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Racconti sull'Autoerotismo

Stefania

By 25 Aprile 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Stefania salutò i suoi genitori e suo fratello sollevando appena lo sguardo dal libro di scuola.

“Sicura che non vuoi venire con noi?”, le chiese la madre per la millesima volta.

La ragazza annuì convinta.

“Verrei volentieri, ma devo finire di studiare. Andate via tranquilli, se ho bisogno di aiuto chiamo la nonna”.

“E’ che non so se me la sento a lasciarti qui da sola…”, mormorò ancora la madre.

Fu il marito a prendere la situazione in pugno: ”Andiamo, non è più una bambina. Si tratta solo di qualche ora, se ha bisogno di qualcosa c’è tua madre e noi terremo i telefonini accesi”.

Stefania sorrise, sperando di trasmettere tranquillità.

La mamma finalmente si rassegnò e, preso per mano l’altro figlio, varcarono tutti la soglia.

Stefania tirò un sospiro di sollievo; sembrava proprio che non volessero più andare via.

Era vero che solitamente lei andava ovunque con loro, ma trovava eccessiva quella preoccupazione.

Stavano solo andando a cena da sua zia, cosa avrebbe potuto capitarle?

Non era più una bambina, non avrebbe messo le dita nella presa di corrente e non si sarebbe rovesciata la pentola dell’acqua calda addosso.

Forse, però, non era di quello che sua madre era preoccupata. Forse temeva quello che lei avrebbe potuto fare.

Stefania quasi rise. Sua madre sicuramente temeva che lei avrebbe invitato qualche ragazzo.

Non sarebbe successo nulla del genere, anche se non aveva comunque intenzione di passare una serata innocente.

Accese la televisione e si impose di seguire qualche programma per una mezz’ora.

Voleva che trascorresse il tempo necessario da poter scongiurare un eventuale ritorno dei suoi per aver dimenticato qualcosa o cose del genere.

La casa dei suoi zii era a circa un’ora di auto da casa loro, stimò che dopo mezz’ora – qualunque cosa avessero dimenticato – non sarebbero più tornati indietro.

Guardò una puntata di “Una mamma per amica”, poi decise che era il momento di mettersi in azione.

Recuperò la cartella e aprì il portapenne, da cui prelevò una ventina di bigliettini, accuratamente ripiegati e uniti assieme con tre elastici in maniera tale da formare altrettanti gruppi.

“Andiamo!”, disse a se stessa.

Si sfilò i pantaloni della tuta e la felpa, rimanendo in biancheria intima.

Fece un sospiro, poi si privò anche del reggiseno e delle mutandine.

Era una strana sensazione quella di essere completamente nuda nel salotto di casa; non le era mai capitato di sentire il suo sedere a contatto con la pelle del divano.

Si alzò in piedi e fece qualche passo verso il centro della stanza, poi si sdraiò sul tappeto.

Sentiva il cuore battere forte. Se i suoi fossero tornati in quel momento non avrebbe avuto il tempo di reagire, l’avrebbero vista.

Questa cosa la spaventava e la eccitava allo stesso tempo.

Allargò le gambe e le braccia, come se fosse una stella marina.

Sentiva come se la sua pelle avesse acquisito maggiore sensibilità, come se ci fosse una leggera brezza a soffiarle addosso.

Aveva la pelle d’oca e i capezzoli eretti, ma non per il freddo.

Rimase coricata per una decina di minuti, eccitandosi al pensiero di essere sorpresa dai suoi genitori – o da sua nonna, ipotesi tutt’altro che campata per aria visto che abitava due piani sopra di lei e aveva le chiavi – quindi si alzò decisa.

Era tempo di agire.

Prese in mano il primo gruppo di bigliettini, quello su cui aveva a matita tracciato la lettera S come Soft.

Tolse l’elastico e li sparpagliò sul pavimento, accarezzandoli leggermente.

Quale avrebbe scelto?

Ne toccò un paio, poi ne prese uno e lo aprì, trepidante.

Li aveva scritti tutti lei, e proprio per quel motivo sapeva cosa rischiava di trovare.

Lesse rapidamente il contenuto, sentendo subito un tuffo al cuore per quello che avrebbe dovuto fare.

Se la sentiva?

Avrebbe potuto cambiare bigliettino, in fondo nessuno la stava controllando.

Scosse la testa: se voleva giocare bene, doveva seguire le regole che lei stessa si era data, e la prima regola era che il bigliettino era legge. Non lo poteva cambiare.

Gettò il bigliettino per terra e spense la luce, poi aprì la porta del balcone.

Fuori era fresco e l’aria frizzante contribuì ad aumentare la rigidità dei suoi capezzoli, già notevole prima di quel momento.

Uscì sul balcone.

Sentiva il cuore battere fortissimo.

Poteva vederla qualcuno?

Era notte e lei aveva spento le luci dietro di lei, però era comunque su un balcone in città; la via sotto di lei era illuminata dai lampioni.

Guardò l’ora: dovevano passare solo cinque minuti.

Osservò il palazzo di fronte. Non sembrava esserci nessuno.

Era elettrizzata ma anche contenta di quello che stava facendo.

Stava mettendo alla prova se stessa e fino ad ora stava andando tutto bene.

Ancora un minuto.

Un uomo stava passando nella via con un cane.

Se avesse guardato verso l’alto l’avrebbe vista?

Forse no, il parapetto del suo balcone era in cemento; sarebbe stato più facile essere visibile dall’alto.

Guardò l’orologio: il tempo era scaduto e rientrò in casa.

Quando si richiuse la porta alla spalle tirò un sospiro di sollievo.

Era andato tutto bene, anche se aveva il cuore che batteva fortissimo.

Si accoccolò sul pavimento e prese il secondo bigliettino.  

Lesse il contenuto del biglietto e deglutì.

Tra tutti quelli che aveva scritto per la categoria Medium, forse era il più impegnativo.

Meditò nuovamente se prendere un altro biglietto, poi scosse ancora la testa.

Prima era andata bene, doveva continuare.

Certo, però non era per nulla facile.

Trasse un sospiro e si alzò.

Prese le chiavi di casa e aprì la porta di ingresso.

La luce del pianerottolo la illuminò in pieno, facendola sentire ancora più nuda di quanto già non fosse.

Mise i piedi sullo zerbino e uscì sul pianerottolo, accostando la porta alle sue spalle.

Aveva le chiavi, ma non era il caso che si chiudesse.

Fece ancora tre passi sul marmo freddo, rabbrividendo.

Istintivamente si passò una mano sul seno, sentendo la durezza dei capezzoli.

Era molto eccitata.

Si posizionò davanti alla porta dei suoi vicini.

Erano in casa?

Era probabile: avevano una bambina piccola, era raro che uscissero.

Cosa avrebbe visto lui se avesse guardato attraverso lo spioncino?

Avrebbe visto Stefania, la sua vicina, completamente nuda e intenta a guardare verso di lui.

Stefania portò le mani dietro alla nuca, sentendosi perfettamente esposta.

Si sarebbe eccitato?

Forse sì.

Sua moglie, detto sinceramente, non era un granchè, mentre lui era ancora un bell’uomo.

Non uno strafigo, ma era meglio di lei.

La tradiva? Aveva mai fatto qualche pensiero sulla sua giovane vicina?

Forse no, ma sicuramente avrebbe cominciato a farne se l’avesse vista in quel momento.

Stefania sentì la porta del piano terra aprirsi, qualcuno stava entrando nel condominio, poi sentì l’ascensore muoversi.

Se fossero stati proprio i suoi vicini che rientravano?

Fece un passo indietro verso la porta di casa sua. Se l’ascensore si fosse fermato al suo piano avrebbe avuto un paio di secondi per voltarsi, spingere la porta e rientrare.

Trattenne il fiato mentre l’ascensore passava accanto a lei e proseguiva oltre.

Meglio così.

Il cuore riprese a battere normalmente, facendola sorridere.

Scampato il pericolo dell’ascensore, le sembrava “normale” essere nuda sul pianerottolo.

Con una mano si sfiorò il sesso.

Era bagnata, come aveva previsto.

Riprese a guardare la porta dei vicini.

E se invece fosse stata lei, la moglie, a guardarla?

Avrebbe provato invidia per lei, ancora giovane e non sformata dal parto?

Forse sì.

Tese i sensi: arrivavano dei suoni da dietro alla porta?

Forse era la sua immaginazione, ma le sembrava effettivamente di captare qualcosa.

Non ci sarebbe stato nulla di strano: erano le dieci di sera, era probabile che i suoi vicini fossero ancora in piedi e che si muovessero per casa.

Con la mano si sfiorò i seni.

Era tesissima ed eccitata; aveva addirittura paura che potessero sentire il suo respiro attraverso la porta.

Guardò l’orologio: erano quattro minuti che era lì, avrebbe dovuto resistere altri sei.

Forse dieci minuti erano troppi, avrebbe dovuto pensarci quando scriveva il biglietto.

Però non avrebbe cambiato la regola, sarebbero stati dieci minuti.

Si toccò nuovamente il sesso.

Nel biglietto non c’era scritto che era vietato.

Non avrebbe potuto masturbarsi fino alla quarta prova – quella era un’altra regola – ma una toccatina avrebbe potuto darsela.

Pensò a cosa sarebbe capitato se un colpo di vento avesse chiuso la porta alle sue spalle.

Certo, aveva le chiavi con sè, ma se si fosse sbagliata?

Se avesse preso le chiavi dell’appartamento al mare per sbaglio e la porta si fosse chiusa?

Avrebbe dovuto andare da sua nonna a chiedere il secondo mazzo, ma quale scusa avrebbe potuto inventare?

Forse avrebbe fatto meglio a chiedere alla sua vicina di prestarle qualche indumento prima di salire dalla nonna, ma con che scusa?

Mica avrebbe potuto dirle: “Scusa, ero nuda sul pianerottolo, mi presti un vestito?”.

Quasi rise all’idea.

Sentì uno scalpiccio qualche piano sopra, qualcuno stava uscendo.

Captò le voci: erano i due fratelli del sesto piano.

Erano due ragazzi veramente brutti e sospettava che uno di loro, il più giovane, avesse una simpatia per lei.

Sentì la porta dell’ascensore aprirsi e i due montarono sopra.

Si voltò verso la porta dell’ascensore e fissò la cabina mentre passava accanto a lei.

Chissà cosa avrebbero pensato i due ragazzi avessero potuto vederla?

Sicuramente uno dei due sarebbe sceso, probabilmente entrambi.

Mancavano ancora due minuti.

Si piegò sulle ginocchia e si inginocchiò sul marmo.

Era molto freddo.

Passò le mani sulla pietra, poi si sedette a terra.

Sentì il freddo sulle natiche, ma, contrariamente a quanto si sarebbe potuto supporre, anzichè placare la sua eccitazione quel contatto la aumentò.

Forse era la consapevolezza che, in quella posizione, avrebbe potuto fare poco se la porta davanti a lei si fosse aperta.

Nel tempo che avrebbe impiegato ad alzarsi e a correre in casa sarebbe stata sicuramente vista.

Si passò ancora un dito tra le labbra, ritirandolo umido.

Lo accostò alla bocca, poi lo ritrasse.

Non se la sentiva.

Guardò l’orologio.

Il tempo era scaduto, così si alzò, rientrò in casa e con cautela richiuse la porta alle sue spalle.

Quasi le dispiaceva che fosse finito.

Tornò in salotto e disfò il terzo plico di biglietti.

Erano quelli contraddistinti con la lettera H.

Hard.

Guardò i biglietti per qualche istante prima di decidersi a estrarne uno.

Poteva fermarsi in quel momento, quello le era permesso.

Però, nel reticolo di regole che si era creata da sola, non avrebbe potuto toccarsi, e in quel momento era troppo eccitata per rinunciare.

D’altro canto sapeva bene cosa contenevano quei foglietti e cosa avrebbe rischiato di fare.

Ne prese uno in mano e lo soppesò per qualche istante, poi lo aprì.

Quando lo lesse sentì il cuore accelerare. Era una delle prove che più si era eccitata ad immaginare ma che allo stesso tempo temeva maggiormente.

Però le regole erano regole, e aveva deciso di essere rigorosa.

Andò in cucina e prelevò il timer che sua madre usava per misurare i tempi di cottura, poi si spostò nella camera da letto dei suoi.

Non accese la luce, ma si portò verso la finestra e aprì la tenda, poi tornò verso l’interruttore e, solo in quel momento, accese premette l’interruttore.

La stanza venne riempita di luce; regolò il timer su venti minuti ed andò a sdraiarsi sul letto.

Guardò davanti a sè: tra lei e le tre finestre del palazzo di fronte c’era solo un vetro trasparente. Già lo sapeva perchè aveva fatto delle prove nei giorni precedenti, ma le aveva sempre fatte da vestita, in quel momento era diverso.

Se qualcuno si fosse affacciato a quelle finestre l’avrebbe vista nuda, e – per quanto veloce lei potesse essere – non avrebbe fatto in tempo a spegnere la luce o anche solo ad allontanarsi.

Non sapeva che abitasse in quegli appartamenti, non aveva mai visto nessuno, anche se era certa che non fossero disabitati.

Erano tutte e tre spente, ma nel suo animo erano come degli animali in agguato.

In qualunque momento qualcuno avrebbe potuto affacciarsi e l’avrebbe vista.

Era come paralizzata dall’adrenalina, continuava a guardare fisso davanti a lei senza capire se temesse di vedere qualcuno o forse lo sperasse.

I minuti passavano lenti.

C’era anche un altro rischio, che i suoi genitori rientrassero.

Anche in quel caso non avrebbe potuto sottrarsi alla loro vista, giacchè per raggiungere la sua stanza o il bagno avrebbe dovuto comunque passare in un corridoio che l’avrebbe esposta a loro.

Quei pensieri la eccitavano sempre di più, mentre imparava come il confine tra il piacere e la sofferenza fosse labile.

Cosa avrebbe fatto se si fosse affacciato qualcuno?

Sarebbe scappata via o forse avrebbe sfidato se stessa e sarebbe rimasta?

Non aveva una regola che le imponesse un comportamento piuttosto che un altro, anche se era evidente come il top sarebbe stato rimanere immobile.

In fin dei conti era in casa sua, qualcuno avrebbe potuto rimproverarla di essere nuda in camera da letto?

Certamente no, ma non era quello il punto.

Solo due persone l’avevano vista nuda fino a quel momento ed erano stati i suoi due ragazzi, persone che conosceva bene, non un vicino di casa mai visto prima.

Però sarebbe stato eccitante, sicuramente.

Con cautela, quasi come se effettivamente qualcuno la stesse guardando, si sfiorò il sesso.

Era bagnatissima.

Le venne in mente un’altra cosa.

Due delle tre finestre davanti a lei erano protette da delle tendine bianche, e questo significava che se qualcuno si fosse posto dietro a quelle tendine avrebbe potuto vederla senza essere visto.

Forse proprio in quel momento c’era qualcuno in osservazione, ridendo di quella scema della sua vicina che non sapeva di essere spiata.

Sentì il cuore battere sempre più forte, ma non si mosse.

Anzi, portò le mani dietro alla nuca in modo da scoprire perfettamente il seno e allargò leggermente le gambe.

Cercò di aguzzare la vista il più possibile, provando a trapassare quelle tende, ma non colse nulla che le facesse supporre una presenza.

Quasi le spiacque.

Il campanello del timer la colpì come un colpo di pistola; erano passati venti minuti.

Si alzò dal letto ma lo fece lentamente, come per dare un’ultima possibilità a qualcuno di guardarla, poi spense la luce.

L’ennesima regola che si era data prevedeva che, se fosse riuscita a terminare tutte le prove senza esitazioni, avrebbe potuto premiarsi toccandosi.

Si sdraiò nuovamente sul letto dei suoi, ancora guardando le finestre davanti a sè.

Ora, protetta dall’oscurità, non avrebbero potuto vederla.

Allargò le gambe e poggiò la mano destra sul suo sesso.

Era molto bagnata e le sue labbra accolsero facilmente le sue dita.

Di solito usava toccarsi delicatamente, con dolcezza, ma quella sera si sentiva selvaggia.

Si penetrò con due dita e mosse il bacino ritmicamente, assecondando il movimento.

Teneva lo sguardo sempre fisso verso le finestre.

“Guardatemi ora! – pensò – Guardate cosa fa la vostra vicina sotto ai vostri occhi!”.

Inserì anche un terzo dito dentro di sè, inarcando la schiena ed offrendo alla finestra uno spettacolo osceno.

Venne dopo pochi minuti, quasi urlando, poi si abbandonò sul letto a riprendere fiato.

Era sudata e distrutta, il cuore batteva fortissimo.

Si rialzò dal letto e accese la luce, poi chiuse le tende.

Quasi le spiaceva che nessuno l’avesse vista.

 

Stefania si svegliò nel cuore della notte.

Le succedeva spesso ultimamente, almeno da quando – circa una settimana prima – aveva giocato da sola con I bigliettini.

Era come se quella serata avesse risvegliato un secondo Io che fino a quel momento aveva dormito dentro di lei, e che da quel momento in poi non ne voleva sapere di stare sopito.

Aveva spesso pensieri sconci, pensieri che fino a poco prima non avrebbe neppure concepito.

Pensava spesso al sesso, cosa strana per una che ne aveva sempre fatto poco e neppure di grande qualità.

Era perfettamente sveglia, anche se l’orologio luminoso indicava come avrebbe dovuto aspettare ancora qualche ora prima di alzarsi.

Suo fratello, nel letto accanto a lei, aveva il respiro regolare di chi sta dormendo profondamente.

Quanto avrebbe voluto essere da sola in casa, o almeno in camera!

Da quella sera aveva pensato ad almeno altre tre varianti del gioco, senza mai poterle mettere in pratica perche non era mai stata da sola in casa.

Solo a ripensare a quella serata sentì una nuova eccitazione montare dentro di lei.

Non si sarebbe addormentata presto, ormai.

A meno che…

Si voltò verso destra, dando le spalle alla sveglia.

“Se quando mi volto i minuti sono un numero pari – si disse – mi tolgo la parte superiore del pigiama”.

Si voltò, erano le 3:42.

Sorrise nel buio, poi si sfilò la maglietta, rimanendo solo con le mutandine.

Non potè fare a meno di portare una mano verso il seno, sentendo il capezzolo già duro.

Si stuzzicò il torso con le unghie, poi portò la mano verso la pancia.

Sentì un brivido attraversarle il corpo, e non era per il freddo.

Si voltò nuovamente verso destra.

“Se quando mi volto i minuti sono pari, mi tolgo le mutandine”.

Guardò la sveglia: erano le 3:44.

Inarcò la schiena e si sfilò anche l’ultimo indumento, che lasciò cadere a terra.

Fece penzolare le gambe dai bordi del letto, in modo da avere la massima apertura disponibile.

Portò subito la mano sul suo sesso, trovandolo bagnato.

Introdusse lentamente un dito dentro.

In quel momento voleva essere dolce con se stessa.

Si massaggiò lentamente il clitoride, descrivendo con il polpastrello un movimento circolare.

Era bellissimo.

Suo fratello accanto a lei continuava a russare; la consapevolezza della sua presenza rendeva il momento ancora più eccitante.

Cosa avrebbe visto si fosse svegliato?

Non molto, visto che la stanza era al buio, ma l’illuminazione che filtrava dalla strada gli avrebbe sicuramente permesso di capire che sua sorella era nuda.

In quella posizione, poi, non ci avrebbe messo molto a capire cosa stesse facendo.

Il ragazzo diede un colpo di tosse e Stefania si immobilizzò.

Quando il respiro del fratello divenne nuovamente regolare la ragazza riprese a toccarsi.

La sensazione di pericolo, anziché bloccarla, l’aveva eccitata molto di più.

Suo fratello lo faceva mai?

Era probabile.

Gli amici di suo fratello avevano mai fantasticato su di lei?

Magari uno di loro si era già toccato pensandola, immaginando di passare le mani sul suo corpo, di fare quello che lei stava facendo con se stessa.

Magari Alberto, quello tutto timido che però la guardava sempre quando veniva a trovarli.

Oppure Mirko, molto macho nei modi ma senza ragazza da una vita, da quanto sapeva.

Cosa avrebbero pensato di lei l’avessero vista quella sera?

Sentì l’orgasmo montare dentro di lei.

Quasi le dispiaceva che arrivasse così presto e provò a rallentare il tocco, ma ormai era al punto di non ritorno.

Un brividò le attraverò il corpo e non potè trattenere un leggero lamento.

Si mise una mano sulla bocca per non far sentire il gemito, mentre il cuore batteva fortissimo.

Attese che il battito cardiaco tornasse normale, poi tolse la mano dal suo inguine.

La portò al volto e si annusò il dito.

Sapeva della sua eccitazione, della sua passione.

Sporse la lingua e lo leccò.

Non aveva un cattivo sapore.

Recuperò gli indumenti e si rivestì.

Era meglio che dormisse, il giorno dopo avrebbe dovuto andare a scuola.

 

 

 

 

Stefania tornò a casa trafelata.

Ci aveva messo una vita a rientrare con i mezzi pubblici e di lì a una ventina di minuti sarebbe arrivata la sua amica Chiara con cui avrebbe dovuto recarsi in centro.

Entrò quasi correndo in camera sua e quasi urlò quando vide che suo fratello stava giocando alla Play Station con un amico.

“Devo cambiarmi!”, protestò con Francesco, il fratello.

“Vai in bagno”, le suggerì lui senza neppure guardarla, intento com’era a pigiare tasti e a spostare leve.

“Devo ancora decidere cosa mettermi, non so cosa prendermi!”, si lamentò lei.

“Noi stiamo facendo un torneo on line, non possiamo interrompere”, tagliò corto Francesco.

L’altro ragazzo, Fabio, le gettò qualche occhiata furtiva. Si leggeva chiaramente dal suo sguardo come si sentisse di troppo.

Era un ragazzo molto timido; benchè frequentasse casa loro da più di un anno, forse non le aveva mai rivolto la parola.

Stefania meditò un attimo.

Lo voleva fare?

Fabio le lanciò un’altra occhiata, così decise di sì.

“Mi cambio qui – annunciò – non voltatevi!”.

Prima di cambiare idea scalciò via le scarpe e si sfilò il maglioncino.

Sapeva bene di non essere invisibile: il guadro appeso al muro dietro al televisore su cui i due ragazzi stavano giocando era una stampa fatta su materiale riflettente, e sarebbe bastato alzare lo sguardo per vederla.

Si slacciò i primi bottoni della camicetta e guardò di sbieco verso i ragazzi.

Intercettò lo guardo di Fabio attravero lo specchio, ma passò oltre, come se non se ne fosse accorta.

Finì di slacciarsi la camicetta e se ne liberò, offrendo ai due una piena visuale del suo reggiseno bianco.

Pur senza controllare, era abastanza sicura che almeno un paio di occhi la stessero guardando.

Slacciò il bottone dei jeans e li abbassò.

Nel farlo diede le spalle ai due ragazzi, come avrebbe fatto chiunque al suo posto, concedendo però a Fabio un piena visione del suo sedere. Indossava un perizoma quel giorno, indumento che metteva in risalto le sue forme.

Dentro di sé le veniva da ridere pensando a cosa stesse passando per la testa di quel ragazzo.

Non sapeva se aveva una sorella o una ragazza, ma non sembrava uno molto avvezzo a vedere il corpo femminile.

Si liberò anche dei collant, sempre dando le spalle ai ragazzi.

Avrebbe potuto osare di più, magari togliendosi il reggiseno?

Ci pensò per qualche secondo, poi decise che non era il caso.

Non conosceva bene quel ragazzo e non voleva che mettesse in giro certe voci. Voci che sarebbero state perfettamente fondate, per altro.

“Francesco, hai visto il deodorante?”, chiese.

I ragazzi si voltarono contemporaneamente.

Il fratello le rispose di cercarlo in bagno, mentre Fabio non sembrava riuscire a togliere lo sguardo dai suoi seni.

Stefania si trattenne dal coprirsi, scontrandosi con il suo istinto che invece le suggeriva il contrario.

Mise le mani sui fianchi, come se stesse riflettendo su cosa fare,

dando così la possibilità a Fabio di effettura un’ulteriore carrellata sul suo corpo.

Cosa stava pensando in quel momento?

Forse gli stava diventando duro?

Stefania fingeva di osservare un punto imprecisato nel suo armadio, ma con la coda dell’occhio vedeva che il ragazzo non aveva smesso di guardarla.

Si sarebbe toccato pensando a lei?

Era possibile.

Questo pensiero la mandò su di giri. Pensare di occupare nelle fantasie di quel ragazzo lo stesso posto che occupava Sasha Grey o Jessica Alba la faceva sentire veramente tosta.

“Fabio, giochiamo?”, disse suo fratello all’amico.

Il ragazzo sembrò risvegliarsi, diede ancora un’ultima occhiata a Stefania, poi si girò verso la consolle.

Stefania andò in bagno a finire di prepararsi.

 

 

Stefania chiuse la porta alle sue spalle ed entrò nell’androne della casa di Anna, maledicendo la decisione di aver preso il motorino.

Si era presa l’incombenza di andare a nutrire il gatto dell’amica, la quale si era presa qualche giorno di ferie e aveva lasciato la città, ma non aveva fatto i conti con l’imprevedibilità del tempo.

Così era uscita di casa sotto un cielo coperto ma non piovoso, e, dieci minuti dopo, si era trovata a zigzagare tra le pozzanghere.

Percorse a piedi i tre piani di scale che la dividevano dall’appartamento dell’amica e entrò in casa.

Il gatto doveva aver fatto qualche festa durante l’assenza della padrona, perché le si vedevano tracce della frenetica attività del felino.

C’erano bicchieri rovesciati, brandelli di pagine di giornale, decine di piccoli oggetti sparsi per il pavimento.

Stefania fece un passo dentro la casa, ma si accorse subito di grondare acqua, così, ancora sull’uscio, si sfilò le scarpe da ginnastica e la felpa grigia, ormai di un colore molto simile al nero.

Penetrò quindi nell’appartamento e si diede subito da fare per riportare un minimo d’ordine in quel posto.

Il micio avrebbe poi rimesso tutto quanto in giro non appena lei se ne fosse andata, questo lo sapeva, però voleva fare del suo meglio per far capire all’amica che la fiducia che le aveva dato era stata ben riposta.

Tirò su gli oggetti, diede una spazzata al pavimento, quindi cambiò la cassetta del gatto e gli fornì nuovi croccantini per i giorni a venire.

Si guardò intorno per vedere se c’era ancora qualcosa da fare prima di lasciare l’appartamento.

Fuori pioveva ancora, anzi, rispetto alla prima la precipitazione si era addirittura intensificata.

Magari avrebbe potuto aspettare qualche minuto che il tempo migliorasse, e magari anche che i suoi vestiti si asciugassero leggermente.

A quel pensiero toccò i jeans e la camicetta, sentendoli umidi. Avrebbe fatto meglio a stenderli, si sarebbero asciugati più in fretta.

Guardò l’orologio: non aveva particolari impegni, avrebbe potuto aspettare una mezz’ora che il tempo migliorasse e che i suoi abiti si asciugassero.

Cerco nell’armadio di Anna una gruccia, quindi si liberò della camicetta e la sistemò sopra, appendendo poi tutto nella doccia.

Forse non completamente, ma un po’ si sarebbe asciugata. Si sfilò i jeans e li stese a cavalcioni di una sedia.

In quel caso sarebbe stata più difficile, visto che il tessuto era più spesso, ma almeno non avrebbe tenuto la stoffa bagnata a diretto contatto con la pelle.

Si troveva in quel momento solo in biancheria intima e calzini.

Sorise. Poteva osare di più?

Sentì un brivido attraversarle il corpo, forse per il freddo ma forse per un altro motivo.

Cosa stava pensando? Non era a casa sua, non poteva fare quello che voleva!

Ma proprio non essere a casa sua le dava una certa dose di eccitazione.

La sensazione di clandestinità, il senso del proibito la fece sorridere.

“Se fuori sta ancora piovendo – pensò – mi spoglio completamente”.

Era una scommessa che sapeva già che avrebbe vinto, e quando sbirciò fuori dalla finestra ci mise solo un istante a capire come la pioggia non si fosse minimamente placata.

Prima di avere il tempo di cambiare idea, si slacciò il reggiseno e sfilò il perizoma, buttandoli sul divano.

Mise le mani dietro alla schiena e guardò il suo riflesso nello specchio.

Non era niente male.

Cosa le stava capitando ultimamente? Perché pensava continuamente al sesso?

Si avvicinò alla finestra, sempre tenendo le mani dietro alla schiena. L’appartamento alle sue spalle era buio, ma era molto vicina al vetro.

Qualcuno avrebbe potuto vederla da fuori?

Sbirciò verso le finestre dei palazzi prospicienti, sembrava non esserci nessuno.

Nel guardare si avvicinò ancora di qualche centimetro, facendo sì che i suoi capezzoli toccassero il vetro freddo.

Sentì subito un altro brivido, mentre i capezzoli si irrigidivano istantaneamente.

Rimase affacciata alla finestra per qualche minuto – non controllò quanto – poi rientrò nell’appartamento.

Si spostò nella stanza da letto di Anna, mentre il gatto si strusciava contro le sue gambe.

La stanza era piena di oggetti, i mobili erano coperti in ogni centimetro di soprammobili e oggettini; anche le pareti erano piene di foto e stampe.

Stefania si accostò alle pareti per vedere meglio. C’erano tantissime foto tratte da vacanze, alcune di queste con dei ragazzi che Stefania non aveva mai visto.

Cosa avrebbe pensato Anna se avesse saputo che in quel momento Stefania era nuda in casa sua?

Sicuramente non avrebbe capito, ed era proprio questo che piaceva a lei.

Si inginocchiò sul letto o di Anna e immaginò quante volte la sua amica poteva aver fatto l’amore proprio lì.

Non conosceva a fondo la vita sessuale di Anna, ma – pur non avendo un fidanzato ufficiale – sicuramente non era votata alla castità.

Si sdraiò sul letto e, toccando il copriletto con la pancia e il seno, spinse avanti il bacino in modo da far sfregare le sue labbra sulla stoffa del copriletto.

La prossima volta che Anna si sarebbe coricata in quel lenzuolo avrebbe avuto una parte degli umori di Stefania addosso a lei.

Improvvisamente le venne un sospetto: e se Anna fosse una di quelle persone paranoiche della sicurezza, che installano delle telecamere nascoste anche in casa?

Si mise a sedere sul letto e si guardò in giro.

Non sembrava esserci niente di sospetto: non c’erano lampadari, non c’erano specchi o quadri che potessero nascondere delle telecamere.

Però è anche vero che le telecamere nascoste sono, per definizione, invisibili.

Il pensiero di essere in qualche maniera ripresa fece rabbrividire Stefania.

Come avrebbe potuto commentare Anna quello che lei stava facendo in quel momento?

L’avrebbe giudicata una maiala insana di mente, oppure avrebbe apprezzato?

Stefania si sdraiò sulla schiena e mise le mani dietro alla nuca, offrendo all’ipotetica telecamera una visione completa del suo corpo.

Sapeva benissimo che non c’era la possibilità di essere ripresa, ma le piaceva giocare con quella idea.

Allargò le gambe e saggio lo stato del suo sesso; ritrasse il dito e lo trovo bagnato.

Portò nuovamente la mano all’inguine e vi affondò due dita, traendo subito un profondo sospiro.

Non aveva immaginato che quella visita sarebbe finita in quella maniera, l’eccitazione l’aveva sorpresa.

Allargò le gambe e introdusse due dita, mentre con la mano libera stimolava l’anno.

Questa era una cosa su cui ogni tanto si trovava a fantasticare, la doppia penetrazione.

Chissà se giorno avrebbe mai usato metterla in pratica?

Lasciò che il medio della mano sinistra scivolasse nel suo buco, mentre con l’altra mano esplorava l’interno della vagina.

Si sorprese di sè quando si sentì reagire in maniera rumorosa.

Forse i vicini di casa stavano sentendo qualcosa?

Era possibile che avrebbero riferito qualcosa Anna quando lei fosse tornata?

Si voltò prona e lasciò che i capezzoli – ormai durissimi – sfregassero contro il ruvido copriletto.

Ora nelle sue fantasie un ragazzo stava sotto di lei a un altro la stava prendendola da dietro. Mentre Anna osservava, ovviamente.

D’un tratto, senza smettere di toccarsi, le venne il pensiero che Anna potesse aver dato le chiavi di casa anche a qualcun altro, che magari sarebbe entrato proprio in quel momento e che si sarebbe trovato di fronte quella scena.

Il bilocale di Anna era talmente piccolo che in pochi passi si passava dalla porta d’ingresso alla stanza da letto; se questo fosse avvenuto non avrebbe nessuna possibilità di non scoprirla.

Questo pensiero la eccitò ancora di più.

Forse sarebbe entrato Ivan, quel ragazzo tenebroso con cui aveva visto Anna qualche volta, oppure Maria, quella sua amica calciatrice che si diceva fosse lesbica.

Stefania spalancò la bocca e produsse una specie di ululato; per l’orgasmo era questione di pochi istanti.

Pensò nuovamente a Fabio, l’amico di suo fratello, di cosa avrebbe dato per poterle mettere le mani addosso.

Era pronta a scommettere che non aveva mai avuto una ragazza in vita sua, probabilmente stava ancora fantasticando su quello che aveva visto qualche giorno prima.

Si era toccato pensando a lei?

Era probabile.

A quel pensiero Stefania introdusse le dita ancora più prfondamente dentro di lei e sentì l’orgasmo arrivare dal profondo.

Allargò le gambe il più possibile e lasciò che la sensazione la sconquassasse, lasciandosi andare ad un lungo gemito.

A casa sua, quando si toccava, raramente era sola e doveva sempre reprimere le reazioni.

Lasciò che il fiato fluisse da dentro di lei, poi si abbandonò sul materasso.

Era esausta.

Rimase un paio di minuti immobile, godendo la libertà di rimanere esanime e nuda senza doversi rivestire subito, poi si rialzò.

Tornò in cucina e tastò i suoi vestiti: erano ancora umidi, ma non poteva rimanere lì tutto il pomeriggio.

Quasi a malincuore si rivestì, diede un’ultima controllata all’appartamento e tornò per strada.

Si sentiva veramente bene.

Stefania uscì dalla doccia e guardò subito l’ora.

Se non aveva sbagliato i calcoli, suo fratello sarebbe rientrato a momenti.

Entrò in camera, prese il portafoglio dalla borsa e lo appoggiò sulla scrivania accanto alla porta di ingresso, poi andò a sedersi sul suo letto, dalla parte opposta.

Non indossava un accappatoio quella volta, ma si era asciugata con un ampio telo bianco, probabilmente rubato in qualche hotel.

Non si vestì, rimase sul letto con l’asciugamano avvolto attorno al corpo.

Dopo poco sentì il rumore delle chiavi nella serratura e suo fratello entrò in casa.

Si tolse le scarpe nell’ingresso, poi entrò nella cameretta.

Stefania alzò lo sguardo dal telefonino a cui fingeva di essere interessata e, senza neppure salutare suo fratello, gli disse: “Francesco, già che sei lì, lanciami il portafoglio”.

Il ragazzo si guardò attorno, poi prese l’oggetto e lo tirò verso la sorella, facendogli descrivere una traiettoria a parabola.

Stefania sapeva cosa sarebbe successo e non ebbe nessuna esitazione. 

Distese le braccia verso l’oggetto in volo e lo acchiappò.

Inevitabilmente, il movimento delle braccia fece sì che l’asciugamano si aprisse e ricadesse attorno alla sua vita, scoprendole il busto.

Aveva provato il movimento e sapeva perfettamente cosa sarebbe successo .

Rimase con le braccia distese in alto, il portafogli tra le mani e il seno scoperto.

Anche suo fratello restò immobile per qualche momento, con un’espressione mista tra l’imbarazzato e il divertito.

Stefania, come un’attrice esperta, guardò verso il petto e sorrise imbarazzata. “Ma che cazzo!”, disse.

Posò il portafogli accanto a lei, e con una calma che forse qualcuno avrebbe potuto giudicare sospetta, si coprì nuovamente con l’asciugamano.

“Tanto non si scandalizzi mica, no?”.

Il ragazzo fece cenno di no con la testa, ma si girò subito su se stesso, forse credendo che la sorella non avesse visto il suo rossore

Il cuore di Stefania batteva fortissimo.

Stefania era inquieta.

Era tardi, era nel letto ma non riusciva a dormire. Sentiva dentro di lei una certa agitazione e sapeva che se non l’avesse placata non sarebbe riuscita ad addormentarsi.

Accanto a lei suo fratello dormiva profondamente, talvolta russava anche.

Stefania tirò un sospiro, quasi di rassegnazione di fronte a quello che le stava capitando, poi afferrò i lembi della maglietta che indossava e la sfilò.

Sotto non indossava niente.

Abbassò lo sguardo e si guardò i seni.

Non sapeva perché, ma era eccitata.

Si passò una mano su quello destro. Le sue dita trovarono l’ostacolo del suo capezzolo, duro come se fosse stato di ferro.

Cosa c’era di male nell’accarezzarsi da sola? Continuamente la gente si procura del piacere, anche solo quando ordina al ristorante un piatto che gli piace oppure quando si lava sotto la doccia.

Guardò sul pavimento, accanto al suo letto.

Aveva studiato sino a poco prima e aveva lasciato lì i suoi libri e gli attrezzi della scuola.

Prese il portapenne e lo aprì, frugò tra il contenuto e prelevò quello che stava cercando.

Un evidenziatore arancione, di quelli fatti a cilindro.

Scostò le coperte e, con l’evidenziatore in mano, si avvicinò alla porta finestra. Il suo balcone dava su un parcheggio, anche se alla sua destra c’era un palazzo.

La luce era spenta nella sua camera, poteva permettersi certo rischio.

Scostò le tende e si mise in piedi davanti al vetro.

Si accarezzò ancora i seni, era sempre più eccitata.

Con un movimento veloce, si abbassò le mutandine e le lasciò scivolare attorno alle sue caviglie.

Con un dito si sfiorò tra le labbra. Era bagnata, ma già lo sapeva.

Senza spostarsi dal posto in cui si trovava, si flettè sulle gambe in modo da allargarle, poi con la base dell’evidenziatore si stimolò le labbra.

L’oggetto era un pochino più freddo del suo corpo, subito ebbe un moto quasi di rifiuto, ma continuando a strofinarlo sentì come la sua vagina si stesse preparando per accoglierlo.

Introdusse la base dell’evidenziatore dentro di sé, orientandolo per trovare il giusto angolo di penetrazione.

Si abbassò ulteriormente sulla punta dei piedi e, con un movimento fluido, inserì l’evidenziatore dentro di lei.

Trattenne il fiato per qualche secondo, poi, quando capì che era entrato in fondo, si alzò nuovamente in piedi.

L’oggetto era completamente dentro di lei.

Rimase un paio di minuti davanti alla finestra.

Era improbabile che qualcuno la vedesse, però era eccitante sapere che ci fosse solo un vetro trasparente tra sé e il mondo esterno.

Si voltò verso la stanza.

Doveva mettere a posto l’evidenziatore, sulla scrivania che si trovava dalla parte opposta dellla stanza.

Avanzò lentamente.

Suo fratello dormiva, ma sarebbe stato sufficiente che aprisse gli occhi anche solo per un attimo per vederla.

Passò accanto al suo letto, quindi si portò vicino alla scrivania.

Si piegò in avanti, quasi a novanta gradi, quindi spinse.

L’evidenziatore fece nuovamente capolino dal suo corpo.

Ecco, se in quel momento suo fratello si fosse svegliato, sarebbe stato difficile spiegare cosa stesse capitando.

Portò la mano all’altezza della vagina e lo estrasse completamente, poi lo appoggiò sulla scrivania.

Si sarebbero sentiti i suoi umori sulla superficie del pennarellone?

Le venne quasi da ridere al pensiero che qualcuno avrebbe potuto usarlo e, perchè no?, magari anche metterlo in bocca come spesso si fa con penne e matite.

Si avvicinò a suo fratello.

Dormiva, lo si capiva bene dal suo respiro.

Doveva essere accaldato perchè si era scoprto e in quel momento indossava solo un paio di boxer.

Stefania si chinò verso di lui e allungò un braccio, poggiandogli un dito sul pene.

Era disteso, rivolto verso l’alto.

Gli accarezzò leggermente l’asta, passando il dito sulla stoffa dei boxer.

Se ne sarebbe accorto?

Lo passò ancora una volta, sentendolo leggermente più “presente”.

Possibile che gli diventasse duro anche nel sonno?

Poteva essere, più di una volta l’aveva visto svegliarsi al mattino con un certo rigonfiamento davanti.

Lo sfiorò ancora una volta.

Doveva smetterla, se si fosse svegliato non avrebbe proprio potuto giustificare quanto stava accadendo.

Era nuda, chinata su di lui intenta a stimolargli il pene. Cosa avrebbe potuto dire?

Nonostante questi pensieri, lo toccò ancora una volta.

Ora era duro, non c’erano dubbi. La punta del glande stava facendo pressione sull’elastico dei boxer, si vedeva.

Stefania prese tra le dita il bordo dei boxer e lo sollevò.

Il pene di suo fratello fuoriuscì subito, come se fosse stato un uccello in gabbia.

Ecco, forse “uccello in gabbia” non era prorpio la metafora più felice.

Quasi rise, sentendosi subito surreale.

Cosa stava facendo?

Era meglio che si rimettesse a letto subito, altro che.

Il giorno dopo avrebbe dovuto andare a scuola.

Si distese sul materasso e subit capì che c’era solo una maniera per rilassarsi subito.

Portò una mano sul suo sesso e prese a sfregarlo.

Era bagnata da morire.

 

Il mettino dopo si svegliò a pezzi.

Aveva dormito solo qualche ora e il mal di testa era in agguato.

Suo fratello era già vestito e stava preparando la cartella.

Si chiese se quella mattina si era sveglliato con il membro fuori dai boxer e, in quel caso, se si era chiesto il motivo.

Si scoprì e si mise a sedere, rendendosi conto solo in quel momento di essere ancora nuda.

Suo fratello la osservò senza neppure far finta di guardare altro.

“Faceva caldo stanotte”, disse Stefania per giustificarsi, poi aprì il cassetto e prese un paio di mutandine.

 

Suo fratello si voltò, e non potè vedere il sorriso sul volto di Stefania.

Stefania non riusciva a prendere sonno.

Era nel letto, era anche piuttosto tardi, ma non riusciva a dormire.

A differenza di suo fratello che, a un paio di metri da lei, sembrava essere profondamente addormentato.

La scuola era appena finita e l’indomani mattina sarebbero avrebbero potuto dormire più a lungo.

Era proprio per quel motivo che era nervosa: aveva un pensiero che – se l’avesse messo in pratica in quel momento – avrebbe avuto delle conseguenze al mattino dopo.

“Le cose o si fanno bene o non si fanno per niente”, pensò risoluta.

Si mise a sedere sul letto, quindi si sfilò la maglietta e la gettò via.

Sotto non indossava nulla e sentì subito i capezzoli irrigidirsi, sicuramente non per il freddo.

Quellaa avrebbe potuto essere una buona scusa: era ormai estate e dormire con il pigiama sarebbe stato fuori luogo.

Lo stesso Francesco, suo fratello, era solo in boxer.

Nel buio assunse un’espressione risoluta, quindi afferrò l’elastico delle mutandine e le sfilò rapidamente, buttandole poi di lato nel buio della stanza.

Così facendo, non avrebbe potuto pentirsi e rimettersele.

Si mise giù su materasso, passandosi una mano sulla pelle.

Era eccitata, ma era anche molto nervosa.

Era meglio che dormisse.

 

Quando aprì gli occhi e vide che la stanza era completamente illuminata, venne per un attimo presa dal panico.

Era in ritardo! La scuola!

Ci mise un paio di secondi per rammentare che la scuola era finita da qualche giorno e che avrebbe potuto rimanere nel letto.

C’erano dei rumori nella stanza, aprì un occhio e vide che suo fratello stava frugando nell’armadio, forse cercando qualcosa da mettersi.

Pensò ai vestiti di suo fratello, e subito dopo indirizzò lo sguardo verso il proprio corpo.

Così come si era addormentata la sera prima, così si era svegliata: nuda.

Il lenzuolo era scostato, ed era impossibile che su fratello non l’avesse notata.

Anzi, anche in quel momento il ragazzo indirizzava lo sguardo su di lei.

“Ben svegliata – le disse – hai avuto caldo questa notte?”.

Stefania non riuscì a capire se il ragazzo la stava canzonando oppure era veramente una domanda.

“Sì, avevo caldo. Non ti dà fastidio se dormo così, vero?”.

Francesco guardò nuovamente verso di lei, effettuando con lo sguardo una specie di scansione della sua pelle.

Stefania dovette lottare contro il suo istinto che le chiedeva di coprirsi.

“No, per nulla. Dormirai così tutte le notti?”.

Stefania alzò le spalle. “Se farà caldo si”.

Si mise a sedere sul letto e incrociò le gambe.

Non poté non notare lo sguardo che suo fratello aveva indirizzato in maniera inequivocabile verso il suo sesso.

 

Sentì i suoi capezzoli irrigidirsi per l’eccitazione di quel momento, sperò che l’effetto non fosse visibile per il ragazzo.

La sera successiva, sia Stefania che suo fratello Francesco si trovarono a prepararsi per andare a dormire nello stesso momento.

Non era così scontato, visto che tante volte, uscendo con compagnie separate, si ritrovavano a rientrare in orari differenti.

Stefania si libero sia della maglietta che dei pantaloncini; quando rimase solo più in biancheria intima, con indifferenza, si spogliò completamente.

Guardò verso il fratello che invece era rimasto in boxer.

Attirò la sua attenzione, cosa non difficile che era qualche minuto che lui cercava comunque di sbirciarla senza farsi notare.

“Perché non provi anche tu? – propose Stefania – dormi anche tu nudo, è molto piacevole e riuscirai ad essere anche più fresco”.

Il ragazzo la guardò senza rispondere.

“Se non lo fai – lo sfidò Stefania – allora anche io mi rivesto”.

Era probabile che quello fosse un buon argomento, visto il ragazzo non sembrava per nulla disprezzare quello che vedeva.

Francesco sembrò quindi cambiare idea: “Va bene, però i boxer me li tolgo solo quando sono nel letto”.

Stefania acconsentì; entrarono ciascuno nel proprio letto, quindi Francesco si tolse l’ultimo indumento e lo gettò sul pavimento.

Si augurarono la buona notte e spensero la luce.

 

 

Stefania aprì gli occhi che il sole era già alto, cosa che capitava molto spesso quando non dovevano andare a scuola.

Guardò verso il letto di suo fratello, dove il ragazzo era anche lui svegliato ed era alle prese con il telefonino.

“Posso venire da te?”, domandò Stefania.

Suo fratello non rispose, probabilmente imbarazzato.

“Guarda che lo so come sei fatto, non ti devi preoccupare”, lo canzonò la sorella.

Non attese la risposta di Francesco, ma, scostate le lenzuola, si alzò e si infilò nel letto con lui.

Lui sembrava molto in imbarazzo; Stefania vide sotto il profilo delle lenzuola come il pene di Francesco fosse eretto e suppose che il disagio provenisse da lì.

“Stai rilassato -gli disse – è tutto normale”.

Francesco sembrava molto teso.

Stefaani sapeva che lui non era mai stato con una ragazza, evidentemente non aveva quel tipo di dimestichezza.

“Senti, facciamo una cosa – propose Stefania – sdraiati sulla pancia e io ti faccio un massaggio alla schiena, così ti rilassi un po”.

Francesco acconsentì, forse anche persuaso che quella fosse l’unica maniera per nascondere l’elezione alla sorella.

Lei attese che il ragazzo si girasse in posizione prona, quindi tolse completamente le lenzuola dal letto – avrebbero intralciato – montò sul suo sedere.

Le faceva strano avere il suo sesso a contatto con la pelle di suo fratello, benchè fosse una situazione un po’ particolare.

Cominciò a massaggiargli la schiena e le spalle, alternando tocchi energici ad altri più leggeri.

L’operazione sembrò funzionare.

Francesco chiuse gli occhi e sembrò finalmente rilassarsi, mentre Stefania estese il suo raggio di azione anche alla parte bassa della schiena e alle gambe di lui.

Lo massaggiò per qualche minuto, quindi si spostò accanto a lui.

“Ora girati tenendo gli occhi chiusi”, gli sussurrò.

Francesco sembrava aver dimenticato le ritrosie poco prima: si voltò sulla schiena, ma non aprì gli occhi, esattamente come gli aveva detto sua sorella.

La sua erezione non si era placata, ma Stefania finse di non accorgersene.

Era la prima volta che lo vedeva in quello stato.

Gli passò le mani sul volto, quindi con le dita lo accarezzò sul petto e sulla pancia.

Vide qualche brivido passare sulla pelle di suo fratello, segno che evidentemente gli stava provocando qualche reazione.

Con calma arrivò sul ventre, quindi, come fosse stato per sbaglio, gli elargì un leggero tocco sul pene.

Ragazzo aprì un po’ la bocca, come per prendere aria.

Stefania abbassò la mano e gli prese i testicoli, quindi appoggiò il palmo della mano sul membro.

Senza nessun preavviso, il ragazzo venne, coprendosi di sperma il petto.

Spalancò gli occhi, forse effettivamente sorpreso anche lui a quanto capitato, quindi si mise a sedere, scese dal letto e corse in bagno.

Dopo qualche secondo Stefania sentì il suono della doccia.

 

 

 

 

Stefania chiuse la porta di casa dietro di sé, notando con soddisfazione come non ci fosse nessuno.

Quelli erano i giorni dell’anno che preferiva: i suoi genitori erano in vacanza, la scuola era finita e aveva la casa a disposizione.

Ovviamente c’era anche suo fratello, e una delle differenze tra loro era proprio come amavano gestire quel periodo.

Mentre Stefania prediligeva la solitudine e le piaceva l’idea di essere a casa senza nessun altro, suo fratello approfittava di quei momenti per invitare sempre degli amici.

I suoi erano partiti da tre giorni, e forse quello era il primo momento in cui in quella casa non c’era nessuno.

Era circa mezzanotte: Stefania era uscita con qualche amico a prendersi un gelato e fare due passi lungo mare.

Era stata una serata piuttosto noiosa, sempre le stesse facce, sempre le stesse cose.

Suo fratello era andato a ballare, era ipotizzabile che non sarebbe rientrato per almeno altre quattro ore.

Si recò nella stanza dei suoi genitori e si preparò per la notte.

Era probabile che suo fratello rientrasse con qualche amico; in quel caso era meglio che lei fosse in una stanza a parte, lasciando la camera che divideva con lui a disposizione dei ragazzi.

Si liberò dei vestiti, rimanendo solo in mutandine, quindi si distese nel letto e spense la luce.

Non era molto stanca, e il contatto delle lenzuola con la sua pelle nuda la fece svegliare.

Forse avrebbe approfittato della situazione di solitudine.

Si sfilò le mutandine e con la mano raggiunse il suo sesso.

Era bellissimo potersi toccare senza doversi preoccupare di qualcun altro in casa.

 

Stefania si svegliò per un rumore che da subito non riuscì a identificare.

Quando il suo cervello si svegliò, dedusse che probabilmente il rumore che aveva sentito era la porta di ingresso che veniva chiusa.

Vide attraverso il vetro zigrinato della porta della camera la luce accendersi nell’altra stanza, e quindi udì delle voci.

Suo fratello era rientrato e non era da solo.

Basta che si mettessero a letto in fretta e non facessero casino.

Tese le orecchie: non erano in due, dovevano essere almeno in quattro.

I soliti con cui suo fratello usava uscire: Fabio, Mirko e Alberto.

Anche se non capiva le parole, dal volume e dal tono si intuiva come i ragazzi avessero bevuto un po’ troppo.

Sembravano sguaiati ed inclini alla risata

Dopo qualche istante vide una sagoma dietro il vetro della sua stanza e sentì una voce, quella di Fabio, dire agli altri: “Andiamo a svegliare Stefania!”.

Udì suo fratello dire di no, ma un’altra voce si unì all’iniziativa: “Sì, dai, facciamole uno scherzo!”.

Stefania realizzò in quel momento di essere completamente nuda.

Cercò a tastoni almeno le mutandine, ma non riuscì a trovarle.

Si mise sotto alle lenzuola e spero che cambiassero idea. Un secondo dopo, sentì la porta che si apriva e una mano che sulla parete tastava per cercare un interruttore.

Chiuse gli occhi e finse di dormire. Forse se avessero visto che dormiva si sarebbero fatti lo scrupolo di non disturbarla.

Sentì un rumore di passi dentro alla stanza.

“Sta dormendo”.

“Dai, andiamo via”.

“Svegliamola”.

Un attimo dopo, Stefania sentì il materasso piegarsi sotto il peso dei ragazzi.

Diverse paia di mani si tesero verso di lei.

“Sveglia! Stefania, sveglia!”.

La ragazza prese a divincolarsi sotto quelle dita che cercavano di farle il solletico.

Sentì che piano piano il lenzuolo si stava spostando da lei.

Era forse lei stessa che, scalciando, si stava scoprendo, ma non riusciva a fermarsi.

Piano piano le dita dei ragazzi smisero di solleticarla attraverso il lenzuolo e entrarono direttamente a contatto con la sua pelle.

Se i ragazzi avessero avuto un’altra età e fossero stati i più sobri forse si sarebbero fermati una volta constatato che lei non indossava nulla; in quella situazione, invece, quello li accese come una secchiata di benzina sul fuoco.

Sentì le loro mani ovunque, senza nessun tipo di freno presero a palparle i seni e a toccarla tra le gambe.

Lei, da parte sua, continuava a ridere.

“Tienile le mani!”, disse qualcuno.

“Fermale le gambe!”, disse qualcun altro.

Dopo un istante due mani le serrarono i polsi e altre due le bloccarono le caviglie.

Fabio e Alberto la stavano tenendo, Mirko e suo fratello erano in ginocchio accanto a lei.

Quell’attimo sembrò durare in eterno: lei, completamente nuda, perfettamente esposta e inerme di fronte a loro.

Loro non sembravano riuscire a togliere gli occhi di dosso dal suo corpo.

Stefania non era preoccupata.

Quelli erano amici di suo fratello e amici suoi, non le avrebbero fatto niente.

Poi era presente anche Francesco, lui non glielo avrebbe permesso.

Mirko allungò una mano verso di lei e le toccò un seno. Lei, pur immobilizzata, non accennò neppure a dimenarsi.

Anche Fabio la accarezzò; Alberto sembrava esitare un po’.

Stefania sentiva il calore delle loro mani passare sulla sua pelle, la sensazione era tutt’altro che spiacevole.

Chiuse gli occhi, in quel momento sentii le dita di Alberto verso il suo inguine.

Fu suo fratello a prendere in mano la situazione.

“Basta, ragazzi! Cosa cazzo state facendo, e mia sorella!”.

I ragazzi sembrarono svegliarsi da quel sogno carico di testosterone in cui si trovavano, sollevarono le mani dal corpo di Stefania e rimasero lì in piedi.

Anche Stefania rimase immobile, incerta se essere dispiaciuta o contenta che tutto si fosse interrotto.

“Andate a dormire al di là – disse Francesco – e qui mi fermo io”.

I ragazzi ubbidirono mogi, senza dire nulla.

Francesco spense la luce, si spogliò fino a rimanere in boxer e si mise nel letto accanto a Stefania.

“Che cazzo fai, perché eri nuda?”, le chiese dopo qualche minuto.

“Nel mio letto potrò dormire come mi pare?”, ribattè piccata.

Non le sembrava il caso di dirgli che si era addormentata subito dopo essersi toccata.

“Sì, però hai visto cosa è capitato; lo sapevi che saremmo rientrati”.

“Potevate stare di là. E poi non è capitato nulla”.

“Nulla? Ma se ti hanno messo le mani ovunque!”.

“Capirai il problema…non mi hanno mica consumata!”.

“E quindi? Ti fai toccare da chiunque?”.

“No. Ma da chi conosco bene sì”.

Si voltò e si mise frontale con il fratello.

Tra loro c’era solo qualche centimetro di distanza.

A tastoni trovò la mano di Francesco e se la portò sul fianco.

Il ragazzo non oppose resistenza.

Stefania non disse nulla, ma dopo qualche istante sentì che la mano si stava spostando sul suo seno.

 

“Vedi? Non mi succede nulla di male. Anzi…”.

“Stefania, sei sicura di non voler venire con noi?”.

Stefania alzò gli occhi dal giornale e guardò sua madre sorridendo: “No, grazie. Tanto a me il calcio non interessa, vi evito anche di sprecare dei soldi”.

La madre prese un giubbotto dall’armadio e lo indossò, quindi si avvolse il collo con una sciarpa rossa e blu.

“Come preferisci. Mi raccomando, se c’è bisogno di qualcosa sai che sopra ci sono i nonni”.

“Sì, mamma”.

Normalmente Stefania avrebbe ribattuto che non era più una bambina e che non aveva bisogno dei nonni, ma in quel momento l’unica cosa che desiderava era che uscissero tutti i casa.

Dall’altra stanza giunsero il marito di sua madre e suo fratello, entrambi bardati da stadio.

“Siete pronti?”, domandò la mamma.

L’uomo fece cenno affermativo con la testa, prese le chiavi della macchina e uscirono sul pianerottolo.

Quando sentì chiudere la porta, Stefania avvertì un’accelerazione al battito del suo cuore.

Guardò l’ora: erano le due del pomeriggio e, ad occhio, aveva tempo almeno fino alle cinque.

Era più che sufficiente, se fosse andato tutto liscio.

Appunto, quella era la variabile che più la preoccupava: che andasse tutto liscio.

Aveva fatto qualche esperimento, ma, come sempre, di certe cose non si ha la certezza fino a quando non le si prova.

Guardò l’orologio: avrebbe fatto passare almeno una ventina di minuti, quanto stimava sufficiente per scongiurare un ritorno della sua famiglia, poi si sarebbe attivata.

Accese la televisione e guardò la puntata di una serie televisiva.

Guardò l’orologio come osse un conto alla rovescia e venti minuti dopo, quando spense il televisore, non sarebbe stata neppure in grado di dire che telefilm avesse visto.

 

Trasse un profondo respiro e si alzò dal divano, quindi si spostò in camera sue ed estrasse da un cassetto un piccolo sacchetto di carta, contenente della corda spessa mezzo dito, un lucchetto metallico, una candela e un flacone di crema idratante.

Aveva acquistato la corda e il lucchetto in un negozio di ferramenta qualche giorno prima, e ricordava di aver provato più imbarazzo di quello che avrebbe provato se fosse andata a comprare dei preservativi.

Quando aveva posato quegli articoli vicino alla cassa non aveva osato guardare in faccia il proprietario per timore che lui potesse capire a cosa sarebbero serviti.

L’uomo, però, non aveva fatto una piega e aveva battuto lo scontrino.

Con il sacchetto in mano, si spostò quindi in cucina e aprì la porta del freezer.

Introdusse la mano tra i surgelati e afferrò un oggetto che dalla sera precedente, all’insaputa di tutti, era depositato lì dentro.

Si trattava di un bicchiere di plastica all’interno del quale dell’acqua si era solidificata sino a diventare un blocco di ghiaccio. Distrusse la sottile plastica con cui era fatto il bicchiere e scrutò con attenzione l’oggetto.

Dal ghiaccio spuntava uno spago lungo una ventina di centimetri; alla cui estremità, imprigionata nel ghiaccio, era legata la chiave del lucchetto.

 

Si portò nella stanza da letto dei suoi e per prima cosa, disfò il letto.

Questo avrebbe implicato che avrebbe dovuto rifarlo successivamente, ma era brava in certe faccende domestiche e preferiva che quello che aveva in mente avvenisse a contatto diretto con il materasso.

Avrebbe dato tutt’altra atmosfera.

Quello era l’ultimo momento in cui poteva decidere ancora di non fare nulla.

Avrebbe potuto tornare in camera sua, rifare il letto dei suoi, prendere un libro e studiare o fare qualunque altra cosa, ma non quello.

Ma si conosceva, e sapeva benissimo che se avesse rinunciato non avrebbe pensato ad altro sino a quando non le si fosse presentata nuovamente un’occasione. E purtroppo i suoi non andavano allo stadio con un’assiduità tale da prevedere che la stessa situazione si sarebbe ripresentata in tempi brevi.

“Vaffanculo, lo faccio!”, decise.

Si liberò dei pantaloni e della maglia del pigiama, rimanendo in biancheria intima, guardò quindi verso la tenda che copriva la finestra.

Era meglio aperta o chiusa?

Prese dal comodino di sua madre una moneta: “Se esce testa è aperta, croce è chiusa”.

Lanciò la moneta: croce.

“Facciamo due su tre”.

Nuovo lancio: testa.

Lanciò ancora una volta: testa di nuovo.

Sorrise, posò la moneta e andò verso la finestra, quindi aprì le tende.

Guardò verso il lampadario, ma decise che era meglio che rimanesse spento.

Va bene tutto, ma voleva contenere certi rischi.

Trasse quindi un sospiro: il dado era tratto.

Si inginocchiò sul materasso e, per prima cosa, legò lo spago collegato al blocco di ghiaccio alla testiera del letto.

Lo posizionò perfettamente al centro, facendo attenzione che fosse fissato alla giusta distanza affinché il blocco di ghiaccio pendesse più o meno all’altezza del materasso.

Prelevò quindi dal sacchetto due pezzi di corda e li legò attorno ai polsi, come se fossero due braccialetti.

Prese quindi il lucchetto, lo mise sul materasso vicino alla testiera, quindi legò altri due pezzi di corda – molto più lunnghi – ai due angoli opposti, quelli del lato dei piedi.

Il suo cuore sembrava stesse per impazzire, lo sentiva veramente scoppiare.

Si slacciò il reggiseno e lo posò su una sedia, quindi si liberò anche delle mutandine.

Con un dito si sfiorò tra le gambe: era bagnata.

Si chiese se avrebbe potuto concedersi di masturbarsi prima di fare tutto, poi decise che sarebbe stato meglio farlo dopo.

Il desiderio sarebbe stato ancora più grande e il piacere maggiore.

Recuperò dal comodino il flacone di crema e ne versò una buona quantità sulla mano, quindi prese la candela e la fece scorrere nel palmo, in modo che la crema si distribuisse in maniera completa lungo tutta la superficie.

Si mise a carponi sul letto e accostò la candela al suo ano.

Chiuse gli occhi mentre l’oggetto penetrava dentro di lei, agevolato dalla lubrificazione procurata dalla crema; si sedette quindi sul materasso, facendo in modo che la parte di candela che usciva dal suo sedere fosse a contatto con il tessuto, cosicchè il peso del suo corpo le impedisse di fuoriuscire.

Legò quindi la caviglia sinistra all’angolo del letto, poi ripeté l’operazione per la destra.

Era la prima volta che le capitava di trovarsi in quella posizione; non pensava che sarebbe stata costretta a tenere le gambe così divaricate.

Si sentiva eccitata per quanto era oscena in quella posizione.

Si sdraiò quindi sulla schiena.

Quello era il momento più delicato, in cui doveva fare attenzione a non sbagliare nessuna mossa.

Prese il lucchetto in mano, quindi fece passare i polsi attorno alla sbarra centrale della testiera del letto.

Con il lucchetto aperto, fece passare il gancio prima dentro il braccialetto del polso destro, poi in quello sinistro.

Una volta chiuso, il lucchetto avrebbe impedito ai suoi polsi di dividersi e l’avrebbe così bloccata ancorata alla testiera del letto.

Stefania trattenne il fiato e fece scattare il lucchetto.

Sentì il rumore meccanico e subito avvertì l’impulso di liberarsi.

Provò a forzare i bracciali che la tenevano, ma erano troppo stretti e i polsi non poteva fuoriuscirne.

La sua unica via di fuga era costituita dalla chiave nel blocco di ghiaccio.

Pendeva dalla testiera del letto ed era perfettamente alla sua portata, ma non avrebbe potuto introdurla nella serratura sino a quando il ghiaccio non si fosse sciolto.

Aveva compiuto un esperimento qualche giorno prima e aveva verificato come prima di un’ora e mezza il blocco non sarebbe diventato acqua.

Cerco di rilassarsi.

La sensazione che stava provando era incredibile: era legata al letto e non avrebbe potuto liberarsi.

Qualunque cosa fosse successa, lei sarebbe rimasta lì.

Questo pensiero, anziché preoccuparla, la eccitava ulteriormente.

Sbirciò fuori dalla finestra: il balcone dei suoi vicini era a non meno di venti metri, se fossero usciti avrebbero probabilmente potuto vederla.

La stanza era in penombra, ma era probabile che un occhio attento avrebbe potuto notare qualcosa, così come lei in quel momento sarebbe stata in grado di distinguere le piante che adornavano l’appartamento dei suoi vicini.

Sentiva i suoi capezzoli estremamente duri e si rammaricò di non avere in casa un oggetto come un vibratore.

Non sarebbe stato facile comprarlo, ma nel momento in cui l’avesse posseduto sarebbe stato veramente azzeccato per la situazione in cui si trovava.

La candela nel suo sedere era penetrata ben oltre quello che aveva ipotizzato.

Probabilmente era una conseguenza della lubrificazione, o forse semplicemente dopo un po’ i tessuti cedevano e permettevano una maggiore penetrazione; sta di fatto che aveva la sensazione che quell’oggetto le arrivasse sino allo stomaco.

Per quanto costretta dai legami, prese a muovere il bacino in modo ondulatorio, in modo tale che la candela, facendo perno sul materasso, si muovesse dentro di lei.

Sentiva le pareti dell’anno dilatarsi ad ogni oscillazione, mentre dentro di lei cresceva una sensazione di fastidio che, paradossalmente, la eccitava.

 

Ad un certo punto un movimento catturò la sua attenzione. La finestra del palazzo di fronte si era aperta e un uomo si era affacciato.

Teneva un telefonino in mano e, mentre con una mano sembrava comporre un messaggio, con l’altra si accese una sigaretta.

La sua attenzione era rivolta verso il telefonino, ma gli sarebbe bastato alzare lo sguardo per essere perfettamente allineato con la finestra dietro alla quale c’era Stefania.

Cosa si vedeva dalla sua angolazione?

La luce si rifletteva sul vetro, oppure, pur nella penombra, avrebbe potuto distinguere il corpo di Stefania?

L’uomo sembrava immerso in altri pensieri: fumava e continuava a trafficare con il telefono.

Il cuore di Stefania batteva fortissimo: una parte di lei era estremamente preoccupata che il vicino alzasse lo sguardo e la vedesse, un’altra quasi si augurava che capitasse.

Sentiva il suo sesso bagnarsi sempre di più e già pregustava il momento in cui, libera dai legami, sarebbe finalmente stata in grado di procurarsi piacere.

Sarebbe stato probabilmente l’orgasmo più violento della sua vita.

L’uomo diede l’ultimo tiro alla sigaretta, la gettò in strada e richiuse la finestra

Stefania tirò un sospiro di sollievo: meglio così.

Chiuse gli occhi e cercò di immedesimarsi nella situazione in cui si trovava.

Era immobilizzata, nuda e a disposizione di chiunque.

Quale contesto immaginario le avrebbe provocato la maggiore eccitazione?

Essere stata rapita e in attesa di essere seviziata data dei criminali?

Essere una ragazza del Medio Evo accusata di stregoneria e in procinto di incontrare l’inquisitore?

Le sue fantasie vennero interrotte da un ronzio improvviso; si voltò verso il comodino e vide lì sopra il suo telefonino che stava vibrando.

Era troppo schiacciata sul materasso per capire chi fosse a chiamare, ma non se ne curò: capitava spesso che lei non rispondesse al telefono, chiunque fosse doveva essere già abituato.

Attese con impazienza che finisse questo disturbo in modo da potersi concentrare sulla sua situazione; finalmente l’apparecchio smise di vibrare.

Chiuse nuovamente gli occhi, cercando di calarsi di nuovo nella parte.

Non passò che qualche secondo, quindi cominciò a suonare il telefono di casa.

Stefania sbuffò impaziente, attendendo che al quinto squillo, come al solito, si attivasse la segreteria telefonica.

Così fece anche quella volta.

La voce che uscì dal microfono era ben nota, era quella del suo patrigno: “Ste, sono io. Mi hanno fermato allo stadio perché non avevo il documento, sto venendo a prendere il passaporto. Preparamelo per piacere, così lo prendo e scappo di nuovo via”.

 

Dalla bocca le sfuggì un gemito di terrore.

Stefania sentì la temperatura del suo corpo innalzarsi improvvisamente.

Controllò l’ora sull’orologio digitale e constatò che non erano passati che venti minuti dal momento in cui aveva estratto il blocco di ghiaccio dal freezer.

Lo cercò a tastoni e lo stinse in mano, ricevendo la sensazione di aver afferrato un blocco di marmo freddo.

Avrebbe potuto scioglierlo con il calore del suo corpo?

Lo strinse fra le mani, ma era evidente dalle dimensioni come quel sistema non avrebbe potuto avere risultati positivi in tempi brevi.

La chiave era irraggiungibile.

Provò a piegare le braccia, sperando che, così facendo, i polsi fuoriuscissero dai braccialetti di corda e potesse liberarsi.

Niente da fare: i nodi erano troppo stretti e la corda non era per nulla elastica.

Per di più, nel fare quel movimento aveva puntato ancora di più il sedere materasso e la candela era penetrata dentro di lei di un altro paio di centimetri.

Annaspò con le mani e cercò il blocco di ghiaccio. Avrebbe potuto scioglierlo con il calore del suo corpo?

Lo strinse fra le mani, ma era evidente dalle dimensioni come quella sistema non avrebbe potuto avere risultati positivi in tempi brevi.

E ora cosa poteva fare?

Il suo patrigno sarebbe entrato in casa di lì a qualche minuto e le speranze che non la vedesse erano veramente poche.

Per di più, il passaporto che aveva annunciato di cercare era abitualmente nel cassetto del comodino accanto al letto, quindi sarebbe sicuramente entrato nella sua stanza.

Avrebbe potuto raccontargli di essere stata aggredita? Poteva essere credibile: si erano introdotti in casa, l’avevano legata in quella maniera e poi, sentito il messaggio in segreteria, erano scappati senza liberarla.

Chi poteva averle fatto questo?

Degli stranieri, è una versione a cui tutti credono sempre.

Per giustificare l’assenza di segni di effrazione, avrebbe potuto dire di aver aperto la porta convinta che fossero i suoi nonni e di essersi trovata di fronte a questi due africani ubriachi.

Certo, ci sarebbe stato l’imbarazzo di farsi vedere nuda da lui, ma non era veramente nelle condizioni di poterlo evitare.

Senti con il cuore in tumulto la porta dell’ascensore aprirsi e chiudersi, quindi il suono terribile delle chiavi nella serratura.

Sentì la porta aprirsi e chiudersi, mentre una parte di lei ancora si augurava che non sarebbe entrato in camera.

“Stefania, sono io! Hai sentito il mio messaggio?”.

Lo senti frugare tra la posta viaggia sul tavolo dell’ingresso, quindi entrò in camera.

Non appena vide Stefania rimase come paralizzato sulla soglia.

“Stefania! Cosa è successo?”.

Si portò accanto al letto, si tolse il giaccone e lo posò sul corpo di Stefania per coprirla.

La ragazza sperò di prodursi in una recitazione credibile: “Sono stata aggredita. Ho sentito suonare, ho aperto la porta pensando che fossero i nonni e c’erano tre africani che sono entrati con la forza!”.

Non appena terminò la frase, si rese conto di quanto falsa le fosse uscita.

Anche il suo patrigno dovette accorgersi di qualche cosa di strano, perché – anziché liberarla come si era augurata – rimase a guardarla.

“Tu sei sicura che sia andata così?”.

Ci fu qualche secondo di silenzio, quindi lui allungò le mani verso di polsi di lei.

Contrariamente a quanto lei si era aspettata, non sentì le sue dita sciogliere i nodi che la stringevano; lo sentì armeggiare vicino alla testiera, quindi si sollevò con in mano il blocco di ghiaccio.

Lo osservò per qualche secondo, quindi disse: “Io questa cosa l’ho vista questa notte nel freezer, mentre cercavo del ghiaccio da mettere nella Coca Cola”.

Stefania aprì la bocca per protestare, ma si rese conto che la sua versione, già debole in partenza, fosse stata decisamente compromessa dal ritrovamento della chiave.

Non disse nulla.

Il patrigno la osservò per qualche secondo, quindi sorrise: “Ti sei legata da sola”.

Cosa poteva dire?

Annuì e distolse lo sguardo da lui.

“Perchè? Aspettavi qualcuno?”.

Scosse la testa con vigore. Non voleva che lui pensasse che lei fosse una specie di mignotta.

“E perchè allora? Ti piace essere legata? Oppure ti piace il rischio di essere sorpresa?”.

Ancora non aveva il coraggio di guardarlo.

“Mi piace essere guardata. E anche il rischio di essere scoperta…che qualcuno mi guardi senza che io possa oppormi”, ammise rivolta alla parete.

L’uomo si alzò.

“Quindi cosa proveresti se io ora togliessi il giaccone da te e ti scoprissi?”.

Stefania sentì il cuore accelerare.

Veramente lui voleva farlo?

Tecnicamente non erano neppure parenti, lei era ormai grande….

 

Le tornò in mente un episodio di qualche anno prima.

Erano in vacanza, lei stava camminando con lui. Lui le aveva passato un braccio sulle spalle e, a causa della grossa differenza di statura, il suo avambraccio ricadeva quasi totalmente sul petto di Stefania.

Lei gli aveva preso la mano ed era qualche minuto che stavano camminando, quando si era resa conto che la mano di lui si trovava all’altezza del suo seno, anche se a qualche centimetro di distanza.

Gli aveva stretto ancora di più la mano e, con movimento lento affinchè lui non se ne accorgesse, l’aveva indirizzata verso di sè.

La punta delle dita di lui le avevano sfiorato la stoffa proprio all’altezza del capezzolo, Stefania non portava ancora il reggiseno e aveva quasi trasalito al quel tocco.

Aveva guardato verso di lui, ma l’attenzione dell’uomo sembrava attirata da altro e non si era reso conto di cosa stessero toccando le sue dita.

Stefania allora aveva accostato nuovamente la mano, prolungando ancora di più il contatto.

Le stava piacendo.

 

“Allora?”, chiese nuovamente lui.

Stefania tenne gli occhi chiusi.

“Toglilo”, disse.

L’uomo non rispose, ma la ragazza sentì l’indumento scorrere sopra al suo corpo e finire sul pavimento.

Ora non solo era nuda, ma era anche oscenamente aperta davanti a lui.

Aprì gli occhi. Lui la stava guardando e lei si sentì immediatamente avvampare.

Distolse lo sguardo.

“Ti prego, non guardami così!”, gli disse.

“Come ti sto guardando?”.

Lei non rispose.

Contrariamente a quanto aveva detto, le piaceva.

Lei lo guardò fisso negli occhi, mentre sentiva il suo sesso bagnarsi ulteriormente.

“Non lo dirai alla mamma, vero?”, chiese.

Lui sorrise e scosse la testa.

“No, non preoccuparti”.

Estrasse il telefonino di tasca.

“Avviso che non trovo il passaporto e che vadano da soli”, disse.

Digitò qualche parola sullo schermo e fece per metterlo via, quindi ci ripensò e lo puntò verso Stefania.

Lei vide il flash partire e capì che le stava facendo delle foto.

Arrossì, ma non protestò.

Le piaceva l’idea che lui volesse conservare un’immagine di lei nuda.

Lui intascò il telefonino e si sedette accanto a lei.

“E ora cosa facciamo?”, chiese.

Lei rispose senza guardarlo in volto.

“Sono legata, non posso liberarmi. Puoi fare quello che vuoi”.

Aveva una voglia pazzesca che lui la toccasse, ma non osava chiederlo.

Lui le pose una mano sulla pancia e lei trattenne il fiato.

Il calore della pelle di lui si trasmise al suo corpo, si sentiva quasi bruciare.

Chiuse gli occhi.

La mano di lui salì di qualche centimetro, fermandosi appena sotto al suo seno.

Lei trattenne il fiato.

“Puoi fare quello che vuoi”, ripetè.

La mano di lui salì e le avvolse il seno sinistro, mentre lei sospirava.

“Che bella pelle che hai…”, disse lui avvicinando il suo volto a quello di lei.

Fece scorrere le dita sul seno, poi le strinse un capezzolo.

Stefania non osava aprire gli occhi, mentre anche l’altro seno veniva stimolato.

Era una sensazione stupenda, nessun altro tocco subito in precedenza l’aveva mai fatta eccitare così tanto.

Le mani del suo patrigno corsero lungo il suo corpo, esplorandone ogni centimetro quadro.

Le accarezzarono la pancia e i fianchi, quindi scesero verso l’inguine.

Solo in quel momento l’uomo si rese conto del pezzo di candela che sporgeva dal sedere della ragazza.

“Siamo perversi, eh…”, commentò, mentre Stefania diventava rossa.

Afferrò la base della candela e la mosse leggermente, provocando un subbuglio interiore alla ragazza.

Si mise in ginocchio sul materasso e accostò il suo volto al sesso di Stefania, quindi le baciò le grandi labbra.

La ragazza sospirò.

Il patrigno accostò la punta della lingua al clitoride di lei e la leccò lentamente.

Stefania aprì la bocca per prendere aria, sopraffatta da una nuova ondata di sensazioni quando la lingua di lui le percorse nuovamente la fessura.

Poteva digli di smettere?

L’avrebbe fatto?

Sentì un brivido percorrerle il corpo, mentre il ritmo della leccata aumentava ancora; nel frattempo entrambe le mani dell’uomo si erano posizionate sui suoi seni e le stavano stimolando anche i capezzoli.

Sentì qualcosa muoversi dentro di lei; un fragoroso brivido le percorse il corpo.

“Più veloce…”, sussurrò.

L’uomo invece si fermò e sorrise.

“Stai per venire?”.

“Sì, ti prego”, disse lei con un filo di voce.

Lui non disse nulla, ma si alzò e andò nell’altra stanza.

Quando tornò aveva un coltello in mano.

Si avvicinò ai polsi di Stefania e con un movimento veloce le tagliò le corde che la legavano.

La ragazza, istintivamente, abbassò le braccia.

“Finisci tu!”, disse il patrigno indicando l’inguine di lei.

Stefania si vergognava, ma aveva una gran voglia di venire e poi il senso del pudore si era abbassato di parecchio.

Tenne gli occhi chiusi e raggiunse a tastoni il clitoride.

Era bagnatissima, non sarebbe durata a lungo.

“Usa questa”, disse il patrigno.

Le stava porgendo un’altra candela, identica a quella che già era dentro di lei.

La prese senza replicare e, accostata alla vulva, la fece scorrere dentro.

Era talmente lubrificata che non incontrò nessun attrito.

La fece entrare di una ventina di centimetri, sentendosi estremamente piena.

Aprì gli occhi per un istante, giusto in tempo per vedere il patrigno che, con il telefonino, la stava nuovamente filmando.

Fece per dirgli qualcosa, ma l’orgasmo sopraggiunse prevaricandola.

Emise un lungo gemito, quindi si sfilò la candela da davanti e la appoggiò sul materasso accanto a lei.

Il patrigno le diede un bacio sul clitoride e le accarezzò il volto.

“Sei uno spettacolo, Stefania. Però non abbiamo ancora fiito”.

 

 

 

Le sciolse i legami che le immobilizzavaano le caviglie.

Stefania istintivamente piegò le gambe, finalmente in grado di provare un po’ di sollievo.

“Rivestiti, rimettiti il pigiama”, le disse il patrigno, poi uscì dalla stanza.

Stefania si rivestì in silenzio.

Quella richiesta l’aveva sopresa, ma non replicò e indossò nuovamente gli indumenti che si era tolta.

Si sedette sul letto e attese qualche minuto, mentre sentiva il suo patrigno trafficare nell’altra stanza.

Quando rientrò aveva in mano il suo computer portatile.

Lo appoggiò sul letto davanti a Stefania.

“Ti piace farti guardare? – chiese – Ecco, qui ne hai quanti ne vuoi”.

Indicò lo schermo del pc, il quale stava restituendo a Stefania la sua stessa immagine ripresa dalla webcam.

“Cos’è?”, chiese lei.

“Un sito di guardoni ed esibizionisti – tagliò corto lui – Chiunque si può far riprendere con la webcam e chiunque può guardare. Ti ho registrata come Cornelia, diciottenne italiana”.

Indicò un punto dello schermo in cui era presente un tasto “trasmetti”.

“Se premi qui – spiegò – quello che la webcam trasmette va online e chiunque potrà guardarti”.

Stefania sentì il cuore accelerare.

“Ma cosa dovrei fare?”.

Lui sorrise.

“Quello che vuoi. Ti mostro cosa stanno facendo gli altri”.

Toccò un punto dello schermo e il sito si divise in piccoli riquadri, ciascuno dei quali mostrava una foto.

La maggior parte erano ragazze, quasi tutte nude o in biancheria intima; c’era anche qualche ragazzo, nudo e con il membro eretto.

Stefania ebbe quasi un moto di repulsione e il patrigno se ne accorse.

“Guarda che è molto meno pericolo di farsi vedere nuda dai vicini di casa. Qui sei assolutamente anonima e nessuno ti può rintracciare. Fai quello che vuoi e quando ti stanchi basta che chiudi la connessione”.

Stefania rimase in silenzio.

“Ti lascio da sola”, disse lui. “Se hai bisogno di me, sono di là”.

Si allontanò e chiuse la porta dietro di sé.

Stefania guardò lo schermo del computer.

C’erano un centinaio di cam aperte, cliccò su una a caso.

L’immagine si aprì su un ragazzo e una ragazza, estremamente brutti e completamente nudi, che fissavano lo schermo a loro volta.

Sulla destra, gli spettatori lasciavano i loro commenti; la maggior parte di loro elogiava la ragazza e la invitava a farsi scopare dall’altro.

Ne aprì un’altra.

Una ragazza nuda sorrideva allo schermo e chattava con i suoi ammiratori.

Erano ottocentrotrentasei ed erano piuttosto concordi nell’elogiare le gambe di lei.

Ogni tanto lei si toccava il pube, ma sembrava quasi un gesto obbligato, non sembrava goderne minimamente.

Cliccò su un’altra.

Questa era una donna di circa quarant’anni che, stando a quanto lei stessa aveva scritto, era al lavoro e si rendeva disponibile a mostrare il seno al suo pubblico.

Stefania chiuse anche quella finestra e premette il tasto “trasmetti”; il sito la rimandò nella sua pagina.

 

Stefania guardò lo schermo e vide una copia di se stessa che la fissava.

Le sue labbra si distesero in un sorriso. Cosa avrebbero pensato quelli che l’avrebbero conosciuta in quel momento?

Sarebbe piaciuta o si sarebbe confusa tra le decine on line in ogni istante?

Poteva provare. Dopotutto, nessuno le imponeva di fare nulla.

Sarebbe rimasta lì, a vedere cosa fosse successo e come si sarebbe sentita a essere osservata da occhi estranei.

Cliccò sul tasto “inizia la trasmissione” e aspetto qualche secondo che l’immagine si stabilizzasse.

Sorrise nuovamente verso la webcam, imbarazzata e incerta su cosa fare.

Un indicatore all’estremità dello schermo la informò che due persone stavano osservando.

Sorrise di nuovo, rivolta a questi due sconosciuti.

 

Nell’altra stanza, il patrigno di Stefania accese l’i-Pad e si collegò al sito.

Attese qualche secondo che la pagina caricasse tutte le miniature, quindi individuò facilmente quella di Stefania.

Era carina, anche se la telecamera aveva una definizione non troppo elevata.

Si collegò con il soprannome – il più anonimo possibile – con cui usava frequentare quel sito.

Puntò l cursore nella zona della chat e cominciò a scrivere.

Joe: “ciao. Sei nuova? Non ti ho mai vista”.

 

Stefania vide il messaggio apparire sullo schermo.

Sorrise di nuovo e digitò sulla tastiera: ” ciao. È vero, è la prima volta. Non so neppure cosa fare”.

Joe: “sei una bella ragazza, sono contento di essere il primo con cui parli. Che ne diresti di spogliarti un po’?”.

Stefania deglutì, anche se cercò di non far trasparire la propria paura. Era così funzionava?

Loro chiedevano e lei faceva?

In fin dei conti, sarebbe stato difficile pensare che non sarebbe successo, che nessuno le avrebbe chiesto di spogliarsi.

La gente non andava su un sito come quello solo per vederla in faccia, sicuramente.

Sorrise nuovamente al suo interlocutore e si sfilò la maglietta del pigiama.

Le fece effetto vedere come la camera stesse trasmettendo i suoi seni, anche se ancora coperti dal reggiseno, teoricamente in tutto il mondo.

Sorrise ancora.

 

Il suo patrigno, nell’altra stanza, sorrise anche lui.

Aprì la mail legata al suo account e compilò un messaggio, estremamente anonimo, indirizzato a tutti i suoi compagni del calcetto.

Copiò il link della cam di Stefania e lo incollò nel testo del messaggio; poi, prima di inviare, incluse all’elenco dei destinatari anche Maria, l’amica lesbica di Stefania.

Impostò la notifica di lettura e inviò il messaggio, quindi rimase ad aspettare.

Il primo che diede segno di aver letto fu Saverio, un suo collega, quindi Marco e poi Enrico.

 

Stefania notò come i suoi spettatori fossero diventati già una sessantina.

Una parte di lei si sentì intimidata, un’altra lusingata.

Dopotutto, non si sentiva meno carina delle altre ragazze che aveva visto nelle altre cam.

Mark:”ciao. Sei molto carina. Ti va di toglierti anche i pantaloni?”.

Savy:”dai, togliti i pantaloni!”.

Stefania arrossì, ma portò le mani ai fianchi e si liberò anche dei pantaloni, rimanendo in biancheria intima.

L’immagine sullo schermo non era perfetta, così accese la luce sul comodino e la puntò sul suo corpo.

Ora la webcam era in grado di cogliere anche i particolari del suo intimo e della sua pelle.

Sentì il cuore accelerare.

Centottanta persone la stavano vedendo sdraiata sul letto con indosso solo la biancheria intima.

 

L’uomo nella stanza accanto ricevette una mail di risposta.

Era da parte di Maurizio ed era rivolta a tutti.

“Ragazzi, ma questa non è la figlia di Anna? Chi è il mittente della mail, non capisco? Cosa facciamo?”.

Schiacciò il tasto “rispondi a tutti”:”E’ maggiorenne, nessuno le ha imposto di stare lì. Non so voi, io guardo”.

Inviò e sorrise.

 

Stefania vide il numero di spettatori salire a duecentodieci.

Anche la chat era diventata più vivace, molti le mandavano baci e cuori.

Savy:”dai, facci vedere qualcosa di più!”.

Joe:”sei sprecata vestita, facci vedere!”.

La ragazza si sentì avvampare.

Era come se avesse avuto duecento persone attorno al letto, cosa doveva fare?

Però aveva ragione il suo patrigno, era più sensato quello piuttosto che spogliarsi sul pianerottolo.

Lì nessuno la conosceva e non correva rischi.

Mauri:”dai, facci almeno vedere le tette!”.

Savy:”tette tette tette tette tette!”.

La ragazza si sentì arrossire e sperò che la definizione della webcam non fosse così elevata da farlo notare a tutti.

Voleva veramente togliersi il reggiseno?

Sicuramente non c’era nessuno che conoscesse a guardarla, però erano duecento persone; anzi, ormai più di duecentocinquanta.

Quante persone avevano visto il suo seno prima di quel momento?

Cinque?

Sei?

Savy:”tette tette tette tette tette!”.

Era lusingata dall’attenzione di tutte quelle persone; la gratificava sapere che – tra tutte le ragazze che in quel momento si stavano esibendo – questi avessero scelto lei, una che fino a quel momento non aveva mostrato quasi nulla.

Stefania sorrise e annuì alla telecamera, quindi portò le mani dietro alla schiena.

Sentiva il cuore battere fortissimo.

Chiuse gli occhi per un paio di secondi, quindi slacciò la chiusura del reggiseno e lasciò che l’indumento scivolasse via da lei.

La telecamera le restituì l’immagine dei suoi seni prominenti, con un’ottima definizione dei suoi capezzoli, eretti e prepotenti.

Una cascata di cuori e baci le arrivò dalla chat.

Si vedeva bene?

Portò le mani dietro alla nuca, in modo che nulla potesse ostacolare la vista.

Ora erano in quattrocento a guardare, provocandole una specie di morsa allo stomaco.

Vedeva la sua cassa toracica alzarsi ed abbassarsi ritmicamente e si chiese quanti dei suoi quattrocento fan si rendessero conto che non era solo eccitata, ma era anche emozionata.

Si chinò verso la chat e scrisse a sua volta:”ragazzi, per oggi basta?”.

Si rese conto solo dopo aver inviato di aver aggiunto il punto interrogativo alla fine.

Joe:”no, non skerzare!”.

Sorrise.

Si guardò nelllo schermo.

Non sembrava una ragazzina impaurita, anzi, sembrava molto padrona della situazione.

Sembrava, appunto.

Savy:”dai, resta con noi!”.

Dalla chat le arrivò un’altra cascata di cuori.

Erano carini, anche se probabilmente un buon numero di loro in quel momento si stava accarezzando il sesso mentre la guardava.

Il pensiero la fece eccitare.

Ormai erano quasi mille; che tipo di persone c’erano?

Ragazzi della sua età o piuttosto vecchi bavosi?

Probabilmente entrambe le cose.

Quanti di loro avrebbero voluto essere veramente lì con lei?

Molti, sicuramente.

Sorrise alla cam e si passò una mano sul seno.

Rabbrividì, come se la sua mano fosse in realtà quella di tutti loro.

Si accarezzò lentamente la base del seno, poi con le dita si sfiorò il capezzolo.

Era durissimo e quasi sobbalzò quando lo toccò.

Karl:”Wow! You R wonderfull!”.

Latinsuede:”please remove your panties!”.

Passò anche l’altra mano sul seno, non potendo astenersi dal sospirare.

Ora erano più di mille a guardare.

 

Il suo patrigno, nella stanza accanto, si passò una mano sul cavallo dei pantaloni.

Ce l’aveva durissimo e meditò se fosse il caso di unirsi alla schiera di masturbatori che sicuramente ci stavano dando dentro davanti a Stefania, poi decise di soprassedere.

Era certo che la ragazza non si sarebbe fermata lì.

Gli arrivò un’altra mail, questa volta da Gian, portiere della squadra di calcetto e titolare dela panetteria sotto casa.

“Io non ci posso credere che vedo questa tutti i giorni a comprare il latte. Chi l’avrebbe mai detto?!??!? fino a che punto si spingerà?”.

 

Stefania strinse i capezzoli tra i polpastrelli e li tirò, socchiudendo gli occhi.

Aveva il cuore che batteva fortissimo.

Strinse i seni tra le mani.

Aveva voglia di spogliarsi ma allo stesso tempo non ne aveva il coraggio.

Cosa sarebbe successo se tra i mille che la stavano ora guardando ci fosse stato qualcuno che la conosceva.

Era abbastanza certa che alcuni dei suoi compagni di scuola fossero soliti frequentare siti di quel genere.

E i suoi professori?

Quello la eccitò ancora di più. Pensò al professor Badino, suo insegnante di matematica, a come una volta l’avesse sospreso a sbirciare nella scollatura e lui fosse arrossito.

Cosa avrebbe pensato ora di lei?

Si sarebbe finalmente goduto la visione delle sue tette.

Posò le mani sulla tastiera.

“Cosa devo fare?”, scrisse.

Le risposte furono quasi unanimi.

 

Doveva togliersi anche gli slip.

Si inginocchiò sul materasso e avvicinò alla webcam il piccolo triaangolino di stoffa che le copriva il pube.

Lo schermo andò un attimo fuori fuoco, quindi mostrò al mondo i dettagli della microfibra nera.

Prese il fiato, quandi abbassò la stoffa di un paio di centimetri, mostrando una piccola zona di peli pubici.

Una cascata di cuori e applausi le arrivò dalla chat.

Orano erano in milleduecento a seguirla.

Introdusse l’indice nelle mutandine e la asciò scivolare dentro.

Era una mossa solo per la webcam, ma sentì di essere estremamente bagnata.

Abbassò gli slip ancora di un paio di centimetri e portò nuovamente le mani dietro alla nuca, in modo che tutti potessero ammirarla da metà coscia in su.

Si sentiva bella e sexy, era eccitata che tutta quella gente la stesse guardando.

 

Il suo patrigno ricevette l’avviso di lettura da Maria e subito dopo una mail dalla stessa ragazza.

“Io conosco questa Cornelia, abbiamo un’amica in comune. So come si chiama, non avrei mai detto che le piacessero queste cose, sembra così timida. Peccato che lei sia etero, è bellissima!”.

Lui meditò qualche istante prima di rispondere.

“Nulla ti vieta di provarci. Come vedi ti ha già sorpresa una volta, magari lo farà di nuovo”.

Non ricevette risposta, ma vide una lesgirl comparire nella chat.

Sorrise.

 

Stefania abbassò lo slip ancora di un poco; ora solo le sue grandi labbra erano coperte.

Sentiva il cuore battere tantissimo, era eccitata come non mai.

“Devo andare avanti?”, chiese.

Millecinquecento persone.

Quanti erano gli allievi della sua scuola? Novecento? Forse, ma non più di mille.

Era come se tutta la sua scuola, docenti e bidelli inclusi, la stesse guardando.

Era tremendamente eccitante.

Abbassò ancora le mutandine, scoprendo completamente l’inguine.

Savy:”sei la più sexy del mondo, non fermarti!”.

Joe:”togliti tutto!!!!!”.

Lesgirl:”nice body. I would die for you”.

Stefania lesse l’ultimo messaggio con sorpresa; non aveva pensato che potessero esserci anche donne a guardarla.

Certo, perchè no?

Thealphapack:”Everyone’s hands are busy”.

Stefania rise a quest’ultimo messaggio.

Ruotò su se stessa e mostrò le natiche alla telecamera.

Aveva un bel sedere, perchè non mostrarlo anche a loro?

Abbassò ulteriormente lo slip, scoprendo totalmente il suo posteriore.

Non poteva vedere lo schermo, ma avrebbe scommesso che i commenti stavano aumentando.

Si chinò in avanti, in modo da offrire alla telecamera un primo piano pieno del suo sedere.

Lo agitò per qualche secondo, poi si voltò nuovamente.

Ora gli slip le arrivavano all’alltezza delle ginocchhia e se ne liberò con un movimento rapido.

Duemila persone la stavano vedendo nuda.

Portò di nuovo le mani dietro alla nuca e chiuse gli occhi.

Centinaia di occhi le stavano esplorando il corpo, stavano fantasticando su di lei.

Wonder11:”il mio cazzo è durissimo”.

Harry:”leccherei ogni centimetro del tuo corpo”.

Rufus:”vorrei essere lì con te”.

Lesgirl:”kiss my pussy”.

Branko:”non ti imbarazza essere nuda davanti a tutti?”.

Sorrise rivolta all’ultimo utente.

“si, mi imbarazza. Ma mi piace anche”, scrisse.

Era vero.

Joe:”quanti cazzi hai preso fino ad ora?”.

Stefania scoppiò a ridere.

Cornelia:”tre”.

Era forse poco per quel genere di ambiente, ma era la verità.

Branko:”solo tre???”.

Infatti.

Joe:”e pompini?”.

Stefania arrossì. Forse la imbarazzavano più quelle domande che essere senza vestiti.

Si chinò sulla tastiera.

“cinque”.

Orano erano duemiladuecento.

Era già nuda, cosa avrebbe potuto fare di più?

Lesgirl:”sei mai stata con una ragazza?”.

Questo la soprese, si era persuasa che l’utente lesgirl non fosse di lingua italiana.

“no”, rispose.

“lo faresti?”, la incalzò subito l’altra.

Si guardò nella webcam, cercando di immaginare la persona con cui stava perlando.

Era una donna, evidentemente, e la domenica pomeriggio aveva deciso di guardare lei.

E di desiderarla, almeno sembrava.

Sentì un brivido.

“Forse sì”, rispose.

Una serie di commenti entusiasti da parte degli altri utenti sottolineò la sua ultima risposta.

Brutaldick:”la prossima volta, lesgirl e cornelia in cam assieme!”.

Lord:”noooo, non può diventare lesbica dopo solo due cazzi!”.

Le venne da ridere, ma notò subito che gli utenti stavano diminuendo.

Ora erano poco meno di duemila, segno che non gradivano le chiacchiere.

Si allontanò dalla tastiera in modo da essere inquadrata in maniera piena e si passò una mano sul corpo.

Partì dalla spalla sinistra, quindi si accarezzò il seno e la portò verso l’inguine.

Sfiorò soltanto il pube, ma questo non le impedì di provare un brivido.

Ripetè il movimento con l’altra mano, compiendo il percorso opposto.

Aveva la pelle d’oca e aveva una voglia pazzesca di toccarsi.

 

Nell’altra stanza, il suo patrigno deglutì.

Quando le aveva proposto la webcam aveva immaginato che non sarebbe andata oltre la biancheria intima, ora invece Stefania lo stava decisamente stupendo.

Ricevette una mail da parte di Cosimo, il suo allenatore.

“Ragazzi, dite quel che volete ma questa è zoccola! Io tra un pp’ mi sparo un segone! Ma secondo voi lo dobbiamo dire a alex?”.

Alex era lui, ovviamente.

Rispose subito, prima che altri prendessero iniziative che non gradiva.

“Meglio di no, sarebbe imbarazzante. Tanto non è neppure sua figlia”.

Inviò.

Meglio non creare scrupoli di coscienza.

Arrivò in un istante la risposta di Saverio:”Sono d’accordo. Anche se la prossima volta che la vedrò non potrò fare a meno di pensare a questa scena”.

Decise di rincarare la dose:”Pensate cosa succederebbe se rientrasse in casa in questo momento!”.

Sogghignò; nessuo di loro stava sospettando che ci fosse lui dietro a tutto.

Enrico:”Non so cosa farebbe lui, ma io al suo posto, se la trovassi così, credo che me la scoperei”.

Alex portò la mano verso il suo membro, crudelmente ancora costretto nei pantaloni.

Enrico non era l’unico a pensarla così.

 

Stefania passò nuovamente un dito tra le labbra.

Ora era decisamente bagnata e l’eccitazione le stava facendo accantonare le remore a toccarsi.

Alla fine lo stavano facendo tutte nelle altre sezioni, se voleva continuare ad avere pubblico doveva offrire uno spettacolo almeno simile.

E poi ne aveva veramente voglia, non poteva negarlo.

Fece passare un polpastrello sul clitoride, stupendosi della sensazione fortissima che ne ricavò.

Aveva sempre pensato che le ragazze che si esibivano in cam fossero delle mezze zoccole, ma stava rivalutando la sua posizione.

Era tremendamente eccitante, molto più bello che toccarsi in camera sua.

Affondò un dito dentro di sé, chiudendo gli occhi.

Era bellissimo.

Appoggiò il sedere sul materasso e posizionò il computer tra le gambe, quindi si distese.

Chi guardava, in quella maniera avrebbe goduto di un primo piano della sua vulva e in secondo piano del suo seno.

Sentì un’ondata di imbarazzo percorrerla, ondata che ricacciò indietro come uno scoglio.

Giunta a quel punto, non poteva più fermarsi.

Sia perchè ne aveva voglia, sia perchè c’erano centinaia di persone che la stavano aspettando.

Appoggiò una mano sulla sua vagina.

Chissà se anche le stripper professioniste si sentivano cos; chissà se anche loro sentivano di essere in debito verso chi le guardava?

Era possibile; sicuramente non poteva essere solo il denaro a spingerle a fare certe cose.

Introdusse un dito tra le labbra, senza trovare alcuna resistenza.

Era talmente bagnata che le labbra si aprirono senza alcuno sforzo.

Non è che si stava cacciando in un guaio?

Le stavano venendo dei pensieri che mai aveva avuto prima…era normale?

Non è che magari, tra qualche anno, avrebbe ricordato quel pomeriggio come quello che aveva dato il via alla sua carriera di pornostar?

Affondò un altro dito dentro di sé.

Erano stupidaggini, se ne rendeva conto.

Si stava solo divertendo e lo stava facendo in maniera del tutto naturale.

Non c’era niente di male nella masturbazione, no?

E nel farsi guardare?

Piegò le dita dentro di sé, provocandosi subito un leggero piacere.

Cosa c’era di male nel farsi guardare?

A tutti piace, soprattutto alle ragazze.

La sua amica Tiziana, ad esempio, si metteva sempre dei costumi ridottissimi in spiaggia, e non era certamente per abbronzarsi meglio.

Non solo, sicuramente.

La sola differenza era che Tiziana trovava qualcuno che la importunava, a lei non sarebbe capitato.

Introdussse un altro dito dentro di sé.

Non riusciva a leggere i commenti sullo schermo, ma vedeva che c’era parecchia attività.

Si sentì ancora più eccitata.

 

Alex strinse violentemente il suo membro attraverso i pantaloni.

Aveva una voglia pazzesca di andare nell’altra stanza e saltare addosso a Stefania, ma non poteva farlo.

Era la figlia di sua moglie, diamine, non poteva scoparsela!

Già, invece farla esibire in cam era normale.

Sbirciò verso la ragazza.

Ora aveva quattro dita dentro la vulva e da come si stava agitando sembrava molto prossima a venire.

Strinse forte la mano attorno al suo pene, cercando di frenare così l’eccitazione, ma senza successo.

Stefania con le dita dell’altra mano si stava stimolando l’ano, ondeggiando velocemente con il bacino.

I commenti sulla colonna di destra erano entusiasti, e i più presenti sembravano essere proprio i suoi amici.

Saverio scriveva che avrebbe voluto infilarglielo nel culo; anche Maria si rendeva disponibile a leccegliela per tutta la notte.

L’immagine che gli si formò in testa non fece altro che aumentare la sua eccitazione.

Strinse ancora di più il membro.

 

Stefania sentì l’orgasmo arrivare violentissimo.

Si voltò di lato in modo da offire un chiaro spettacolo a chi stava guardando, in modo che il suo volto fosse ben visibile.

Estrasse le dita dalla vagina e lasciò che l’ondata di piacere la percorresse interamente.

Aprì la bocca come se le mancasse l’aria, e in un certo senso era proprio così, mentre la stesse spina dorsale sembrava vibrare dal piacere.

Dalla gola le uscì un lamento modulato, come un mugolio, mentre le sue mani correvano istintivamente ai suoi capezzoli e li afferravano con violenza, torcendoli.

Inascò la schiena e urlò, non curandosi di chi avrebbe potuto sentirla.

Lasciò che l’ondata la percorresse per lunghi secondi, quindi aprì nuovamente gli occhi.

La schermo era pieno di messaggi entusiasti da parte degli utenti, che in quel momento erano oltre tremila.

Non le diede alcun fastidio, anzi, sorrise grata alla telecamera, lieta di aver offerto uno spettacolo che era stato apprezzato da così tanta gente.

Sentì un rumore e guardò verso la porta della stanza.

Alex era sull”uscio e dal suo sguardo era chiaro come avesse visto tutto lo spettacolo.

Stefania guardò ancora verso la webcam.

Il suo pubblico meritava ancora un numero.

 

 

Si inginocchiò sul letto e guardò verso l’uomo, il quale le indirizzò un’occhiata mai vista prima.

“Vieni qui”, gli disse solo con il movimento delle labbra.

Alex esitò un attimo.

Non era sicuro che sarebbe riuscito a controllarsi se le fosse andato troppo vicino. E poi c’era gente che lo conosceva dall’altra parte della webcam.

Lei gli sorrise, con un sorriso che neppure lei gli aveva mai rivolto.

L’uomo fece un passo avanti.

Harry:”con chi stai parlando? Non sei sola?”.

Stefania guardò verso la webcam e scosse la testa con un sorriso malizioso.

Alex si avvicinò al letto, lei allungò le braccia e lo afferrò per i fianchi, facendolo avvicinare ancora di più.

L’uomo guardò verso il computer, verificando che la webcam non lo inquadrasse in viso.

Lo schermo mostrò la sua immagine dalla vita in giù.

Sentì le mani di Stefania armeggiare sul bottone dei suoi jeans.

“Ste, sei sicura?”, le sussurrò.

Lei non rispose, ma gli slacciò la chiusura e fece scorrere i pantaloni lungo le gambe.

Alex notò con imbarazzo come la sua eccitazione avesse macchiato i suoi boxer di umori.

Stefania gli passò una mano lungo la patta, fecendolo sobbalzare.

Rufus:”tiraglielo fuori!”.

Hank:”Blowjob! Blowjob!”.

Savy:”Chi è quell’uomo?”.

La ragazza sfregò il viso contro il pube dell’uomo, respirando l’odore forte che emanava.

Sapeve di sudore e di eccitazione.

Abbassò i boxer, scoprendo il pene in erezione.

Lanciò un’occhiata verso il computer, giusto in tempo per controllare come il suo pubblico fosse ormai composto da tremilaseicento persone.

Cercò di non pensare ad una cifra così impressionante e impugnò il membro del patrigno.

Era caldo e sudato, segno che era già eccitato da parecchio.

Cosa avrebbe detto sua madre avesse saputo cosa stava succedendo?

Scoprì il glande dell’uomo.

Poteva considerarla una specie di vendetta per non averle permesso di andare in Sardegna con i suoi compagni l’estate appena trascorsa?

Glielo aveva proibito solo perchè c’era Fabrizio, che a lei non piaceva.

Aprì la bocca e appoggiò le labbra al prepuzio del suo patrigno, quindi lasciò che il suo pene le scivolasse in bocca.

Non puoi sicuramente dire che non ti piaccia l’uomo con cui sono adesso, mamma!

 

Alex controllò che il computer fosse spento prima di sedersi sul letto accanto a Stefania, che invece era sdraiata.

Le passò una mano sul torso, stupendosi ancora che fosse lei la ragazza che stava accarezzando.

Automaticamente guardò verso il proprio inguine, dove il suo membro molle gli ricordava il rapporto orale appena ricevuto.

“Allora? Cosa pensi?”, chiese alla ragazza.

Stefania guardò verso il soffitto, rimanendo in silenzio per qualche secondo.

“E’ stata una cosa pazzesca – disse infine, quando già Alex pensava che non avrebbe più risposto – Tutta quella gente a guardarmi, tutti che scrivevano…..una cosa incredibile!”.

“Ti è piaciuto?”.

“Da matti! Se ci penso mi vengono i brividi!”, disse lei, e si passò un dito sull’avambraccio per sottolineare il concetto.

“Quindi, tutto bene?”, chiese ancora lui.

Lei lo guardò con un sorriso.

“Mi stai chiedendo del pompino?”.

Lui arrossì, imbarazzato da una sfrontataggine che non conosceva.

“Anche. Tutto quanto”.

Lei si mise a sedere e alzò le spalle.

“Si poteva fare. In fin dei conti sei una delle persone a cui voglio più bene nel mondo, non era spagliato”.

Alex non era sicuro che in molti – soprattutto sua moglie – avrebbero condiviso il ragionamento, ma non disse nulla.

“E poi uno aveva detto che cinque pompini non erano molti – proseguì Stefania – Così ho voluto mettermi avanti con il lavoro”.

Rise e si abbandonò ancora sul letto.

“Lo rifarai? La webcam, intendo”, chiese lui.

Lei meditò per qualche secondo.

“Sì, penso di sì. Magari non domani, però credo che lo rifarò”, disse con convinzione. “Sempre che a te non dispiaccia”, aggiunse.

Lui scosse la testa.

“No, non mi dispiace. Anzi”, rispose.

Poi guardò l’ora:”E’ meglio che ci alziamo di qui. Tua madre potrebbe arrivare e non credo sarebbe una buona idea farci trovare così”.

La ragazza sorrise.

“No, meglio di no”, rispose. Poi divenne seria:”Senti….questo sarà un segreto tra noi, vero? Anche se litigherai con mamma, anche se doveste separarvi, questa cosa lei non la saprà mai, me lo prometti?”.

Alex alzò la mano destra:”Lo giuro!”.

Stefania sorrise, si alzò e andò verso la doccia.

 

 

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