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Racconti sull'Autoerotismo

11 – La Casa

By 13 Marzo 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Michela guardò verso la casa di campagna e sorrise.
Era perfetta.
La porta si aprì e ne uscì una donna castana, che avanzò verso di lei tendendole la mano.
“Piacere, io sono Barbara”, disse la donna.
Si strinsero la mano.
“È bellissimo – disse Michela sorridendo – non posso credere di aver avuto una fortuna così grande!”.
Guardò verso Barbara: “Non ha cambiato idea, vero?”.
Barbara sorrise e scosse la testa: “No, non ho cambiato idea. Mi segua, le farò vedere tutta la casa”.
Entrarono nell’edificio e Barbara la guidò attraverso le stanze.
Era una casa che aveva sicuramente tanti anni, ma era stata interessata recetemente da una massiccia ristrutturazione; era visibile anche per Michela che non era un’esperta del campo.
Barbara le mostrò le camere e i servizi, poi uscirono nuovamente e si recarono nell’edificio contiguo.
“Questa era originariamente la stalla – disse Barbara – noi per anni l’abbiamo usata un po’ come garage e un po’ come zona franca, per fare piccoli lavori o anche solo per far giocare i bambini quando erano piccoli”.
Michela si guardò attorno: c’erano molti oggetti, strani per lei che era abituata alla città.
Sorrise ancora e annuì molto decisa. “Mi piace molto, sono molto contenta”, disse l’ennesima volta.
Uscirono nuovamente nel cortile e si indirizzarono verso il prato.
“Una delle maggiori risorse di questa casa – spiegò Barbara – è sicuramente questo grosso giardino. I miei nonni, gli antichi proprietari, erano contadini e non potevano neppure concepire una casa che non avesse un vasto terreno attorno. Fino a vent’anni fa tutto questo era coltivato; noi purtoppo non abbiamo più potuto occuparci del terreno e sono rimasti solo gli alberi da frutta. Però è molto bello e soprattutto permette di essere molto liberi. D’estate è bello prendere il sole e oziare in questo giardino”.
Michela annuì e pensò, dentro di sé, che era proprio il tipo di sistemazione che stava cercando.
Aveva nelle velleità artistiche, le piaceva sia a dipingere che scolpire, e purtroppo quelli di non erano hobby che potesse coltivare in un appartamento.
In primo luogo perché necessitavano di parecchio spazio, e in secondo perché aveva bisogno di stare in un posto che la ispirasse.
Erano anni che cercava una soluzione di quel genere, ma fino a quel momento non aveva trovato opportunità che fossero anche alla portata delle sue tasche.
Sia lei che il suo ragazzo, Paolo, non avevano infatti grandi entrate: Paolo lavorava come operaio e Michela guadagnava qualche soldo dalla vendita sporadica delle sue opere.
Tutto molto romantico, ma di fatto insufficiente per potersi permettere un affitto elevato.
“Barbara, voglio essere sincera con lei – disse Michela – l’affitto che mi state chiedendo è decisamente basso, molto più basso rispetto a quello che ho trovato per soluzioni molto simili. C’è qualcosa che devo sapere? C’è qualche problema con la casa?”.
Barbara sorrise, scuotendo la testa.
“No, non c’è nessun problema. Lo vede da sola: una casa come questa necessità di un’attenzione continua. Siamo stati in grado di dargliene fino a poco fa, quando le nostre abitudini ci portavano a venire qui ogni fine settimana. Ma adesso i nostri figli sono grandi, non hanno piacere di passare il sabato e la domenica con i genitori, e inevitabilmente siamo venuti molto meno. Però ci tengo che la casa sia abitata e accudita da qualcuno. Non voglio speculare su di lei”.
Con un braccio descrisse un movimento circolare a indicare tutto quello che le circondava.
“Vede anche qui: il prato avrebbe bisogno di essere tagliato, gli alberi di essere. Ci sono mille lavori da fare per mantenere una casa come questa, difficili da eseguire con continuità se si abita distante”.
Percorsero ancora qualche metro in silenzio.
“Poi è vero – ammise Barbara – che in questa casa sono capitati degli episodi che mi hanno lasciata un po’ amareggiata. Niente di grave, non è stato ucciso nessuno; non troverai dei fantasmi che vagano per casa. Dico solo che non ho più estremo piacere a venire qui”.
Michela era un po’ perplessa. Cosa poteva essere successo di così grave che avesse indotto Barbara e suo marito a liberarsi di una casa così bella?
Era molto curiosa ma non poteva chiederglielo direttamente.
Arrivarono ad una radura.
Barbara sorrise e indicò con la mano uno spiazzo tra gli alberi che sembrava essere disegnato con un compasso.
“Questo – disse – per me e mia sorella quando eravamo bambine era un posto magico. Eravamo convinte, o meglio, facevamo finta di essere convinte, che questo fosse il punto di ritrovo per le creature del bosco durante la notte. Abbiamo passato giorni e giorni a giocare qui, fingendo di inseguire folletti e nani”.
Guardò verso Michela e sorrise: “A dirla tutta, in età più adulta questo è stato proprio il posto in cui io ho conosciuto mio marito”.
Il tono con cui Barbara aveva pronunciato la parola “conosciuto” non lasciava dubbi su quale dovesse essere la reale interpretazione del suo significato.

Michela passò diverse ore a pulire tutta la casa. Erano mesi che nessuno ci metteva mano e si vedeva.
Alla fine della giornata, in ogni caso, non era riuscita a rendere abitabile niente di più che una stanza da letto e la cucina.
Pazienza, era comunque un inizio, soprattutto perchè in quei primi giorni non avrebbe potuto contare su Paolo, bloccato in città dal lavoro.
Era comunque molto soddisfatta: la casa era bella, il tempo era dalla sua parte, e finalmente stava lavorando per qualcosa in cui credeva veramente.
Aveva già immaginato un utilizzo nuovo per la stalla, ad esempio: il grande spazio si prestava perfettamente per le sue sculture e per i suoi dipinti.
Organizzandolo come laboratorio, avrebbe potuto creare tutto quel casino che le serviva per la sua arte.
Si recò proprio nella stalla. Era affascinata da tutti gli oggetti che la componevano.
Per lei, nata e cresciuta sempre in città, era tutto molto nuovo. Certi oggetti li aveva visti solo nei film o nelle vecchie foto.
Si avvicinò ad un grosso oggetto coperto da un lenzuolo bianco.
Prese il lenzuolo in mano e lo scostò.
Rivelò un grosso mobile rotondo, simile ad un tavolo, ma appoggiato alla parete.
Quello che però incuriosì subito Michela furono delle cinghie inchiodate al perimetro del tavolo.
Le esaminò con attenzione: non si fosse trovata in una casa di campagna, avrebbe potuto immaginare che quell’oggetto arrivasse dagli arredi di un antico castello.
Sembrava proprio uno di quei tavoli in cui, durante l’inquisizione, venivano legate le streghe per essere interrogate. Sicuramente si sbagliava, eppure non riusciva a immaginare nessun altro utilizzo per un mobile come quello.
Strano.
Rimise a posto il lenzuolo e passò ad esaminare altri oggetti. Si avvicinò ad una credenza: era proprio una di quelle originali in cui di solito si tenevano le provviste.
Aprì i cassetti, trovando ogni genere di utensili: cacciaviti, martelli, chiodi, seghetti.
Aprì un altro cassetto, e in questo trovò una vecchia macchina fotografica, di quelle ancora con la pellicola. Sapeva come usarla, suo padre ne aveva una molto simile.
Sbloccò il meccanismo e fece ruotare la rotellina: c’era una pellicola dentro. La fece avvolgere completamente, poi aprì l’alloggiamento e la prelevò.
Il giorno successivo l’avrebbe portata a sviluppare, era molto curiosa di quello che avrebbe trovato sopra.
Certo, avrebbe dovuto restituire le foto a Barbara, ma probabilmente quella macchina era lì dimenticata da anni.
Magari avrebbe trovato qualche foto artistica dei vecchi tempi da incorniciare e da appendere nel soggiorno.
Tornò a casa: aveva ancora tante cose da fare.

Ore dopo, giaceva ancora nel letto senza riuscire a prendere sonno.
Forse era la nuova casa, forse era il silenzio profondo a cui non era abituata, forse era semplicemente emozionata per la sua nuova situazione.
Si alzò dal letto e prese una vestaglia.
Scese al piano di sotto, con l’intenzione di prepararsi una tisana per conciliare il sonno. È vero che non aveva degli orari da rispettare, ma la casa era ancora tutta da sistemare e voleva fare molto il giorno successivo. Non aveva considerato un elemento: non aveva bustine di tisana in casa.
Però era in campagna, probabilmente avrebbe trovato nei prati qualcosa di altrettanto valido.
Le piaceva molto la menta, era abbastanza sicura di averne visto un cespuglio nel prato.
Fuori la notte era splendida, le stelle brillavano e la luna illuminava quasi come fosse giorno.
Le venne in mente la radura che aveva visto quel mattino con Barbara. Uscì di casa e, stringendosi nella vestaglia, si incamminò verso il punto in questione.
Non faticò a trovarlo: anche se sembrava provenire da un’altra epoca, era semplicemente a trenta metri da casa sua.
Facendo attenzione a non graffiarsi, penetrò attraverso la fitta cortina di alberi e si posizionò dentro quella zona perfettamente circolare che aveva già notato al mattino.
Non faticava a immaginare che Barbara e sua sorella avessero reputato magico: lo era.
Si guardò attorno, cercando di suggestionare se stessa e immaginare che ci fossero migliaia di piccole creature a guardarla.
Era sempre stata una ragazza molto creativa, un ambiente come quello l’avrebbe sicuramente stimola ancor di più.
Si tolse le i sandali e saggiò con il piede nudo la consistenza dell’erba. Era piacevole, fresca ma non umida, le trasmetteva una bella sensazione alla pianta del piede.
Si sedette per terra, poi si sdraiò per guardare meglio le stelle.
Lo spettacolo era eccezionale, non le sembrava di aver mai visto niente del genere nella sua vita.
Si sfilò la vestaglia, voleva sentire la sensazione dell’erba direttamente sulla pelle. Sotto era in biancheria intima, ma non avrebbe sentito freddo in una notte come quella.
Si sdraiò e chiuse gli occhi. La l’aria fresca sulla pelle la fece rabbrividire.
Pensò anche che lì, forse magari proprio in quel punto preciso, Barbara aveva fatto l’amore con suo marito.
Era una bella sensazione, il posto restituiva molta magia.
Si tolse il reggiseno. Non era solita rimanere senza, neppure al mare – a causa anche della sua carnagione molto chiara – amava privarsi dei vestiti.
Però era diverso: intanto lì non c’era nessuno, poi non c’era il sole e, soprattutto, voleva entrare ancora di più in contatto con la natura.
Michela sentì i suoi capezzoli irrigidirsi. Era una bella sensazione, l’aria era fresca e si sentiva molto molto sveglia.
Sapeva che il giorno dopo avrebbe forse faticato a svegliarsi, ma le sembrava carino che la prima serata in quella casa venisse trascorsa in quella maniera.
Si passò una mano sul seno, stuzzicando il capezzolo con il palmo della mano.
In effetti quel luogo era assieme sia magico che sexy.
Abbassò le mani e andò a giocare con l’elastico delle sue mutandine.
Cosa voleva fare, voleva togliersele?
Perché no? In questa magia di comunione con la natura, ci stava che rimanesse nuda, per apprezzare ancora di più il contatto.
Eppoi, come per il reggiseno, era sola ed era nel pieno della notte.
Si abbassò le mutandine e le appoggiò di lato, per trovar le successivamente.
Aveva fatto bene a farlo: la sensazione ora era decisamente piena. Sentiva la fragranza dell’aria e della notte sulla pelle, la quale le trasmetteva una sensazione decisamente forte.
Avrebbe potuta definire eccitazione se non fosse stata la sola.
Con la mano destra si accarezzò la pancia, provocandosi un brivido. Chiuse gli occhi e si accarezzò di nuovo.
Era tutto nuovo per lei, non sapeva cosa stava capitando. Con la mano sinistra si accarezzò il seno. Sentì se stessa sospirare forte.
Non si era mai toccata in vita sua, neppure quando era stata adolescente.
L’educazione religiosa, forse, o forse semplicemente perché era una bella ragazza e non aveva mai avuto bisogno di farlo: aveva sempre avuto qualche ragazzo accanto a lei.
Ora aveva ventitré anni, sicuramente non era vecchia, ma forse erano un po’ troppi per iniziare con queste cose.
Ma perché no?
Forse avrebbe potuto solo accarezzarsi un pochino. Niente di sconveniente, niente che non avrebbe potuto raccontare a Paolo, solo per farsi un po’ di coccole.
Con la mano si accarezzò il pube, sentì un brivido che le attraversava il corpo.
Era eccitata, non avrebbe potuto chiamare in nessuna altra maniera quella sensazione. Con il dito medio si accarezzò tra le labbra glabre.
Si, era eccitata, e anche il suo corpo lo sapeva.
Si fece un’altra carezza. Stava bene, che male c’era?
Ancora una carezza, e poi ancora una.
Teneva gli occhi chiusi e pensava solo alla magia di quel posto: Barbara ci aveva fatto l’amore con suo marito, e a lei era esattamente nel posto in cui avrebbe dovuto essere.
La sua mano accelerò , senza mai staccarsi dalla pelle. Con l’altra mano raggiunse un seno e lo strinse forte.
Fortunatamente i folletti e gli elfi non esistevano veramente, diversamente quella sera avrebbero goduto di uno spettacolo decisamente nuovo!
Allargò le gambe e lasciò che le sue dita scivolassero dentro di lei.
Fece entrare ed uscire le dita da dentro la sua vagina, mentre l’indice dell’altra mano si sfiorò il clitoride.
La sensazione ora era fantastica, decisamente superiore a quello che avrebbe immaginato.
Ora non aveva senso fermarsi, non avrebbe potuto tornare indietro.
Accelerò il movimento, aggiungendo una terza dita alle due con cui già si stava stimolando. Senti se stessa gemere, con lo stesso tipo di gridolino che usava con il suo ragazzo e che a lui tanto piaceva.
Allargò ancora di più le gambe e con la punta dei piedi spinse il bacino verso l’alto, come se stesse facendo l’amore con il cielo e volesse facilitargli la penetrazione.
Accelerò ancora di più e sentì l’orgasmo può provenire dal profondo.
Strinse un ciuffo d’erba con la mano e lo strappò nel momento in cui venne, non provando neppure a trattenere un urlo liberatorio che le uscì dai polmoni.
Così come era arrivata subito al vertice, altrettanto in fretta si rilassò.
Era stato bello, aveva sbagliato aspettare fino a ventitré anni per toccarsi.
O forse, più semplicemente, aveva finalmente trovato la condizione in cui era in pace con se stessa.
Si addormentò senza neppure accorgersene

Michela si svegliò con una strana sensazione.
Quando apri gli occhi capì perché: si era addormentata sul prato.
Si mise a sedere guardandosi attorno: il sole era alto, dovevano essere almeno le dieci di mattina. Era ancora nuda.
Dopo un istante capì perché si era svegliata: qualcuno stava chiamando.
Allarmata cercò di vestirsi. Il suo reggiseno e le sue mutandine erano accanto a lei, ma l’umidità della notte non gli aveva fatto bene ed erano inutilizzabili.
Per fortuna la vestaglia era appoggiata su un ramo e non era bagnata. La indosso velocemente, calzò i sandali e uscì dalla radura.
Fortunatamente il luogo le aveva permesso di essere invisibile rispetto a chiunque fosse stato all’esterno, diversamente sarebbe morta di vergogna.
Quando si avvicinò a casa, vide due ragazzi fermi davanti alla porta di casa sua.
Si avvicinò a loro e chiese cosa volessero.
“Stiamo cercando Lorenzo e Maurizio – disse uno dei due, quello più alto – sono in casa?”.
Michela scosse la testa, sentendosi subito in imbarazzo quando notò che gli occhi dei due ragazzi erano puntati verso il suo petto.
Evidentemente la temperatura le aveva provocato qualcosa, perché i suoi capezzoli erano estremamente evidenti attraverso il sottile tessuto della vestaglia.
Incrociò le braccia sul petto, poi rispose: “No, non sono in casa. Cioè, ora abito io qui”.
Il ragazzo sembrò stupito. “Non c’è neppure Barbara?”, domandò.
“Non, ora ci sono io. A proposito, io mi chiamo Michela”, rispose tendendo la mano.
Anche i due ragazzi si presentarono, erano Mirko e Francesco.
Mirco guardò verso la casa. “Ti sei trasferita qui?Stai facendo dei lavori?”.
Michela annuì. “Sì, anche se da sola e credo che ci metterò un po’ di tempo”.
“Noi qualcosa sappiamo fare – disse Francescoo – dare il bianco, qualche lavoro di muratura…se hai bisogno puoi chiamarci”.
“Forse sì. Dove vi trovo?”.
Francesco sorrise:”Il paese è piccolo, basta che chiedi di noi”.
Si salutarono, poi Michela entrò in casa e si fece una lunga doccia.
La serata precedente era stata strana.
Inzuppò una spugna con il sapone e se la passò sul corpo. Le tornarono in mente le sensazioni che aveva provato la sera prima.
Una parte di lei si sentiva ancora in colpa per quello che era successo, ma un’altra parte era invece consapevole che non c’era nulla di male in quello che aveva fatto.
Era naturale, e lei faceva parte della natura.
Certo, non avrebbe dovuto abusar ne, però era consapevole come molte donne si toccassero abitualmente e non provassero nessun senso di colpa.
Come tutte le cose, forse, era solo necessario abituarsi.
Chiusa l’acqua, uscì dalla doccia e si rivestì.
Era forse arrivato il momento di andare a vedere il paese; ne avrebbe anche approfittato per portare a sviluppare le foto che avevo trovato il giorno prima.

Lasciò la pellicola dal fotografo, un signore anziano sempre sorridente con la promessa che sarebbe tornata entro un’ora a recuperare le foto sviluppate.
Girò per il paese: era una cittadina molto semplice, con pochi servizi ma complessivamente autosufficiente.
Incrociò due volte Mirco e Francesco ed entrambe le volte i ragazzi la salutarono.
Erano più giovane di lei di qualche anno, pensò, però sembrano simpatici e forse avrebbe fatto bene a raccogliere il loro invito di aiutarla a fare dei lavori.
Avrebbe dovuto pagarli, ma era convinta che sarebbero giunti ad un accordo soddisfacente per entrambi.
Tornò nuovamente dal fotografo.
L’uomo aprì un cassetto, estrasse una busta e la consegnò a Michela.
“Ha fatto a lei queste foto?”, chiese.
Michela scosse la testa. “No, perché?”.
Il vecchio scosse la testa. “Sono molto belle, se le avesse fatte lei io mi sarei stato interessato ad aiutarla. Ho una grossa esperienza. Lei comunque le guardi, se interessa anche a lei mi faccia sapere”.
Michela non capì a cosa si riferisse, mise le foto nella borsa e uscì, diretta verso casa.

Quando arrivò a casa, estrasse la busta ed esaminò le foto.
Le prime ritraevano la stalla, così come l’aveva vista. Non erano brutte foto, ma non erano particolarmente artistiche.
Le successive, invece, ritraevano una ragazza. Era nuda, era distesa su un lenzuolo in un prato, e giocava a fare la modella con il fotografo.
Era una ragazza carina, molto formosa e con un bel sorriso.
Michela notò come le prime foto fossero abbastanza artistiche, ma gli ultimi scatti fossero decisamente volgari.
La ragazza si dilatava il sesso con le dita davanti all’obbiettivo, oppure si chinava a mostrare il buco del sedere.
Passò alla nuova sequenza di foto.
Questa volta la ragazza, sempre nuda, era legata ad un tavolo. Non faticò a riconoscere il mobile: era quello visto nella stalla.
Non si era sbagliata sul suo utilizzo, evidentemente.
La foto successiva ritraeva un ragazzo, invece. Anche lui era nudo, e anche lui era legato al medesimo tavolo.
Il ragazzo gli era nuovo…
Andò in soggiorno e aprì il cassetto dove aveva stipato gli oggetti di Barbara; vi frugò dentro fino a quando non trovò delle cornici che aveva staccato dalle pareti.
Trovò quella che cercava: ritraeva la famiglia di Barbara attorno ad un tavolo, tutti vestiti bene come se fosse una festa.
Lo riconobbe senza possibilità di errore: il ragazzo legato era suo figlio, il più piccolo. Il quale, a giudicare dall’imponenza della sua erezione, era piccolo solo fino ad un certo punto.
Mise via la cornice.
Chissà cosa stava succedendo in quella foto? Barbara ne era a conoscenza?
La foto successiva le tolse ogni dubbio: al tavolo era legata una donna, e quella donna era Barbara.
Era nuda, circondata da almeno tre ragazzi.
Passò alla foto successiva; in quella i ragazzi si distinguevano anche in volto.
Constatò con stupore che uno di loro era sicuramente Mirco, il ragazzo conosciuto quella mattina.
Sfogliò le foto successive: nelle altre si vedeva anche Francesco, e nessuno aveva i vestiti addosso.
Mise via le foto, turbata.
Cosa era successo in quella casa?
Che fosse quello l’episodio che aveva tanto turbato Barbara?
Poteva essere, in effetti.
Aveva capito, inoltre, perchè il fotografo si era rivelato interessato alle foto. Cosa aveva però voluto intendere con la frase “se interessa anche a lei mi faccia sapere”?
Si alzò e si spostò nella stalla, dirigendosi verso il tavolo.
Lo spostò dalla parete e lo appoggiò per terra, poi si tolse i sandali e vi montò sopra.
Si sdraiò, portando i polsi e le caviglie in corrispondenza delle cinghie, come se fosse legata.
Chiuse gli occhi.
Si sentiva come l’Uomo Vitruviano, il dipinto di Leonardo.
Si tolse la maglietta e i jeans; sotto aveva solo un perizoma.
Si sdraiò nuovamente, cercando di immergersi nella situazione. Lei ora era una strega, catturata dalla Santa Inquisizione e pronta per essere interrogata.
Sentì un brivido attraversarle il corpo.
Che pensieri stava facendo?
Lei non era da catene e fruste, sicuramente più da fiori e carezze.
Però quel posto era magico, e la magia – si sa – è sia nera che bianca.
Ancora un brivido, mentre il suo cuore accelerava.
Immaginò uomini incappucciati e fiaccole, tenaglie e morsetti.
Si passò una mano su un seno: il capezzolo era turgido.
Immaginò il vecchio fotografo intento a fotografarla in quella posizione.
Sospirò, avvertendo un altro brivido.

Non fosse stata così presa dalle sue sensazioni, avrebbe sentito la porta aprirsi….

Barbara avanzò di qualche passo nella stalla, aspettando che i suoi occhi si abituassero all’oscurità.
Quando cominciò a vedere bene, scorse un movimento in fondo al locale.
Avanzò fino a quel punto, rimanendo immobile di fronte a quello che stava vedendo: Michela indossava solo un paio di mutandine, era distesa su un tavolo rotondo e teneva gli occhi chiusi.
Si girò su se stessa e fece per allontanarsi, ma con un piede colpì una bottiglia appoggiata a terra.
Michela aprì gli occhi di scatto, vide Barbara e istintivamente si mise a sedere, coprendosi il seno con le mani.
Barbara si rivolse alla ragazza scuotendo la testa freneticamente: “Scusa, scusa, scusa! Ho visto aperto e ho pensato di poter entrare”.
“Cosa ci fa lei qui? Perché non mi ha avvisata?”, chiese Michela con gli occhi sgranati.
Barbara si passò una mano tra i capelli, imbarazzata.
“Ero venuta a portarle un secondo mazzo di chiavi. L’ho trovato in casa e ho pensato che potesse esserle d’aiuto. Ho anche provato ad avvisarla, ma il telefonino era sempre spento”.
Michela rimase in silenzio, cercando di trovare la spinta psicologica necessaria a superare quel momento di imbarazzo.
Fu Barbara a fare il passo necessario.
“Vedo che anche lei ha trovato sul tavolo”, disse.
Michela la guardò rimanendo in silenzio, limitandosi ad annuire leggermente.
“E vedo che ha capito bene a che cosa serviva. Non era un tavolo da campeggio, l’ha capito, vero?”.
Barbara si mise a sedere sul tavolo, accanto a Michela.
“Sa che cos’è realmente questo tavolo per me? Questo tavolo è un alibi”.
Michela guardò nuovamente verso Barbara, non capendo.
Barbara sorrise e fece una carezza a Michela sui capelli.
Michela respinse l’istinto  di sottrarsi a quel tocco, ma non si mosse.
“L’alibi è quella cosa che ti permetti di dire non sono stato io – spiegò Barbara – è quel lasciapassare verso la giustificazione”.
Guardò Michela e sorrise.
Michela non capiva: “Quale giustficazione?”.
Barbara continuava a sorridere. “Ti fidi di me?”.
Michela guardò ancora, non sapendo cosa rispondere, poi annuì con il capo.
“Bene, Michela, allora rilassati. Distenditi su questo tavolo, fai come se io non ci fossi. Ti spiegherò una cosa”.
Michela non era a suo agio, ma si sarebbe sentita ridicola e in imbarazzo a dire a Barbara che non si fidava di lei.
Spostò le mani dal seno e tornò a distendersi sul tavolo, forse un po’ meccanicamente.
“Bene – disse Barbara – adesso mettiti nuovamente nella posizione in cui eri prima. Posiziona i tuoi polsi e le tue caviglie dove sono le cinghie. Chiudi gli occhi, se preferisci”.
Michela si mise nuovamente in quella posizione. Sembrava una stella distesa sul tavolo.
Barbara si alzò e si avvicinò alla mano destra di Michela. Prese la cinghia e la serrò attorno al suo polso.
“Stai rilassata, Michela. Non ti succederà niente male”.
Michela non poté fare a meno di ricordarsi delle foto che aveva visto; persone legate su quello stesso tavolo, di Barbara stessa.
Cosa aveva in serbo per lei? Avrebbe forse fatto meglio a ribellarsi e ad andarsene?
Intanto che formulava questi pensieri, Barbara le chiuse anche la cinghia attorno al polso sinistro. Ruotò attorno al tavolo e le immobilizzò anche le caviglie, poi tornò a sedersi accanto a lei.
“Ti ho detto che questo tavolo era un alibi, prima. Adesso ti spiego perché”.
Allungò una mano verso Michela e, lentamente, le fece passare le unghie sulla pancia.
Era un movimento dolce, Michela sentì un brivido a propagarsi per tutto il corpo.
“Non devi dirmi niente, Michela. Ma se ti è piaciuto questo, hai già capito quello che intendevo. Perché tu, adesso, non sei nella condizione di opporti a quello che ti sto facendo. E quindi, se ti è piaciuto, puoi accantonare i tuoi sensi di colpa senza nessun tipo di problema. Non devi chiedere a te stessa se stai facendo bene a continuare, se invece non dovresti fermarmi, perché non puoi. Questo tavolo, queste cinghie, ti permettono di dire a te stessa che quello che è capitato non è dipeso da te, che tu avresti anche fatto meno di questo, ma è successo e non hai potuto impedirlo”.
Barbara accarezzò ancora la parte superiore del corpo di Michela.
Le passò una mano sulla pancia, poi salì e, con la stessa mano, le accarezzò i seni.
Michela sospirò, sperando che la donna non se ne accorgesse.
“Abbiamo tutti bisogno di alibi – continuò Barbara – ci permettono di vivere, di superare quei momenti in cui quello che ci piacerebbe fare è contrario a quello che ci hanno insegnato essere meglio”.
Barbara si alzò dal tavolo e si avviò verso la credenza, quindi aprì un cassetto. Prelevo un paio di forbici e tornò verso Michela.
Prese in mano il laccetto del perizoma di Michela e, senza dire nulla, lo fece passare tra le lame delle forbici.
Michela trasalì, ma non disse nula.
Barbara diede un taglio netto, poi eseguì la stessa operazione anche sull’altro lato.
Prese le mutandine di Michela e le appallottolò.
Michela, distesa sul tavolo e ora completamente nuda, non sapeva cosa fare.
Barbara sembrò leggerle nel pensiero: “Non devi porti il problema, Michela. Non puoi fare nulla, devi solo accettare quello che io sto facendo. Avere alibi è molto comodo, te ne accorgerai da sola”.
Barbara passò nuovamente una mano sulla pelle di Michela, provocandole un altro brivido.
“Ha lavorato qui per un certo periodo una ragazza chiamata Sara – continuò – Lei era nata in una famiglia fortunata: avevano soldi, avevano potere, avevano possibilità. Suo padre era una persona molto potente e molto importante. Però Sara si rendeva conto che la sua personalità, i suoi desideri, erano in contrasto con quella che era la sua educazione”.
Barbara allungò la mano verso la pianta del piede di Michela e vi passò un dito, con molta lentezza.
Michela chiuse gli occhi: quel tocco le piaceva immensamente.
“Come poteva Sara conciliare queste due cose? Come poteva trovare un compromesso tra una sua natura che la spingeva ad accoppiarsi con chiunque vedesse, e un’educazione che invece si aspettava da lei che si trovasse un fidanzato e lo sposasse?”.
Barbara continuò a carezzare i piedi di Michela, che nel frattempo aveva cominciato a sospirare senza preoccuparsi di farsi notare.
“Sara inventò un sistema molto semplice. Decise di ubbidire qualunque ordine si sentisse dare. Io l’avevo assunta per lavorare qui, niente di più”.
Barbara passò la mano lungo il polpaccio di Michela, poi risalì lungo la coscia. Si fermò a qualche centimetro dal suo inguine.
“Ma quando vidi che Sara ubbidiva a qualunque cosa le chiedessi, quando notai che lei non sembrava chiedere altro che un nuovo ordine, intuii la sua natura. Provai a spingere un pochino, e le chiesi di essere un po’ disinibita con i miei figli”.
Michela pensò alla ragazza nuda nelle foto. Doveva essere lei.
Barbara spostò la sua mano sulla pelle di Michela, come se le sue dita fossero delle gambe che camminavano.
Si spostò su, poi lei stimolò l’ombelico con piccoli tocchi molto leggeri.
“Questa ragazza, Sara, non vedeva l’ora che le dessi un ordine del genere. Si spogliò davanti ai miei ragazzi, si fece toccare, li toccò. Onestamente, non pensavo che neppure si sarebbe avvicinata a fare quelle cose”.
Barbara passò il palmo della mano sul corpo di Michela, indugiando sui suoi seni dove i capezzoli erano già rigidi. Poi, sempre senza staccare la mano, tornò verso il suo pube.
Le passò un dito tra le labbra.
“La spiegazione è semplice: lei aveva bisogno di questo, e quando io le ho dato mezzo ordine, lei ha deciso che quello sarebbe stato il suo alibi per fare tutto quello che voleva. Voleva che qualcosa la autorizzasse ad essere zoccola”.
Michela era eccitata, il tocco della mano di Barbara la stava scaldando.
“Veniamo a te, Michela. Tu sei mai stata con una donna?”.
Michela guardò verso Barbara e fece no con la testa.
“Forse non tutti avresti mai trovato il coraggio di andare da una tua amica e chiederle di provare con te. Non sarebbe stato consono all’educazione che tutti noi abbiamo ricevuto. Però adesso tu non puoi fare niente, perché sei immobilizzata”.
Barbara affondò con il dito tra le labbra di Michela, massaggiandola in maniera sempre più pesante.
Ora Michela era decisamente bagnata, non vedeva l’ora che Barbara introducesse le dita dentro di lei.
“È successo anche a me, non credere. Io avevo il desiderio di fare sesso con degli amici di mio figlio, posso ammetterlo con te. Come avrei potuto andare da dei ragazzi di cui avrei potuto essere la madre e chiederglielo? Allora ho permesso che mi legassero qui, e il resto è avvenuto da solo. Non sono stata io”.
Michela emise un altro gemito, questa volta più forte del precedente.
Barbara la guardò e sorrise, poi, lentamente, introdusse un dito dentro di lei.
Michela inarcò la schiena e, spalancata la bocca, gemette a bassa voce.
Barbara si chinò su di lei e le passò la lingua su un capezzolo.
Michela sospirò nuovamente, sollevando il busto per facilitare il compito alla donna.
Barbara si spostò sull’altro capezzolo, vi poggiò la bocca sopra e lo strinse tra i denti, leggermente.
Michela sospirò ancora.
Cosa sta capitando? Cosa sto facendo? – pensò – Ho un ragazzo, so bene cosa mi piace e cosa no. Però adesso non posso oppormi a questa cosa“.
Alibi, certo.
Barbara introdusse un secondo dito dentro la vagina di Michela.
La ragazza era molto bagnata, con il bacino prese a muoversi assecondando i movimenti della mano di Barbara.
Barbara si chinò sul viso di Michela e, accostatasi all’orecchio, le infilò la punta della lingua dentro.
Michela sentì un brivido attraversarle tutto il corpo.
Barbara aumentò ancora la velocità della mano, provocando un tumulto di sensazioni. Spostò la bocca verso quella di Michela, e vi appoggiò le labbra contro.
Michela non pensò neppure, aprì la bocca e saettò la lingua in quella di Barbara.
Barbara inserì un terzo dito nella vagina di Michela, sentendo che la ragazza non sarebbe durata ancora a lungo.
Michela sentì aumentare la presenza dentro di sé, e sentì allo stesso modo quanto poco avrebbe potuto ancora resistere.
Si abbandonò a queste sensazioni, lasciò che il suo corpo parlasse per lei.
Spalancò la bocca e urlò, mentre l’orgasmo l’attraversava dalla punta dei piedi a quella dei capelli.
Si abbandonò sul tavolo ansimando, mentre Barbara sfilava con delicatezza la mano da dentro di lei.
La donna sorrise. “Hai visto? Non hai potuto fare nulla per opporti a me. Non è colpa tua”.
Barbara si alzò e slancio le cinghie che legavano Michela.
Michela si mise a sedere.
“Ora ti lascio ai tuoi pensieri, e ti lascio ovviamente anche le chiavi”.
Estrasse dalla borsa un mazzo di chiavi e lo posò sul tavolo.
“Ora ti saluto, ho una famiglia a cui badare. Se hai bisogno, chiamami”.
Si chinò, diede un bacio sulle labbra di Michela e si allontanò di qualche passo.
“Comunque anche a me piacciono gli uomini – aggiunse voltandosi prima di uscire – Però non c’è niente di male a togliersi qualche curiosità ogni tanto”.

“Mi dispiace, ma credo che non ci siano più i presupposti per stare insieme”.
Queste erano state le ultime parole di Paolo, al telefono, la sera precedente.
Michela si mise a sedere sul letto e decise che era giunto il momento di alzarsi. Non aveva per nulla dormito la notte precedente, ma aveva comunque tante cose da fare e non sarebbe servito a niente rimanere a letto.
Anzi, magari tenendosi impegnata si sarebbe dimenticata di quello che era appena successo.
Per certi versi era inevitabile. Erano troppo diversi, e poi adesso questa cosa della casa lontana non aveva aiutato il loro rapporto a rimanere saldo.
Michela alzò le spalle e si vestì. Se doveva essere una nuova vita, allora a questo punto che lo fosse completamente: casa nuova, paese nuovo, e magari anche il ragazzo.
Era carina, era simpatica, era giovane: non c’era niente che le mancasse, e vaffanculo anche a Paolo. Sarebbe stato lui a sentire la sua mancanza, certamente.
Uscì di casa e andò in paese. Aveva diverse cose da comprare, e poi voleva ancora familiarizzare con il posto.
Erano successe molte cose da quando era arrivata lì, benché fosse passato soltanto qualche giorno.
Aveva scoperto la sua natura nascosta, aveva conosciuto Barbara e quello che la donna era stata capace a farla farle. A volte uno passa una vita senza cambiare, e poi in qualche giorno succede di tutto.
Sicuramente anche questo aveva la sua importanza, forse veramente la separazione con Paolo stava giungendo nel momento migliore.
Un anno prima, forse, avrebbe accusato il colpo, avrebbe patito molto lo stare da sola.
Invece ora vedeva chiaramente l’opportunità di una cosa del genere.
Perché si è sentita in colpa, non poteva negarlo, dopo essere stata toccata con barba Barbara. Non era stato propriamente sesso, e poi c’era l’alibi perfetto di essere stata legata, però era contrariata che le fosse piaciuto.
O meglio, era stupita che le fosse piaciuto.
Fosse stata ancora con Paolo, avrebbe probabilmente patito quella la parte di lei curiosa di esplorare nuove esperienze, contrapposta all’altra parte che invece non avrebbe voluto cambiare.
Ora invece aveva la possibilità di far convivere queste parti e, tutte assieme, lanciarsi verso il resto della vita.
Senza accorgersene, si era portata sulla strada in cui c’era il fotografo e, una dozzina di metri avanti, lo vide sull’uscio del negozio.
“E se mi chiede qualcosa?”.
In effetti non aveva più pensato alla proposta che le aveva fatto. E, in fin dei conti, che proposta era? Cosa realmente vuole quel vecchio da lei?
Senza pensarci, si accorse che aveva rallentato il passo. Aveva paura di affrontare il vecchio.
Una parte di lei, però, si rendeva conto che la vita nuova passava anche da quello; da aprirsi nuove esperienze senza precludersi nulla.
Più porte aperte, più possibilità.
“Se me lo propone di nuovo, non gli dico di no”.
Ecco l’alibi. Avrebbe fatto decidere al destino: lei non si sarebbe proposta al vecchio, ma non si sarebbe opposta ad una sua proposta.
Era abbastanza equo in fin dei conti.
Quando arrivò in prossimità del negozio, il fotografo si voltò verso di lei, la riconobbe e sorrise.
Anche lei ricambiò il sorriso e rallentò il passo.
“Buongiorno, signorina. Cercava me?”.
Michela scosse la testa. “No, passavo solo di qua. Stavo facendo delle commissioni”.
“E, certo, in un paese piccolo come questo prima o poi ci si incontra tutti i giorni”, commentò il fotografo.
Rimase in silenzio per qualche secondo, durante il quale Michela si domandò se lui non si stesse ricordando della proposta che le aveva fatto.
Era quasi delusa, per certi versi.
Il vecchio fotografo si grattò la testa, forse un po’ imbarazzato.
“Senta, signorina, per quella cosa che le ho chiesto l’altro giorno…”.
“Sì, mi ricordo”.
“Se le interessa, possiamo parlarne”.
Michela cercò di assumere un’espressione sorpresa. “È vero, sa che non ci avevo pensato?”.
Stava mentendo malamente e se ne rendeva conto.
Abbassò lo sguardo. “No, veramente, ci ho pensato”.
“E…?”.
Michela prese fiato. “E penso che non ci sia niente di male. Si può provare”.
Sospirò a lungo. Ora il dado era tratto.
Il vecchio si produsse in un sorriso ampio.
“Sono contento. Sa, è sempre difficile in un paese come questo trovare i giusti soggetti”. Con la mano indicò la piazza davanti al lui.
Michela era imbarazzata. “Eh, sì”, commentò.
“Quando vuole iniziare?”, chiese il vecchio.
Michela sentiva il cuore battere fortissimo. Sapeva che, se avesse messo del tempo davanti a lei, avrebbe cambiato idea.
“Anche adesso”, rispose.

Il vecchio sorrise e annuì a lungo. “Bene, tanto sono in un momento in cui non ho molto da fare. Venga solo un attimo dentro”.
Entrarono nel negozio e il fotografo allungò verso Michela una fotocopia.
“Cos’è?”, chiese Michela.
Il vecchio alzò le spalle: “Le solite formalità. È la liberatoria per poter fare delle foto”.
Michela lesse le prime righe, poi prese la penna e firmò velocemente.
“Cosa facciamo? Dove andiamo?”.
Il vecchio si grattò la nuca. “Sa, io appartengo alla vecchia generazione di fotografi che apprezza molto una luce naturale. Visto che è una bellissima giornata, potremmo approfittarne e trovare una location qua nei paraggi”.
Michela sorrise. Anche lei preferiva non essere in una stanza con lui. Sembrava una brava persona e non era più un giovanotto, per non si sa mai.
Il vecchio prese un paio di borse, contenenti l’attrezzatura, e uscirono entrambi dal negozio. Appese il cartello “torno subito” e la fece salire in macchina.
“Ci mettiamo solo una decina di minuti, ho già in mente dove andare”.

Venti minuti dopo, arrivarono sulla riva di quello che era un piccolo laghetto naturale. Il fotografo aveva ragione: quello era un posto ottimo.
Michela era comunque imbarazzata. “Cosa devo fare”.
Il vecchio alzò le spalle. “A me piacciono molto le cose naturali, quindi io direi che, una volta trovato il set giusto, io posso cominciare a fare un po’ di foto e tu ti comporti naturalmente. Magari ne scarteremo tante, ma così facendo sono convinto che il risultato sarà molto naturale e molto di qualità”.
“Ma io sono così, in camicetta e jeans!”, fece osservare Michela.
Il fotografo sorrise paterno:”Stai serena, che va benissimo!”.
Si spostarono presso alla riva del lago. Il fotografo recuperò una fotocamera dalla borsa, fece qualche regolazione e poi la puntò verso Michela.
“Per me, da questo momento possiamo iniziare”.
Michela cercò di reprimere l’agitazione che la scuoteva, e sorrise verso l’obiettivo.
Si tolse i sandali e si coricò nella sabbia. Dopo qualche scatto, si slacciò la camicetta.
Gli fece fare qalche scatto, poi se ne liberò.
Sotto aveva un reggiseno nero, fortunatamente molto coprente. Anche se supponeva che presto o tardi si sarebbe liberata anche di quello.
Si sfilò i jeans, ora era soltanto più intimo.
Il fotografo scattava a raffica, si fermava solo ogni tanto per darle qualche consiglio, tipo dove indirizzare lo sguardo, oppure se sorridere o no.
Lui era molto professionale, Michela si sentì a suo agio abbastanza in fretta. Le sembrava di aver posato per una vita, e non che quello fosse in assoluto il suo primo servizio.
A quel punto si sentì libera di osare un po’ di più. Si slacciò il reggiseno e lo gettò fuori dal campo di macchina fotografica.
“Brava, vedo che sei a tuo agio. Sono contento”, disse il fotografo
Michela in realtà era un po’ tesa: non era solita mostrarsi in pubblico, oltretutto facendosi fotografare. Però, come si era detta proprio quella stessa mattina, era importante per lei iniziare una nuova vita, e prima sarebbe iniziata meglio sarebbe stato per lei.
E poi, in fin dei conti, si stava solo divertendo e non stava facendo del male a nessuno. Certo, Paolo non avrebbe approvato, ma si era tirato fuori da solo.
Sempre sorridendo alla camera, si sfilò anche le mutandine.
Questo era veramente inedito per lei, ma cercò di reprimere l’istintivo senso del pudore e cerco di dimostrarsi sciolta.
Il fotografo scattò diversi scatti frontali, poi le chiese di sdraiarsi a pancia in giù.
Michela eseguì le disposizioni, rabbrividendo leggermente quando la sua pancia entrò a contatto con la sabbia. Il fotografo le scattò alcune fotografie di fronte, nelle quali i suoi capezzoli si immergevano nella sabbia, poi si spostò dietro di lei.
“Apri leggermente le gambe, per piacere”.
Michela eseguì, pur rimanendo sempre coricata.
“Perfetto. Ora mettiti a carponi, per cortesia”.
Questa era una richiesta già un po’ più insolita, Michela eseguì.
In fin dei conti, come era fatta il fotografo l’aveva già visto da parecchi minuti e l’aveva anche ben fotografato.
Mentre era in quella posizione, sentì delle voci.
“Sta arrivando qualcuno!”.
Il fotografo interruppe gli scatti e guardò nella direzione.
No, sono solo i ragazzi, non preoccuparti”.
Dopo qualche istante emersero da dietro su una collinetta Mirco e Francesco, che Michela aveva già conosciuto un paio di giorni prima.
Michela si irrigidì istintivamente e si chiese come mai il fotografo non li stesse mandando via, ma non osò muoversi.
Il fotografo sembrò leggere i suoi pensieri, e le disse: “Non preoccuparti, sono bravi ragazzi e non ti faranno niente”.
Evidentemente, nel suo mondo il fatto di farsi vedere senza vestiti da persone dell’altro sesso non doveva costituire un problema.
I due ragazzi si avvicinarono e si misero a sedere accanto al fotografo, che nel frattempo non stava smettendo di scattare fotografie.
“Questa è Michela, la conoscete?”, Disse.
Si – disse Mirco – ci conosciamo già. Ciao Michela!”.
Michela, sempre a carponi, salutò con la mano, imbarazzata dalla situazione.
“Bene, ora voltatii. Sdraiati di schiena sulla sabbia”. Michela si girò, esponendosi totalmente alla vista dei due ragazzi.
“Bene, ora devi essere molto sensuale. Passa ti una mano sul corpo, come se stessi accarezzandoti. Tieni gli occhi socchiusi”.
Michela chiuse gli occhi e, con la punta delle dita, si accarezzò il torace e la pancia. Sentì un brivido, forse anche per il freddo .
Il fotografo continuava a scattare, e continuò a farlo anche quando lei, fugacemente, con la punta di un polpastrello si sfiorò il clitoride.
“Brava, bella idea! Continua così!”.
Michela si era già pentita di aver osato tanto, ma ora non si sentiva in diritto di smettere.
Prese ad accarezzarsi, cercando da una parte di far finta che non ci fossero altre persone, dall’altra di non farsi coinvolgere troppo.
Sicuramente non voleva venire davanti a loro.
Non ce ne fu bisogno: quando appena stava cominciando a sentirsi eccitata, il fotografo la fermò.
“Sentite, mi è venuta un’idea. Perché non intervieni nella foto anche tu, Mirco?”.
Mirco rise. “Nudo?”.
Il vecchio rise: “No, con lo scafandro! Certo che devi essere nudo, imbecille! Ne abbiamo anche già fatte, non ricordi?”.
Il ragazzo non replicò ulteriormente, si alzò in piedi e cominciò a spogliarsi.
Michela notò che nessuno aveva chiesto il suo parere, ma pensò che fosse una cosa normale quando una modella lavora con un fotografo professionista: è lui che decide, lei fa quello che lui le dice.
Mirco si liberò di tutti i vestiti. In effetti non era per niente male: il viso forse non era nulla di eccezionale, ma aveva veramente un bel fisico. Tra l’altro, lo stato del suo membro tradiva come – almeno un po’ – lei gli stesse probabilmente piacendo.
“Ok, ragazzi, tutti e due in piedi, accostate vi come se doveste baciarvi “.
Michela si avvicinò, e appoggiarono le pance una contro l’altra; poi gli cinse la vita con le braccia, e lui fece lo stesso.
Michela non poté fare a meno di avvertire la presenza del membro di lui, ma Mirco non ne sembrava imbarazzato.
“Avvicinate le labbra, ma non baciatevi”.
Si avvicinarono e il fotografo scattò.  
“Bene, adesso un bel bacio!”.
Avvicinarono le labbra e si baciarono. Michela aveva pensato che sarebbe stato un bacio di scena, un bacio finto, invece sentì subito la lingua di Mirco entrare nella sua bocca.
Glielo fece comunque fare, non le dispiaceva.
Sentirono gli scatti della macchina fotografica.
“Ok, ragazzi, adesso cambiamo. Michela, per cortesia, inginocchiati davanti a lui”.
Michela rimase di sasso.
“Devo inginocchiarmi?”.
“Sì, certo, devi inginocchiarti. Dai, che perdiamo la magia!”.
Non osò protestare e si mise in ginocchio sulla sabbia. Inevitabilmente, il membro di Mirko era all’altezza del suo viso.
“Michela, prendilo in mano e guarda verso la fotocamera sorridendo”.
A Michela sembrava tutto un po’ esagerato, ma, tra tutti, sembrava l’unica a pensarlo.
Prese in mano il membro di Mirko e lo strinse. Lo sentì subito diventare duro.
Il fotografo fece alcuni scatti, poi li stoppò con una mano.
“Adesso cambiamo strumento, che viene meglio”.
Posò la macchina fotografica ed estrasse una piccola telecamera. “Così non ci perdiamo i dettagli”.
La puntò verso i ragazzi e la azionò.
“Ok, ragazzi, ora dovete eseguire quello che io vi dirò. Poi in fase di montaggio la mia voce verrà tagliata, non preoccupatevi”.
Michela l’ultima delle preoccupazioni che aveva era la voce nel montaggio del fotografo.
“Bene, Michela, ora apri la bocca e prendilo dentro. Fagli un pompino, insomma, credo che tu sappia di cosa parliamo”.
Ovviamente Michela sapeva di cosa parlava, ma era onestamente la prima volta che si trovava in quella situazione.
Aprì la bocca e accolse il membro di Mirkc, che subito sospirò.
Lei non osava guardare verso la telecamera, abbracciò la vita del ragazzo e gli afferrò le natiche. Aveva un bel sedere tornito, era facile intuire che facesse sport.
“Mirco, se senti che sta è venire dimmelo, ok?”, disse il vecchio.
“No, per adesso tutto bene”, rispose.
“Bene, meglio così. Adesso, senza farlo uscire dalla bocca, per piacere Mirco sdraiati sulla sabbia e Michela continua a tenerlo in bocca. Tu, Francesco, preparati”.
Mirco si abbassò lentamente e si sedette sulla sabbia, allargando le gambe per permettere a Michela di continuare a tenere il suo membro in bocca.
Lei si mise carponi e continuò a succhiare.
“In che maniera devo prepararmi” , chiese Francesco.
“Devi spogliarti, su! Devo dirvi tutto io?”.
Michela non guardava in quellla direzione, anzi, aveva semplicemente gli occhi chiusi, ma sentì Francesco dopo qualche secondo dichiarare di essere pronto.
“Dai, Francesco, ora mettiti dietro di lei e penetrala. Non è necessario che sia anale, non farle male, tanto la differenza non si vede”.
Michela sentì dei passi dietro di lei e subito dopo le mani di Francesco che le cingeva i fianchi.
Un istante dopo, sentì il glande di lui solleticarle le labbra.
Un attimo dopo era dentro.
Il vecchio continuava a girare, facendo con le dita il simbolo di ok.
“Ragazzi, questa cosa e da premio Oscar! Continuate così, siate naturali!”.
Michela accettò il consiglio e decise di non fare più caso alla telecamera.
Non aveva mai fatto niente del genere, mai rapporto a tre – anche se qualche volta ne aveva fantasticato – ma in quel momento sarebbe stato peggio interrompere che continuare.
Si concentrò meglio su Mirko, che già da qualche minuto stava ansimando in maniera più convinta.
Gli strinse lo scroto con la mano e, con la lingua, gli stimolo l’intero corpo del suo membro.
Dopo qualche minuto, Mirko disse che stava per venire.
Il fotografo si rivolse a Francesco: “Tu ce la fai a venire assieme a Mirko?”.
Francesco non rispose, ma aumentò la velocità. Appoggiò la sua pancia sulla schiena di Michela e le afferrò i seni, stringendoli.
Anche Michela stava per venire, e tutto successe nel giro di qualche secondo.
Per primo venne Mirco nella bocca di Michela, poi lei. Trenta secondi dopo anche Francesco si produceva in una specie di ululato e veniva dentro di lei.
La magia, come l’aveva chiamata il fotografo, si interruppe in quel momento.
Michela si slacciò dai due ragazzi e si trovarono tutti quanti in piedi uno accanto all’altro, forse un po’ imbarazzati per la prima volta.
“Dai, ragazzi, siete stati fantastici! Datevi un bacino di ricompensa, ve lo meritate!”.
Michela baciò velocemente i due ragazze, poi si rivestirono tutti quanti.

Il viaggio di ritorno verso il paese fu particolarmente silenzioso
“lo so che la prima volta è un’esperienza forte – disse il fotografo – ma, come tutte le esperienze forti, se non le si fanno non si vince mai la timidezza. Tu sei andata molto bene, molto meglio di quello che avevo immaginato”.
Michela annuì, guardando la strada
“I due ragazzi era previsto che arrivassero?”, chiese.
Il fotografo scosse la testa. “No, sono passati di qua per caso. Però ho interpretato la loro visita come un segno del destino, segno che dovevamo fare quello che abbiamo fatto. Non preoccuparti, sei stata bravissima”.
Michela si fece scaricare a casa e si gettò sotto la doccia.
Aveva ancora bisogno di abituarsi a questa sua nuova vita.

Michela passò i giorni successivi in casa. Voleva assolutamente terminare tutti lavori per potersi installare e poter definire quella, finalmente, come casa sua.
Ritornò in paese quando ebbe bisogno di fare un po’ di spesa e di comprare qualcosa.
Quando si trovò a passare per il centro, notò che il fotografo era ancora sulla porta del suo negozio.
Quando la vide, le sorrise in maniera molto aperta e fece un passo verso di lei.
“Signorina, che piacere vederla! Mi sono dimenticato di chiedere il suo numero di telefono la scorsa volta”.
Michela notò che era nuovamente tornato a darle del lei.
Gli strinse la mano e si mise sulla difensiva.
“Per quale motivo aveva bisogno del mio numero di telefono?”, domandò.
Il fotografo si guardò in giro, poi le disse: “Venga dentro”.
Si accomodarono nel negozio, dove – come al solito – non c’era nessuno.
“Ho fatto girare un po’ le sue foto – cominciò il fotografo – e ho avuto diverse risposte”.
Michela strabuzzò gli occhi. “Cosa vuol dire che ha fatto girare le mie foto? Chi le ha dato l’autorizzazione?”.
Il vecchio alzò le spalle: “L’autorizzazione me l’ha data lei. Ha firmato una liberatoria l’altro giorno, non se ne ricorda?”.
A riprova di quello che diceva, estrasse da un cassetto il foglio firmato da Michela. La ragazza lo guardò questa volta con maggiore attenzione: aveva ragione lui.
“Sì, ma io in realtà non credevo che lei le avrebbe fatte vedere in giro”.
Il vecchio sorrise: “Signorina, per quale altro scopo le avrei scattate? Ho settant’anni, se ho voglia di vedere una ragazza senza vestiti posso procurarmi delle foto in maniera molto più veloce; come tutti, del resto. In ogni caso, non deve avere timore le sue foto sono state inoltrate solo professionisti del settore”.
Michela non riusciva a crederci. “È quale sarebbe questo settore?”.
Il vecchio sorrise: “Vediamo subito le proposte che mi sono arrivate”.
Prelevò dalla tasca posteriore dei pantaloni un foglio, lo aprì e inforcò un paio di occhiali.
“Per quanto possa sembrare paradossale – disse con il tono di chi è competente in materia – il porno in questo momento non paga tantissimo. C’è una vera inflazione del genere, ragazzine che si riprendono con il telefonino, coppie che si filmano mentre scopano…Bassa qualità, ovviamente, ma il mercato li recepisce ugualmente”.
Michela non credeva alle proprie orecchie! veramente quell’uomo pensava che lei sarebbe stata interessata a buttarsi sul porno?
“Guardi che io non ho nessuna intenzione – spiegò – quello che è stato è stato, ma basta così!”.
Il vecchio non sembrò turbato.
“Ovviamente è lei che decide, ci mancherebbe – rispose – io non pensavo che lei volesse diventare una di professionista del porno, o anche solo una occasionale. Non avrei cercato di contattarla, però, se non mi fosse arrivata una proposta che ho ritenuto interessante”.
Tra di loro calò un silenzio che durò qualche secolo.
Il fotografo riprese a parlare prima che Michela potesse pensare.
“Facciamo così – disse – io le do l’indirizzo Web di questa gente. Lei vede cosa fanno e mi fa sapere. Con calma, senza nessuna fretta. Tenga presente che, come probabilmente ha intuito, questi pagano bene, almeno rapportato all’impegno che viene richiesto”.
Prese un foglio da un blocchetto e con una penna stilografica scrisse l’indirizzo e il suo numero di telefono.
Lo porse a Michela. “Lei gli dia un’occhiata e mi faccia sapere. Fossi in lei non disdegnerei l’opzione. Se serve, potrei accompagnarla io, sono anche abbastanza vicini e io ho tempo libero”.
Michela prese il foglio, lo mise in tasca e tornò a casa.
Michela passò i giorni successivi in casa. Voleva assolutamente terminare tutti lavori per potersi installare e poter definire quella, finalmente, come casa sua.
Ritornò in paese quando ebbe bisogno di fare un po’ di spesa e di comprare qualcosa.
Quando si trovò a passare per il centro, notò che il fotografo era ancora sulla porta del suo negozio.
Quando la vide, le sorrise in maniera molto aperta e fece un passo verso di lei.
“Signorina, che piacere vederla! Mi sono dimenticato di chiedere il suo numero di telefono la scorsa volta”.
Michela notò che era nuovamente tornato a darle del lei.
Gli strinse la mano e si mise sulla difensiva.
“Per quale motivo aveva bisogno del mio numero di telefono?”, domandò.
Il fotografo si guardò in giro, poi le disse: “Venga dentro”.
Si accomodarono nel negozio, dove – come al solito – non c’era nessuno.
“Ho fatto girare un po’ le sue foto – cominciò il fotografo – e ho avuto diverse risposte”.
Michela strabuzzò gli occhi. “Cosa vuol dire che ha fatto girare le mie foto? Chi le ha dato l’autorizzazione?”.
Il vecchio alzò le spalle: “L’autorizzazione me l’ha data lei. Ha firmato una liberatoria l’altro giorno, non se ne ricorda?”.
A riprova di quello che diceva, estrasse da un cassetto il foglio firmato da Michela. La ragazza lo guardò questa volta con maggiore attenzione: aveva ragione lui.
“Sì, ma io in realtà non credevo che lei le avrebbe fatte vedere in giro”.
Il vecchio sorrise: “Signorina, per quale altro scopo le avrei scattate? Ho settant’anni, se ho voglia di vedere una ragazza senza vestiti posso procurarmi delle foto in maniera molto più veloce; come tutti, del resto. In ogni caso, non deve avere timore le sue foto sono state inoltrate solo professionisti del settore”.
Michela non riusciva a crederci. “È quale sarebbe questo settore?”.
Il vecchio sorrise: “Vediamo subito le proposte che mi sono arrivate”.
Prelevò dalla tasca posteriore dei pantaloni un foglio, lo aprì e inforcò un paio di occhiali.
“Per quanto possa sembrare paradossale – disse con il tono di chi è competente in materia – il porno in questo momento non paga tantissimo. C’è una vera inflazione del genere, ragazzine che si riprendono con il telefonino, coppie che si filmano mentre scopano…Bassa qualità, ovviamente, ma il mercato li recepisce ugualmente”.
Michela non credeva alle proprie orecchie! veramente quell’uomo pensava che lei sarebbe stata interessata a buttarsi sul porno?
“Guardi che io non ho nessuna intenzione – spiegò – quello che è stato è stato, ma basta così!”.
Il vecchio non sembrò turbato.
“Ovviamente è lei che decide, ci mancherebbe – rispose – io non pensavo che lei volesse diventare una di professionista del porno, o anche solo una occasionale. Non avrei cercato di contattarla, però, se non mi fosse arrivata una proposta che ho ritenuto interessante”.
Tra di loro calò un silenzio che durò qualche secolo.
Il fotografo riprese a parlare prima che Michela potesse pensare.
“Facciamo così – disse – io le do l’indirizzo Web di questa gente. Lei vede cosa fanno e mi fa sapere. Con calma, senza nessuna fretta. Tenga presente che, come probabilmente ha intuito, questi pagano bene, almeno rapportato all’impegno che viene richiesto”.
Prese un foglio da un blocchetto e con una penna stilografica scrisse l’indirizzo e il suo numero di telefono.
Lo porse a Michela. “Lei gli dia un’occhiata e mi faccia sapere. Fossi in lei non disdegnerei l’opzione. Se serve, potrei accompagnarla io, sono anche abbastanza vicini e io ho tempo libero”.
Michela prese il foglio, lo mise in tasca e tornò a casa.

Quando tornò a casa, Michela era ancora sconcertata. Che idee si era fatto quel tipo di lei?
Forse aveva sbagliato a cedere a quella curiosità, a farsi fotografare.
Non penso più all’episodio e si dedicò nuovamente alla casa, questa volta al giardino.
Fu solo in serata, dopo aver lavorato duramente per qualche ora ed essersi fatta una doccia rilassante, che ritrovò il biglietto consegnatole dall’uomo.
Aprì il computer e visitò il sito Web indicato. Era in camera da letto in accappatoio.
Effettivamente, sembrava una cosa diversa dal solito porno.
Il tema principale del sito era il solletico, in tutte le sue forme. Non era tecnicamente neppure un sito pornografico, anche se il disclaimer diceva: “”.
Esplorò le pagine.
C’erano ragazze che facevano solletico ad altre ragazze, uomini a donne, che erano nude, vestite, in bikini, o anche soltanto a piedi nudi.
Effettivamente sembrava esserci un ventaglio di scelta molto ampio, e molte delle performance raffigurate in foto erano sicuramente anche alla sua portata.
Trovò all’interno del sito una pagina chiamata compensi.
Fermo restando che si riservavano di valutare ogni singola modella – è ovviamente era il minimo – i compensi variavano secondo diversi parametri.
Ovviamente, più impegnativa sarebbe stata la prova, maggiore il compenso.
Non sarebbe stato solo per quello, ma un po’ di soldi non avrebbero fatto male, soprattutto in quel momento in cui aveva capito di non poter contare più su Paolo.
Non era una cattiva proposta, in fin dei conti.
Inoltre, l’idea che qualcuno le accarezzasse i piedi non le dispiaceva per niente.
Un conto erano le fantasie, ma avrebbe potuto fare veramente quelle cose?
Si accorse che il suo corpo stava reagendo spontaneamente alle immagini: i capezzoli si erano leggermente irrigiditi e sentiva il cuore battere con pochettino più forte.
Guardò l’ora: erano neppure alle sette di sera. Prese il telefonino e chiamò il vecchio fotografo.
“Senta, non vuol dire che va bene, ma sto guardando il sito, quello del solletico.”.
“Le è piaciuto?”.
Michela cercò di sminuire: “Sì, non è male. Pensavo che magari si potrebbe andare a parlare con queste persone”.
Sentì l’entusiasmo nella voce del fotografo: “Certo, ho parlato con loro proprio ieri e sono disponibili ad incontrarti. Vuoi che ti accompagni?”.
Michela non aveva molta voglia di essere nuovamente con lui. Cerco di trovare una scusa plausibile: “Veramente pensavo di andarci con il mio ragazzo, se non è un problema”.
Il vecchio non sembrò minimamente contrariato: “Non c’è nessun problema, sei tu che decidi. Se vuoi telefono subito a queste persone e ti faccio sapere”.
Michela trasse un sospiro. Giunta a questo punto, cosa poteva fare?
“Sì, va bene. Aspetto sue notizie”.
Forse stava combattendo, mai avrebbe pensato di poter fare delle cose del genere. Erano i soldi la cosa importante, pensò.
Le venne da sorridere: aveva ragione Barbara, si stava cercando un alibi.
Poteva anche ammetterlo, quelle cose la attiravano.
Si alzò in piedi, si liberò dell’accappatoio e si sdraiò sul letto.
Quelle foto le aveva fatto venire in mente certe cose.
Si sarebbe toccata solo un pochino, solo per stare bene.

Michela ricevette l’SMS proprio mentre stava venendo.
Quando smise di ansimare, si sollevò dal letto e lesse il messaggio: era la conferma dell’appuntamento; sarebbe stato già per il giorno successivo.
Bene, adesso le rimaneva solo da trovare un fidanzato, come aveva detto al fotografo.
Chi chiamare?
Prese il telefonino e scorse la rubrica telefonica. Chiamare Paolo era fuori discussione, e non solo perché si erano lasciati da poco. Paolo non era e non sarebbe mai stato il tipo di uomo che può apprezzare cose del genere, a maggior ragione in un momento come quello.
Il suo sguardo si posò alla lettera M, e nello specifico al nome di Marcello.
Marcello era un suo ex, si erano lasciati anni prima ma i rapporti non si erano mai del tutto interrotti. Si sentivano ancora talvolta, sempre all’insaputa dei rispettivi compagni.
Marcello sapeva tutto di lei, e oltretutto, essendo stati assieme, aveva un elevato grado di confidenza.
Avrebbe potuto chiedere a lui?
Sfogliò qualche altro nome, senza successo.
Non aveva grosse alternative, a meno che non scegliesse di andarci da sola o – peggio ancora – con il fotografo.
Premete il tasto di invio chiamata e fece la telefonata.
Dieci minuti dopo andava a letto contenta.

Marcello si rivelò un compagno di viaggio molto discreto e molto affidabile. Michela gli raccontò soltanto che sarebbe andata a fare un servizio fotografico e che aveva bisogno di qualcuno con cui fosse in confidenza. Marcello non chiese quale tipo di servizio fotografico lei fosse in procinto di effettuare, ma Michela lasciò trasparire il fatto che potesse essere un po’ trasgressivo.
Arrivarono presso la casa di produzione nel primo pomeriggio, dove Michela aveva appuntamento con un certo Ettore.
Dopo essere stata annunciata da una segretaria, Michela venne ricevuta.
Entrarono entrambi nel suo ufficio. Nei suoi pensieri, si era immaginata un posto con un certo squallore: foto pornografiche alle pareti, monitor che trasmettevano film porno in continuo, falli di plastica sulla scrivania come fossero dei fermacarte.
E invece niente di tutto questo: l’ufficio era pulito e ordinato come quello di un’assicurazione.
“Noi qui facciamo affari e vendiamo un prodotto – disse Ettore, come se le avesse letto nel pensiero – sappiamo cosa vuole il mercato e cerchiamo di darglielo. Il tutto pagando un prezzo che riteniamo congruo sia per noi che per le modelle. Qualche domanda, signorina?”.
Michela era decisamente a disagio, forse questo approccio molto professionale l’aveva spiazzata molto di più di quello che avrebbe previsto.
“Non so, non so cosa chiedervi neppure. Di cosa si tratta?”.
“Noi produciamo filmati, la cui durata media è di circa un’ora. Durante quest’ora, la modella viene solleticata. Non in maniera continua e costante, sarebbe forse anche pericoloso, ma questa è l’essenza. In taluni casi creiamo delle piccole storie, come se fossero dei piccoli film, ma non è richiesta alcuna capacità di recitazione. I parametri di quest’ora vengono decisi di comune accordo”.
“Cosa si intende con parametri?”, chiese Michela.
Ettore estrasse da un cassetto un foglio che assomigliava a un tariffario e lo porse verso Michele.
“Può guardare da sola: lei può decidere se farsi fare il solletico in bikini, in topless o nuda. Può decidere quali parti del corpo farsi toccare. Può decidere se, durante la sessione di solletico, potrà anche avere un orgasmo forzato”.
Quest’ultima cosa non era chiara a Michela, e lo chiese.
“Significa semplicemente che qualcuno la masturba – sorrise – Come vede dai prezzi, maggiori saranno le libertà che ci concederà, maggiore sarà il compenso. Come vuole ogni mercato, dopotutto”.
Michela guardò il tariffario: effettivamente la differenza che c’era tra essere nuda o parzialmente vestita era elevata, così come sarebbe stata pagata molto poco se avesse acconsentito a farsi fare il solletico solo sotto la pianta dei piedi.
“Chi mi farà il solletico?”, chiese.
“Quello lo decidiamo noi. In ogni caso si tratta di una persona che sa quello che fa, e tutta la sessione viene monitorata in maniera attenta. Per quanto possa sembrare ovvio, attorno alla modella ci sono almeno un cameramen e un microfonista, oltre al regista che sovrintende le riprese e, spesse volte, ci sono anche io. Dovesse sorgere qualunque problema, si interviene subito, va da sé”.
Michela chiese ancora: “Lui potrebbe farmi il solletico?”, indicando Marcello.
Ettore scosse la testa. “No, quello lo facciamo sempre noi. Però potrà assistere alle riprese, per quello non c’è nessun problema”.
Tra loro calò un silenzio di qualche secondo, a quel punto Ettore disse: “Se avete bisogno di qualche minuto per prendere una decisione, io vi lascio da soli”.
Senza aspettare risposta si alzò e uscì dalla stanza.

“Secondo te cosa dovrei fare?”, chiese Michela a Marcello.
Marcello sorrise. “Se vuoi fare una cosa del genere, falla bene. Se hai deciso di fare questo tipo di esperienza, per me va bene e non ti dirò che fa il male. Però, ti ripeto, se vuoi farla, falla bene”.
Michela sentì il cuore accelerare. “E quindi ? cosa mi consigli di fare ?”.
“E quindi scegli l’opzione completa. Per come la penso io, venire qui, farsi fare il solletico sotto ai piedi e uscirne con cinquanta euro non merita. Se hai bisogno di cinquanta euro, te li do io e non ti chiedo nulla in cambio. Però tu hai già visto che, se fai tutto, ne esci con quasi uno stipendio. E, detto tra noi, non faresti nulla di male e nulla che potrebbe essere motivo di vergogna”.
“Veramente la pensi così? In fin dei conti sarei nuda, mi potrebbe vedere chiunque”.
Marcello alzò le spalle: “Capirai che tipo di scandalo è, ora come ora, una ragazza nuda. In Internet ce ne sono decine di migliaia nuove ogni giorno, non sarai tu a fare la differenza. Poi, se siamo qui, una parte di me pensa che tu questa cosa l’hai già valutata”.
Michela annuì, proprio mentre Ettore stava tornando in ufficio.
“Allora, avete deciso?”.
Michela sorrise: “Sì, ho deciso. Scelgo l’opzione più alta”.
Ettore sorrise: “Bene, sono contento che abbia fatto questa scelta. Le faccio firmare il contratto e, se vuole, possiamo iniziare anche subito”.
Questa tempestività quasi spaventò Michela che guardò subito verso Marcello. Il ragazzo sorrise: “Visto che siamo qui…”.

Michela venne accompagnata in una sala in cui faceva molto caldo. “È logico – pensò – dovrò stare senza vestiti”.
Ettore le presento il cameramen, il microfonista e un’altra ragazza. Era molto alta e aveva lunghi capelli rossi.
“Questa è Alessia, sarà lei a farti il solletico”.
Michela non aveva inteso che sarebbe stata una ragazza a toccarla, ma non disse nulla.
Alessia le sorrise, le diede la mano e un bacio su una guancia, poi le disse: “Non preoccuparti, sei in buone mani”. Rise alla sua stessa battuta.
Al centro della sala c’era una struttura metallica fatta a X, parallela al pavimento, come fosse un tavolo.
Era facile intuire che Michela avrebbe dovuto essere legata lì.  
Ettore le indicò un paravento appoggiato ad un angolo della stanza. “Se sei pronta, puoi andare a spogliarti là dietro. Troverai anche un paio di slip, indossali”.
Michela sentiva il cuore battere fortissimo, guardò verso Marcello che le fece l’occhiolino e le disse di stare tranquilla.
Si portò dietro al paravento e si liberò dei vestiti, non senza disagio.
Sembravano tutti molto professionali, non c’era l’atmosfera da maniaci che si sarebbe aspettata di trovare.
Inosssò il perizoma e trasse un sospiro: da quel momento in poi non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
Uscì dal paravento, coprendosi il seno con le mani. Si rendeva conto che aveva poco senso, ma non poteva farci nulla.
“Sei pronta?”, le chiese ancora Ettore.
Fece cenno di sì con la testa.
“Bene, allora sdraiati sul tavolo”.
Michela si sedette sulla struttura metallica e, con circospezione, si sdraiò.
Era rivestita in pelle e imbottita come i tavoli per i massaggi, non era scomoda.
Quello che le avevano presentato come cameramen si avvicinò ai suoi polsi e li assicurò con delle cinghie; poi fece lo stesso con le caviglie.
Ettore le si avvicinò. “Come stai, sei scomoda?”.
Michela scosse la testa.
“Aspettiamo due minuti, nel frattempo arriva il regista”, disse guardando l’orologio.
Si avvicinò anche Marcello.
“Sei tranquilla?”, chiese.
“Sì, non preoccuparti”. Lo era veramente, l’atmosfera era molto buona.
Marcello, senza dire nulla, le passò una mano sul seno.
“Che fai? – protestò Michela – Chi ti ha dato l’autorizzazione?”.
Marcello alzò le spalle. “Nessuno. Però mi andava di farlo e tu non puoi ribellarti”.
Michela non fece in tempo a rispondere che si udì un vociare alle sue spalle.
“Eccomi, scusate il ritardo!”, disse una voce maschile.
Michela sentì un colpo al cuore. Quella voce non le era per nulla nuova.
Il nuovo arrivato arrivò vicino al tavolo e si bloccò.
“Riccardo! – disse Michela sotto voce – Cosa ci fai qui?”.
Si conoscevano da anni, era uno dei suoi migliori amici!
Avrebbe voluto morire.
Riccardo le sorrise.
“Ma guarda un po’ chi si vede! Come mai qui? Passavi per caso?”.
Michela diventò coloro porpora. Era a seno nudo davanti a lui, legata; non avevano mai avuto quella confidenza. Per non parlare del motivo per cui si trovava in quella condizione.
“Dio che vergogna! Ti prego, non è come sembra….”, abbozzò.
Riccardo le fece una carezza su una guancia.
“Non devi giustificare nulla, siamo entrambi qui, mi pare. Parliamo dopo, ora siamo in ritardo con la produzione”.
Fece un passo indietro e si rivolse agli altri.
“Ok, se siamo tutti pronti al mio tre si gira. Tu fai un piano sequenza sul tavolo con la camera a mano e poi ti metti qui, a quel punto entrerà Alessia e farà il suo show. Posizionate bene i microfoni perchè è importante che si sentano le risate. Qualche problema?”.
Nessuno rispose.
“Ottimo! Allora, ragazzi, tre, due, uno…azione!”.

Il cameraman si avvicinò al tavolo e fece un primo piano sul volto di Michela, poi scese lentamente lungo il corpo.
Michela sapeva che gli attori professionisti non dovrebbero mai guardare in camera, ma non si curò della cosa.
Dopo la lunga carrellata, Michela sentì uno scalpiccio di tacchi.
Sollevò la testa per guardare: Alessia stava avanzando verso di lei.
Aveva un’espressione truce in volto e, soprattutto, era completamente nuda, fatta eccezione per i tacchi a spillo. Non se lo aspettava, anche se non si stupì.
Non le disse una parola: le fece una carezza sul volto, poi, con la punta delle unghie, scese lentamente sul suo torso.
Le passò le unghie sui seni, sulla pancia, poi scese lungo le gambe.
Quando arrivò ai piedi si fermò un attimo, poi, sempre con la punta delle dita, le accarezzò la pianta.
Michela istintivamente cercò di ritrarsi, ma le cinghie le impedivano ogni tipo di movimento.
Alessia passò ancora sotto al piede, questa volta con maggiore decisione.
Michela deglutì, ma sentiva che stava per cedere.
Ancora, questa volta due dita.
Le sfuggì una risata.
Come fosse un segnale, Alessia prese a farle il solletico.
Michela sentì come se la stesse sconquassando dentro: prese ad agitarsi e a ridere senza freni, mentre sotto i suoi sforzi il tavolo ondeggiva leggermente.
Non seppe quanto durò il supplizio, forse solo qualche minuto, ma quando terminò era distrutta.
Alessia la scrutò con sguardo malizioso, poi si chinò sul suo piede.
Lentamente, socchiudendo gli occhi, le passò la lingua sotto la pianta.
Michela sentì un brivido partirle dal piede ed attraversarle tutto il corpo.
Sospirò, chiudendo gli occhi.
Ancora la lingua di Alessia, e questa volta un brivido ancora più forte.  
La ragazza si avvicinò al suo volto e si chinò su di lei.
“Ti piace, eh?”, le sussurrò calda, poi le passò la lingua sulle labbra.
Michela aprì la bocca e lasciò che Alessia le insinuasse la lingua dentro. Ricambiò il trattamento, passandole le sua sul palato.
Aveva un buon sapore, non aveva mai baciato una ragazza prima di quel momento.
Alessia le accarezzò un seno e le pinzò un capezzolo tra le dita, poi si accostò al suo inguine.
Le passò sensualmente la mano sul ventre, poi, molto lentamente e i favore di camera, slacciò uno dei laccetti dello slip.
Con molta maestri eseguì la stessa operazione anche per l’altro lato, poi prese il piccolo pezzo di stoffa che ancora le copriva il sesso e lo lasciò cadere per terra.
Sempre con lentezza, con due dita le sfiorò il sesso.
Michela sospirò, sentendo come il suo corpo già si stesse preparando per quello che sarebbe capitato.
Alessia le sorrise, si chinò su di lei e le passò la lingua su clitoride.
Fu tutto molto lento e molto sexy; Michela spalancò la bocca e lasciò uscire un gridolino.
Non visto, Marcello sorrise: sapeva bene che quell’urletto era segno che Michela stava andando su di giri.
Alessia intensificò la frequenza delle sue leccate, Michela quella dei gridolini.
Riccardo fece segno al microfonista che si avvicinasse, in modo da captare meglio i suoni.
Quando a Michela mancavano pochi istanti per venire, Alessia si bloccò.
Guardò Michela negli occhi, come per sfidarla, e con le unghie le toccò le ascelle.
“No, ti prego!”, disse Michela.
Alessia sorrise perfida, e prese a farle il solletico sotto alle ascelle.
Michela strabuzzò gli occhi e prese a dimenarsi sul tavolo.
Alessia sapeva fare il suo mestiere e le provocò ondate di brividi in tutto il corpo.
Michela si agitò, si dimenò e urlò, ma Alessia non si fece turbare.
Le passò le dita sulla pancia, sui fianchi e sul collo, poi ancora sulle ascelle e sull’inguine.
Ogni tocco le provocava solletico, Michela era ormai entrata in un vortice di sensazioni in cui non riusciva a smettere di ridere.
“Ti prego, basta!”, si sentì dire, ma Alessia sembrò non aver sentito.
Le mani della ragazza le passarono ancora sul seno e sotto la pianta dei piedi, mentre Michela arrivava alla conclusione che quei soldi se li stava guadagnando tutti.
Quando pensò di essere arrivata alla fine della sopportazione, Alessia si fermò.
Si guardarono negli occhi per qualche istante, come a sfidarsi, poi Alessia le passò ancora una mano sul seno, questa volta accarezzandola.
Si allontanò di qualche metro, e quando tornò nel campo visivo di Michela aveva in mano un flacone.
Lo aprì e rovesciò il contenuto sulla pancia di Michela.
Era fresco.
Alessia intinse le mani nella crema e la spalmò sul corpo di Michela.
Era olio per massaggi, o qualcosa di molto simile.
Era profumato, e le dava una piacevole sensazione.
Alessia non si risparmiò nelle carezze, tanto che Michela chiuse gli occhi per godersi questo momento di relax.
Alessia le carezzò le cosce e i polpacci, poi si spostò sui suoi piedi.
Michela sentì con preoccupazione le dita della ragazza sotto la sua pianta, ma questa volta non aveva intenzioni crudeli.
Le accarezzò lentamente la pianta dei piedi, provocandole un’estrema sensazione di benessere.
Quando ormai Michela era perfettamente rilassata, Alessia impugnò un oggetto.
Benchè non ne avesse mai fatto uso, Michela sapeva perfettamente riconoscere un vibratore.
Alessia lo accese e lo accostò al clitoride di Michela.
Ci mise solo qualche secondo a ritrovare l’eccitazione, e la pressione dell’oggetto sul suo punto più sensibile le provocò subito un gridolino.
Alessia sorrise e la baciò nuovamente sulle labbra, mentre con un movimento esperto le introduceva il vibratore nel corpo.
Michela non resistette: prese subito ad ansimare, cercando contemporaneamente la bocca di Alessia e la sua lingua.
Alessia torse il vibratore dentro di lei, unendo a quella stimolazione anche quella del suo polpastrello sul clitoride.
Michela si sentì percorsa dai brividi, e dopo poco venne, urlando.
“Stop! – urlò Riccardo – Bravissime, questa è perfetta!”.   

Alessia si produsse in una specie di applauso, il cameraman spense la telecamera e il microfonista abbassò il suo strumento di lavoro.
“Bene, questa è finita – disse Riccardo ad alta voce – Ora tutti via, che abbiamo altro da fare”.
La troupe ritirò gli attrezzi e uscì rapidamente dalla porta. Nella stanza rimasero solo Michela, Riccardo e Marcello.
Michela era ancora nuda e legata al tavolo, imbarazzata dalla situazione.
“Ehi, mi liberi per cortesia!”, urlò all’indirizzo di Riccardo.
Questi sembrò ignorarla, e si rivolse invece a Marcello.
“Siete tornati assieme? – gli chiese – Non lo sapevo. Tu non stavi con un’altra?”.
Marcello scosse la testa.
“No, non stiamo assieme. L’ho solo accompagnata qui, non voleve venire da sola”.
Riccardo sorrise e si avvicinò a Michela.
“Capisco, qui c’è certa gentaglia”, scherzò.
Con noncuranza, le passò una mano sulla pancia.
Michela trattenne il fiato. Cosa voleva Riccardo?
Erano anni che si conoscevano, ma mai aveva osato metterle una mano addosso, neppure per sbaglio.
“Ho visto il tuo video, quello in cui te la fai con i due ragazzini. Molto eccitante, complimenti”, disse Riccardo.
“Quale video?”, chiese Marcello, stupito.
Riccardo si rivolse a Marcello. “Non lo sapevi? Michela ama i rapporti a tre. Almeno parrebbe”.
Le fece un’altra carezza, questa volta sul seno.
Michela trattenne il fiato.
“Non è proprio così…era una situazione di scena…”, provò a giustificarsi la ragazza, rendendosi conto tardi di avere la voce rotta.
“Un rapporto a tre? – chiese Marcello, incredulo – Ma se quando stavamo assieme eri tutta sostenuta, tutta per benino!”.
Michella diventò rossa.
“Ragazzi, ora basta! Slegatemi, per piacere!”.
Riccardo sembrò non averla sentita, e le passò una mano sul sesso.
Michela non se lo aspettava e fece un sospiro.
“Senti, è già bagnata…”, commentò Riccardo.
“Riccardo, siamo amici, perchè mi fai questo?”, chiese Michela, virando verso lo stridulo.
“Guarda che io ti sono ancora amico, e non ti sto facendo nulla. Sei tu che hai chiesto di essere qui, non io. Io sto solo cercando di farti capire la tua dimensione, quello che realmente ti piace”.
Passò ancora una mano sull’inguine di Michela, che questa volta emise un flebile gridolino.
“Vedi? Non dirmi che non ti piace!”, le disse.
“Riccardo, sono già molto imbarazzata, non peggiorare la situazione. E slegami, per piacere!”.
Il ragazzo ignorò completamente la richiesta, allungando nuovamente la mano verso il pube di Michela.
Appoggiò due dita sul suo clitoride e prese a massaggiarlo, con lenti movimenti circolari.
Michela provò a liberarsi, ma le cinghie erano troppo strette per potersi anche solo muovere.
Reclinò la testa indietro e chiuse gli occhi.
Era venuta non meno di dieci minuti prima, e già era eccitata nuovamente.
“Riccardo….”, disse, ma si capiva dal tono di voce che aveva perso molta convinzione.
La mano del ragazzo le circondò il sesso, frizionandolo con il palmo.
Michela emise un flebile gemito, poi sentì i muscoli tendersi.
Sentì due mani afferrarle i seni, e aprì gli occhi. Era Marcello.
Abbozzò una protesta, ma si ammutolì subito.
Che senso aveva protestare, in quella situazione?
E soprattutto, perchè avrebbe dovuto farlo? Il suo corpo le stava dicendo a chiare lettere che tutto quello le piaceva.
Riccardo aumentò l’intensità del suo tocco e Michela sentì se stessa gemere con una maggiore velocità.
Era talmente presa da quello che stava capitando che non si accorse che il cameraman, che fino a un attimo prima era stato discretamente in un angolo, si era ora avvicinato e li stava riprendendo da vicino.
Riccardo fece una pausa e si slacciò i pantaloni, lasciandolo cadere alle caviglie, poi si abbassò anche i boxer.
Il suo pene era già eretto e pronto.
Si accostò a Michela e, con la punta del glande, stimolò le grandi labbra.
Michela capì cosa stava accadendo, ma non si turbò.
Era chiaro che sarebbe successo, si sarebbe stupita del contrario.
Riccardo scivolò agevolmente dentro di lei, e venne gratificato con un lungo gemito.
Prese subito ad agitarsi dentro di lei.
Michela reclinò la testa per prendere fiato, e solo in quel momento si accorse che anche Marcello si era abbassato i pantaloni.
Non fece in tempo a chiedersi cosa sarebbe successo che il pene di lui le si accostò alle labbra.
Aprì la bocca e lasciò che entrasse dentro.
Avrebbe voluto essere libera in modo da poterli toccare, ma le mani di Marcello sui suoi seni le restituirono forti emozioni, soprattutto quando anche Riccardo prese ad accarezzarle le gambe.
Era più di un’ora che era legata, le dolevano le giunture, ma non voleva che tutto quello finisse.
Sicuramente, una volta terminato tutto, si sarebbe ampiamente vergognata di quello che stava facendo, ma in quel momento non voleva pensarci.
Per altro, dubitava che sarebbe riuscita a fermare i ragazzi.
Riccardo pompava con energia sempre maggiore, mentre Marcello sembrava godere della lingua di Michela in maniera molto passiva.
Ad un certo punto sentì le unghie di Marcello pizzicarle le tette.
Dopo un attimo capì il motivo: le venne in bocca.
Ingoiò il seme, chiedendosi se la posizione anomala della sua testa non l’avrebbe piuttosto portata a tossire.
Non ebbe problemi, mentre Riccardo intensificava sempre di più le sue penetrazioni, con botte sempre più forti.
Alzò la testa per guardarlo, e in quel momento si rese conto del cameraman.
Il suo corpo reagì nella maniera meno prevedibile: venne.
Inarcò la schiena, quel poco che le era permesso dalle cinghie, e urlò.
“Vieni!”, urlò, rivolta a Riccardo.
Il ragazzo le strinse le coscie e venne anche lui, abbandonandosi un attio dopo sul corpo di Michela.
Rimasero entrambi ad ansimare per qualche secondo, poi Riccardo si ricompose.
Si allacciò nuovamente i pantaloni e si passò una mano tra i capelli. Anche Marcello si era vestito, nel frattempo.
“Mi slegate, ora?”.
I ragazzi si mossero contemporaneamente e la liberarono dai legami.
Michela flettè le gambe e si mise a sedere.
Era molto indolenzita, soprattuttto alle spalle.
Avrebbe voluto farsi una doccia, ma non lì, a casa sua.
“Posso rivestirmi?”, chiese.
“A meno che tu non voglia soddisfare anche lui – scherzò Riccardo, indicando il cameraman – direi che abbiamo finito”.
“Stupido!”, rise Michela, e si spostò verso il paravento.

Cosa doveva fare?, si chiese rivestendosi.
Doveva uscire e dire ai ragazzi che era stata una stupidaggine e che non sarebbe più successo?
Era il caso di smorzare l’estasi di un momendo come quello con una frase così secca e, per altro, così banale?
E poi, poteva giurare che non sarebbe più capitato?
Da come si era eccitata guardando la telecamera non si sentiva di sbianciarsi.
Una trasgressione ogni tanto è lecito concedersela, no?

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