Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti Erotici

Astrid

By 25 Marzo 2017Aprile 2nd, 2020No Comments

Io non sapevo più da quanto tempo stavo fischiettando quel motivo, sì, proprio una canzone mostruosa e orribile come la sbornia che dovevo aver pigliato durante la notte, poi francamente chi se ne fregava del fatto che avessi la mente afflitta e tormentata dal vino, da una brutta canzone e in ultimo di tutto quel tempo sprecato? Avere scelto la strada per casa, significava essere abituato a vivere senza farmi più troppe domande, mentre il senso logico delle cose aveva perso ogni valore da troppo tempo, perché potessi ancora credere d’essere un uomo normale.

All’epoca, invero, il clima era assai gelido e in quel momento ero privato di qualsiasi cosa che potesse darmi adeguatamente calore, giacché avvertivo spiccatamente che stavo raggelandomi, così continuai a fischiettare nettamente disgustato e manifestamente nauseato io stesso da quell’aria antiquata e stupida che mi girava per la testa. Smisi, sputando sennonché non so che robaccia e ricominciai, avevo la radio appesa al collo e la spensi: dovevo averla sentita lì quell’immonda e lorda porcheria la sera prima o chissà quando: raccolsi perciò i miei stracci da terra, ripiegai il cartone che mi faceva da cuccia e sistemai tutto sul marciapiede, sotto la panchina, dove giorno dopo giorno chiunque passando m’avrebbe di certo potuto vedere più ridotto a un rottame, che simile a ogni essere umano, perché noi barboni finiamo con il confonderci mescolandoci con le cose per non esistere più.

In quell’istante sollevai la bottiglia quasi vuota e m’accorsi attraverso il vetro verde che il sole la stava illuminando, capii perché stessi meglio. Il sole, il caldo e le belle giornate sono i miei grandi amici da quando la mia vita &egrave indiscutibilmente cambiata: non vi racconterò la storia di questo decisivo e radicale mutamento, perché &egrave insulsa e finanche insapore e ordinaria, in quanto non esistono ponderatezze né ragioni né altrettanto riflessioni particolari. Non ero in crisi né in dissesto, non disprezzavo né odiavo nessuno, non dovevo dimenticare né amori finiti né fallimenti né sconquassi, niente di tutto ciò, avevo però voglia solamente di libertà assoluta, d’essere privo d’impegni e spoglio da doveri, oneri e responsabilità, senza lo scampanellio del postino, senza l’obbligo di rispettare le scadenze, lontano da qualsiasi incombenza e rottura di scatole inventata dalla società per martirizzarti e per torturarti ulteriormente.

Io volevo respirare l’aria a pieni polmoni e guardare in faccia la vita come gli avventurieri d’una volta, succhiarne l’essenza, ascoltare il mio cuore battere all’unisono con gli echi della natura, spingermi lontano in ogni terra del mondo. Ricordo bene l’ultima cosa che avevo fatto, entusiasta ed euforico di felicità come una baccante della tragedia greca: una gran catasta dei miei innumerevoli libri, cui avevo appiccato fuoco con i fogli su cui avevo scritto tante scempiaggini che credevo letteratura. Fu un rogo esaltante, maestoso e magnifico, io ci ballai attorno come uno sciamano folle e incosciente, perché quello fu realmente l’ultimo rapporto con un passato che non ho più, cosicché ingoiai l’ultimo sorso d’un vino infimo come il suo prezzo, l’unico che potessi permettermi e riaccesi la radio poiché gracchiava a corto di batterie, la spensi e mi rimisi a guardare il sole e il cielo di colpo diventato azzurro, usando il vetro colorato della bottiglia. Mi &egrave sempre piaciuto modificare trasfigurando le cose per guardarle in altri modi, però m’annoiai presto, anche perché mi doleva la testa. Un buon caff&egrave, sì, ecco quello che ci voleva.

Mi guardai nelle tasche e frugando feci rapidamente l’inventario: pochi spiccioli e una banconota di piccolo taglio, contai gli spiccioli e decisi che la cassiera del bar di fronte, una biondina niente male, m’avrebbe fatto senz’altro un piccolo prestito. Se non avessi quest’aspetto maltenuto e trascurato con questa barba, che mi fa dimostrare ben più più dei miei quarant’anni, te la farei vedere io, pensavo tra me e me. E dire che sarei ancora un bel pezzo d’uomo e conosco le buone maniere e come si tratta con le signore. Fingo di non sapere nulla, perché chi sta tra i cani, deve solo abbaiare e basta, eppure io ho una cultura signori, ho una cultura, il greco, il latino e il violino. Cominciai a parlare di queste scemenze una volta che avevo preso una sbornia più forte di altre, prima mi presero in giro, poi m’insultarono, poi mi pestarono ben bene, quando intuirono in conclusione che non stavo scherzando.

Non esiste una società diversa da un’altra, mi dissi: d’ora in poi zitto e non provare a distinguerti dagli altri, non differenziarti, perché se vuoi stare in pace non provare a cantare fuori dal coro. Va bene: non canterò mai più da solo, al massimo fischietterò le porcherie della radio mi sorpresi in ultimo pensando e ridendo un po’ di me stesso. Buon Natale: ecco che giorno era, ecco perché quel freddo così pizzicante, così eravamo di nuovo in inverno, un altro dopo tante estati, tante primavere e numerose ventose giornate d’autunno. Presi il frammento d’uno specchio che conservavo nella mia sacca e mi guardai:

‘Che orrore replicai, appena prendo la pensione sociale, pensai per darmi un tono, vado immediatamente al salone nella strada in fondo e vedrete che figurino’.

Mentre rimuginavo tra le riflessioni, mi cadde involontariamente sul palmo la piccola foto di lei che si era appiccicata dietro lo specchietto, vischiosa come sempre, mi sorpresi a dire tra i denti alla stessa maniera di quando mi stava tra i piedi, in quanto io non respiravo perché mi seguiva a ogni passo. Cazzo, te la farò vedere un giorno o l’altro prima o poi, mentre lei s’incollava di più come se pretendesse ogni secondo del mio respiro. A ragion veduta mi mancava, però attualmente potevo guardarla solamente a metà, da quando un dannato piccione ci aveva fatto cascare sopra la sua etichetta preferita marchiandomela.

Io avevo cercato di risciacquarla, però una parte di essa si era rovinata irrimediabilmente, come la mia stessa esistenza. La baciai su quella mezza bocca e la rimisi in fondo alla sacca, stando attento che non mi ricapitasse più tra le mani almeno per un bel po’. Avevo la bocca impastata e quel mal di testa insisteva, perché il maledetto non voleva lasciarmi, rabbrividii con una vampata di calore al viso e fui costretto a sputare ancora: non guardai neppure, che certe cose mi fanno schifo, forse avevo un po’ di febbre, però con un buon caff&egrave mi sarei rimesso in sesto, sono forte io sapete. Quel freddo nelle ossa, eppure si dava da fare proprio quel sole lassù inutilmente, poi la vidi e mi ricordai. Oh, esclamai, però sei ancora qua, non sei un sogno, sei vera, esisti, non m’hai in nessun caso abbandonato come tutti gli altri. Povero scemo, non lo vedi che stai parlando con una lattina di birra, quella che ti era stata lanciata da una finestra, perché stavi fischiando come uno stupido merlo chissà che cosa, la notte scorsa, precisamente la santa notte di Natale.

Adesso va’ via lercio vagabondo, sparisci, mi manifesta speditamente il prete, questa &egrave la casa di Dio: lo so, gli dico io, sono venuto deliberatamente, di proposito, perché sapevo che una volta era la casa di tutti gli emarginati e di tutti i diseredati rimarcandogli argutamente il concetto. La chiesa era piena di gente profumata, impellicciata, esempio e modello vivente dell’adorazione, alla dedizione di quell’indomito e inflessibile Dio denaro che squarcia la società illudendola e maltattandola, in attesa che il sacerdote compiacente e sottomesso a quella stessa devozione, esaltazione e idolatria, mettesse in scena il suo ripetitivo spettacolino senza fede. Una vecchia stava frattanto straziando i tasti d’un organo di discreta fattura, io suonai appena dieci note in tutto, prima che il coperchio venisse rudemente richiuso sulle mie dita da quella megera quasi spezzandomele. Lei mi spinge di fuori, le mani mi tremano, al presente non ho voce, non dico niente, perché da qualche tempo ho imparato a non chiedere nulla né ad aspettarmi niente da nessuno, figuriamoci poi dai preti. Forse avrei voluto suonare un poco: Bach, Handel, o anche Vivaldi, per il fatto che conoscevo un po’ a memoria certi pezzi, dal momento che li eseguivo al violino e all’organo, quando non mi rendevo conto dei morti viventi che mi circondavano assediandomi.

Io avevo con me la bottiglia, ci diedi dentro e fumai l’ultimo mozzicone raccattato chissà dove e quando, accesi la radio a tutto volume e ci cantai appresso come un forsennato, finché un individuo non mi scagliò addosso il barattolo di birra. Amico vacci piano per Dio, diamine, non vedi che sei già sbronzo e rintronato, esposi argutamente e brillantemente verso me stesso. In quell’occasione l’agguantai dal terreno e la esaminai accuratamente, in modo insperato mi sembrò incantevole e la desiderai subito senza sospettare di rinnegare lei che era un’altra cosa, giacché bellissima se ne stava buona nella sacca, malandata, unta e vecchia come me. Io la squadrai innamorato e scoprii che sembrava limpidamente una Madonna con una rosa fra le cosce: come le doveva però profumare, pensai in quell’istante nella mia mente. I capelli biondi e lunghi fino alla vita, la pelle bianca, le labbra di fuoco e un fascio di raggi che la circondava, quasi come se fosse una dea: no, era certamente divina, non potevano esserci dubbi né incertezze. Io non ti violerò aprendoti così, non strapperò via l’etichetta come un bruto e come un malvagio, però un giorno ti berrò tutta, soltanto quando saprò che anche tu m’amerai.

Io l’avevo proprio presa in pieno, come non mi capitava da un pezzo, eppure sentivo addosso un’eccentrica sensatezza e un’inconsueta lucidità, in tal modo me la tenni sul petto allontanando la radio che dopo spensi, poi entrai con i miei occhi nei suoi e da quel momento fu come se divenissi uno squilibrato: ballammo per strada io e lei con quei raggi che le splendevano intorno, poiché rimandavano indietro restituendo riflessi d’oro abbaglianti come un sole, poi lei colse il fiore che teneva tra le gambe e me lo diede in dono, così la vidi disadorna, essenziale e ignuda, inerme senz’inquietudine né turbamento alcuno, perché l’intenso odore della rosa sennonché rapidamente mi tramortì, in tal modo tracannai ancora una lunga sorsata. Lei rideva e si muoveva leggera, sensuale e spensierata, invitandomi deliziosamente a seguirla in quella lunga ed estenuante danza, alla fine caddi e tutto si fece buio, giacché il resto lo sapete.

Il giorno di Natale &egrave passato. Gli uomini di buona inclinazione e di buona volontà hanno trovato in cielo la loro stella, io invece ho scoperto Astrid in una lattina di birra.

L’ho bevuta tutta d’un fiato gustandomela appieno, prima di lasciare questo mondo che m’ha perfino negato e rifiutato l’ultimo caff&egrave, mentre lei viceversa, m’ha donato candidamente e semplicemente il paradiso.

{Idraulico anno 1999}

Leave a Reply