Mi son successe un sacco di cose, in questi ultimi tempi che, forse, mi conviene fermarmi un attimo a riordinarle, almeno come successione degli accadimenti.
Ho conosciuto Marco qualche anno fa e, sedotta dalla sua gentilezza dalla sua pazienza e dal rispetto che mi dimostrava, alla fine abbiamo deciso di sposarci.
Non avevo mai conosciuto suo padre Paolo, prima del giorno delle nozze ed anche sua mamma «non c’era più», come mi aveva stringatamente detto.
Sospettavo che la cosa lo facesse soffrire e perciò non ho mai più toccato l’argomento.
I miei genitori erano contenti che mi sposassi con un uomo buono e gentile come Marco, nonostante pensassero che, a ventidue anni, forse era un po’ presto per compiere un passo definitivo come il matrimonio, ma comunque accettarono di buon grado.
Ero anche… eccitata dall’idea che quella notte, la nostra prima notte di nozze, mio marito (!!!) Marco mi avrebbe fatta donna…
Prima di lui ero uscita con qualche ragazzo, ma erano stati solo baci, abbracci, carezze (di quelle adatte ai luoghi pubblici!) e solo tentativi di valicare la barriera dei miei abiti; siccome però capivo che il loro interesse erano appunto ristretto a fare “quello”, facevo in modo che desistessero definitivamente.
Marco no: era gentile, delicato e sopratutto non provava a mettermi le mani sotto gli indumenti.
Ma la notte del nostro matrimonio, finalmente avremmo fatto, fatto tutto!
Dopo la cerimonia, dopo i festeggiamenti, dopo l’interminabile pranzo, Marco mi presentò suo padre, Paolo, un uomo tanto massiccio quanto il figlio era delicato e poi burbero, con una voce come un ringhio continuo.
Mi soppesò e sembrò che il mio aspetto fosse di suo gradimento -senza esagerazioni, eh!- e poi si girò verso suo figlio: «Hai una moglie graziosa. Tieni le chiavi della mia macchina e vai a prendere la borsa azzurra che è nel bagagliaio… E’ giù per il viale. Prenditela comoda, che voglio scambiare tue parole con tua moglie»
«Ma papà…» protestò Marco, con voce allarmata.
«Vai! Fila!» Gli abbaiò e mio marito andò via, con l’aria di un cane bastonato.
Lui mi soppesò; mi fece stare in piedi e piroettare lentamente su di me, emettendo brevi grugniti e borbottii. Alla fine, quando mi sembrava di essere stata scansionata come in una Tac, parlò: «Non so come ha fatto quella mezzasega di mio figlio a trovarsi una moglie come te! Misteri dell’animo umano…
Sei gradevole, mi sembri di carattere docile, anche se hai poche tette e un culo appena accettabile… Tira su la gonna, fammi vedere le gambe!»
Il tono era così autoritario che non esitai ed alzai la gonna dell’abito fino a metà coscia.
«Sì, sono accettabili. Ah, ecco la mezzasega!»
Marco, mio marito (Wow!) era tornato.
«Coglione! Non è questa la borsa che ti ho detto di prendere!» «Ma papà…» «Sei inutile come un secchio sfondato… Me la prenderò io la borsa, tanto adesso devo andare.
Ah, cretinetti: un mio collega si è trasferito all’estero e mi ha chiesto di raggiungerlo e restare con lui per aprire uno studio veterinario insieme. Penso che starò là un paio d’anni.
Ci vediamo… e cerca di rendere felice questa povera donna, anche se non riesco proprio a immaginarmi come…» Fece una risata chioccia, sgradevole.
«Monica, tu vieni qui, a salutare tuo suocero, che va via!»
Mi avvicinai e feci per dargli un bacio sulla guancia, ma le sue forti dita mi afferrarono per il mento e mi infilò la lingua in bocca, mentre con l’altra mano mi strizzava una natica con stretta ferrea.
Rimasi stupefatta, scioccata, ma lui mi respinse -come si getta un fazzolettino usato!- e disse ancora a suo figlio: «Conservatela bene, mezzasega, che ho già delle idee per quando tornerò. Ciao troietta!» E se ne andò, a lunghe falcate, lasciandomi basita e turbata.
Guardai Marco che si strinse nelle spalle ed alzò le mai coi palmi in alto, come per dire “E’ fatto così”
Da quel giorno, però, cominciammo la nostra tranquilla vita matrimoniale e Paolo era praticamente uscito dalla mia mente, salvo a Natale, quando ci mandava una stringata email di auguri.
Ero leggermente delusa dal lalto sessuale del nostro matrimonio: secondo i racconti delle poche amiche che avevo, i loro uomini facevano più cose e più a lungo di quello che succedeva tra Marco e me, ma ci amavamo e questo era la cosa più importante.
Avevo deciso subito (Marco non sembrava entusiasta dell’idea, ma non era neanche contrario) di avere un bimbo, nostro figlio e perciò non usavo contraccettivi.
Però i mesi si susseguivano e il mio ciclo continuava a presentarsi regolare, puntualissimo e alla fine, andammo a fare insieme una visita in un centro per la fecondità e lì scoprimmo che lo spera di Marco, in una scala di probabilità di fecondare un ovulo da uno a cento, non arrivava a venti…
Però ci amavamo tanto e mi ero rassegnata.
Mio marito era sempre dolcissimo, anche quando facevamo “quelle cose” insieme: gli avevo detto che mi piaceva quando mi toccava ed allora lui, gentile, lo faceva tutte le volte, facendomi contenta, prima di venirmi sopra e penetrarmi per il minuto o due di movimenti che lo facevano subito ansimare e poi rilassarsi, mentre me la sentivo bagnata dentro di colpo. Mi lasciava dentro un liquido denso, trasparente, «sborra», diceva lui.
Un giorno, ascoltando due amiche che parlavano, mi sono ingolosita per una cosa che i loro uomini facevano, anche se un po’ schifosa: glie le baciavano e, questa cosa una di loro, la meno sboccata, l’ha definita “sesso orale”.
Con grande imbarazzo, qualche sera dopo ho detto a marco che «Avevo voglia di fare del sesso orale»; lui ha sorriso ed ha detto: «Son contento che tu me l’abbia chiesto: aspetta»
E mi ha messo il suo coso -quello che usa anche per fare pipì!- davanti alla bocca.
Io mi sono subito allontanata ed ho borbottato qualcosa tipo che avevo cambiato idea e di scusarmi…
Mio marito si è stretto nelle spalle, ma prima che potessimo chiarire la cosa, gli è squillato il cellulare per una chiamata di lavoro e abbiamo così perso il momento.
A parte questa vita sessuale meno scoppiettante di quanto avessi immaginato, anche a sentire i vissuti delle mie amiche, eravamo profondamente innamorati e cercavamo di stare insieme il più possibile: lui infatti, ingegnere minerario, spesso viaggiava per lavoro, anche se ci sentivamo tutte le sere e -comunque- le sue assenze non erano mai oltre i 2-3 giorni; io, invece, lavoravo negli uffici di un’azienda di trasporti abbastanza grande, tanto che oltre agli autisti dipendenti, si avvale anche dei cosiddetti “padroncini”.
Dopo due anni sereni, una sera che Marco era via per lavoro, cambiò tutto: Suonarono alla porta e mi trovai davanti mio suocero, Paolo.
Mi disse un «Ciao…» distratto ed entrò deciso in casa, guardandosi un attimo in giro e poi sedette sul divano guardandomi con lo sguardo annoiato: «Beh? Non offri nulla ad un ospite, a tuo suocero? Non ti ha insegnato un po’ di buonemaniere quella mezzasega che hai sposato?»
Mi irritava il tono di supponenza, l’arroganza ed anche -lo ammetto- il fatto che, facendomi irruzione in casa così ed intimidendomi, mi aveva fatto dimenticare le buone maniere a cui alludeva.
«Cosa le posso offrire, Paolo?»
«Un caffè, possibilmente buono, grazie!
Ah: Paolo mi chiamano gli amici: tu puoi chiamarmi dottore o signor Paolo…» aggiunse con tono annoiato.
Mi stava venendo voglia di picchiarlo, di mettermi a piangere, non so neanch’io… e gli portai il caffè.
Lo sorseggiò con diffidente cautela, mentre i sedevo su una poltrona, ma poi lo bevve: «Accettabile… Mi sembri brava e gentile e, probabilmente, anche ben educata…
Avresti potuto sposare uno molto meglio di quella mezzasega di Marco…»
Non potevo più sopportarlo! «No, suo figlio è una persona adorabile ed un ottimo marito! Oh!»
Schizzò in piedi e mi si avvicinò chinandosi su di me, quasi facendomi sprofondare nella poltrona. «E a letto, eh? Come va a letto con quella mezzasega???»
Non mi aspettavo assolutamente quella domanda! «Mah… bene, va bene, ci amiamo molto!»
«E ti scopa? Ti scopa bene con quel pistolino che ha?»
Non riuscivo a parlare: annuii soltanto.
Fece una risata cattiva: «Ma fammi il piacere! Con quel cosino che ha non può far godere un femminone come te… Per te ci vuole un cazzo vero. Guarda!» e in un lampo si aprì pantaloni.
Restai pietrificata, sia per inimmaginabilità della scena, sia per le dimensioni spaventose del suo membro: il doppio almeno di quello suo figlio! Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, anche perchè lui si muoveva, come una cosa viva e si stava alzando, drizzando inturgidendo proprio davanti ai miei occhi.
«Non lo avevi mai visto un cazzo vero, uno come mio, sbaglio?» Mi trovai a far segno di no con la testa, ipnotizzata da quella visione.
«Dai, vedo che hai voglia di toccarlo e baciarlo: fallo!» Oddio! Come faceva a saperlo?
Si era abbassato un poco i pantaloni e l’intimo e mostrava orgoglioso il suo grosso pene eretto che sormontava due testicoli grossi come mandarini.
«Dai, toccalo! Mica ti morde!» Ed io, esitante, allungai la mano: lo sentii, sotto i polpastrelli, come se fosse fosse un oggetto di legno coperto da un fazzoletto di seta.
La mia mano, indipendentemente dalla mia volontà, stava imparando le dimensioni di quel notevole apparato e realizzai che quella inaspettata, assurda, oscena situazione mi faceva sentire come un vuoto allo stomaco e… un certo umidore là sotto.
Guardai stupita mio suocero ed i suoi occhi erano piantati sul mio viso. «Ti piace, eh? Dai, dagli un bacetto…»
Feci per staccare la mano, inorridita dalla inascoltabile proposta, ma la sua manona mi bloccò il polso e mi tenne a contatto col suo membro.
«Dai, solo un bacetto… Tanto te lo si legge in faccia che vuoi farlo… Quando mai ti capiterà più l’occasione di baciare un cazzo così grosso?»
Mi sentivo strana, come… ipnotizzata, attratta da quel grosso… coso Mi avvicinai e, vincendo la vocina che mi diceva “no, dai! Ma cosa stai facendo?”gli convinsi a dargli i un bacetto.
«Ecco brava! Hai visto? Cosa ci voleva?
Dai, adesso succhialo un attimo…»
Ero a disagio: da una parte ero tentata di farlo -e la mia micina era umida da impazzire, ma dall’altra… Ma cosa stavo facendo??? E col padre di mio marito, per giunta!
Feci per scostarmi da quel grosso fuso di carne dura, ma lui mi afferrò per i capelli e li tirò finché non aprii la bocca in un urlo muto; allora mi girò la testa e mi piantò la sua cappella congestionata in bocca, spingendola in fondo, fino a farmi venire voglia di vomitare, ma mi teneva bloccata e pensai che l’unica via d’uscita che potevo avere era accontentarlo succhiandoglielo.
Allentò un pochino la presa, quando sentì che stavo collaborando, ma poi, sempre col suo affare piantato in gola, mi fece alzare e con l’altra mano tirò e sforzò e abbassò e strappò finché non mi trovai con sedere e fica scoperte.
Mi pilotò fino al tavolo da pranzo, lì accanto e poi -sfilandomi dalla bocca il cazzo- mi piegò su piano e, da dietro, me lo spinse dentro.
Ero sorpresa dal suo gesto, ma anche dal fatto che lo sentivo sprofondar4 dentro di me con meno dolore di quanto inconsciamente mi aspettassi: entrava, entrava, entrava e non sembrava finire mai e io mi sentivo dilatare e riempire e alla fine arrivò in fondo, contro la cervice ed io mi sentii esplodere di piacere!
Feci una sorta di ansimo profondo e sentii la sua voce, irridente: «Allora, mogliettina, ti piace?»
Come poteva pensare che avrei potuto rispondere? Tacqui.
Mi dava colpi ritmati, profondi e ad ognuno mi sembrava di essere pana che diventava burro e il piacere si consolidava e saliva e cresceva…
«Allora??? Ti piace?» Non dissi nulla, ma ascoltavo lo sciabordio del suo membro che sciaguattava dentro la mia passerina spalancata.
«Rispondi!» e mi dette una pacca su una natica; annuii.
Altro sculaccione: «Non ti ho sentito: ti piace?» Mi stava facendo impazzire, facendomi provare sensazioni mai neanche immaginate: «Sì…»
Altro sculaccione: «Sì, cosa?»
«Sì… mi piace…»
Stavolta le manate furono due, su entrambe le natiche «Sì, ti piace… cosa? Ti piace farti sbattere da me? Ti piace il mio cazzone che ti allarga tutta la fica, ti piace perchè ti scopo molto meglio di quella mezzasega di mio figlio??? Dillo! Di’ tutto!!!»
L’ondata del piacere ormai era altissima dentro di me e stava per rovesciarsi su se stessa, travolgendomi definitivamente… Provai ad ubbidire: «Sì… mi piace… uhhh… essere sbattuta da lei… dal suo grosso affare… » «Affare? Chiamalo col suo nome: cazzo, cazzone… Capito Troia?»
Annuii «essere sbattuta dal suo grosso uccello, mmmhhh dal suo cazzone che mi apre, mi… mi devasta e… e mi piace molto più che con Marco…»
Come dissi queste parole, mi sfrecciò per la mente che mi aveva anche appena chiamata troia ed il cavallone del piacere si infranse dentro di me e venni travolta dall’orgasmo.
Un Bellisimo racconto come sempre spero che continui , ti ho sempre seguito