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Racconti sull'Autoerotismo

PIGRIZIA ACCIDIOSA

By 16 Settembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Tutto era iniziato per pigrizia, una pigrizia accidiosa che lo inchiodava davanti allo schermo del computer, speziando la sua osservazione con dosi consistenti di morbosità, a curiosare su ciò che producevano o replicavano donne in cerca di comprensione e carezze amiche più che di quel sesso, motore diretto o indiretto delle menti maschili.
Senza saperlo, queste creature femminili, ormai abituate ed un destino piatto e scontroso, trovano una sorgente per alimentare il serbatoio dei loro sorrisi riempiendo di parole, suoni ed immagini gli spazi concessi dal Grande Fratello Internet. Sono eroine incomprese da un mondo che le vorrebbe servili e succubi e dalla moltitudine di uomini che le vorrebbe sempre ammiccanti e disponibili, sempre pronte ad eccitarsi ed a farsi coinvolgere in erotici giochi, a perdere discernimento e volontà per diventare schiave e adoratrici del membro maschile eretto.
Lui non era così ipocrita da atteggiarsi a virtuoso dichiarandosi estraneo alla massa; apprezzava la dolcezza e la delicatezza delle scelte di questa minoranza che sa immaginare e sognare correndo dietro a piccole cose. Però, nell’humus dei suoi pensieri, si mescolavano componenti travisanti e fuorvianti.
Furono, appunto, queste componenti ad attirare in particolare la sua attenzione sul sunto, così ho seppe dopo, di un racconto; scritto da mano femminile, che narrava di un incontro germogliato in uno scambio di messaggi via e-mail. Il capitolo che descriveva il momento in cui la loro comunanza si completa aggiungendo allo scambio di idee anche la conoscenza corporea ed intima attraverso il godimento del sesso, gli era parso, infatti, alquanto lacunoso e scarno. Comunicò d’impulso all’interessata questa sua impressione ed ebbe una risposta che lo sorprese, lusingandolo ed avvincendolo allo stesso tempo: un piccolo miracolo, se i miracoli esistono, venne increspando il calmo trascorrere della sua solitudine.
Per entrambi, la motivazione iniziale fu quasi subito accantonata dalla scoperta che avevano acceso un fuoco al quale potevano scaldarsi insieme e nacque un dialogo intimo e personale, ricordi ed esperienze recenti e passate dove s’inserivano frammenti descrittivi della rispettive quotidianità quel tanto che bastava per impedire di degenerare in vanagloriose menzogne o stupide illusioni.
Divenne un assiduo scambio di sentimenti tra due umanità che non conoscevano l’uno dell’altro l’aspetto fisico, le consuetudini, il carattere, i gusti nell’abbigliamento. Però lei, con istintivo inconscio femminile, dipingeva scene che davano intimità al colloquio e che consolidavano una familiarità che nessuna fotografia o descrizione avrebbe potuto dare: ”Lavati i piatti, mi sono seduta al computer per risponderti” ” Ora che ho rigovernato la casa, posso finalmente risponderti” ” Gli altri dormono ed io posso godermi la gioia che provo nel risponderti” ” nel fine settimana, libera dal lavoro posso risponderti con la calma che auspico”
Lui, nella sua inadeguatezza nel ricambiare queste piccole perle, provava una grande tenerezza come se fosse lì, silenzioso al suo fianco, ad aspettare la fine delle sue incombenze domestiche, permeato dell’inutilità ingombrante dell’uomo che non aiuta in casa, per dare il via ad un intreccio di quelle frasi dolci e di quell’erotismo scherzoso che è bello di per sé e non chiede seguiti.
C’è una capacità nelle donne, forse eredità atavica, di vivere l’immaginario come se fosse realtà e di armonizzarlo con la propria situazione di vita cancellando con un sorriso tutto quello che potrebbe essere pericoloso o turbativo. Lui era uomo e non possedeva questa virtù sentendo sempre presente, nel turbinio della sua mente, una specie di ansia dove un’arida ferita di ciottoli e sabbia aveva sostituito lo scorrere gorgogliante dell’acqua per inaridimento delle sorgenti. Nel tentativo di cancellare queste tristi sensazioni, cercava di diluire il suo dire e non osava cedere all’istintiva voglia di supplicare un telematico scambio di reciproche erotiche lascivie. Temeva l’introduzione di argomenti poco graditi a quella donna che lui sentiva profondamente amica e conosceva pure la tristezza della fine e lo squallore delle cose che eccitano i sensi senza dare loro soddisfazione.
Sapeva di essere un uomo fortunato; viveva un rapporto di coppia che riteneva raro ed eccezionale con una condivisione di tempo e pensieri che si era raffinato e consolidato negli anni (che non erano pochi) di vita insieme. Si trattava di un’esistenza costruita una sull’altro dove frequentazioni ed amicizie avevano pressoché perso la loro ragione di essere, bastando ad entrambi lo stare insieme. Il sesso aveva trovato una spontaneità che ne aveva migliorato il suo godimento. Era sempre stato il piacere di sentirsi veramente uniti, ma, specie per lei, col tempo era diventato anche una prova d’amore che non poteva essere concessa se qualche contrarietà o risentimento turbava la loro comunanza. Erano momenti di profonda e silenziosa angoscia per tutti e due originati, il più delle volte, dall’intuizione, per altro vera, di lei che le fantasie e i desideri di lui volavano lontano verso altre mete femminili. Val bene il paragone del fumatore incallito che spegne la sigaretta decidendo di non fumare più, ma che accende la prima che gli viene offerta. Era la seconda volta che succedeva, complice il computer. Però la prima era stata una cosa un po’ frivola. Qui, invece, c’era, almeno così pareva, una profondità di sensazioni e idee che coinvolgeva ed eccitava più della vista di una nudità sensuale ed un poco perversa.
Due persone che molto hanno detto dei loro pensieri, ma nulla quasi del loro aspetto e delle loro abitudini. L’uomo ha raggiunto l’età nella quale l’istinto erotico ha bisogno di pause molto più lunghe per trovare soddisfazione. Quindi, gli dovrebbe bastare comunque una sola donna anche se questa, rispetto ai maschi, ha appetiti sessuali che richiedono pasti più intervallati e, soprattutto, dovrebbe provare un realistico scetticismo circa l’utopia romantica dell’attimo di felicità intensa che vale una vita. La donna, magari lei non la pensa così, ha un carattere forte che le ha fatto e la fa superare gravi difficoltà e miserie quotidiane, che ha saputo lasciare le melme dove l’avevano cacciate le sue origini per volare in alto. Nella sua maturità piena, gestisce con autorevolezza le sue gioie e le sue malinconie, trovando un’inconfessata serenità.
Per un caso quanto mai improbabile e fortuito, per uno di quegli imprevedibili vuoti di realismo e volontà, dimenticando per una volta di valutare eventuali conseguenze, questi sue elementi umani decidono d’incontrarsi. è una specie di salto nel buio, ma loro hanno fiducia e credono che qualcosa di meraviglioso ed irrepetibile accadrà. Una parentesi nella vita da conservare segreta, da ricordare, se proprio l’impulso è incontenibile, in qualche pagina ingiallita conservata in qualche nascondiglio intimo ignoto a tutti, che qualche figlio o nipote forse troverà casualmente dopo la morte.
C’era stato un mattino in cui lui le aveva scritto, in un impeto istintivo e tra il serio ed il faceto, ‘tu sei la mia musa” La sua risposta era stata ambigua: aveva citato profumi carichi di immagini erotiche, ma aveva anche concluso con l’invito a consigliarli alla sua compagna di vita e di letto. Questa osservazione aveva aperto e chiuso innumerevoli porte, aveva lasciato l’uomo in uno stato di quasi abbattimento dopo quanto aveva visto in molte delle stanze nelle quali aveva sbirciato. Poi era arrivata la possibilità di vedersi. Era stato abbastanza facile perché le scuse e la menzogne ognuno le aveva già predisposte da tempo perché, anche se non se n’era fatta parola, sia lei che lui sapevano e volevano.
Ventiquattr’ore di tempo tutto per loro, con in mezzo la notte. Mentre, solo tra la gente, andava dalla donna che, come lui, non aveva perso nel passare del tempo la giovanile incoscienza d’un appuntamento clandestino, pensava a quei profumi afrodisiaci che lei aveva nominato considerando che sarebbe stata un’ingenuità un po’ ridicola se ne avesse fatto uso. Un peccato molto veniale, comunque, un chiaro ed evidente segnale sul sentiero da percorrere nell’esplosione dei sensi.
Di comune accordo, hanno deciso che l’impatto dell’incontro non sia in un luogo pubblico, come un caffè o una piazza, bensì nel chiuso d’una stanza. Tutto sarà più semplice ed anche più libero.
Sono lì, in piedi una di fronte all’altro a pronunciare le solite, banali parole d’inizio alle quali segue l’imbarazzo e l’emozione del silenzio in cui si confermano impressioni, si colmano lacune.
Nel ruscellare del loro dialogo, erano scorsi pensieri e ricordi, confidenze pudicamente intime. Ben poco era, invece, trapelato del reciproco aspetto, cosicché ciascuno se l’era costruito nel proprio immaginario.
Sono gli attimi in cui gli occhi scacciano il timore d’un repentino addio e gettano la semente dalla quale germoglia il desiderio. è una gioia che fa di speranza realtà demolendo i castelli di sabbia della fantasia per sostituirli con una verità avvincente. Una donna ed un uomo, tornati nel cuore bambini, che si prendono metaforicamente per mano per saltare il ruscello ed entrare nello spazio segreto dei loro giochi.
C’è un’immobilità strana dove nessuno dei due osa una parola od un gesto. è lui a rompere questo incantesimo che li trasforma in statue di pietra. La sua è quasi una fuga verso un vicino divano, la vuole accanto e la invita con un timido cenno della mano, il braccio appoggiato sullo schienale a livello di spalla, desideroso e pronto ad accoglierla. Vive attimi a lungo sognati guardando colei che ha sempre solo immaginato mentre si avvicina, tra il serio ed il sorridente. C’è un misto di sobrietà ed eleganza nella sua figura. Nulla del suo aspetto tradisce ciò che ribolle nella mente d’entrambi; ma quei pochi passi sono armonia di donna suonata per il suo uomo.
Lei esita nell’abbandonare il suo capo nell’incavo della sua spalla, lo fissa direttamente negli occhi con lo sguardo ritrovato di ragazzina fiduciosa ed attenta. Basta una leggera carezza sui suoi capelli per farla scivolare stretta al petto di lui a gustare la sensazione intensa della sua mano di maschio che rinnova, lenta e monotona, la scoperta della morbidezza del seno per poi scendere e stringere spavalda la carne delle cosce e dei fianchi. Sulle loro guance passano vampe di calore che sono i riflessi delle fiamme che bruciano dentro. Nell’apparente inerzia del corpo femminile, quel brancicare che non trova il coraggio di insinuarsi sotto gli abiti, fa rizzare l’invisibile peluria delle cute come per brividi di freddo. L’uomo è quasi stanco di questo suo carezzare un po’ casto, tutto il suo sesso è un obelisco abbattuto nascosto nella sabbia del deserto. C’è una non dichiarata speranza che diventa realtà quando quella mano di donna dormiente tra spalla e collo va a posarsi su quel monolito, stringendolo sopra la stoffa, percependone il suo pulsare. L’indice scorre sulla cerniera come per chiedere il permesso di aprire quel cancello. No, l’atmosfera piena di comunanza di pensieri e desideri non può essere distrutta da manovre un poco squallide su attributi maschili o femminili emergenti da un ammasso di indumenti come la zona d’intervento tra i teli di un tavolo operatorio. Richiede la nudità dei due corpi che hanno sperimentato la loro affinità già con le parole e che ora la vogliono completare incasellando nella mente immagini, tepori, umori reciprocamente scambiati.
Non ci sono domande né perplessità per quel gesto interrotto. Il silenzio continua mentre lei si alza e, con palese indifferenza come per un gesto abitudinario, comincia a spogliarsi, deponendo ordinatamente su una sedia maglia, camicetta e pantaloni. C’è una gioventù ritrovata, sopravvissuta a dolori ed insidie vicine e lontane; c’è la pienezza di una gioventù non interamente vissuta che rispunta in quel corpo sotto il grigio non violentato dei suoi capelli, sotto il viso d’una matura bellezza. Si toglie il reggiseno ed offre al suo amante i seni reggendoli a coppa con le mani: un impulso, mai provato e osato, che è preambolo di una libidine libera finalmente raggiunta. Poi, come se ricordasse un particolare trascurato, accennando con la mano al rosso vivo del cotone delle mutandine da ragazzina che indossa, sussurra: ‘Le ho messe apposta per te” E il silenzio ritorna. Davanti a lei c’è l’uomo che la penetrerà, ancora impacciato nei suoi abiti, che la guarda con un’intensità che và ben al di là del desiderio, che pensa a quanta euforica allegria ci sia in quella femminilità vestita solamente di un triangolo del colore dell’amore e da un paio di tubolari bianchi. ‘ Gli slip me li toglierai tu” dice.
è conscio della sua età; ma, più che mostrare i segni del tempo, prova una ritrosia quasi vergognosa nell’esibire l’inestetismo, almeno così lui crede, del suo membro eretto. Lei certamente riderebbe se sapesse di questa sua fisima. Lo pensa mentre si libera di ogni indumento, tutti insieme quelli dalla vita in su, insieme jeans e mutande per espletare il più velocemente possibile questa pratica ‘burocratica’.
Sordo alle scherzose proteste di lei e incurante dei suoi ballonzolanti pendagli inguinali, lui ha giocato un poco con quel suo perizoma riducendolo ad un cordoncino infilato nella fessura delle natiche, o forzandone la sgambatura fino ad evidenziare la forma della passerina e lasciare scoperta la peluria del pube. Per farlo smettere, lei si è tolta quel piccolo ingombro.
Sono sdraiati sulle coperte del letto, lei maneggia quel coso indurito che preme sulla sua pancia, struscia i capezzoli induriti sul suo torace, lui le carezza con una mano la nuca mentre con l’altra le esplora delicatamente le profondità dell’utero che cede pian piano a quella forzatura facendosi invitante e bagnato d’umori.
La postura è cambiata, il maschio si preme al petto il dorso della sua femmina, le mani avvinghiate sulle sue turgide tette. La femmina guida il pene dentro la sua fessura bagnata. Sdraiati su un fianco, ci sono una vestale della lussuria che affonda il braccio inarcato all’indietro fra le cosce del suo dio pagano. Un dio di carne che la imprigiona con una mano sul monte di venere, che vorrebbe entrare ancora di più in quell’antro umido ed intimo, dove la sua mascolinità si agita. Poi, con un inarcare di fianchi, lui è sopra a lei, prona, senza che la spada esca dal fodero. Non c’è possesso nell’uomo né sottomissione nella donna; solo concessioni altruistiche e generose per un godimento pieno che matura tra gemiti soffocati e sudori nella spasmodica ricerca di afrodisiaci attriti e goduriose penetrazioni che inducono involontarie contrazioni anche nell’inviolato sovrastante orifizio.
Le urla gementi dell’orgasmo di lei è giusto che muoiano tra le labbra di lui. Petto contro petto, dunque, bocca contro bocca in un agitarsi atavico e selvaggio, una femmina che posseduta possiede artigliando i glutei legnosi del maschio, agganciandogli l’ano, le gambe alte e oscenamente divaricate sulle sue spalle.
C’è tutta l’illusione di poter prolungare a volontà un orgiastico piacere in quella corta verga che si accovaccia sul ventre di lui. Forse anche lei ne prova pietà se lo carezza, lo bacia con delicatezza e, facendosi più ardita, lo accoglie intero nello stuzzicante rifugio della sua bocca. Scariche elettriche s’intensificano nello scroto alla base del pene. Non ancora, c’è una voglia nascosta un poco perversa che chiede di essere tentata osando l’inosato. Un cazzo, nella sua ritrovata esibizionistica volgarità, chiede il dono d’una verginità sempre conservata sfregandosi su un morbido e rotondo culo, puntando la cappella sul suo foro scuro in un implicita richiesta.
Lei, con la sua borsa, è chiusa nel bagno. I suoi vestiti sulla sedia dicono della sua nudità e di quanto la vista d’un corpo amato possa apparire squallida se in quel corpo non c’è più la voglia di te. Lui si appoggia al cuscino tirandosi una coperta fino in vita, con dentro l’ansia di chi non sa da dove arriverà il temporale. Ritorna più femmina che mai, il suo viso è un enigma mentre strappa via la coperta e, usando una crema dal delicato profumo che spreme da un contenitore che ha con sé, comincia a spalmarla sul vecchio onor di maschio che si ringalluscisce a quel massaggio puntando verso l’alto.
Sembra soddisfatta dell’opera e si alza appoggiando le braccia al muro, le gambe divaricate e le due metà della mela aperte. L’invito è chiarissimo e la risposta repentina. Lui entra lentamente spingendo l’attrezzo ben lubrificato tutto dentro quel buco del culo che per la prima volta viene offerto. I soffocati mugolii di lei ritmano l’agitarsi sempre più accelerato di entrambi. Infine l’orgasmo di lui e la successiva quiete. Il membro afflosciato scivola fuori e, prima che lei si volti, lui si abbassa e assaggia per la prima volta il suo sperma. Con quel sentore in bocca la getta sul letto per un bacio lungo e lascivo.
I sensi sono esausti e la notte è a loro disposizione per il sonno che li condurrà al mattino del distacco. Una notte trascorsa nella quiete nell’incerto chiarore di una finestra non oscurata. Due corpi che si sono sciolti dall’abbraccio senza risveglio, senza nemmeno sognare il rinnovarsi di goduriosi ardori.
è il primo timido schiarirsi dell’alba che li sveglia entrambi, nudi come due freschi sposi dopo la prima notte, teneri negli sguardi come compagni amorosi d’una intera vita. Un vecchio trascurato dagli anni che non sempre hanno trovato il tempo per compiere la loro opera demolitrice, un vecchio che non ha bisogno di inforcare gli occhiali, che sempre stanno tra il mondo ed i suoi occhi, per ammirare la giovanile ritrovata agilità, la matura bellezza che ha arrotondato la pelle liscia dei fianchi di lei che va, disinvoltamente impudica, alla finestra.
‘Il tempo è grigio.’ Dice. Meglio così, quella stanza, quel letto saranno più loro senza la luce sfacciata d’un raggio di sole.
Hanno tutto il tempo per poltrire ancora un poco e lo fanno tra brevi dormiveglia e parole che sono più mugolii di animale soddisfatto. Stranamente non c’è un filo di quell’amarezza che precede un distacco. C’è, invece, un abbraccio silenzioso e spontaneo che fa prendere forma e durezza al sesso di lui. Lei lo percepisce e, sotto le coperte, ci appoggia sopra la mano. La voglia dell’uomo di mettersi a cavalcioni su quella morbidezza di donna, di forzarla, prendendole il capo tra le mani, a prendere il suo pene in bocca, svanisce in pessimistiche, mentali considerazioni sull’impotenza senile, provocando un graduale afflosciarsi. Solo l’intuito femminile sa capire certe angosce e trovare giuste soluzioni. Due mani ed una bocca amorosa consolano quell’anziano membro, più uso a battaglie immaginarie che vere, si accaniscono con controllata violenza su lui finché il miracolo avviene con spasmodici spruzzi senza che le labbra e la lingua interrompano il loro lavorio prolungando l’orgasmo fino al parossismo.
La doccia, gli abiti che tornano a celare due corpi che si sono dati mentre le loro menti correvano lascive, attirate da bagliori orgiastici, dimenticando in un angolo tutte le belle frasi eteree e caste del dialogo che li aveva spinti a quella follia. C’è nostalgia dell’aria di quel mattino brumoso, c’è la presunzione del piacere di camminare insieme, amici e felici. Fuori per le strade, quindi, a cercare un bar dove fare colazione prima di tornare alle rispettive case, alle rispettive vite. Fuori con la serenità nel cuore. Ci sarà tempo per il rimpianto e la tristezza nelle meditazioni nella quotidianità ripresa. Ci sarà tutto il tempo per scambiare malinconie in un dialogo rinnovato che custodirà il segreto.
O, forse, è meglio che le strade si divergano per sempre, che quelle ventiquattr’ore con in mezzo la notte siano come una madre che muore nel dare la vita?

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