guardò smarrita, ma poi lo fece scivolare fino al suolo, lasciandolo lì come fosse una bocca aperta per lo stupore.
‘Uhmmm… però così mi sporcherai tutto il sedile… Sasha!! Porta una tovaglia, un telo!’
L’uomo arrivò, trotterellando, portando un telo militare, da tenda; quando capì a cosa serviva, lo sistemò sul sedile ed Elena poté finalmente accomodarsi.
L’ingegnere si mise al volante e, dopo un cenno di saluto al padrone, avviò il Cayenne e cominciò, contemporaneamente, a parlare alla donna: ‘Adesso ti porterò a casa… Andrai a dormire e domattina ti aspetto subito dopo le nove, in ditta. Ovviamente, siccome vieni per un colloquio di lavoro, mi aspetto che tu venga conciata al meglio: ben vestita, truccata e ovviamente lavata: adesso sei una troia, lurida in tutti i sensi… Ma mi sei piaciuta.
D’ora innanzi, eseguirai ogni mio ordine senza la minima esitazione; diventerai la mia collaboratrice sul lavoro e, magari, anche fuori…. chi può dire?’ la guardò in viso e le strizzò rapidamente l’occhio.
‘Altra cosa: all’interno della ditta o quando comunque sei impegnata per lavoro, dovrai trattare tuo marito come se non lo conoscessi: non voglio che qualcuno possa associarvi. Se trasgredirai, ovviamente mi libererò di entrambi. Sono stato chiaro?’
Elena era vagamente spaventata: ‘Chiarissimo, ingegnere’
L’uomo annuì e poi tacque fino all’inizio della strada dove i coniugi abitavano: ‘Bene, sei arrivata, no? Dai scendi!’
‘Ma ingegnere….’ ‘Sì? Cosa vuoi?’
‘Per piacere, non potrebbe portarmi almeno davanti al portone? Sa, fare tutta questa strada con solo il telo addosso, se mi vede qualcuno…’
disse, in tono supplichevole.
‘Non dovrai fare tutta questa strada col telo addosso: lo lascerai lì, sul sedile! Se ti vede qualcuno, son cazzi tuoi, io non ho tempo da perdere con questa cazzo di strada a senso unico… Scendi!’
Elena sgranò gli occhi e spalancò la bocca, ma poi abbassò il capo e scese, affrontando il paio di centinaia di metri fino al portone, mentre sentiva rombare, dietro di sé, il motore che accelerava e sfrecciava via. Percorse il paio di centinaia di metri fino al portone con gli zoccoletti in mano, perché nella strada silenziosa i tacchi risuonavano come colpi di fucile.
Era quasi arrivata e stava frugando nella borsetta in cerca delle chiavi, quando da in mezzo a due auto spuntò un grosso cane nero a pelo corto, dall’aspetto inquietante e le si avvicinò, cominciando ad annusarla.
Lei si bloccò, ad ormai meno di cinque metri dal portone, dalla salvezza!, e sentì i passi di una persona che si avvicinava: da sopra i tettucci delle auto in sosta, vide sull’altro marciapiedi un uomo sulla trentina, capelli neri lineamenti volgari e chiodo di pelle che fece un sommesso fischio ed al quale il cane rispose con un ‘Bouff!’.
Lui la vide, sembrò sorridere e si infilò tra due auto per avvicinarsi…
Flavio seguì Yussuf nel magazzino.
Il grosso nero si infilò in una porticina e lui, senza pensarci, lo seguì; si trovò in una stanza di una quindicina di metri quadri, con quattro armadietti metallici a due antine.
Il nero aprì quello che -evidentemente- era il suo e cominciò con naturalezza a spogliarsi, restando in boxer. Poi si rivestì con una giacchetta ed un paio di pantaloni di cotone blu, da lavoro lo guardò e gli parlò: ‘Qui in magazzino c’è polvere, fumo di scappamento e fango, quando piove; per questo è meglio avere una tenuta da lavoro.’
Visto che dovremo lavorare insieme -e fece un sorriso da predatore- oggi ti darò qualche dritta, ma da domani dovrai arrangiarti.
Comunque, vedo che hai già abiti da lavoro, ma son quelle scarpette da ballerino che non vanno bene. Ti serviranno….’ si abbassò a prendere uno scarpone dall’anta ‘da lavoro’
‘… un paio di questi!’ disse, tirandoglielo.
Flavio la prese al volo, anche se con qualche difficoltà, e contemplò tristemente la pesante calzatura, taglia 46, che sapeva di piedi, di grasso lubrificante, di polvere, fango… Pesava un accidenti, e le grosse stringhe avevano, in cima due passanti a U, invece delle normali asole, che si aprivano con una certa facilità… utili in caso di doverli sfilare rapidamente, considerò.
Inoltre il collo del piede era riparato da una protezione rigida ma un pochino mobile, la suola era di robusto Vibram e, come Yussuf gli aveva precisato, la punta era di rinforzata con una conchiglia di ferro.
Si prese un appunto mentale di comprarsene un paio… ma non sapeva dove, però! ‘Come faccio per averli? Cioè, dove li posso comprare?’
‘Dovrebbero passarteli questi stronzi, ma è meglio se te li procuri per conto tuo: vai in via Nazionale, c’è un negozio che si chiama La Tuta; lì puoi comprare sia la tuta che gli scarponi… L’unica cosa che ti posso dare, è un paio di guanti da lavoro’ ‘Grazie…’
Il nero lo guardò sarcastico: ‘di nulla… COLLEGA!’
Da quel momento, Flavio si trovò a faticare, cercando d’imparare al meglio, ma comunque lavorando come mai aveva lavorato in vita sua; dallo sforzo, gli girava la testa, gli si appannava la vista, ma sempre sferzato dalle battutacce e dalle spinte di Yussuf.
Alle 12,00 staccarono, andando a mangiare nella mensa degli operai, con sua grande vergogna; molti lo riconobbero -uno dei detestati ‘signori’ impiegati, alla mensa degli umili! E senza più quella puzzetta sotto il naso!- e le battute sferzanti si sprecarono
Poi, alle 13,00, di nuovo in magazzino, a lavorare. Una cassetta gli scivolò di mano e gli atterrò sull’alluce, facendogli un male cane.
Allora Yussuf lo portò nello spogliatoio, gli fece levare mocassino e calzino e lo portò nel locale attiguo, dove c’era un lungo lavatoio con tre rubinetti, tre box doccia senza porta (senza porta??? Inorridì Flavio) e, dietro ad una mezzaporta, un cesso alla turca.
Il senegalese gli fece mettere il piede nudo nel lavatoio, poi aprì il getto gelato dell’acqua e gli tenne il piede fisso sotto, nonostante il bruciore (!!!) che sentiva l’uomo.
Dopo 10 minuti, chiuse l’acqua e lo lasciò andare: ‘Così non ti si gonfia… mal che vada, ti cadrà l’unghia dell’alluce…’
Verso le quattro, arrivò un TIR e Yussuf scaricò i bancali del carico col carrello a forche, il ‘muletto’, come lo chiamava lui.
Poi, mentre il TIR usciva, compilarono (Flavio sotto dettatura del nero) tutti gli immancabili scartafacci e poi, alle 17,30, andarono nello spogliatoio.
‘Domani è meglio che ti porti del sapone ed un asciugamano… e shampoo, e tutto quello che ti serve per ripulirti’ disse Yussuf, mentre si spogliava completamente.
Flavio, non sapendo bene che fare, guardava il suo nuovo collega e quando questi se ne accorse, si voltò verso di lui, esibendo la sua notevolissima dotazione: ‘Ci pensi a questo, nella fica e nel culo di quella di stamattina, su dal direttore?’
Flavio ci mise pochi istanti per ricordare: era sua moglie Elena, che andava a parlare con l’Ingegnere! Immaginò la sua dolcissima sposa alle prese con quell’attrezzo, già notevolissimo a riposo e, oltre alla vergogna per un pensiero così indecente, si accorse -incredibilmente!- di eccitarsi al pensiero.
Yussuf prese l’attimo di distrazione di Flavio per ammirazione della sua verga e gli si avvicinò, toccandolo solo alla base, appena sopra i pesanti coglioni: ‘Ma te lo immagini, se quella troia… ‘ ‘Troia???’ lo interruppe ‘Certo, troia!!! Ma hai visto com’era vestita e truccata? Che sguardo sdegnoso per noi umili lavoratori? Una vera troia, una baldracca sempre pronta a cercare cazzi sempre più grossi e più ricchi!’ La riflessione turbò Flavio, che immaginò la SUA Elena in caccia, come aveva detto Yussuf. Che continuò: ‘Immagina lei che se lo trova davanti, a portata di bocca, e che lo prende tra le labbra e lo bacia e lo lecca e se lo fa diventare duro in bocca…’ Mentre parlava, il senegalese controllava le reazioni di Flavio e notava che questi si stava visibilmente eccitando ‘… e gli diventa così grosso, in bocca, che non può tenercelo…’ Mentre parlava, si avvicinava lentamente verso Flavio, sempre seduto sulla panchetta dello spogliatoio, che gli fissava la bocca come ipnotizzato dalle sue parole; nel frattempo, il membro di Yussuf cominciava ad ergersi in tutto il suo splendore.
Elena si era avvicinata alla scrivania di Margherita, aveva detto il suo nome e cognome e precisato che l’ingegner Corsini le aveva fissato un appuntamento.
In quel mentre, vide uscire dall’ufficio suo marito Flavio ed a fatica represse l’impulso di salutarlo; però, il tassativo ordine dell’ingegnere la vincolava e non voleva rischiare di perdere tutto.
La sua placida vita, nelle ultime quindici ore, era diventata come un torrente in piena, con rapide, massi affioranti, pozze tranquille… le sembrava di essere uno di quei pazzi che facevano rafting e che, ora lo capiva bene!, accettavano tutti quei pericoli per il sublime effetto dell’adrenalina che faceva rombare il sangue nelle vene.
Come quella notte: lei nuda, davanti al portone, con quel grosso cane ringhioso ed il padrone, con la faccia da ebete; aveva avuto paura -rabbrividiva ancora, al ricordo!- ma si era cavata egregiamente dall’impaccio: aveva impugnato la chiave del portone, aveva concentrato il suo sguardo sulla serratura, a mo’ di bersaglio, e poi era partita di corsa, infilando al volo la chiave e facendo scattare la serratura in un unico gesto e lasciando i due intrusi fuori, chi abbaiante, chi con lo sguardo deluso dopo la rapida, angelica visione.
Mentre saliva in ascensore, lo specchio le rinviò l’immagine di una bella donna nuda e con un sorriso trionfante verso le difficoltà!
Arrivata in casa, si preparò per una calda, lunga, rilassante doccia (era in quei momenti che avrebbe voluto una deliziosa vasca da bagno per immergercisi dentro e farsi cullare dal tepore dell’acqua e della schiuma!) e restò sotto il getto per un tempo lunghissimo.
Poi si asciugò con cura e se ne andò a letto, stupendosi di non sentire la mancanza, lì accanto, di suo marito, assente per la prima volta dopo venti e passa anni di matrimonio…
L’anziana segretaria la fece entrare e, quando furono soli, l’ingegnere le andò incontro, sorridendo: ‘Fatti guardare: sei bellissima!’
Lei arrossì al complimento e poi si sedette, su invito di Corsini, al tavolo da riunioni, nell’angolo.
Corsini le spiegò brevemente l’attività dell’azienda, le snocciolò a memoria dati e cifre, le fece un quadro ben chiaro di quale fosse la situazione prima che lui la rilevasse ed a quali obbiettivi lui volesse condurla.
Poi, affrontò le specifiche mansioni della sua ‘ideale’ segretaria di direzione; in pratica le spiegò le sue mansioni, la necessità di dare sempre un’ottima immagine di sé, la capacità di saper interagire -in diverse lingue- con fornitori e sopratutto clienti, con una maggiore cura per quelli nuovi, per i quali il suo intuito doveva ‘affilarsi come un rasoio’ per imparare a prevenire le loro richieste prim’ancora che le trasformassero in parole.
Elena si sentiva eccitata per la la responsabilità dei compiti che le era stato proposto di assumersi e quando Margherita arrivò col contratto d’assunzione, lo lesse rapidamente -restando perplessa alla voce ‘premi di risultato e gratifiche particolari’, ma non osava chiedere chiarimenti!- e lo firmò.
Passò quindi sotto le cure dell’anziana segretaria che cominciò a farla familiarizzare con le varie procedure.
Erano passate due settimane, ormai, ed Elena cominciava a pensare di aver frainteso l’approccio dell’ingegnere: difatti, in questi quindici giorni, Corsini fu assolutamente professionale ed irreprensibile, trattandola con normali cortesia e distacco.
L’unica cosa… fuori dalla norma, fu la sera del primo giorno, quando l’ingegnere la convocò nel suo ufficio e le diede tremila euro in contanti: ‘La mia segretaria deve essere gradevole ed elegante, oltre che efficiente: domattina prenditi la mattinata libera e vatti a comprare abbigliamento adeguato, intimo e scarpe comprese’
Così aveva speso la mattinata seguente a fare shopping, acquistando tailleurs, gonne, camicette, coordinati intimi, autoreggenti varie e tre paia di scarpe col tacco a spillo.
Ma se non fosse stato per queste cose, e per il fatto che suo marito Flavio era stato retrocesso a magazziniere, avrebbe giurato che la sua assunzione era stata una regolarissima, quanto fortunata, eventualità.
L’affiancamento con Margherita, comunque, si dimostrava veramente utile; oltre al ‘modo’ di fare le cose, imparava anche a conoscere i vecchi clienti e fornitori, sia per gratificarli con un pronto riconoscimento, sia per sapere già le loro necessità ed i loro piccoli, innocenti tic.
Finalmente, allo spirare del mese, Margherita la invitò alla sua festa di pensionamento, insieme ad alcuni altri impiegati, dove poterono passare un’oretta conviviale, sbocconcellando stuzzichini e pasticcini e brindando a spumante o aranciata per gli astemi.
Anche l’ingegnere fece una scappata, alla festicciola, per consegnare personalmente all’anziana donna un orologio d’oro come dono d’addio.
Lasciando la palazzina degli uffici, quella sera, Elena si voltò un istante a guardarla e rifletté: ‘Da domani, sono senza rete, da domani si fa sul serio!’ Flavio ci aveva messo tre giorni, per superare la vergogna di spogliarsi davanti a Yussuf e cominciare a fare, contemporaneamente a lui, la doccia nello spogliatoio.
Il senegalese lo imbarazzava… lo aveva messo a disagio già il primo giorno, mentre parlava di ‘quella troia in direzione’ (sua moglie!!!) ed il suo… coso dimostrava di essere interessato all’argomento; si era trovato il grosso membro dell’uomo, quasi completamente eretto, a pochi centimetri dalla bocca e solo alzandosi di scatto in piedi dalla panchetta era riuscito a sottrarsi dalla fascinazione del grosso membro nero.
L’aveva turbato il fatto che continuasse a richiamare alla mente l’episodio, che ricordasse con precisione la forma, il colore ed anche l’odore della grossa appendice dell’africano, ma riuscì a far finta di nulla, tanto che Yussuf sembrò non accorgersene.
Però, cinque giorni dopo, mentre andava verso la doccia con un asciugamano avvolto attorno ai fianchi (pudore che sembrava sconosciuto al suo compagno), il nodo si sciolse e lui restò nudo, bianchiccio, davanti allo sguardo sarcastico di Yussuf: ‘Ahahahah! E tu quello lo chiami cazzo? Ho amiche che hanno il grilletto più grosso del tuo cazzo!’
D’accordo: la sua dotazione non era terrificante come quella del suo compagno, ma i suoi sedici centimetri avevano pur sempre fatto sempre felice la sua Elena… ‘quella troia in direzione’, come l’aveva definita volgarmente Yussuf, non sapendo nulla.
Si chinò per raccogliere l’asciugamano dal pavimento di gres e quando rialzò lo sguardo si trovò davanti agli occhi l’enorme cazzo, quasi del tutto duro, del suo collega.
‘Vedi? Questo è un cazzo!’ disse Yussuf, ponendogli una mano sulla nuca e attirandolo verso la sua appendice.
La cappella ormai dura gli premeva sulle labbra e lui fece per protestare ma… ma la spinta dell’uomo glie la fece entrare in bocca e poi, sempre spingendogli la nuca, glie lo mise bene in bocca.
Voleva ribellarsi, sfilarsi, protestare, denunciarlo ma… ma non era in grado, col suo corpo gracilino, di fare nulla di tutto ciò e -sopratutto!- Yussuf gli torceva dolorosamente un braccio: perciò sottostette alle voglie dell’uomo, che dopo averlo scopato in bocca una decina di volte afferrandolo per le orecchie, una volta ‘convinto’ a procedere senza rischiare la disarticolazione della spalla, gli impose di leccarlo.
Lui non avrebbe voluto, ma l’africano lo intimidiva e quindi non provò neanche a protestare… fece quanto ordinatogli.
La cosa peggiore, però, era che il fatto in sé, nella sua totale anomalia, lo stava eccitando, ma per fortuna Yussuf gli venne sul volto senza accorgersi della sua semierezione.
Dopo essere venuto, il nero ghignante si fece la doccia, si asciugò, si rivestì e lo salutò allegramente, mentre lui restava imbambolato a cercare di interpretare il coacervo di sensazioni contrastanti provate.
Solo dopo un bel po’, quando ormai gli schizzi di Yussuf stavano seccandoglisi sul volto, si decise a farsi la doccia, insaponandosi ripetutamente il viso e scoprendo che quell’assaggio (assaggio in tutti i sensi, rifletté ironicamente) non era poi stato così disgustoso come aveva sempre immaginato.
Anzi, la sua mente tornò indietro di qualche minuto, a quando Yussuf era sotto la doccia e lui aveva estratto la lingua per assaggiare una goccia di sperma dell’uomo che era accanto alla sua bocca: salmastra, ma non disgustosa!
Il giorno dopo l’addio dell’anziana segretaria, Elena venne chiamata dall’ingegner Corsini nel suo ufficio.
‘Mi dica, ingegnere’
‘Ah, Elena, eccoti… Visto che da adesso sei l’unica mia segretaria, chiariamo subito alcune cose.
Prima di tutto, alzati la gonna… in vita!’
Elena obbedì, intimidita, mentre l’ingegnere le girava intorno, come uno squalo attorno ad un naufrago sulla zattera.
‘Vedo che hai delle mutandine bianche… anche se di pizzo. Toglile!’
Ovviamente la donna non osò ribattere ed eseguì prontamente.
‘D’ora innanzi, sul lavoro dovrai indossare unicamente i peri string, quelli con solo lo spaghetto… Anzi, ancora meglio: non portarne proprio! Levale!’
Elena sfilò il delicato capo e poi lo posò sulla mano imperiosamente tesa dell’ingegnere, che subito lo stracciò.
‘Poi, ti voglio sempre perfettamente depilata, completamente. E inoltre… hai dei reggicalze?’
Elena annuì.
‘Ecco: d’ora innanzi dovrai SEMPRE indossarlo, sia con le calze adatte sia, quando farà caldo, senza.
E inoltre: quelle cazzo di gonne così lunghe -Elena contemplò la gonna che indossava, che arrivava a malapena a metà coscia- vanno bene per quella vecchia vacca di Margherita; fattele accorciare, tutte, di almeno dieci centimetri!
E già che ci siamo: hai delle belle tette, anche se non così sode quanto mi piacerebbero: quando sarai sul lavoro non dovrai portare reggiseno o, al più, solo quelli a semicoppa, che te lo sostengano, ma lasciandoti i capezzoli liberi.
Tutto chiaro?’
La donna, intimidita, annuì.
‘Se ti piace muovere la testa, invece che parlare, ti sistemo io… Inginocchiati!’
Elena obbedì prontamente.
‘Bene… adesso metti le mani dietro la schiena…’
Si accostò alla donna: ‘Adesso, usando solo bocca e denti, tiramelo fuori, avanti!’
Elena si impegnò non poco nella complicata richiesta, riuscendo alla fine ad afferrare l’archipendolo della zip tra gli incisivi e facendo scorrere il cursore fino in fondo.
Poi faticò parecchio ad abbassare, di pochi centimetri per volta, i boxer dell’uomo, ma alla fine il cazzo svettò, meravigliosamente eretto, davanti a sé.
Mentre cominciava ad insalivarlo, si scoprì inaspettatamente umida e considerò, con un angolo della mente, che quelle umiliazioni erano il giusto carburante per la sua libidine.
Cominciò a leccare e succhiare il membro del suo capo, che l’afferrò per la nuca e la scopò per un po’ in bocca, prima di scostarsi.
‘Adesso tirati su e piegati sulla scrivania!’
Elena cambiò prontamente posizione, mentre Corsini le si metteva dietro.
‘Lo hai mai preso nel culo?’
Si sentì morire ‘No… ingegnere…’
‘Rimediamo subito. Non opporre resistenza, o sentirai molto male. Anzi, quando te lo appoggio, spingi… come se dovessi svuotarti: vedrai che entrerà facilmente’
Era terrorizzata: Flavio, con i suoi quindici centimetri scarsi, le aveva fatto sentire un male boia, le rare volte che avevano voluto provare questa pratica (prima di abbandonare definitivamente l’idea) e adesso, col notevole membro dell’ingegnere…
Però, come sentì la cappella che spingeva sulla sua rosellina, seguì i consigli dell’uomo e, a parte quando la parte più larga della cappella superò il ‘muro’ del suo sfintere -fase le fece sentire un dolore acuto, come una coltellata e che l’uomo affrontò sagacemente restando perfettamente immobile dentro di lei, finché il male non si attenuò fino a scomparire- scoprì che la pratica non era per nulla sgradevole… anzi!… con le dita di Corsini che le strapazzavano il bottoncino, addirittura, sentì montare dentro di lei l’onda del piacere…
Peccato soltanto che l’ingegnere sentì le sue contrazioni piacevoli e questo innescò il suo piacere, svuotandosi i coglioni dentro il retto della segretaria.
Pochi istanti per riprender fiato, poi si sfilò dal culo della donna, che si alzò e fece per andare nel bagno privato dell’ingegnere, per svuotarsi e lavarsi.
‘No, aspetta! Non voglio ogni volta fare la stessa fatica… rimettiti com’eri sulla scrivania!’
Lei obbedì, mentre lui prendeva un oggetto da un cassetto… un oggetto freddo, rigido, che le appoggiò al culo martoriato: ‘Adesso tieniti le chiappe bel allargate con le mani’
Sentì la cosa fredda e rigida che scivolava dentro al suo retto, sempre più sforzandole lo sfintere ed arrivò ad un punto in cui si fermò, avendo dilatato al massimo il muscolo e facendole abbastanza male.
Un colpo secco dell’uomo sulla base dell’oggetto ed Elena, dopo una breve fitta, sentì che l’oggetto le era entrato, pur senza permetterle di poter chiudere il culetto.
‘Ti ho messo un dildo anale: potrai levarlo solo quando ti starai preparando per andare a casa e te lo rimetterai ogni giorno, appena entrerai…
Così il tuo culo resterà allenato e non dovrò sudare come oggi tutte le volte… Ovviamente -aggiunse con tono sarcastico- se ti ci affezionerai potrai tenerlo anche fuori dal lavoro… sta a te!
E adesso, torna a fare quello che stavi facendo, forza!’ Le disse, con una pacca sul sedere.
Lei si trovò ad uscire dall’ufficio, ringraziando l’ingegnere.
Lo aveva anche ringraziato? E per cosa? Per averle stracciato gli slip? Per averla umiliata? Per averla sodomizzata? Per il ‘regalo’ che le aveva piantato nell’intestino?
Dopo venti secondi di riflessione, decise che sì, che lo ringraziava per tutto questo… e andò nei bagni delle impiegate per arrivare da sola in cima alla montagna di piacere che avevano cominciato a scalare assieme. Elena era tornata alla sua scrivania da pochi istanti, quando lampeggiò l’interfono: ‘Mi dica, ingegnere!’
‘Voglio che la tua depilazione sia fatta in modo impeccabile e, a quanto ho capito, tu non l’hai mai fatto…
Quindi marcati questo indirizzo: ci andrai appena esci da qui, gli ho telefonato e ti aspettano; ovviamente, visto che loro sanno tutto ciò che io voglio, tu farai tutto ciò che ti dicono, senza fare storie’ Gli dettò l’indirizzo e chiuse la comunicazione.
Lei era turbata: da una parte, la sua naturale modestia le faceva provare una grandissima vergogna a farsi rasare la sua intimità da una sconosciuta, però doveva ammettere che… beh sì, che in un angolino della sua mente una certa eccitazione si faceva strada, all’idea di essere manipolata -pur professionalmente!- da un’altra persona, anche se donna…
Uscì dal lavoro appena dopo le sei di sera; Le dispiaceva un po’ che gli orari suoi e di Flavio non coincidessero: a lui era stato imposto l’orario 7,30-16,30 degli addetti alla produzione (anche se con frequenti sforamenti straordinari), mentre lei aveva l’orario flessibile dalle 8,30 alle 18,00 e quindi erano costretti a muoversi autonomamente.
Inoltre, non sempre riusciva ad uscire per le sei di sera e quindi era normale che lei rientrasse a casa, magari trovando già la cena quasi pronta, preparata da Flavio.
Appena nel parcheggio dell’azienda, gettò un’altra occhiata sul post-it sul quale aveva marcato l’indirizzo dell’estetista: credeva di aver capito in che zona era, si trattava di un vicoletto del centro più antico della città.
Lasciò l’Astra in una piazzetta (L’ingegnere gli aveva detto che lei doveva avere una sua auto in esclusiva e che glie l’avrebbe procurata lui e di non preoccuparsi per la spesa, ma per adesso usava l’Opel di Flavio, che aveva accettato di andare al lavoro coi mezzi pubblici) ed entrò in un bar a chiedere informazioni.
Appena dentro il locale fiocamente illuminato, si fermò per dar tempo ai suoi occhi di adattarsi alla scarsa illuminazione e notò subito che tre o quattro avventori guardarono verso di lei: non poteva sapere che il tessuto chiaro della gonna, contro l’intensa luce dell’esterno, delineava perfettamente in controluce le sue gambe ed i suoi fianchi, con effetti deliziosi, per gli occhi dei presenti.
Sì avvicinò al banco e chiese un caffè ed un bicchier d’acqua e, mentre il barista le preparava le bevande, gli chiese come raggiungere l’indirizzo che aveva appuntato.
Mentre il barista le spiegava, con fare annoiato, lei percepì che un uomo le si era accostato sull’altro lato, ma non ci fece troppo caso, intenta a memorizzare la sequenza di svolte e di punti di riferimento. Però, poi sentì come un.. un fruscio sulla pelle delle natiche e si rese conto che il tizio, ghignando, le aveva sollevato la gonna a piegoline, scoprendole il sedere… Per giunta, ricordò con angoscia che non indossava le mutandine, stracciatele dall’ingegnere; sussultò, ma la larga mano dell’uomo le si appoggiò sulle reni schiacciandola contro il bancone e la roca voce dell’uomo le mormorò: ‘Ferma così, bella troia, che i miei amici è un pezzo che non vedono un culo nuda da baldracca come il tuo. Lasciaglielo apprezzare!’
Intanto altri due si erano avvicinati, sghignazzanti ed Elena sentì le loro mani accarezzarle il sedere, soppesandole le natiche, infilandosi tra le cosce, risalendole fino alle labbrine. Era incapace di muoversi, di reagire, come un coniglio ipnotizzato da un cobra e si rese conto con sgomento che quella incredibile situazione la stava eccitando in modo folle…
‘Dai, piantatela di fare gli stronzi… Dario, lasciala andare!’ Ringhiò il barista e subito Elena sentì le varie mani lasciarle il culo, la mano togliersi dalle reni e ridarle la libertà.
Lei, confusa e turbata, corse fuori dal locale.
Ripetendosi mentalmente le istruzioni del barista come fosse un mantra, alla fine arrivò davanti a quello che la pretenziosa insegna definiva ‘Centro estetico’, anche se l’ingresso dava un’idea di molto remoto nitore, come del resto tutta la zona.
Spinse la porta, formata da una lastra di vetro smerigliato e solo dopo averla trovata bloccata, si accorse della piccola freccia con scritto SUONARE, che indicava un piccolo pulsante fissato allo stipite.
Una sorta di tintinnio all’interno e, dopo una trentina di secondi, una silhouette venne ad aprire la porta: un uomo alto, magro, olivastro, che indossava una maglietta nera che metteva in mostra il tatuaggio colorato sul bicipite.
Elena era interdetta: si aspettava una donna… ‘Buongiorno… sono la signora Elena…’
‘Viene da parte dell’ingegner Corsini?’ le troncò le parole sulle labbra l’uomo, rudemente.
‘Sì… esatto… sono io…’
‘T’aspettavo prima! Va beh, visto che sei qui, procediamo. Vieni con me’
Elena trasalì, intimamente, notando che l’uomo era passato da un formale ‘lei’ ad un arrogante ‘tu’.
La precedette lungo un corridoio, sul quale si affacciano strette porte a soffietto, intervallate di un paio di metri, su entrambi i lati; alcune porte aperte, mostravano le stanzette, con pareti alte non più di un paio di metri, dove c’era un lettino, una sedia ed a volte un carrello di acciaio inossidabile con sopra alcuni oggetti. In qualche stanzetta, c’era invece una doccia solare od una lampada solare trifacciale per il solo viso.
La musica di sottofondo faceva solo intuire brusii di voci e rumori liquidi, che la fecero pensare a spugnature od a massaggi.
L’uomo la fece entrare in un cubicolo, accostò quasi del tutto la porta a soffietto, le indicò l’attaccapanni appeso al muro e le ordinò: ‘spogliati completamente!’
Elena si voltò verso l’attaccapanni, prendendo tempo in attesa che l’uomo la lasciasse sola, ma il tipo la fissava, con le spalle appoggiate alla paratia e le braccia incrociate sul petto.
‘Forza, cosa aspetti? -le disse sgarbato- non abbiamo tutta la notte, sai?’
Lei sobbalzò, come se fosse stata schiaffeggiata, ma subito si sfilò la giacchina, poi cominciò a sbottonarsi la camicetta, appendendola sopra alla giacchina e restando in reggiseno; poi si sedette, sfilò le scarpe ed arrotolò le autoreggenti, sfilandosele, sotto l’inquisitorio sguardo dell’uomo.
Infine slacciò la gonna, lasciandola cadere attorno ai piedi e l’uomo notando che non indossava mutandine, fece una leggera, momentanea smorfietta sarcastica. Elena, infine, si tolse il reggiseno e restò nuda accanto al lettino, guardandolo interrogativamente.
‘Cazzo fai lì, brasata in piedi? Dai, allungati!’
Lei, intimidita, obbedì, proprio mentre una donna magra si affacciava a parlottare con l’uomo; lui l’ascoltò qualche istante, poi le disse: ‘Va bene, dai. Mandali qui’
Mentre la donna magra spariva dalla sua vista, lui colse lo sguardo interrogativo di Elena: ‘Sei arrivata tardi ed ho anche da tenere una lezione a quattro allievi; ho deciso che oggi loro faranno esercitazione pratica… su di te’
Elena fece per protestare, ma poi le mancò il coraggio di ribellarsi.
Pochi secondi dopo, tre ragazze ed un ragazzo foruncoloso entrarono nel cubicolo; il maschio, cominciò subito a ghignare osservandola ed anche due delle ragazze la guardarono con un velato sorrisetto ironico, mentre Elena avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna.
‘Stasera faremo esercitazione pratica -disse l’uomo- ed abbiamo qui il vostro… campo di pratica.
Deve essere depilata… completamente! -quanto era inquietante, per Elena, quella pausa!- e per rendervi conto di dove servirà la depilazione, o la rasatura dove i peli sono più folti, dovrete prima di tutto percorrere la sua pelle coi polpastrelli, uno per volta…
Debora, comincia tu!’
La ragazza grassottella si avvicinò, appoggiò la mano sulla caviglia di Elena e poi cominciò, lentamente, a percorrerle gli stinchi e le cosce con tocco quasi impalpabile.
Elena scoprì, con vergogna e terrore, che quel contatto la stava eccitando in modo incredibile.
Debora la sfiorava appena, ma senza entusiasmo, con una qual certa noia; Elena intuiva benissimo quanto la giovane desiderasse fare altro od essere altrove.
Comunque, anche quello sfioramento distratto le provocava sensazioni piacevolissime ed era terrorizzata dall’idea che gli altri se ne accorgessero.
Debora passò distrattamente i polpastrelli nella piega tra la coscia e la sua intimità e, pur essendo sul chi vive, Elena la ringraziò mentalmente per quel passaggio così indifferente, superficiale. La ragazza le arrivò alle ascelle e poi si mise da parte, con l’aria scazzata.
‘adesso fallo tu, Sabrina!’ disse l’uomo.
Elena guardò la seconda giovane -magra, capelli lunghi lisci biondi ma con una inquietante sfumatura verdognola, aria nervosa- che appena le sfiorò la spalla le fece sentire come una sorta di elettricità; la sua mano scendeva, con esasperante lentezza, facendole visibilmente venire la pelle d’oca (che vergogna!) e notava i sorrisini sui volti di tutti, esclusa la scazzatissima Debora.
Sabrina le accarezzò le braccia, dalle spalle ai polsi uno e dai polsi alla spalla l’altro ed Elena sentiva ribollirsi la fica dall’eccitazione per quel toccamento che le dava sensazioni così violente da sembrare quasi una tortura.
Poi, con le due mani, le sfiorò i peluzzi delle ascelle, le percorse i fianchi, le sfiorò il pancino abbastanza piatto e poi, dall’ombelico, scese con un solo dito fino al limitare della sua pelliccetta, poi deviò verso l’angolo superiore ed infine seguì la piega della coscia, spingendo il dito fino a sfiorare il perineo di Elena, che aveva letteralmente la topina spumeggiante: ‘Sì, però andrebbe valutata anche la parte posteriore…’ fece notare Sabrina.
‘Giusta osservazione… Tu, mettiti pancia sotto… e con le gambe ben aperte!’
Elena eseguì e di nuovo i lievissimi polpastrelli della ragazza, dopo averle sollevato i capelli dalla nuca, le torturarono dolcemente la schiena, sino alle reni, sino ai glutei, sino a tenergliene uno allargato per poter verificare la peluria anche nel solco lì in mezzo, sfiorandole -inavvertitamente?- il buchetto gonfio ed arrossato per il trattamento impostole dall’ingegnere e facendola visibilmente rabbrividire.
Elena non poteva più vedere le espressioni dei visi, ma immaginò -giustamente- che tutti avessero sorriso, con maggiore o minore partecipazione.
Sabrina, sadicamente, le sfiorava con estrema lentezza le labbrine sporgenti della fica che, Elena se ne rese conto con terrore!, si era schiusa, bagnatissima, in attesa di una qualunque penetrazione.
L’uomo notò quanto la ragazza si soffermasse sulla zona e perciò: ‘Paola, adesso fai tu…’
Sabrina imbronciata si staccò dalla stimolante attività e l’ultima ragazza, una venticinquenne coi capelli neri, tagliati cortissimi, con un fisico armonioso anche se tonico da nuotatrice, si posizionò tra le gambe di Elena e le posò entrambe le mani sulle fosse polipdee.
Da lì scese con una certa fretta alle caviglie, percorrendo i polpacci, ma poi tornò alle fossette dietro alle ginocchia e risalì, con maggiore partecipazione, lungo le cosce, fino ai glutei e poi, con lentezza esasperante, fece scivolare i polpastrelli di entrambe le mani a costeggiare la cresta, rilevata e sensibilissima, delle labbrine della donna.
Elena ormai era molto prossima al piacere e fu contenta che i suoi seni fossero pressati sul lettino, celandole i capezzoli incredibilmente eretti.
Paola, nel frattempo, si concentrava molto sulla zona, sfiorandole il perineo, il buchetto gonfio e congestionato e scivolando poi sulle natiche, sulle reni, sulla schiena, fino alle spalle.
‘Ignazio, adesso tocca a te… Vediamo se hai capito cosa ti ho spiegato l’ultima volta…’
Cosa diavolo gli aveva spiegato, l’ultima volta, il tipo ad Ignazio?? Solo a fare quel sopralluogo o anche… altro? Elena sentì una risatina del ragazzo e subito le sue mani ruvide e poco leggere sulle spalle, sulla schiena, che dai fianchi cercavano inutilmente di raggiungerle i seni; l’uomo se ne accorse: ‘Appoggiati sui gomiti, alza le spalle dal lettino, forza!’
Lei eseguì e subito le dita di Ignazio raggiunsero i capezzoli, sfiorandoli e stringendoli con forza un attimo, facendola sussultare: ‘Stai ferma! Lui sta imparando…’ l’ammonì l’uomo e lei mormorò una frase chiedendo scusa.
Il giovane, nel frattempo passò di nuovo sulla sua schiena, le reni e poi le appoggiò le palme sulle natiche, divaricandole al massimo e mostrando impietosamente a tutti i suoi buchini.
Poi lasciò la presa, ma fece scorrere l’indice nel solco e, arrivato sul buchino, introdusse di colpo la prima falange, provocando un sospiro di Elena.
Allora il giovane cominciò a spingerle dentro il dito, ma… ‘Continua l’ispezione preliminare, non hai ancora terminato!’
Ignazio a malincuore estrasse l’indice e scese, sfiorando il perineo e poi lasciando scivolare indice e medio nello sdrucciolevole solco rosato della fica di Elena, ormai eccitatissima. Elena si sentiva esposta, violata dalle dita frettolose di Ignazio che la stavano portando rapidamente al piacere, nonostante il grande imbarazzo che provava per essere sotto gli sguardi dei cinque.
Nel frattempo, il pollice del giovane le era arrivato a premerle il bottoncino e… dalla sua gola sgorgò un lungo gemito di piacere.
‘Come vedete, questa è una troia, che viene con la scusa di farsi depilare ma, appena viene toccata, comincia a godere.
Forza, SIGNORA -quanto sarcasmo il quel titolo!-, inginocchiati sul lettino, spalle appoggiate…’
Elena era ormai alla deriva nell’agitato mare del piacere, come un tronco che temesse e sperasse di sbattere sugli scogli e provare altri colpi di piacere; pur vergognandosi dell’avvilente situazione, obbedì prontamente ed assunse la posizione, praticamente pronta per essere presa alla pecorina.
Ignazio tolse le dita e guardò interrogativamente l’uomo.
‘Va beh, fate quello che volete, ma solo per una ventina di minuti… Poi, dovremo servire debitamente la signora… per quanto richiesto telefonicamente, intendo!’ Concluse con tono sarcastico.
Il giovane ghignò, si spostò accanto al lettino, estrasse il cazzo duro dai jeans e glie lo spinse in bocca.
Nel frattempo, Sabrina si abbassò dietro Elena e cominciò a torturarle fica e culo con sapienti, leggere, allusive leccatine, che fecero nuovamente esplodere il piacere della donna.
Intanto Paola si era alzata la minigonna, tolto il perizoma ed era montata a cavalcioni del lettino, offrendo la sua fica depilata alla bocca di Elena, appena lasciata libera dal cazzo di Ignazio che le aveva sborrato in gola in pochi istanti.
Debora, infine, aveva eliminato l’aria annoiata e si divertiva a stringere i capezzoli di Elena, facendola sobbalzare dal dolore; quando poi Sabrina era nella parte più bassa della sua esplorazione linguale del sesso della donna, le mollava anche potenti sculaccioni.
Lei si era trovata alle prese per la prima volta con una donna (anzi: più d’una a dire la verità…) e solo l’eccitazione delle lunghe manipolazioni e poi il grande piacere che le davano le labbra, le dita e la lingua di Sabrina, le avevano subito fatto superare le esitazioni a… restituire la cortesia a Paola.
L’affascinava torbidamente, lo strano sapore del sesso di un’altra donna, e prese a leccarla con avidità, come per esplorare alla svelta questo nuovo universo che le si era dischiuso davanti.
Paola si contorse, trafitta dai dardi del piacere che lei aveva saputo donarle, stupendola profondamente, e la ragazza scese dal lettino e muovendosi con la leggerezza di una ballerina classica, la baciò sulla bocca in un lungo, profondo bacio.
Venne subito sostituita da Debora, che l’afferrò crudelmente per i capelli e le alzò il viso, pilotandole la bocca su ogni angolo del suo sesso.
Poi, saltò giù dal lettino e, con rudi gesti, la fece sdraiare sulla schiena: Elena obbedì e si ritrovò il sesso della ragazza stampata sulla bocca ed il naso e non poté fare null’altro che baciare, leccare e succhiare.
Sentì la giovane contorcersi, prossima al piacere, ma intanto Ignazio si era appoggiato le caviglie sulle spalle e sentì la sua cappella, ridiventata subito dura, che si appoggiava al suo martoriato culo e che, infine, la penetrava.
Tutta questa caotica ed inconsueta attività, la portò verso un vero orgasmo, in sincrono con Debora che però, quando anche lei venne, cominciò a farle ruscellare in bocca anche un potente getto di pipì, che Elena, senza esitare un secondo, cominciò a ingoiare.
Stimolato dalle contrazioni del piacere della donna, anche Ignazio le fece esplodere il suo piacere nell’intestino e quando i due giovani si staccarono, soddisfatti ed esausti, Elena si senti piena di vergogna, certo!, ma anche entusiasta per tutto il piacere che aveva potuto conoscere.
Riaprendo gli occhi dopo l’estasi, si rese conto che Sabrina continuava a giocherellare col suo sesso, ormai gonfio di voglia e spalancato, introducendole due dita e facendole danzare dentro di lei; vide avvicinarsi l’uomo, che stava armeggiando per -probabilmente- tirarselo fuori e poi… e poi sentì che la penetrava, col suo grosso randello e… insieme alle dita della ragazza!!!
Elena si era seduta al posto di guida, ma attese qualche istante, prima di accendere il motore; un vago sorrisetto le aleggiava sul viso, nonostante la stanchezza, l’indolenzimento che sentiva dei suoi buchini e la pelle lievemente irritata dal trattamento di depilazione e rasatura.
Adesso era liscia ovunque, come aveva potuto constatare con stupito piacere; i suoi peli erano caduti, sotto l’uso di sapienti passate di rasoio o di efficaci cerette: per concludere, le avevano assottigliato e rimodellato le sopracciglia ed era stata suggerita qualche altra maniera per truccarsi.
Prima, però, era stata sottoposta alle voglie del quintetto e l’aveva fatta impazzire dal piacere lo scoprire quanto fosse sconvolgentemente piacevole sentirsi dentro, insieme al grosso mattarello dell’uomo, anche le dita di Sabrina, che danzavano dentro di lei, in maniera assolutamente asincrona rispetto ai potenti affondi dell’uomo. Adesso aveva, è vero, i buchetti un po’ doloranti, ma aveva scoperto nuove cose su di se e sul sesso.
Trovarsi a giocare con le ragazze, ad esempio, dopo i primi istanti di imbarazzo, vergogna, ancestrale rifiuto, si era dimostrata un’esperienza sconvolgente ed adesso, freddamente, aveva capito che di quell’esperienza le era piaciuto tutto… quasi tutto, cioè: aveva ancora i capezzoli doloranti per i pizzicotti e le natiche arrossate dalle manate di Debora…
Accese il motore e si avviò verso casa, sfiorando con lo sguardo l’orologio: accidenti! Le otto e mezza! Era tardissimo! Di solito cenavano verso le settemmezza-otto ed aveva ancora un bel po’ di strada, prima di rientrare.
Flavio non le avrebbe chiesto nulla, lo sapeva, ma tant’è cominciò a studiare qualche spiegazione… Decise di tenersi all’essenziale: che l’ingegnere l’aveva inviata in un centro estetico per… per farle rimodellare le sopracciglia e seguire un corso di trucco…
Già… è la depilazione della micetta e delle ascelle?
Mah, gli avrebbe detto che l’aveva fatta lei e lui non avrebbe avuto alcun dubbio…
Però… però forse avrebbe dovuto dirgli la verità… magari tralasciando di essersi lasciata usare da quel quintetto, anche perché non avevano mai parlato degli ultimi eventi: solo qualche blanda domanda sul ‘Come va, col nuovo lavoro?’ ‘Mah, bene… e tu?’
Decise che avrebbero cenato serenamente, poi avrebbero guardato un po’ di televisione poi, a letto, lei avrebbe in qualche modo affrontato il problema… E che dio glie la mandasse buona!
Si erano spogliati, si erano augurati la buona notte e poi avevano spento gli abatjour sui comodini.
Notava che c’era qualcosa di strano, nel comportamento del marito.
‘Flavio…?’ ‘Dimmi, tesoro…’ ‘No, sai… sì insomma… non mi hai detto come ti trovi a fare il magazziniere…’
‘Mah… bene, direi… cioè… è un lavoro un po’ faticoso, complicato, c’è da stare attenti sia a non far casini, sia a non farsi male, ma… Beh, ce la posso fare…’
‘Sì? Bene… ma col tuo collega… il nero… sì… come va?’
‘Perché lo vuoi sapere???’ Elena percepì una certa… rabbia nella risposta, quindi indagò. Voleva capire: ‘Mah, così… parlami di lui… Che tipo è?’
‘Viene da una cittadina del Senegal… ha una laurea in storia, ma è venuto qui a cercare fortuna… Però è un porco…’
‘Porco? Perché?’ Elena aveva un inquietante pensiero, in mente.
‘Sai il primo giorno, quando ci siamo incrociati nell’ufficio di Margherita? Beh, lui ti ha vista e… dovevi sentire i commenti che ha fatto, su di te!’
‘Che commenti?’ ‘Ma i soliti, da maschio…’
‘Che commenti, dai! Cosa ti ha detto?’ ‘Ma le solite cose…’ ‘Ma quali? Dai, dimmi come ti ha detto!’
‘Uff… Beh, ti ha chiamata troia… ed ha detto che saresti impazzita, col suo coso dentro…’
‘Ah! -Elena si scopriva inaspettatamente eccitata, per il greve commento- E… ma è vero quello che dicono dei neri? Che ce l’hanno… Cioè: lo hai mai visto… in mutande?’
‘Se è per quello, anche senza! Finito di lavorare, ci facciamo la doccia…’ ‘E lo hai visto nudo???’
‘Sì…’ ‘E… come ce l’ha?’
‘Beh… è già grosso da mollo, ma da duro, poi…’
‘Come, da duro?? Glie lo hai visto duro???’
‘Beh… sì…’ Flavio intuì che Elena stava… intrigandosi, col coso di Yussuf e la cosa gli dava una sorta di malsano piacere ‘… è grosso… è… come il mio braccio, ecco!’
Sentì quasi subito a mano della moglie che gli stringeva il braccio, per verificare la dimensione.
‘E’ davvero… così grosso???’ ‘Sì… e nero… la cappella però è più chiara, un marrone scuro… Ma è ben grossa anche quella!’ Sentì le dita di Elena stringergli sempre più il braccio.
‘E… i coglioni?’ Stentava a riconoscerla, con queste inaspettate curiosità ed allungò la mano, per sentire se il suo sospetto fosse fondato: che quei discorsi la stessero eccitando… almeno quanto -se ne rendeva conto con infinito stupore!- eccitassero lui…
‘Grossi… grossi come due limoni e… ma cos’hai fatto, alla patatina? E’ liscia!’ ‘Ma nulla… -disse Elena- ‘ ho solo deciso di… cambiare look…’ ‘Ah, ecco… E come mai?’
‘Ma così, per cambiare… non ti piace?’
Flavio la esplorò attentamente, prima il pancino, poi passò il dito di fianco alle labbrine e superate quelle, sfiorò il buchetto, stupendosi di quanto fosse liscia… Però notò che il buchetto era gonfio, sporgente… ma non disse nulla. Come non commentò il calore e l’umidore che percepì passando tra le labbrine congestionate e divaricate, pronte -forse- per una penetrazione.
‘Ma davvero li ha così grossi?’ Chiese Elena. Flavio annuì, mentre sentiva il sesso della moglie inumidirsi.
‘Chissà quanta ne farà, allora….’ ‘Eh, un sacco!’ Commentò lui, senza pensare.
‘E tu come lo sai???’ Indagò lei.
‘Ma no, niente…’ ‘Come niente? Dai, lo hai visto? Dimmi!’
‘Ma dai, lascia perdere….’ ‘No dimmi! Tu lo hai visto! Si è masturbato davanti a te?’
La voce di Elena diventava concitata, mentre incalzava il marito.
‘Beh, sì… L’ho visto’
‘Davvero l’hai visto? E come faceva? Cioè pensava a quella troia su in direzione???’
Flavio notava che la moglie era ormai eccitatissima. ‘Beh, sì… immaginava di fotterla… di fottere TE!’
‘Ohhhh…. Che maiale!!! E tu vedevi? E dove è venuto? In mano? Nel lavandino? Nella tazza del cesso?’
‘Sì, non potevo fare a meno di vederlo… No, non è venuto lì….’
Flavio si sentiva sull’orlo del baratro.
Elena, che aveva appoggiato la mano sul membro del marito, lo sentiva prender vita e prese una subitanea decisione: ‘Sai… per la depilazione… Sono andata in un centro estetico…’
‘Un centro estetico?? E perché hai deciso di andarci? Come l’hai scelto?’
Elena si sentì più leggera, a poter… confessare:
‘Mi ci ha mandata l’ingegnere…’ ‘Corsini???’ ‘Sì, Corsini… Ha detto che la sua segretaria dev’essere perfetta… ovunque. Mi hanno anche sfoltito e rimodellato le sopracciglia…’
‘Ma quindi non l’hai fatto tu? Cioè, ti sei messa nuda e ti sei fatta rasare la patata da un’altra donna?’
La donna sentiva il membro di Flavio irrigidirsi e, seguendo una perversa idea, confessò: ‘No, non era una donna…’ ‘Come no??? E cos’era???’ Poi ci arrivò da solo, mentre il cazzo gli diventava durissimo ‘Era… un UOMO?’
Elena sentiva sia il marito che se stessa eccitatissimi e si rilassò, imboccando la strada della verità: ‘Sì era un uomo… Alto, scarno, muscoloso, scuro… tatuato’
‘E…. ti ha depilata ovunque? Sulla patatina? Tra le chiappine??’ La voce era diventata roca dall’eccitazione.
‘Sì, mi ha fatto la ceretta alle gambe… poi le ascelle…’ ‘E poi???’ ‘E poi… lì… E dietro, tra le chiappine…’
Flavio farfugliava, tanto era eccitato: ‘ma… te l’ha toccata, sfiorata, mentre ti radeva?’
‘Sì, è ovvio… mi teneva le chiappine allargate… e poi mi teneva le labbrine da una parte, mentre mi radeva dall’altra…’
‘Ma… sì, insomma… ti dava fastidio, che ti toccasse???’
‘No, assolutamente!’ Elena intendeva dire che il tocco è stato assolutamente professionale, ma ovviamente il malinteso era in agguato.
‘Ah!!! Ti… piaceva?’ ‘Beh, sai…’ ‘Ma poi… si insomma… ha fatto qualcosa con te?’
‘No, no… poi… non ha fatto nulla…. -Non se la sentiva di nascondere tutta la verità al marito- ‘ lo ha fatto… prima!’
La mano di Flavio le scivolò sulla fica, rorida e spalancata: ‘Ma ti ha… scopata???’
‘Sì… lo aveva grosso…’ ‘E…. ti è piaciuto?’
Elena era ormai in orbita, al ripensare al pomeriggio: ‘Sì… sono venuta tante volte…’
Sentiva, sotto le dita, la secrezione lubrificante del cazzo del marito: era ormai in ebollizione anche lui, che fece però scivolare le dita fuori dalla sua fichina e le fece arrivare fino a sondarle la rosellina: ‘Ma… ti ha presa… dappertutto? Cioè: sì, insomma… ti aperto lui, il culetto?’
‘No, non lo ha neanche toccato…. -prese il coraggio e si buttò, come per tuffarsi in una piscina gelata- ‘ Me lo ha aperto l’ingegnere…’
‘Come sarebbe, l’ingegnere? Come? Quando???’
‘Oggi… in ufficio… E’ stata la prima volta, sai?’
Elena si rendeva conto che Flavio, invece di essere irritato come sarebbe stato logico pensare, era eccitatissimo.
‘Davvero?? Ma come ha fatto, cos’ha detto? Come te lo ha chiesto? Dove lo avete fatto?’
Elena, sempre tenendo in mano il membro di Flavio, raccontò il fatto nei dettagli, rispondendo ampiamente alle richieste di precisazione del marito, mentre se lo sentiva sussultare tra le dita. La stupì moltissimo il fatto che, quando lei le raccontò infine l’istante dell’introduzione, Flavio venisse senza che lei lo avesse minimamente masturbato.
Il marito, però, non sembrava ancora soddisfatto e continuava a chiedere, per cui lei spiegò anche del plug-in, dell’ordine di andare da quello specifico estetista e… anche dell’inquietante incontro in quel bar.
Flavio era sorprendentemente tornato ‘sull’attenti’ e le era scivolato sopra, introducendoglielo e stava scopandola con entusiasmo, anche se il suo sesso dilatato dagli usi ed abusi del pomeriggio, gli lo facevano avvertire come solo un vago sfioramento.
Anche il marito se ne accorse: ‘Ma l’estetista lo aveva grosso…?’
Lei confermò, ma si vergognò troppo per narrare anche dei quattro apprendisti, per cui modificò la narrazione e, semplicemente, fece diventare un vivace rapporto a due ciò che era stata una sorta di… orgia?
Flavio ad un certo punto le chiese di andargli sopra e lei fu ben contenta di cavalcarlo, ma aveva terminato di narrare gli scandalosi fatti del pomeriggio e sentiva che il marito perdeva di… consistenza.
Le venne un’intuizione: ‘Ma il tuo collega… lo hai visto davvero venire tanto?’
‘Sì, un sacco: mi ha schizzato dappertutto…’ rispose Flavio, distratto.
Era quello che Elena temeva e sperava di sentirgli dire: ‘Come, ti ha schizzato??? Ti è venuto addosso? E tu… non hai fatto nulla???’
Flavio capì l’errore: ‘E cosa potevo fare? E’ grosso, prepotente… Mi ha obbligato…’
‘Obbligato???? Obbligato a cosa???’
‘A prenderglielo in bocca!!!’ confessò l’uomo, con gli occhi lucidi di lacrime per la vergogna dell’ammissione.
Elena visualizzò la bocca del marito alle prese con un enorme cazzo nero e si sentì la fica avvampare: ‘Ma… te lo ha anche messo?’
‘No, figurati!!!’ Disse Flavio, in lacrime.
Elena si sentiva in fiamme dall’eccitazione: ‘Dai, vieni qui… -strinse il corpo del marito contro il suo- ‘ e dimmi… ma… da allora…?’
Lui la guardò con gli occhi lucidi, col mento affondato tra i suoi seni e lì per lì non capì.
Poi, finalmente, afferrò il senso: ‘Ma no, nient’altro!!! Quando lavoriamo o ci cambiamo mi guarda e ridacchia, a volte, ed a volte quando è nudo me lo mostra, a volte quasi duro…. ma tutto lì!’
‘Ah!!’ Si stupì di sentirsi delusa da ciò che Flavio le aveva spiegato: anzi, era quasi inorridita dallo scoprire quanto la sua eccitazione fosse crollata, sapendo che il marito era stato sottomesso alle voglie del nero solo una volta ed ora il gioco era unicamente a livello mentale, psicologico.
Alla fine, Flavio cominciò a possederla e, dopo qualche minuto, osò chiederglielo: Elena lì per lì si mise alla pecorina e permise al marito di incularla, per la prima volta in oltre vent’anni, ma poi sì sentì infastidita, insoddisfatta; pensava all’attrezzo ben più consistente di Corsini e sentiva il suo povero coniuge assolutamente inadeguato.
Per cui, lamentando immaginari bruciori, gli chiese di interrompere e lui, buono-buono, uscì subito dal suo sfintere, nonostante fosse già prossimo a venire, tanto è vero che, come lo sfilò, le bagnò il solco delle natiche con le sue abituali, misere gocce vischiose.
Poi lui l’abbracciò, la baciò e si girò dall’altra parte, cominciando subito a russare, mentre la donna resto qualche minuto sveglia, a riflettere sui cambiamenti che stavano intervenendo sulla sua sessualità.
La mattina seguente, una tiepida mattina di inizio estate, decise di mettersi un abitino stretch color crema e sopra una giacca da tailleur di una tonalità appena più scura.
Scelse un paio di scarpe in tinta, con un affilato tacco da sette centimetri e come intimo indossò un reggiseno con le semicoppe (come da richiesta) ed un peri, giusto per il percorso.
Arrivata in ufficio, avrebbe tolto il peri ed indossato il reggicalze raccomandatole dell’ingegnere… oltre al buttplug: non aveva nessuna voglia di essere rimproverata dal suo principale!
Arrivata in ufficio, dopo aver preso un involto dal cassetto della sua scrivania ed averlo messo in borsetta, anda33;nei bagni delle signore e si chiuse in un cubicolo.
Nella privacy garantita dal piccolo ambiente, alza33;il vestito fino in vita, si tolse il perizoma, indossa33;il reggicalze come prescrittole dall’ingegnere e poi, srotolato il buttplug -ornato da un grosso brillante sintetico rossorubino nella parte che sarebbe restata fuori dal suo povero culo, per evitare che le penetri completamente- dal fazzoletto che ne celava le fattezze, prova33;ad introdurselo.
L’oggetto, pera33;era troppo grande per il suo povero culetto e, per quanti sforzi facesse e per quanto dolore fosse disposta a sopportare, non riusciva proprio a posizionarlo correttamente, senza adeguata lubrificazione. Prese un appunto mentale di procurarsi un tubetto di crema lubrificante (Sa33;ma dove trovarla? Le venne in mente un pornoshop non troppo lontano dalla bottega dell’estetista, dove sicuramente doveva esserci qualcosa di adatto: ci sarebbe andata quella sera, appena uscita dal lavoro!), ma pensa33;a come risolvere il problema per quella mattina. Dopo pochi istanti, venne folgorata dalla soluzione: si trattava solo di riabbassare l’abito, uscire dal cubicolo, arrivare ai lavabi e rifornirsi di sapone liquido dall’apposito dispenser e tornare nel cubicolo a completare l’operazione! Come aveva fatto a non pensarci subito?
Così lasciò la borsetta ed il plug sulla tavoletta del water e, dopo aver risistemato l’abito, aprì la porta ed attraversò il locale, fino al dispenser, azionandolo ripetutamente per riempirsi il palmo sinistro di sapone.
In quella, la porta si apra33;ed un’altra impiegata entra33;nel locale, sorridendole; Elena si senta33;morire, ma sorrise e, cercando di nascondere la mano piena, si richiuse nel cubicolo e resta33;a riprender fiato, in attesa di sentire i rumori dell’uscita dell’altra.
Poi cosparse accuratamente tutto l’oggetto di detergente e si lubrifica33;bene il culetto e poi, appoggiandolo nuovamente sul coperchio del water, riprova33;ad introdurlo.
L’operazione procedeva indubbiamente meglio di prima, ma l’ultimo centimetro della parte larga la sforzava dolorosamente; prese un profondo respiro, lo solleva33;un poco dall’appoggio e poi ci si lascia33;cadere sopra, mordendosi le labbra per non urlare a causa della feroce fitta che senta33;feroce.
Nonostante i due lucciconi spuntateli, era orgogliosa di essere riuscita nell’impresa e, adesso che la fitta era passata, si sentiva sa33;piena… ma quasi bene.
Fece per ricomporsi, ma ebbe paura di macchiarsi l’abito con le mani insaponate e percia33;vincendo la sua normale ritrosie, se le risciacqua33;usando l’acqua del -pulitissimo!- water ed asciugandosele con la pezzuola che avvolgeva l’oggetto.
Alla fine di queste complesse procedure, torna33;alla sua scrivania ed affronta33;la parte… normale della sua giornata di lavoro.
Verso le dieci, l’ingegnere la chiama33;per dettarle una lettera, ma non senza aver prima verificato la sua mise ‘da lavoro’: le diede una pacca sul sedere in segno di approvazione, contento sopratutto di quanto si intuissero, da sotto il leggero tessuto, i morsetti del reggicalze, le relative fettucce e di come l’accessorio fosse ben delineato sulle reni, nonostante il vestito, affondando lievemente nella pelle di Elena.
Yussuf si era dato malato e se questo, da una parte, aveva condannato Flavio ad una giornata di duro lavoro, per giunta insieme ai due indolenti magrebini -Hamid e Antoine- che solo Yussuf sapeva far rigare dritti!, dall’altro gli aveva regalato qualche momento di tranquillità, durante i quali aveva cercato di riepilogare mentalmente gli accadimenti dell’ultimo periodo.
Dopo il cambio di proprietà dell’azienda, lui si era ritrovato retrocesso, da impiegato amministrativo a magazziniere: formalmente era il capo, ma in realtà la baracca era mandata -egregiamente, doveva ammetterlo!- dal suo inquietante collega di colore; nel frattempo, anche la sua… la loro vita sessuale era cambiata, sua e di sua moglie Elena!, in maniera brutale e profonda; da quando avevano incontrato il nuovo proprietario, l’ingegner Corsini, in quel centro commerciale ed erano stati obbligati ad accettare il suo invito a cena, molte cose erano cambiate…
Prima di tutto Elena era diventata la segretaria personale dell’ingegnere (e questo sarebbe stato un fatto positivo!), mentre lui era finito a fare il magazziniere (fatto negativo!), ma Corsini poi l’aveva anche cominciata ad usare per le sue voglie… Non solo usandola lui sessualmente, ma anche soddisfacendo le sue voglie di mostrarla ed offrirla ad altri…. E la cosa più sconvolgente era che Elena accettava di buon grado ogni cosa e anzi, ne traeva eccitazione… Del resto, si era accorto che la situazione gli provocava una torbida eccitazione e si era facilmente ritrovato ad essere il complice di sua moglie, dopo che lei aveva capito quanto quella torbida situazione lo eccitasse.
Così spesso, quando andavano a dormire, lui la interrogava sugli avvenimenti della giornata appena trascorsa e lei, dopo aver sbrigato con poche, stringate frasi, gli avvenimenti ‘normali’, raccontava con evidente eccitazione gli sviluppi della sua nuova vita sessuale, incalzata dalle sue domande sempre più incalzanti, condite da insulti che -inaspettatamente!- facevano ancora salire l’eccitazione di Elena.
Elena, da parte sua, era stata molto eccitata dall’ammissione (che gli aveva strappato, la troia!) di aver dovuto soggiacere alle voglie di Yussuf ed ormai era diventata quasi una sorta di… ‘routine di coppia’ il fatto che due-tre volte la settimana il colossale africano si facesse spompinare da lui nello spogliatoio, dopo che i due nordafricani erano andati via.
Ormai erano uniti, lui e la moglie, da una torbida complicità e lei, addirittura!, in una giornata libera che l’ingegnere le aveva concesso (dopo che la notte prima aveva fatto moooolto tardi!) aveva preteso che lui spompinasse il collega e che poi cercasse di non ingoiare tutto, ma che corresse fuori, fin nella stradina accanto alla ditta, dove lei lo avrebbe aspettato in auto, per riportarlo a casa, per condividere con lei il sapore dello sperma del nero.
Si era molto vergognato, di questa sordida manovra, ma poi, la sera, aveva rivissuto con la moglie l’esperienza e la cosa li aveva eccitati in modo smisurato!
Yussuf, da parte sua lo insultava, dicendogli che era diventato una brava pompinara e notando che lui avesse una quasi-erezione, ogni volta che doveva soddisfarlo; era già fortunato che il nero non sapesse che ‘quel troione della segretaria del capo’, come la chiamava sprezzantemente lui, fosse sua moglie…
Pero Flavio apprezzava che Yussuf si accontentasse di farsi spompinare e di irriderlo in continuazione, ma senza provare a sodomizzarlo, nonostante Elena, da qualche tempo, cercasse di convincerlo a… sedurre il collega e farsi spaccare il culo da lui! E’ completamente andata fuori di testa, quella!!!!
Barbara, la loro figlia, era sempre affettuosa e, con molta cautela, gli avevano raccontato che, per una riorganizzazione aziendale, lui aveva cominciato ad occuparsi dei magazzini, ma lei era stata assunta come segretaria di direzione.
La ragazza era felice della novità, non essendo deliberatamente stata messa nelle condizioni di capire le reali implicazioni del cambiamento… La giornata volò via, tra telefonate e messaggi di lavoro e, stranamente, Elena riuscì ad uscire pochi minuti prima delle diciotto…
Decise perciò di andare a comprare del lubrificante in quel pornoshop che aveva visto, nella città vecchia.
Mentre stava andando, si trovò a riflettere sullo strano impulso che l’aveva portata a togliere il plugin -fastidioso, dopo tante ore, anche se efficace, a giudicare con quanta facilitò era riuscita a penetrarsi con tre dita!- ma ad uscire, per il resto, dall’ufficio in… ‘tenuta da lavoro’, indossando sotto l’abitino solo il reggiseno a balconcino ed il reggicalze.
Da una parte era terrorizzata che qualcuno intuisse, immaginasse, vedesse… ma dall’altra la faccenda la faceva vivere in una sorta di nuvola di eccitazione permanente… tanto che si sentiva particolarmente umida.
Si ritrovò nella zona del giorno prima e decise che aveva bisogno di bere una Cocacola…
Per uno strano impulso, entrò proprio nel bar dove aveva chiesto informazioni non piò tardi di ventiquattr’ore prima e sostò sulla porta, nitidamente stagliata in controluce dal sole declinante e sostò brevemente, per adattare l’occhio alla poca luce interna.
Poi si diresse al banco chiese la Coca, appollaiandosi su uno sgabello.
Si sentì trafitta dagli sguardi vogliosi degli altri avventori, ma non reagì minimamente, neanche quando uno di questi, avvicinandosi al bancone, fece cadere una moneta e si accucciò per raccoglierla… e per avere un’occasione per sbirciarle sotto l’abitino.
Non essendosi seduta con le ginocchia ben chiuse, il tipo aveva avuto la possibilità di dare una rapida occhiata alle sue grazie, a giudicare dall’espressione gioiosamente felice con la quale si rialzò
Elena si sentò terribilmente eccitata dall’interesse suscitato e notò con piacevole apprensione, che due degli avventori le si erano avvicinati, mettendosi uno per parte ed ordinando entrambi a pochi istanti di differenza.
Lei era seduta un pochino di sbieco, rispetto al banco, con le ginocchia verso la sua destra e l’uomo alla sua sinistra, lievissimamente, le percorse il fianco con un dito. La donna decise di restare impassibile, nonostante avesse la mente -e la fica!- in tumulto e l’uomo si incoraggiò e percorse, in modo ben piò percettibile, il fianco e poi anche una natica.
Elena era come ipnotizzata dai lenti ma decisi movimenti della mano sul suo culo, tanto che impiegò qualche istante per percepire la mano dell’uomo alla sua destra che si era posata sul ginocchio e che, lentissimamente, aveva iniziato a risalirle la coscia.
Sussultò quando la mano dietro di lei arrivò al solco tra le chiappine e, trovatole il buchetto, dilatato dalla lunga permanenza del plugin, provò a spingerle dentro un dito.
Indubbiamente la situazione la eccitava, tanto che la stoffa leggera dell’abitino sottolineava, invece di nascondere, i suoi capezzoli turgidi.
Il dettaglio non sfuggì all’uomo che le stava risalendo la coscia (ormai ad un paio di centimetri dal suo pube rasato di fresco!) che allungò l’altra mano per stringergliene dolorosamente uno.
Lei sobbalzò ma si sentì travolgere dalla libidine.
L’altro se ne accorse e, contento, ghignò mai lo avesse fatto! La visione dei denti marci, smozzicati ed anneriti dell’uomo, disgustò Elena che riuscì improvvisamente a chiedersi cosa una donna donna sposata e seria come lei stesse facendo in quel lurido bar, palpeggiata da disgustosi sconosciuti.
Schizzò giù dallo sgabello, pescò una banconota da cinque nella borsetta, la lasciò sul banco per la Coca e uscì precipitosamente dal locale, con nelle orecchie gli sghignazzi degli uomini, sistemandosi il dietro dell’abitino, incuneato tra le chiappine.
Girò nella stradina a destra e dopo un centinaio di metri, avendo verificato che nessuno di quegli orribili personaggi la seguiva, rallentò il passo e fece un profondo sospiro.
Mentre proseguiva per la sua destinazione, continuava a chiedersi quale strana follia, quale demone perverso, l’avesse spinta in quel bar e l’avesse portata a lasciarsi palpugnare da quei turpi individui.
Qualche frammento della risposta, a fatica, emergeva dalla parte più raziocinante della sua mente: dopo una vita integerrima, a causa -o grazie?- dell’ingegner Corsini aveva scoperto un altro mondo del sesso; si sentiva come se fino ad allora avesse fatto… le scuole dell’obbligo ed adesso fosse finalmente approdata al liceo del sesso… e che le piacesse da impazzire ‘studiare’ tutte le nuove materie.
Poi, aveva anche scoperto quanto amasse essere… deresponsabilizzata, usata; quanto le piacesse sottostare a disposizioni… ad ORDINI degli uomini e già il solo pensarlo, la faceva eccitare.
La sua mente era in tumulto e si sentiva frastornata, come stordita.
Arrivò alla fine al pornoshop e, dopo un attimo di esitazione e una furtiva occhiata in giro (hai visto mai che mi vede entrare qualcuno che mi conosce?), spinse la porta ed entrò nello spazio di vendita.
Accanto alla porta, un bancone con sopra il registratore di cassa, le esplicite locandine di alcuni DVD in vendita fissate sul davanti ed una boccia trasparente contenente dei piccoli gadget erotici.
Dietro al banco, una ragazzotta annoiata che masticava gomma e che occhieggiava una copia di Gente, che non la degnò neanche di uno sguardo.
Decise di ignorarla anch’essa e si incamminò lungo una sorta di corridoio contro le cui pareti c’era una quantità impressionante di DVD, divisi per genere.
I suoi occhi caddero su alcune copertine e sentì la gola stringersi per l’emozione provata nel vedere molte immagini, assolutamente esplicite, di donne alle prese con diversi uomini, sia bianchi che di colore, oppure intrappolate in gogne dall’aria antica o legate, od ancora sodomizzate da giganteschi falli, sia umani che di lattice, o con mani intere spinte negli orifizi fin oltre il polso, o col corpo steso, coperto da copiose sborrate di una decina di maschi, od ancora coi lineamenti resi indefiniti da uno spesso strato di sperma, schizzato sulla fronte, gli occhi, le guance, il collo, i capelli e le labbra, sia con bocca chiusa, che aperta e piena di sborra, che bloccata da palline, morsi da cavallo, divaricatori metallici…
Non la attiravano troppo le copertine che mostravano fustigazioni o frustate, ma si soffermò brevemente a contemplare due magnifiche bionde avvinte in un furioso sessantanove e, poco piò avanti, osservò con attenzione copertine simili alle precedenti, ma dove il protagonista era, invece un uomo.
Aveva i sensi in subbuglio e proseguì rapidamente fino in fondo al corridoio, fino ad un ambiente abbastanza ampio, con vetrine illuminate che mostravano i vari articoli: palline d’avorio, accoppiate da un cordino o unite ad un telecomando adatto anche a contenere batterie. Poi vibratori e dildos e plugin, di ogni colore e taglia, da quelli poco più grandi di un dito a certi lunghi anche quaranta centimetri e del diametro di una bottiglia di spumante.
Si accorse che anche quegli oggetti dalla taglia mostruosa le facevano ribollire la fica e pulsare il culetto e che la sua eccitazione era stata avvertita anche da due tizi che, come lei, stavano osservando le merci esposte.
Più avanti c’erano capi d’abbigliamento, di pelle o lattice e intimo di ogni foggia e materiale, comprese mutandine commestibili (!!!) e poi fruste, manette, ceppi, gogne ed una croce di sant’andrea di ruvido legno, oltre ad altri oggetti dall’utilizzo per lei oscuro.
Si scoprì ad accarezzarsi i capezzoli, assolutamente turgidi, sotto gli sguardi lascivi dei due uomini presenti.
Uno di questi le si avvicinò, col sorriso fasullo da venditore di aspirapolveri, e cominciò a dirle qualcosa, ma lei decise che non era interessata ad ascoltarlo e quindi ripercorse il corridoio,fino alla ragazzotta annoiata.
Le chiese se avevano un qualche lubrificante e lei prese da sotto il bancone due confezioni, una più piccola ed una più grande, che Elena infine acquistò ad un prezzo decisamente più alto di quanto avesse immaginato.
L’indomani, nei bagni delle signore, mentre si preparava in ‘tenuta da lavoro’, verificò quanto in effetti il gel fosse efficace: solo un breve momento di traffichìo ed una piccola fitta di dolore.
In cinque minuti, comunque, tornò alla sua scrivania.
Verso le nove e mezza, Corsini la chiamò nel suo ufficio: ‘Alle dieci inizierà qui una riunione con un gruppo di importanti clienti; sono sei algerini e dovremo discutere un grosso contratto.
Avrò bisogno che tu faccia senza esitazione qualunque cosa ti dica di fare.
Loro non parlano italiano, perciò svolgeremo la trattativa in francese; non dovresti avere problemi a seguire.
Uhm… parli anche arabo?’ Elena ammise di non conoscerne neanche una parola ‘Quindi, se dovessero cominciare a parlarmi in arabo, li pregherò di tornare al francese…
Ah, prima che mi dimentico: tira su la gonna!’
Elena obbedì prontamente e poi, al cenno dell’ingegnere, piroettò lentamente.
‘Vai benissimo, ma… levati quel plug dal culo: si nota!’
La donna annuì ed andò nel bagno delle signore per liberarsi lo sfintere dall’oggetto estraneo. Alle dieci, puntuali, i sei ospiti si presentarono e vennero accolti dall’ingegnere con grandi sorrisi, frasi gutturali arabe e potenti pacche sulle spalle.
I sette uomini si sedettero al tavolo da riunione e, quando Elena entrò nella saletta riunioni, gli stranieri cominciarono a fare commenti tra loro, in arabo, ridendo forte e coinvolgendo anche Corsini.
Poi questi chiese, in francese, un po’ di attenzione e cominciarono la riunione.
Dopo circa un’ora di discussioni, decisero di regalarsi un intervallo ed Elena venne incaricata di servire i succhi di frutta agli stranieri ed una birra all’ingegnere.
Gli uomini si rilassarono e cominciarono a parlare in arabo, tagliandola fuori, e ridendo.
Elena notò che la guardavano e che facevano a Corsini domande, presumibilmente su di lei, e che l’ingegnere rispondeva in tono amichevole ma sicuro.
Poi uno degli algerini domandò qualcosa a Corsini e questi rispose con una risata; allora gli stranieri risero a loro volta e la guardarono, con sguardi vogliosi.
‘Elena, per favore… -le disse Corsini in francese- ‘ i signori hanno espresso la curiosità di verificare coi propri occhi che lei non indossa nulla, sotto la gonna. Vuole essere così gentile da alzarla sino in vita, affinché possano verificare il suo abbigliamento… SUBITO!?’
La donna capì dal sorriso sulle labbra dell’ingegnere, nonostante gli occhi gelidi, che doveva eseguire rapidamente e con uno smagliante sorriso.
Così, con un languido sorriso, afferrò gli orli della gonna e la fece lentamente risalire fino in vita, piroettando lentamente.
Poi Corsini le disse, dopo un altro scambio di battute in arabo, di avvicinarsi al tavolo e come lei lo fece, gli algerini più vicini le palparono il sedere e poi uno le toccò le labbrine, avvertendo probabilmente gli altri di quanto avesse trovata bagnata la parte.
Elena si sentì avvampare: non solo le guance per la comprensibile vergogna provata nella situazione, ma avvertì anche come se la sua micetta fosse diventata incandescente e cominciasse, quindi, a colare: si rendeva perfettamente conto che l’ingegnere la stava usando (prostituendo?) per i suoi scopi, ma la situazione, diventata così rovente dopo l’ineccepibile formalismo di pochi minuti prima, la turbavano profondamente.
Se una parte di sé -piccola, molto marginale!- la stava rimproverando ricordandole il suo antico ruolo di madre-sposa-donnaperbene, la nuova Elena -affamata di novità, scoperte, trasgressione!- fremeva dalla voglia di andare avanti, avanti, avanti, soffrendo perfino dei brevi istanti di inattività tra un’azione e l’altra.
Flavio era decisamente incasinato, adesso: Yussuf gli aveva detto di aiutarlo a sistemare ‘le scartoffie’ dopo l’orario di lavoro: era il modo che avevano trovato per lasciar andare via i due magrebini e perché Fulvio potesse dedicarsi alla ormai rituale fellatio all’africano.
Ormai era -inspiegabilmente- ansioso di potersi dedicare a quella pratica che -se ne rendeva conto con enorme stupore!- ormai lo eccitava; il collega, che se ne rendeva conto contemplando divertito la sua ridicola erezione, lo insultava ancora più pesantemente, quando vedeva il suo cazzetto rizzarsi mentre era impegnato a spompinarlo.
Yussuf, da parte sua, lo ingiuriava in presenza degli altri colleghi, ma solo per questioni inerenti al suo aspetto o del lavoro, non per la sua disponibilità sessuale ed anche gli altri due lo spalleggiavano, sfottendolo impietosamente per la pochezza della sua dotazione sessuale, almeno confrontata alle loro; presumibilmente l’africano non voleva inserire nell’ambito di lavoro motivi di perturbazione ed evitare che girassero dicerie nella ditta.
Flavio approvava silenziosamente la riservatezza del collega, ben conscio delle conseguenze che si sarebbero innescate se i suoi pompini al nero fossero diventati di pubblico dominio e quella sera si era prestato con il solito torbido piacere a spompinarlo.
Però, mentre lui era accosciato e la grossa cappella di Yussuf era profondamente piantata nel suo cavo orale, la porta dello spogliatoio venne aperta ed Antoine, che li sorprese in piena azione!
I tre uomini restarono come congelati, nelle loro posizioni: Antoine con la mano sulla maniglia ed il piede appena oltre la soglia, Yussuf nudo, di profilo rispetto alla porta, con la mano a premere la nuca di Fulvio, anche lui nudo, e con buona parte del suo cazzo piantato nella bocca dell’uomo nudo, inginocchiato docilmente davanti a lui.
‘Ehhh… avevo dimenticato il cellulare…’ si giustificò Antoine, messo a disagio dallo sguardo feroce di Yussuf.
Poi realizzò la situazione che aveva davanti e cominciò a ridacchiare ed a ghignare: ‘Yussuf, ti sei fatto la ragazza, sul lavoro?’
Il nero rispose sprezzante, seccato: ‘Non è la mia ragazza, coglione! E’ solo uno svuotacoglioni!’
Flavio avrebbe voluto tirarsi su, ricomporsi, assumere una improbabile aria indifferente, come se fosse stato solo uno spettatore della conversazione e non il soggetto, ma la ferrea presa dell’africano lo costringeva nella posa in cui era stato sorpreso da Antoine, il quale lo soppesò con lo sguardo, come si potrebbe guardare un cavallo od una mucca posta in vendita e poi ridendo, propose: ‘Beh, se è solo il tuo svuotacoglioni, allora non avrai nulla in contrario se me li svuoto anch’io… Ho sempre desiderato incularmi un impiegato…’ aggiunse, con tono fintamente sognante.
Yussuf ghignò, cattivo: ‘Accomodati!’
Allora Antoine si avvicinò, lo afferrò per i fianchi, gli fece rialzare il bacino -sempre bloccato dalla grossa mano del nero col cazzo in bocca- e poi si aprì i jeans, estrasse il cazzo abbastanza grosso, presentò la cappella sulla guancia di Flavio e Yussuf gli cedette il posto tra le fauci, per farlo insalivare; dopo un minuto, Antoine si reputò soddisfatto e si mise dietro a Flavio, divaricandogli le natiche, appoggiando la cappella congestionata al contratto sfintere dell’uomo.
Poi, una volta soddisfatto dell’allineamento, gli afferrò solidamente i fianchi e spinse, con uno sforzo potente e costante e sentì lo sfintere cedere e l’uomo contorcersi dall’insopportabile fitta di dolore provocata dalla sua violenta irruzione.
Flavio gemette, si contorse, cercò di liberarsi ed avrebbe urlato fino a restare senza voce, se gli fosse stato impedito dalla cappella profondamente piantata in gola e riuscì solo a far colare sulle guance grosse lacrime di puro dolore.
Poi, la furiosa fiammata del dolore si attenuò e scoprì che la pratica era…. piacevole. Anzi, sia la sollecitazione fisica che la potente umiliazione per essere usato in modo così laido dai due africani, gli provocò una potente sferzata di eccitazione, facendolo miseramente eiaculare senza neanche toccarsi.
Adesso, rifletteva, non si trattava più di soddisfare oralmente il solo Yussuf, ma era stato inculato anche da Antoine e la cosa, lo aveva appena notato nella giornata di lavoro, aveva irrimediabilmente annullato il briciolo di soggezione e rispetto che ancora incuteva nei due magrebini; anzi, li aveva notati a parlottare e ridacchiare, guardandolo: ormai era soltanto questione di aspettare il momento in cui avrebbe dovuto soddisfare anche Hamid…
Elena era alla sua scrivania e stava riepilogando mentalmente gli avvenimenti del giorno prima (e di buona parte della serata, fin quasi all’una del mattino!), con i clienti arabi.
Corsini l’aveva letteralmente messa a loro disposizione, prima facendola stare sotto al tavolo delle riunioni, sul quale la trattativa era intavolata, pronta ad accorrere a succhiare appassionatamente i loro uccelli, appena uno schiocco di dita la chiamava al cospetto dei loro cazzi; conclusa la trattativa, erano andati tutti al ristorante dell’amico dell’ingegnere e, arrivati sul piazzale, lei scese dall’elegante pullmino aziendale con gli abiti, i capelli ed il trucco abbastanza in disordine, perché durante il tragitto gli ospiti del suo principale, rilassatamente impegnato a guidare, si erano già presi sostanziosi acconti dei piaceri di cui avrebbero fruito dopo la cena.
Stava giusto pensando, con un misto di imbarazzo e di sottomesso piacere, a come si era svolta la cena, con le mani degli arabi ad esplorare i suoi seni ed il suo inguine, denudati entrambi, con soddisfazione di un’altra tavolata maschile e sopratutto dei camerieri (Ricordava lo stupore di uno degli ospiti del suo principale, nel notare che indossava il reggicalze, pur senza indossarle, vista la mitissima temperatura e la spiegazione che Corsini, sorridendo perfidamente soddisfatto, aveva dato loro: ‘Voglio che indossi sempre gonne ed abitini che le fascino i fianchi, in modo che chiunque possa indovinare i nastrini ed i morsetti dei reggicalze e che, quindi, possa intuire il suo ruolo sottomesso’), quando sentì bussare lievemente alla porta del suo ufficio, quella che dava sul corridoio, non -ovviamente!- da quella che la portava nell’ufficio dell’ingegnere.
‘Avanti…’ e Barbara, sua figlia, entrò splendente con un grande sorriso in ufficio.
‘Ciao mammina!!!’
‘Barbi, tesoro, che sorpresa!’ Era veramente felice della visita della figlia, ma subito dopo pensò a quante complicazioni potesse comportare averla lì.
Difatti… ‘Dai mammina, andiamo a trovare papà nel suo ufficio…’
Accidenti! ‘Uhm… ma papà oggi è… si, ha dovuto andare in un altro ufficio… fuori città e tornerà solo stasera…’
Per fortuna la figlia non colse le sue esitazioni, il suo imbarazzo e, dopo una piccola smorfietta di disappunto… ‘Va beh, mammina: ma almeno mi offri un caffè alla macchinetta?’
Elena le sorrise e prima di avviarsi verso di lei e verso il corridoio, chiamò con l’interfono Corsini, per dirgli che si assentava per il tempo di un caffè.
Poi prese la borsetta e si avviò, a braccetto di Barbara, lungo il corridoio.
Erano quasi arrivate alla svolta, in fondo alla quale era la postazione delle bevande, quando si sentì chiamare da Corsini e, girandosi, lo vide affacciato alla porta del suo ufficio; lasciò il braccio della figlia e tornarono indietro.
‘Signora, volevo solo ricordarle, appena torna dal caffè, di mandare quella proposta alla fratellitosetti: è urgente’ Disse, scrutando Barbara.
Elena capì che non aveva scelta: doveva presentare la figlia al principale e stava per cominciare a farlo quando il volto dell’ingegnere sembrò illuminarsi: ‘Ah! Ma questa magnifica ragazza dev’essere sua figlia!’
La donna fece un sorriso compiaciuto e fece le formali presentazioni, ma conosceva fin troppo il suo principale e capiva che, quando aveva quello sguardo, il predatore aveva appena visto una nuova preda…
continuò a sorridere, ma solo con le labbra. Flavio guardava sgomento la lancetta dei minuti che, inesorabilmente, lo avvicinavano al suo destino, come fosse un condannato a morte che vedesse arrivare ineluttabilmente l’ora dell’esecuzione.
Ormai mancavano pochi minuti e poi l’orario di lavoro sarebbe terminato; i suoi sentimenti erano contrastanti, combattuti: da una parte l’imbarazzo, la vergogna, ma dall’altra una torbida eccitazione, quasi una speranza che qualcosa DAVVERO succedesse.
Poi, la fine del turno; e allora perse qualche minuto, prima di raggiungere lo spogliatoio, ma alla fine entrò e, come dalle sue più fosche previsioni, li trovò sprezzanti, sghignazzanti, già nudi e con i randelli pronti, tutti e tre: Yussuf, Antoine e Hamid.
Lo incitarono a spogliarsi e poi, quando alla fine si levò anche i boxer, Yussuf lo invitò, in tono ironicamente implorante, a spompinarlo.
Lui non provò neanche a rifiutarsi, a sottrarsi da quell’avvilente richiesta e si chinò ad accogliere lo scettro dell’uomo in bocca, mentre Antoine gli andava dietro e, dopo avergli spalmato della saliva con le dita sullo sfintere, lo sodomizzava, di colpo.
Hamid, che aveva solo sentito parlare da Antoine della sua disponibilità, guardava, tra l’incredulità ed il divertimento.
Poi gli avvicinò la cappella turgida alla guancia e Yussuf, di buon grado, gli lasciò la bocca a disposizione.
Ormai, l’inarrivabile impiegato non esisteva più: era diventato la sordida troia dei suoi nuovi colleghi del magazzino’
Elena era preoccupata: Corsini era riuscito a fare in modo che Barbara accettasse di andare a pranzo con con loro.
Aveva gettato uno sguardo implorante al principale, come a dirgli ‘per favore, lascia stare la mia bambina: farò tutto quello che vuoi, ma lasciala stare!’, ma l’espressione a muso duro che aveva ricevuto in cambio a quella muta implorazione, le aveva fatto capire che non doveva neanche provare ad intromettersi: il maschio alpha aveva puntato una nuova preda e non avrebbe desistito dai suoi intenti per nessuna ragione al mondo!
Così, all’ora di pranzo, lasciarono la ditta a bordo del SUV dell’ingegnere, senza che Elena avesse potuto dire una parola di avvertimento alla figlia che, inconsapevole vittima sacrificale, sembrava gradire le garbate (per ora!) attenzioni dell’uomo.
Raggiunsero un ristorantino appena fuori città: tranquillo, sereno, più movimentato di quello dell’amico slavo di quella famosa prima sera e quindi meno inquietante, ma pur sempre tranquillo.
Durante il pranzo, Corsini fu un perfetto anfitrione e si interessò ad ogni aspetto della vita di Barbara; senza averne l’aria, aveva sottoposto la ragazza ad uno stringente interrogatorio e lei, nella sua innocenza, aveva fornito ogni informazione che Corsini le avesse chiesto.
La donna si era resa rapidamente conto che la sua presenza era solo il pretesto perché Corsini potesse invitare a pranzo la figlia e solo raramente veniva coinvolta nella conversazione, come la sponda sulla quale far rimbalzare una domanda prima di attivare a segno.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, per protestare, per avvisare la figlia, ma l’occhiata di fuoco dell’uomo l’aveva immediatamente tacitata ed aveva capito istantaneamente che non doveva intralciare assolutamente il principale, neanche quando continuava a riempire il bicchiere di Barbara ed incitava la ragazza a bere e lei, a poco a poco, si rilassava e rideva sempre più spesso’
Si rese conto che l’uomo stava usando tutto il suo notevole fascino, il suo smisurato carisma, per sedurre sua figlia e, in un modo stranamente distaccato ‘come se assistesse ad un esperimento di laboratorio- era ammirata dalla capacità dell’ingegnere nell’aver ragione delle deboli difese della ragazza, che venivano travolte una dopo l’altra.
Alla fine del pranzo, tornarono verso il SUV e l’ingegnere aveva preso a braccetto Barbara, che rideva garrula ad ogni frase spiritosa dell’uomo, mentre lei (gelosa???) li guardava quasi con astio seguendoli di un passo.
Arrivati al veicolo, Corsini fece accomodare Barbara nel posto anteriore e poi fece salire lei dietro, come all’andata.
Barbara aveva detto che doveva andare, nel pomeriggio, da un’amica ‘dalla quale si sarebbe fermata a dormire- e l’uomo aveva trovato la soluzione: avrebbero accompagnato Elena in ditta ”perché tua madre sta facendo un lavoro molto importante, che dev’essere finito per stasera” ‘aveva spiegato guardandola con un’occhiata di fuoco- e poi avrebbe accompagnato Barbara a destinazione.
Cercò di convincersi che il corteggiamento della figlia era stato solo un gioco per il principale e che l’offerta del passaggio solo una cortesia nei confronti della ragazza, ma nel tragitto tra il ristorante e la ditta, la mano di Corsini si era ormai impossessata della coscia di Barbara, appena sopra il ginocchio.
Venne scaricata davanti alla ditta e, sotto lo sguardo severo e vagamente minaccioso dell’uomo, salutò la figlia con un abbraccio e due baci sulle guance, mormorandole solo all’orecchio un ‘stai attenta!’
Poi, dopo che il SUV partì di colpo e sparì dietro l’angolo, tornò mestamente in ufficio.
Corsini tornò dopo poco più di un’ora, molto prima di quanto rassegnatamente si aspettasse Elena; sapeva che, per arrivare da lì alla casa dell’amica della figlia, ci voleva non meno di una ventina di minuti (ma con il traffico di quell’ora anche qualcosa di più), più ovviamente altrettanto per il ritorno e quindi valutò che l’ingegnere avesse semplicemente accompagnato la figlia, senza fare deviazioni’ o soste, come temeva.
‘Sai Elena? E’ veramente piacevole, tua figlia” le disse l’uomo, col suo sorriso da squalo.
‘La prego, ingegnere: è solo una bambina, la lasci stare!’ sbottò lei, accoratamente.
Lui la guardò, pensoso, aggrottando le sopracciglia: ‘beh’ in effetti è una ragazza così dolce’ così ingenua, così pura’
Magari è ancora vergine? Tu cosa sai, Elena?’
Lei pensò di mentire, confermando la verginità della figlia, ma capiva che sarebbe stato poco credibile, per una normale ragazza di diciannove anni; soprattutto la figlia si era confidata con lei e quindi sapeva che lo aveva già fatto da due o tre anni, con un suo fidanzatino: ‘Beh, ha il ragazzo ed al giorno d’oggi non credo che si facciano bastare sospiri e carezze” concesse, con un falso sorriso indulgente e complice.
‘Sì, lo penso anch’io’ -ammise l’ingegnere in tono leggero, discorsivo- ‘avrà concesso la’ patatina alle timide esplorazioni del suo ragazzo” Concesse con un sorriso quasi affettuoso.
‘Son sicuro che il tuo cuore di mamma è certa che Barbarella sia una ragazza pudica, che fa ‘certe cose’ solo col suo fidanzato e dopo essersi fatta pregare un po” non come la sua affettuosa mammina! Vero,troia???’
Schiaffeggiata dall’inaspettato insulto, Elena annuì semplicemente.
‘Adesso vieni qui: ho giusto bisogno di un bel pompino!’
Qualunque cosa, per distoglierlo dalla figlia! Si accucciò tra le cosce del maschio e stava per tirarglielo fuori, quando Corsini le disse: ‘No, aspetta: facciamo un gioco!’
Aprì un cassetto della scrivania, prese un foulard che arrotolò e la bendò.
‘Metti le mani dietro la schiena’ bene! Adesso lo tiro fuori e voglio che lo prendi subito tutto in bocca senza toccarlo con le mani”
Elena ubbidì e si stupì un pochino nello scoprire che il membro dell’uomo era meno consistente del solito. Spalancò la bocca e lo prese tutto, fino alla radice; poi strinse le labbra, cominciò ad aspirarlo e contemporaneamente ad accarezzarlo con la lingua.
‘Come ti sembra il suo sapore, vaccona? Come il solito? Dimmi!’
Elena si stupì dell’inaspettata domanda, ma capì che doveva rispondere e si liberò la bocca: ‘Beh, sì’ direi come il solito” disse, perplessa.
‘Già, forse hai ragione’ pensavo che lo sentissi amarognolo, lo stesso sapore di certe volte dopo che ti ho inculata’ Ma lo sai che Barbara, la tua figliola santarellina, adora farsi inculare?’
Elena lo guardò, stravolta da quella frase che non si aspettava. Come poteva aver avuto il tempo per arrivare a farlo con la sua bambina???
Corsini rise, rise a piena gola.
‘Impagabile! Ahahaha’ Assolutamente impagabile, la tua faccia, la tua espressione’
Vedo che mi guardi’ No, tranquilla: non ho inculato la tua figliola; mi ha solo confidato quanto le piace e’ e basta!’
Il suo sguardo scintillava di cattiveria, di voglia di far soffrire ed Elena ne era, suo malgrado, affascinata.
‘Beh, adesso basta, dai! Tirati tu e tornatene di là che abbiamo entrambi del lavoro da fare” le disse, congedandola con condiscendenza.
La donna tornò alla sua scrivania, ancora sconvolta dalla brutale menzogna del suo capo e con uno strano, immotivato senso di sollievo per ciò che non era capitato alla figlia.
Mentre chiudeva la porta dell’ufficio dirigenziale, aveva visto che l’ingegnere aveva cominciato una conversazione al cellulare: il suo interlocutore doveva essere un uomo, a giudicare dal nome con cui lo aveva salutato e dal modo essenziale, preciso con quale gli parlava. Per un attimo aveva temuto che Corsini, con la sua enorme arroganza, avesse telefonato alla sua bambina’
Arrivata a casa, quella sera, le sembrò che Flavio fosse più sfuggente e scontroso del solito; non avendo lei animo di raccontare degli eventi della giornata, approfittò del distacco del marito, quasi con sollievo e le poche parole che si scambiarono erano le solite banalità di una coppia consolidata.
Prima di riuscire a prender sonno, pensò alla china pericolosa che gli eventi stavano prendendo per Barbara: la ragazza purtroppo aveva fatto una grave imprudenza ed adesso l’istinto da predatore dell’ingegnere si era risvegliato ed indirizzato su di lei.
Per quanto aveva imparato a conoscere Corsini, non doveva supplicarlo di lasciarla a perdere, perché la malignità insita dell’uomo gli avrebbe fatto aumentare gli sforzi per raggiungere l’obbiettivo.
La mattina dopo, Corsini la chiamò: ‘Ho deciso che dovrai fare un book fotografico: oggi pomeriggio ti accompagnerò nello studio di un mio amico fotografo che lo realizzerà’
Elena poteva solo prendere atto della decisione del suo’ capo? Principale? No, ormai aveva capito: era il suo Padrone! Comunque la mattinata passò, come passò l’ora di pranzo e la prima ora dopo questa.
Poi l’ingegnere le disse di seguirlo e tempo una mezz’ora arrivarono davanti ad un negozio di fotografo.
Corsini la fece entrare, la presentò al titolare, un certo Andrea, col quale scherzò qualche minuto, con grande familiarità.
Poi la presentò ad Andrea, che cominciò ad osservarla, dicendole di muoversi così e cosà, di girare, di allungare un braccio e di piegare una gamba; alla fine, annuì brevemente.
‘Allora hai capito cosa voglio che tu faccia?’ Chiese Corsini.
‘Tranquillo, ne abbiamo già parlato, non ci sono problemi’
Corsini allora si rivolse ad Elena: ‘Mi raccomando: fai tutto quello che ti chiede Andrea!’
Lei lo rassicurò e l’ingegnere salutò e li lasciò.
Il fotografo le chiese di scusarlo un attimo, aprì una porta e chiese: ‘Luca!!! E’ tutto pronto, in sala posa?’
Una voce glie lo confermò ed allora lui con un cenno, pregò Elena di seguirlo oltre la soglia.
In fondo ad un corridoietto con altre porte, varcarono un’altra porta e si trovarono in una sala pose: un ambiente ampio ed alto almeno quattro metri; da una parte erano ammassati dei mobili sia da casa che da ufficio e contro la parete frontale c’era un divano; attorno a questo, alcuni cavalletti e diverse lampade con i diffusori.
Guardandosi intorno, Elena notò che contro tutta la parete della porta era stato realizzato un soppalco ad un paio di metri da terra, largo altrettanto e con una ringhiera di legno e la botola di una scaletta a scomparsa nell’angolo a destra; tutto il soppalco, comunque, era nascosto da un pesante tendone nero, che dal soffitto arrivava a pochissimi centimetri dal soppalco.
Un giovanotto di meno di venticinque anni, stava prendendo dal catasta delle masserizie un alto sgabellone da bar e lo stava posizionando al centro del cerchio delle lampade.
Andrea disse ad Elena di sedersi sullo sgabello, la pilotò nella posizione che voleva, le mosse i capelli con la mano e poi prese una reflex professionale da un piano con le ruotine, pieno di obbiettivi e corpi-macchina, e cominciò a scattare; prima le fece dei primipiani, poi cominciò a farle assumere altre posizioni; man mano che gli scatti si susseguivano, Elena acquistava sempre maggior disinvoltura davanti all’obiettivo e quindi accettò placidamente che Andrea dicesse al suo assistente di sbottonarle la giacca del tailleur, che le alzasse un poco la gonna, che mostrasse l’ampio pizzo delle autoreggenti, che le sbottonasse la camicetta, che’ a poco a poco, Elena si trovò con indosso solo la giacca del tailleur ‘slacciata-, le autoreggenti e le eleganti decolté col tacco a spillo da 10 centimetri.
Un campanello lontano squillò ed Andrea gettò una rapida occhiata all’orologio da polso: ‘Son loro; vai ad aprire’, disse all’assistente che, dopo pochi minuti, tornò con tre bei giovani di colore, abbigliati con informale eleganza.
Dopo sorrisi e cenni di saluto ai fotografi, si sedettero sul divano e dopo poco Andrea disse ad Elena di sedersi tra loro.
Poi cominciò la seconda parte delle riprese; in poco tempo, Elena si trovò alle prese coi grossi membri eretti dei tre modelli afroamericani.
Ormai aveva perso la nozione degli scatti e di dove gli avesse messo chi e che cosa e si sentiva usata come un giocattolo dai tre, mentre Andrea scattava e Luca eseguiva le sue disposizioni, spostando le varie lampade ed i vari diffusori.
Ad un certo punto, il fotografo disse ‘Pausa!’ e le lampade vennero subito spente, mentre Elena andava nel bagnetto dello studio per rinfrescarsi un po’ con un asciugamano bagnato di acqua fredda.
Quando tornò in sala pose, Luca stava posizionando un grande letto con le testate di ottone, spingendolo in posizione, al posto del divano, con delle ruotine che, una volta raggiunta la posizione desiderata, vennero bloccate.
Furono riaccesi i faretti e le fu detto di mettersi sul letto, insieme ai modelli, che ricominciarono subito a farcirla coi loro membri in ogni orifizio.
Luca scomparve un attimo, quando il campanello squillò di nuovo in lontananza e tornò con un altro gruppetto, stavolta più numeroso, di uomini di origini slave, a giudicare dalla lingua che usavano tra loro.
I nuovi arrivati si denudarono rapidamente e si misero intorno e sul letto, anche loro a contendere un pertugio della donna.
Elena era ormai frastornata, stravolta dal turbine di sessi del quale era al centro ed era tesa ad ottenere solo il massimo del piacere, quasi incurante dei morsi sui seni o delle dilatazioni che subiva.
In un momento di lucidità, si rese conto che anche Luca si era spogliato e si era gettato nella mischia, spingendole un notevole cazzo fino in gola, mentre qualcuno, dietro di lei, le forzava dolorosamente un altro cazzo nel suo martoriato culo, già occupato da un grosso scettro di carne.
Ogni tanto, uno degli uomini eiaculava, o allagandole la vagina od il retto, od obbligandola ad ingoiare il loro seme fino all’ultima goccia, o schizzandole sul viso, i capelli od il corpo.
Cominciava a sentirsi esausta, colante, stillante di sperma da ogni orifizio dilatato a dismisura (aveva anche fatto l’inizialmente dolorosa esperienze del doppio fist fucking, con una mano piantata nella fica ed un’altra nel culo!) e con la strana sensazione di essere osservata in modo particolare; logico ‘pensò- in mezzo a dieci maschi infoiati!
Andrea aveva posato la reflex, ormai, ed anche lui si era denudato e buttato nella mischia, prima sbattendo il cazzo duro sulle guance di Elena e poi sprofondandole fino
in gola, provocandole anche conati di vomito, ed insultandola in maniera molto pesante. La donna subiva tutte le ingiurie, le penetrazioni, assecondava i suoi aguzzini mettendosi nelle posizioni più oscene che loro potessero chiederle, ormai coi capelli infradiciati di sudore e la pelle sudata e praticamente ricoperta di sperma, però cominciava ad essere sfinita e come cominciò prima a chiedere respiro, poi ad implorarlo, i dieci uomini sembrarono aumentare gli sforzi, le pretese ed in breve lei arrivò ad abbozzare flebili tentativi di ribellione mentre loro, ringalluzziti, cominciarono in pratica a stuprarla.
Dopo un ben po’ di tempo, gli uomini sembrarono sazi ed infine la lasciarono in pace, dolorante e silenziosamente piangente.
Elena voleva raccogliere le forze per una decina di minuti ed una fuggevole occhiata al suo orologino da polso la informò che era in quella sala pose, al centro di quella colossale gangbang da ben più di quattro ore!
Sentiva gli umori mischiati, suoi e degli uomini, che le colavano fuori dagli sfinteri allentati e sforzati, imbrattandole oscenamente il pube e le cosce e lo sperma che si le seccava sulla pelle del viso e del corpo.
Pensò che peggio di così non poteva sentirsi’ ma purtroppo sbagliava!
‘Luca! Cosa dici? E’ ora di fare la sorpresa, alla nostra ospite?’ Esclamò Andrea, ridendo.
Luca ghignò a sua volta e, con movimenti lenti, si alzò dal lettone e poi raggiunse la botola del soppalco, dal quale fece scendere la scaletta; poi la salì con la cautela dell’uomo esausto ed infine Elena lo sentì trafficare, mentre una parte del soppalco si apriva mostrando una botola di due metri di lato.
Poi il rumore a scatti di un arano elettrico, comandato con perizia dal giovane ed infine l’uggiolio continuo del motore che faceva scendere il carico: una vecchia porta interna con gli occhielli per le funi di alaggio ai quattro angoli e man mano che scendeva, Elena realizzò che su quella porta, coperta da un materassino sul lato superiore, era stata legata una persona imbavagliata’ Il suo cuore fece un sussulto, perché sentiva di sapere chi fosse, ancora prima che la porta, girando pigramente appesa al gancio dell’argano, le mostrasse sua figlia, Barbara! Luca si abbassò su Barbara e la liberò sia dei bracciale che delle cavigliere imbottite, che la tenevano ‘pur morbidamente, senza ferirla- bloccata sulla vecchia porta, sia del bavaglio che le aveva impedito di emettere qualsiasi suono, a rischio di richiamare l’attenzione di Elena e privandola, quindi, del torbido piacere di vedere la sua mammina usata dallo stuolo di maschi.
La ragazza, appena liberata sgranchì le membra intorpidite dalla pur comoda lunga postura e guardò la madre con uno sguardo pieno di contrastanti emozioni: un indubbio piacere voyeuristico mischiato ad una vena di disprezzo, ma anche forse un pochino di invidia mescolata a della commiserazione per quanto Elena fosse in grado di lasciarsi degradare.
Elena per qualche istante resse lo sguardo della figlia, con una sorta di troiesco orgoglio ed un lampo di sfida negli occhi, ma poi si rese conto della imbarazzante situazione in cui era stata osservata dalla ragazza ed abbassò, alla fine, gli occhi.
Andrea le contemplò ghignando: ‘Allora, principessina: non esageravamo, direi, quando ti dicevo che razza di troia fosse la tua mammina, no?’
Mentre diceva ciò, si era avvicinato a Barbara ed alla fine della frase le aveva afferrato i capelli, raccolti in una comoda coda.
La ragazza, imbarazzata, abbassò lo sguardo ed annuì silenziosamente.
Il fotografo, sempre tenendola per la coda, la portò fino ai propri abiti, ammucchiati in un angolo, e ripescò da una tasca il cellulare; digitò un breve sms e dopo pochi istanti lesse con un’occhiata la risposta, sogghignando soddisfatto.
Poi trainò Barbara davanti ad Elena e le ingiunse: ‘Spogliala!’
La donna, tenendo gli occhi bassi per non incrociare lo sguardo della figlia ed ormai completamente soggiogata, obbedì slacciandole la camicetta e facendola scivolare giù dalle spalle e fino al suolo; poi slacciò la gonnellina plissettata ed anche quella rimase attorno ai piedi di Barbara, come una corolla.
Poi fu la volta del delicato reggiseno di pizzo ed infine del perizoma coordinato, che fece scendere lungo le gambe della figlia, lasciandola nuda, esposta allo sguardo famelico dei tanti maschi presenti e visibilmente eccitata, a giudicare dai capezzolini eretti e dal luccicore della sua fichetta.
Uno degli uomini fece per avvicinarsi alla ragazza, ma Andrea, con un gesto imperioso, lo bloccò.
Mentre teneva Barbara in piedi, afferrò con l’altra mano i capelli di Elena, che era inginocchiata davanti alla figlia e le fece avvicinare il viso al pube di Barbara.
Elena provò timidamente a divincolarsi, ma la stretta ferra di Andrea, corroborata da un perentorio ‘Leccala!’, la costrinse a lappare, con iniziale timidezza, la fichetta gonfia di malcelata eccitazione della figlia.
Barbara, inizialmente imbarazzata della sconvolgente situazione, dopo un po’ cominciò ad apprezzare le lappate della madre e lo fece capire inarcandosi lievemente all’indietro e dischiudendo le cosce, come per offrire il suo succulento frutto alle labbra ed alla lingua di Elena.
Dopo pochi minuti, Barbara era inginocchiata sul letto, con le cosce alla massima apertura ed inarcata all’indietro, per accogliere fino il gola il massiccio cazzo di Andrea, mentre Elena continuava a dissetarsi con i copiosi umori della sua fica, mentre era inginocchiata e potentemente inculata da uno degli afroamericani, senza alcun riguardo.
Lo squillo del campanello della porta, distolse Luca dalla contemplazione dell’eccitantissima scena ed andò ad aprire la porta all’ingegner Corsini, che fece il suo ingresso trionfale nella sala di ripresa.
Osservò con blando divertimento la scena e poi, mentre si spogliava, diede disposizioni ad Andrea di far sistemare le due donne sul letto, in un sessantanove ”e con Barbara sopra”
Poi, nudo ed esibendo una sontuosa erezione, contemplò brevemente i giochi di madre e figlia, notando che anche questa si impegnava molto nel suggere dalla fica della madre ogni secrezione che vi fosse presente; poi si inginocchiò dietro a Barbara, puntò la cappella verso la bocca di Elena che subito la insalivò e poi la appoggiò sulle ninfe della giovane, godendosi brevemente le slinguate che la donna le dava sul frenulo, come effetto collaterale delle appassionate leccate che dava al clito della figlia.
Nel frattempo Andrea si era messo dall’altra parte ed aveva con un unico affondo colmato la fica gonfia e dilatata della donna, ma tenendo abbassata la testa di Barbara, che quindi continuò a suggere il bottoncino della madre, ogni volta che lui rinculava e quasi estraeva il membro dalla vagina della donna.
Corsini afferrò i fianchi della ragazza e poi, con calma inesorabile, le sprofondò nella fica, fino ai coglioni.
Colmatala completamente, sostò qualche istante, ma poi cominciò a cavalcarla con sempre maggiore vigore e velocità; Barbara sentì rapidamente gonfiarsi dentro di sé l’eccitazione, il piacere, fino ad esplodere in un orgasmo che la lasciò stremata, completamente abbandonata sul corpo della madre.
Corsini però non le dette requie e continuò a martellarla finché lei non risentì di nuovo riformarsi la bolla del piacere.
Allora l’ingegnere estrasse il membro, sempre eretto al massimo delle possibilità e luccicante degli umori della ragazza, e appoggiò la cappella sul buchetto bruno della giovane; poi, sempre tenendola saldamente per i fianchi, spinse potentemente e Barbara cercò di divincolarsi, ma bloccata dalle mani dell’uomo e da quelle di Andrea, che aveva ben capito le intenzioni dell’ingegnere, urlò disperatamente per la brutale, prima inculata della sua vita.
Come l’uomo aveva previsto, restando infisso ma immobile per un paio di minuti il dolore scemò fino ad un livello più che accettabile, mentre nuovamente il piacere si faceva strada dentro di lei, coagulandosi in una sorta di grumo che man mano si espandeva, colmandola e portandola a muovere il culo all’indietro, in cerca del cazzo che l’aveva profanata.
Andrea, da parte sua, si era stufato di scopare la dilatata fica di Elena e l’aveva lasciata agli altri, gustandosi lo spettacolo della potente inculata della ragazza.
Alla fine; Corsini si inarcò e con una specie di grugnito scaricò nel culo di Barbara la sua potente sborrata.
Poi, dopo aver ripreso fiato per forse un minuto, abbandonato sulla schiena della ragazza, si riscosse e si alzò in piedi e, incrociando gli sguardi famelici di tutti i maschi presenti con un’occhiata circolare, disse solo: ‘Ok, è vostra”
Gli uomini, ghignando, si precipitarono sulla ragazza e la sollevarono di peso da sopra la madre, rovesciandola sulla schiena e cominciando disordinatamente a toccarla, baciarla, pizzicarle i seni, frugandole con le dita la bocca, la fica, il culo dilatato e poi ingaggiando tra loro una specie di silenziosa lotta per infilarle dentro i cazzi.
Tre ore più tardi, erano tutti esausti: Barbara aveva perso il conto di quante volte il suo giovane corpo era stato violato dal gruppo ed Elena, a sua volta, non ricordava più quante volte aveva dovuto lappare la fica ed il culo della figlia, per ripulirla delle sborrate che si erano alternate dentro di lei pur essendo, al contempo, presa anche lei.
Barbara, appoggiata scompostamente con le spalle alla testata del letto, guardava la madre intenta in un ennesimo, stanco pompino ed intanto rifletteva quanto ‘superato l’imbarazzo iniziale- le fosse piaciuto, in fondo, competere in troiaggine con la propria madre e quanto le fosse piaciuto lo scambio di baci, non solo sulle loro intimità, ma anche nei rari ma appassionati linguainbocca che avevano fatto.
Si sentiva come se avesse superato una soglia importante nella vita: ora il rapporto con sua madre Elena era irrimediabilmente cambiato e si era trasformato in un rapporto tra donne complici nella loro troiaggine, oltre alla potenzialità di potersi abbandonare in altre occasioni agli stimolanti giochi saffici, loro due da sole!
Rifletté pigramente che sua madre, la bella Signora Elena, era cambiata negli ultimi tempi, sia come modo di vestire, più malizioso, che come’ atteggiamento, con una nuova sicurezza; adesso capiva bene il perché: il suo principale, quel delizioso maiale di Corsini, prima di sedurre lei, come aveva fatto con abilità ma in fondo facilmente vista la sua inesperienza, aveva prima sedotto la madre, trasformandola in una vera femmina da letto’
Ormai anche lei era sulla stessa strada ed era intrigata dalla competizione con la madre; sapeva che il sogno di molti uomini era ‘farsi’ madre e figlia, possibilmente insieme e che tutti quei maschi avevano appena realizzato questo desiderio; però voleva battere Elena e poteva facilmente riuscirci: era bella, fresca, giovane e meno inibita della mammina’.
Adesso che ci pensava, anche suo padre, nello stesso periodo, era cambiato e, a differenza di Elena, sembrava aver perso in sicurezza, in orgoglio.
Per un attimo si immaginò il padre ad assistere a quel pomeriggio (Assistere? Soltanto? E se avesse partecipato?), ma se non lo vedeva, suo padre Flavio, a dividersi la moglie con tutti questi altri’ atteggiamento troppo sottomesso, troppo remissivo’
E se’? Mannò! Eppure’
Ridacchiò, immaginandosi suo padre non CON, bensì TRA quegli uomini’
Con Elena, a casa, doveva fare una bella chiacchierata e levarsi alcuni dubbi’
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?