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Chissà se anche gli umani sognano

By 7 Dicembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

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Maria sentì lo schianto freddo alla schiena quando ormai era convinta di essere al sicuro.

Era ormai lontana molti settori dal luogo di incriminazione e nessun giustiziatore aveva i mezzi e la voglia di inseguire un ricercato, oltretutto una semplice umana, tanto a lungo.

E invece il disgustoso gel paralizzante sparatole alle spalle, che l’aveva sbattuta contro la parete del cargo e ora la teneva bloccata con la guancia e il petto schiacciati contro la lega metallica, era proprio del rappresentante dell’ordine.

Impossibile liberarsi. Soprattutto con la gravità artificiale tenuta al minimo.

Il giustiziatore le si avvicinò lentamente. La sua ossessione gli era finalmente davanti, intenta ad agitarsi inutilmente.

Un’umana dal pelo rosso.

Perfino lui, la cui passione per gli umani lo aveva reso un vero esperto su questa specie tanto odiata e perseguitata, non ne aveva mai vista una così. Era affascinato da questa creatura, dal suo rarissimo genoma, e in più era sana, senza menomazioni e impianti.

Le arrivò dietro. Lei cominciò a gridare mentre la spogliava per la perquisizione di protocollo. Le passò le protuberanze tattili per tutta la superficie del corpo, poi penetrò nell’orifizio anale e in quello riproduttivo.

Li trovò piacevolmente caldi e accoglienti, ma non nascondevano nulla.

Maria urlò una parola che il suo traduttore integrato spiegò indicare un quadrupede allevato a fini alimentari originario dello stesso pianeta degli umani; vi si ricavavano svariati tipi di carne, soprattutto insaccata, e aveva la particolarità di essere utilizzato in tutte le sue parti anche in periodi pre-carestia.

Il giustiziatore non capì. Maria aveva bisogno di nutrirsi? O gli stava offrendo la proprietà di uno di questi animali in cambio della libertà?

Le ispezionò velocemente la cavità orale, del tutto indifferente, con la sua coriacea epidermide, al morso che ricevette.

Un androide di vecchia generazione, con il marchio che lo contrassegnava come libero da proprietà e servizi, valutò la scena interessante e si fermò a memorizzarla. C’era sempre qualche biologico disposto a barattare qualcosa per questo genere di ricordi riproducibili. La sua mente digitale cercò di calcolare quanto in profondità nel corpo della creatura pallida si inoltrassero le protuberanze dell’altro, ma non avendo abbastanza dati non ci riuscì.

 

 

Mentre due unità dell’equipaggio la accompagnavano forzatamente nella zona di detenzione dopo aver liquefatto il gel, il giustiziatore contattò il terzo capitano, preposto ad occuparsi della sicurezza e quindi dei segregati, per assicurarsi che la sua arrestata fosse trattata con cura e riguardo e dichiarandosi come suo tutore per il periodo di isolamento provvisorio in attesa della soluzione definitiva.

Secondo gli accordi universali, in caso di arresto in spazio aperto o intradimensionale, la costrizione finale doveva avvenire nel pianeta o stazione di destinazione del mezzo di trasporto ospitante. Per questo aveva aspettato la giusta occasione per la cattura. Il cargo su cui ora viaggiavano entrambi era diretto a un pianeta di terza classe dal nome per lui impronunciabile, uno dei pochi il cui sistema organizzativo dominante perseguiva una filosofia di pace e comprensione, finalizzata al comune benessere condiviso.

Come tutte le strutture abitate era comunque obbligato dai Patti ad avere un adeguato numero di colonie penali. Solo che qui, in linea con il credo, i criminalizzati non venivano né soppressi, come nella maggioranza dei casi, né utilizzati come forza lavoro e neanche sistematicamente torturati e umiliati pubblicamente come monito.

Qui venivano separati dalla collettività, come da prassi, e chiusi in singole capsule sensoriali, immersi in sensazioni piacevoli, vivevano il resto dei loro giorni in uno stato di felicità assoluta.

Alle specie a riproduzione sessuale veniva in pratica indotto un continuo e perenne dolce orgasmo.

Maria avrebbe sicuramente apprezzato. Non avrebbe potuto riprodursi, questo no – ed era una vera sconfitta della logica estetica -, ma almeno avrebbe avuto garantito un buon futuro, decisamente invidiabile, viste le condizioni di vita medie dell’insieme universale di creature viventi.

Il giustiziatore aveva in passato avuto modo di visionare la riproduzione di un ricordo in cui un’umana gemeva di piacere e si muoveva sinuosa durante l’atto riproduttivo. Ne era rimasto affascinato. Si immaginò Maria nelle medesime condizioni, e srghigolò pensando che tra poco più di tre periodo minori – per Maria 8,78 rotazioni planetarie terrestri – l’avrebbe rivista, per il regolare interrogatorio.

 

 

Dirigendosi verso la zona di contenimento il giustiziatore capì di provare quel sentimento sconosciuto alla sua specie che gli umani chiamano trepidazione.

Dall’arresto, forse anche a causa della consapevolezza della vicinanza – malgrado l’isolamento a cui era costretta, lei era lì, dietro poche paratie di metallo e alcuni metri cubi di gas respirabile – che ne era conseguita, la sua ossessione si era acuita.

Ora finalmente avrebbe potuto rivederla e toccarla nuovamente; sarebbe stato molto delicato e amichevole. Anche se praticamente impossibile, gli sarebbe piaciuto essere considerato da lei positivamente. Forse quando le avrebbe mostrato che futuro le aveva destinato…

Chiese al suo accompagnatore la ragione della loro direzione. Gli scomparti detentivi singoli gli risultavano essere già da loro sorpassati. Gli rispose, come suo dovere, che la prigioniera era stata aggregata, per ordine diretto del terzo capitano, nella cella comune quattro, insieme ad altri umani, una ventina. Il rapporto sociale, in particolar modo con i propri simili, era un diritto che solitamente si negava a chi non era stato ancora interrogato, ma evidentemente l’ufficiale voleva trattarla bene.

Altri umani? E di che sesso? Il giustiziatore pareva allarmato. L’accompagnatore non sapeva. Per lui erano tutti uguali. L’unica informazione che aveva era la loro provenienza: la fabbrica penale remota terrestre del Settore Esterno.

Il giustiziatore bestemmiò la sua divinità maggiore e poi insultò tutto l’equipaggio che lo ospitava, accompagnatore compreso. Erano tutti maschi. Venti maschi criminalizzati che non si riproducevano da chissà quanti periodi maggiori e una sola femmina.

Artigliò l’accompagnatore e trascinò lui e se stesso lungo i corridoi bui, ora non c’era più tempo per gustarsi l’attesa dell’incontro; dovevano arrivare il prima possibile.

Aprirono l’ingresso della cella e l’accompagnatore capì subito, pur non essendo un esperto, il motivo della fretta.

Era evidente che qualcosa non andava. L’umana era piegata su uno dei piani di metallo, senza abbigliamento, con gli orifizi inguinali ben esposti e visibilmente feriti. Uno dei suoi compagni di cella era balzato via da lei appena li aveva visti precipitarsi dentro e aveva il membro riproduttivo ancora gonfio e gocciolante.

Il giustiziatore le si avvicinò velocemente travolgendo chi involontariamente gli ostacolava il passaggio e la inglobò nei labirinti dei suoi arti per analizzarne lo stato.

Maria aveva segni vitali molto deboli, lacerazioni e contusioni quasi ovunque, in particolare nella zona vaginale, interna ed esterna, in quella fecale e nelle mammelle. Anche il viso era parzialmente tumefatto e le estremità degli arti presentavano escoriazioni e lividi da immobilizzazione forzata.

L’avevano stuprata ripetutamente, tutti e per tutto quel tempo, in ogni modo, massacrandone il corpo e lo spirito.

La trasportarono con alta priorità nel reparto di cura medicalizzato, dove venne immediatamente sedata, ripulita dai liquidi seminali ed ematici e reidratata. Le vennero cicatrizzate le ferite, esterne ed interne.

Per procurarsi le dosi di sangue compatibile, il giustiziatore dichiarò penalmente perseguibili i già criminalizzati violentatori, aggravandone così la posizione, e ne uccise due sul posto registrandone i decessi come conseguenza di ribellione all’arresto – abbastanza singolare come contingenza, trattandosi di già detenuti – e ne donò i corpi, suoi di diritto, all’ufficiale medico, affinché li usasse come materiale biologico da sostituzione.

Fu tutto inutile.

Maria morì, senza aver mai ripreso conoscenza.

Il suo ultimo ricordo sarebbe stato quello dell’ultima veglia: di orrore e violenza. O forse no, pensò il giustiziatore davanti allo splendido corpo in vita ormai solo vegetativa, al suo viso ora sereno e rilassato. Chissà, forse anche gli umani sono in grado di sognare. E allora sperò avesse avuto almeno un ultimo sogno felice, prima di spegnersi.

 

 

L’ufficiale medico lo contattò il periodo minore seguente, voleva istruzioni sull’uso della salma di Maria.

E mentre il giustiziatore si sforzava di domandarsi quale sarebbe dovuta essere la giusta risposta, gli fu chiesto se anche il feto concepito durante le sevizie dovesse essere soppresso.

Legalmente era parte del corpo dell’umana deceduta e quindi di proprietà del giustiziatore addetto al caso.

Srghigolò come un cucciolo al suo primo pasto. Un feto umano, suo. Che cromosoma, volle sapere. 46,XX. Un’umana. Una nuova umana dal pelo rosso…

All’ufficiale medico venne il concreto dubbio che il suo interlocutore fosse in realtà un androide, tanto fu immediata la risposta che ricevette.

 

 

 

 

 

 

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