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Racconti Erotici Etero

Tramonto

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Era un sabato pomeriggio di una tiepida giornata di tarda primavera. Io e lei decidemmo di uscire, senza una meta, e dirigerci dalla parte in cui il vento soffiava più intenso. E così facemmo. Cavalcando la nostra roboante moto imboccammo la prima strada che ci portasse in quella direzione.

La strada ci conduceva diretti al confine urbano. Le prime campagne coprivano la nostra vista. Case e persone sembravano diradarsi ad ogni metro percorso. Lo scenario, forse favorito anche dalla nostra necessità di solitudine, sembrava sempre più sgombro; fino a raggiungere la pura assenza di individui; solo pochi sparsi e disordinati stormi di rondini presenziavano di tanto in tanto alla nostra breve fuga.

A mano a mano che la velocità incalzava, la percezione dei nostri sensi sembrava aumentare. Una serie continua di odori ci solleticava l’olfatto, mentre la nostra pelle diveniva sempre più sensibile al tatto, che l’aria fresca del vespro rendeva assai più aspra e ruvida.

Da dietro il vento che ci spingeva e di fronte il contrasto dell’aria facevano sì da farci quasi sentire come sospesi nell’aria, mentre una sottile foschia rendeva ancora più surreale questa sensazione.

Sentivo il suo seno premere sulla mia schiena. Il suo calore non mi faceva rendere conto dell’aria che stava sempre più raffrescando. Quest’insieme di sensazioni mi rendeva ancora più sollecito del mio solito agli stimoli della carne. I miei pantaloni di pelle a quel punto stentavano a contenere il mio sesso che ad ogni metro percorso diveniva sempre più consistente. Senza che le dicessi niente, sentii all’improvviso la sua mano destra scivolare dal mio petto, a cui si aggrappava, verso il basso, al fine di abbassarmi la lampo degli ormai strinti calzoni. Senza quasi accorgermene mi ritrovai, oltre al vento che mi percorreva tutto, col mio pistone che, contrariamente a quello della moto, rimaneva immobile mentre la sua mano, come un cilindro, percorreva avanti e indietro quella strada che così tanto bene conosceva. Inversamente proporzionale, all’incremento della velocità della mano corrispondeva un rallentamento della velocità del mezzo. A un certo punto il mio piacere divenne così insostenibile che una serie di rivoli bianchi fluirono prepotentemente dalla stretta impugnatura, elevandosi fino al punto da farsi trasportare dalla corrente provocata dalla compressione dell’aria per poi finire la loro vita su quegli splendidi e luminosi capelli color antracite, su cui spiccavano quasi come un prezioso diadema di brillanti. Senza nemmeno il tempo e la volontà di riporre all’intermo dei pantaloni il mio organo, iniziai a rallentare fino ad accostare e fermarmi in un cantuccio isolato di quella campagna così acre ma profumata. Il sole sembrava nascondersi e scomparire dietro quegli alti pini, mentre dai larici un sottile odore di muschio stuzzicava nuovamente i miei appetiti e rinvigoriva i suoi. Stendemmo così sopra il terreno reso umido dal crepuscolo la vecchia coperta arrotolata sul portapacchi, e ci stendemmo, assaporando quell’insieme di profumi di cui l’aria ci faceva dono. Lentamente iniziammo a svestirci, restando con la sola biancheria. Da qui iniziammo a baciarci e toccarci; le mie labbra sfioravano la sua bocca, il suo collo e le sue spalle, mentre le mie mani scorrevano sulle sue sinuose gambe che incrociandosi mi spingevano verso di lei; le sue invece terminavano di toglierci i pochi indumenti che impedivano ai nostri corpi di godere appieno del calore dell’altro. Una volta indossato il nostro costume adamitico, le nostre bocche si incrociarono nuovamente, la mia lingua scorreva a volte lenta a volte guizzante sulla calda superficie epidermica del suo collo e del suo seno, scorrendo in circolo sui capezzoli, alternandosi con le labbra che si dilettavano a strizzarli e mordicchiarli, in maniera che divenissero sempre più turgidi e sensibili. Le mie mani, invece, scorrevano dal suo seno sulla sua schiena e sui suoi glutei, oltrepassando i fianchi, fino a raggiungere il suo organo, già rugiadoso come la brina sopra le gramigne, ma caldo come latte appena munto. Le mie dita massaggiavano la superficie di quelle labbra vogliose e umide, entrando e uscendo dal loro caldo antro, permeandosi di quel gustoso e oleoso liquido, mentre le sue si trovavano già impegnate a stringere la mia sbarra facendola scorrere tra le sue mani, prima l’una e poi l’altra, senza quasi mai fermarsi. Le sue instancabili mani sentivano il mio organo crescere dentro di loro, fino a renderlo sempre più rigido.

A un certo punto la mia lingua, dal seno inizia a scendere verso il basso, passando lentamente da sopra lo stomaco, soffermandosi sul ruvido ombelico (insalivandolo copiosamente), per giungere infine alla sua fessura sempre più calda e fradicia. Così, mentre talune volte col pollice e l’indice tenevo allargato il suo sesso, e altre ancora vi penetravo gli stessi mantenendo aperte quelle elastiche labbra sempre più ammorbidite dai miei massaggi, la mia lingua percorreva la sua circonferenza dal di fuori e dall’interno, tentando di penetrarvi. Nel frattempo che la mia lingua, mescolata nella mia bocca col suo liquido, procedeva lungo le labbra carnose del suo sesso e del suo clitoride, sui quali alternavo colpi di lingua e pizzicotti, ella raggiungeva con la sua bocca il mio organo, scoprendone innanzitutto la testa e poi stringerne la punta tra le labbra. Una mano mi massaggiava e stuzzicava i testicoli, mentre l’altra impugnava l’asta. Quando ormai la punta era divenuta rosso scuro e gonfia, iniziò lentamente a scendere verso il basso, con le labbra leggermente serrate, per poi arrivare a sfiorare la mano che stimolava la superficie testicolare, e risalire a labbra ancora più strette e appena appena più veloce della ridiscesa.

Andammo avanti così per un bel po’, finché dal suo organo le gocce di liquido iniziavano a cadere in maniera sempre più intensa, fino a colare come la resina appiccicosa dei pini che sembravano osservarci.

A quel punto il piacere era divenuto insopportabile, così decidemmo inizialmente di rallentare un attimo i nostri rispettivi ritmi, e poi di cambiare posizione. Così da sopra di me com’era, si distese di spalle, ed io mi accasciai delicatamente su di lei. Mentre le nostre bocche e le nostre lingue nuovamente s’incontravano e si scontravano in un turbinio di baci e morsetti sulle labbra, sul collo e sui nostri capezzoli, i nostri sessi si stavano avvicinando l’uno all’altro: la punta ancora coperta della sua saliva si appoggiava decisa alla sua fessura, resa ancor più inzuppata dalla mia salivazione e dalla crescente eccitazione, e spingendo lentamente entravo dentro di lei. La mia asta scivolò dentro come un’anguilla, quasi assorbita da quello scuro pertugio. Inizialmente il mio ritmo era lento, quasi stanco, malgrado l’insoffribile eccitamento, ma a mano a mano che spingevo i miei colpi divenivano sempre più forti. Andammo avanti non so per quanto; sempre con lo stesso ritmo; quasi senza sfiorarci. Solo i nostri sessi erano coinvolti appieno; il resto del nostro corpo sembrava insensibile, ma la nostra attenzione non era affatto concentrata sui nostri genitali, ma sembrava essere altrove, come se stesse aleggiando sopra di noi, scrutandoci, come il sole che ormai da lontano sembrava spiarci e la luna sempre più grande e vicina seguirci anch’essa. Il tramonto ci stava regalando anche una leggera brezza, che accarezzava il nostro corpo e rendeva ancora più sensibili e solleciti al piacere i nostri sensi; e i nostri sessi in particolare.

Ad un certo punto fu come risvegliarsi da un lungo sonno. Non vedevo più me stesso mentre spingevo con possenti colpi di reni la creatura che mi stava donando tanto piacere, ma solo i nostri sessi ricongiunti che, l’uno dentro l’altro, non attendevano altro che di potersi finalmente placare. Sicché, ebbi lo slancio di aumentare repentinamente il ritmo. I miei colpi da forti divennero violenti; tanto che i nostri gemiti sembravano elevarsi e giungere fino alle stelle più distanti. Ad ogni mio colpo ben assestato corrispondeva una sua leggera spinta in avanti, facendo sì che la mia asta riuscisse a penetrare completamente all’interno di lei. Ogni qualvolta ciò accadeva sentivo i miei testicoli sbattere contro di lei, imbrattandosi anch’essi del suo caldo miele.

Il nostro godimento era ormai giunto allo stremo; la sublime estasi stava per investirci con tutte le forze di cui disponeva. Pochi attimi prima i nostri corpi si erano ricongiunti nuovamente, bocca contro bocca, petto contro petto, mano nella mano. Lei per prima, tradita da un intenso gemito vocale e spasmodico del suo intero corpo, il quale irrigidito si presentava al mio tatto ancora più caldo del solito, fu colpita dal piacere supremo, mentre le sue mani si stringevano alle mie e sembravano non volerle abbandonare mai più. Finché, lentamente, il rigore del suo corpo, così come era giunto, iniziò a svanire, come la forte morsa delle sue mani contro le mie. Pochi attimi dopo, in coincidenza col sopraggiungere del suo rilassamento, giunse il mio turno di essere travolto dall’orgasmo. Il mio sesso palpitava impazzito, le mie mani strizzavano i suoi seni, mentre le sue, le mie natiche. Sentivo il calore di tutto il mio corpo concentrarsi tutto lì, sul mio organo, che faceva da tramite tra me e il nirvana. Tanto mi sentivo elevato che, anche se per un solo attimo, riconobbi in me un adamo, e le conifere intorno come il suo eden. Finalmente anche la mia estasi giungeva a compimento. Ebbi solo un attimo per rendermi conto che non potevo più aspettare. Uscii da dentro di lei, mi misi disteso di spalle e aspettai che la sua bocca avida si occupasse di nuovo del mio strumento, ormai zuppo dell’insieme dei suoi liquidi che lo ricoprivano abbondantemente. Ella avvicinò dunque la sua bocca alla mia asta, facendola in un sol colpo scomparire quasi per intero dentro l’altro antro non certo invidioso di quello precedente. Ma breve fu il tempo che trascorse prima che una serie di zampilli flottassero al suo interno. Dopo i quali, un’altra serie invase il suo intero volto, colando e sporcando maggior parte del suo seno e dello stomaco. Infine, per ironia della sorte (chissà come), un’isolata goccia riuscì, debolmente ma inesorabile, a giungere al suo organo, mischiandosi agli altri suoi umori, soffermandosi proprio, oltreppassando persino la barriera del suo folto e bruno cespuglio, su quelle labbra ancora così tanto surriscaldate e umide. Dunque, esattamente nello stesso punto in cui ebbe avuto origine il piacere che ne permise la fuoriuscita. Proprio in quel mentre, un penetrante odore di muschio si confondeva con quello delle nostre secrezioni.

Finalmente, accasciati sulla stessa vecchia coperta testimone del nostro godimento, ci lasciammo andare.

Rimanemmo lì per l’intera nottata. Anche le anime invisibili del bosco sembravano appagate. Il sole ormai era solo una figura lontana, sia dalla vista che dalla mente; mentre la luna ancora non cessava il suo sorvegliare; tanto da sentirci quasi imbarazzati dalla sua presenza. Trascorremmo così l’intera notte. L’indomani mattina, il sole, sorridendoci nuovamente, ci accompagnò per tutto il viaggio di ritorno.

Questa &egrave stata purtroppo l’unica delle nostre avventure pionieristiche; per ora; ma chi può mai dire cosa riserva il destino o la natura! E se il vento avesse soffiato in un’altra direzione? Esempio quella opposta? Avremmo imboccato quell’altra via! E che sarebbe potuto succedere? Nessuno &egrave in grado di saperlo! Forse’ Ma no! nemmeno il cielo! Chissà!!

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