Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti Erotici Etero

Dacci dentro, Joe!

By 29 Luglio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Come posto dove incontrarsi con gli amici per una bevuta, Dallo Splendido aveva un’unica attrattiva – serviva da bere.

Ovviamente, il locale era tutt’altro che splendido. Lo gestiva un omaccione grande e grosso di nome Leonard, che era l’esatto contrario. Avrebbe potuto chiamarsi Dal Lurido, o semplicemente Dal Bastardo. Era buio, sciatto e puzzava vagamente di toast bruciacchiato. Ci trovavamo lì due o tre volte la settimana a lagnarci di tutto e tutti, e a non fare un tubo.

Era un venerdì sera e c’era il solito gruppo – Stenie, Go-go, Norm e io – e come al solito ci stavamo sbronzando per bene. Io avevo cominciato a sfasare, e mi ero incantato a guardare quello che più tardi si era rivelato essere il culo di Catherine. Cioè, avevo saputo solo dopo che la tizia a cui stavo guardando il culo si chiamava Catherine. Mi aveva colpito immediatamente; era un culo da favola. Lei se ne stava nelle vicinanze del nostro tavolo con altre due ragazze e un tizio, che probabilmente si stava lamentando dei prezzi quasi comici di Leonard, o del suo grazioso stile nel servire (“Tu che vuoi?”).

Diedi per scontato che fosse il suo ragazzo. Aveva l’aria di averne uno. E non ero ancora riuscito nemmeno a vederla bene in faccia.

«Che bastardo fortunato», ricordo di aver sentito dire a Stenie, mentre i miei occhi si posavano altrove. «Fortunato, fortunato… bastardo».

«Chi?», chiesi, anche se immaginavo stessero parlando di Norm. Se per la strada avessi incrociato due sconosciuti che parlavano di un qualche fortunato bastardo, avrei dedotto che stessero parlando di Norm.

«Questo drittone», disse Stenie, puntando un pollice nella direzione prevista.

«Con le donne o ci sai fare o non ci sai fare», disse Norm, compiaciuto di sé come sempre.

Go-go lasciò partire una risata sgangherata e alzò gli occhi al cielo. «Se è questo che intendi per saperci fare, allora sono contento di essere una frana, e spero di esserlo per sempre», disse.

Mi ero completamente perso l’inizio della conversazione. «Di cos’è già che state parlando?»

«Mercoledì sera», disse Stenie, pazientemente. «Mi sono beccato qui col Drittone per una birra veloce, e lui si è rimorchiato un’infermiera»

«Come si chiamava?», chiese Go-go.

«Dottoressa qualcosa», replicò Norm, senza nemmeno sforzarsi di fare lo spiritoso.

«Comunque avreste dovuto vederla. Stenie, com’era?».

Stenie si strinse nelle spalle. «Era… molto… attraente».

Ci fu un momento di silenzio durante il quale aspettammo che entrasse nei dettagli.

Non lo fece, così Norm riprese a parlare.

«Comunque, la parte interessante della storia non è che ho fatto colpo su una gran figa in un pub e che lei si è sentita attratta da me – questo era scontato. No, la cosa interessante qui è come si è svolta la vicenda. Stavamo chiacchierando del più e del meno – vieni qua spesso, mi piace il tuo orologio, odio questa canzone…»

«E tu a questo punto dov’eri?», chiesi a Stenie.

«Avevo portato le chiappe a casa», disse. «Non aveva senso restare lì a cazzeggiare».

Norm annuì. «Quando le faccio parlare, amici, è fatta. Potete anche prendere la giacca e andarvene»

«Be’, o questo o il fatto che sai essere così sgradevole che non vale la pena starti a parlare. Non ha senso restare in ogni caso».

Norm ignorò la frecciata e continuò a raccontare. «Così siamo finiti da lei – una tazza di caffè, mi piacciono le tue piante, dove hai preso quel pouf, sapete come funziona. Poco dopo ci stavamo saltando addosso. Le cose stavano andando alla grande, e poi lei si fa tutta seria, non so se mi spiego, voleva parlare»

«Uggggh», lo prese in giro Go-go. «Parlare».

«Di sé, ovviamente, di come gli uomini la trattino di merda, di come nessuno guardi oltre il suo aspetto fisico, di come tutti pensino a una cosa sola. Io le ho detto che non era vero, che pensavamo ad altre due o tre cose, ma lei non ha colto l’umorismo».

Noi altri cercammo di reprimere i risolini, ma senza riuscirci.

«Già, lo so, era una gran battuta. Non ha nemmeno sorriso. Ed eccola che riattacca con la solfa di quanto è intelligente, sensibile, di quanto le piaccia stare all’aria aperta, ecc, ecc, ecc. mi stavo veramente spallando, e avevo ancora una mano infilata sotto la sua camicetta, e la cosa si stava facendo piuttosto ridicola, con questa che non la finiva più di parlare. Così ho pensato fosse meglio scoprire le carte»

«E?», dissi io.

Si schiarì la voce. «Le ho detto che era tutto sacrosanto, ma che personalmente, e qui parlavo solo per me – mi sarebbe piaciuto scoparle via il cervello».

Scuotemmo via la testa disgustati.

«E lei che fa?», continuò lui, «mi prende per mano e mi porta dritto in camera da letto. Senza dire una parola. Però mi fa un gran sorriso. Tutta compiaciuta»

«Non ti seguo», disse Go-go.

«Nemmeno io», aggiunsi.

«Be’, state a sentire, non ho ancora finito. Più tardi, ce ne stiamo sdraiati l’uno accanto all’altra, e sto morendo dalla curiosità, devo sapere. Così glielo chiedo. Perché un cambiamento improvviso? Un minuto prima era lì che la mena col fatto che gli uomini sono tutti dei maiali, e poi bang! – Basic Instinct. Così, senza preavviso. E sapete lei cosa mi risponde?».

Grandi scrollate di capo.

«Dice che l’ho “commossa” quando le ho detto che “non mi fermavo all’aspetto fisico” che volevo “scoprire il suo bello”»

«Quand’è che l’hai detto?», chiese Stenie.

«Non l’ho detto. È venuto fuori, giuro, è venuto fuori che quando le ho detto “mi piacerebbe scoparti via il cervello” lei ha capito che dicessi “mi piacerebbe scoprire il tuo bello».

Ci caddero le braccia. Ci fu un momento di silenzio in cui ci sforzammo di trovare qualcosa da dire. Fu a quel punto che una mano dalla pelle bianca come il latte batté sulla spalla di Norm. Era Catherine, o La Ragazza Con Il Culo, come seppi più tardi.

«Non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra… conversazione», disse con tono pacato, «e volevo solo dirvi che siete la più patetica banda di segaioli che mi sia mai capitato di incontrare in tutta la mia vita».

Lo sapevo – lo sapevo – che Norm stava per fare qualche battuta della serie “io e te possiamo incontrarci quando vuoi, bambina”, ma era rimasto senza parole. Uno a zero per lei.

«È davvero in questi termini che parlate delle donne? Razza di scemi. Tipi come voi mi fanno venire il voltastomaco. Che cosa vi prende a voialtri?».

Cavolo, era una forza. E di una bellezza mozzafiato. Scintillanti occhi blu e zigomi alti, pallida come una roccia. Minuta, ma con un fisico atletico.

«Come credi faccia sentire una donna, essere costretta ad ascoltare simili stronzate in un luogo pubblico? Esci per un drink, per chiacchiere con gli amici, farti una risata e devi sorbirti questo».

Indossava una camicia bianca arricciata, pantaloni neri, e pesanti stivali neri. Aveva un’aria…tosta. Accanto a lei le sue amiche, che stavano assistendo a quello scambio con un’espressione sbigottita, quasi sparivano.

«Mi fate venire da vomitare. Segaioli che non siete altro».

Mi innamorai di lei a prima vista? Assolutamente. Ma ormai era il terzo colpo di fulmine della giornata. Il secondo stava uscendo dal locale mentre noi stavamo entrando.

«Cavolo, che ti prende, bella? Sei ritardata o cosa? Sei un po’ particolare, eh?».

Lei sbiancò improvvisamente e si portò una mano alla bocca. A quanto sembrava…

 

 

 

 

Lei sbiancò improvvisamente e si portò una mano alla bocca. A quanto sembrava le era venuto in mente che uno o tutti quanti noi potevamo davvero essere “particolari”. Probabilmente la stavamo fissando con un’espressione inebetita, e in tutta sincerità, la storia di Norm non era stata particolarmente edificante. Persino per i nostri standard, quello non era un momento di cui poter andar fieri. Indietreggiò appena, e per mezzo secondo sembrò sul punto di piangere. Se fossimo rimasti tutti in silenzio per dieci secondi, avrebbe fatto dietro front, avrebbe preso gli amici per un braccio e se ne sarebbe andata. Saremmo diventati solo un brutto ricordo per lei, gli sfortunati subnormali che aveva insultato una sera in un pub orribile. «Non lo sapevo!», avrebbe detto ai suoi amici, piangendo dalla vergogna. «Pensavo che fossero normali! Non lo sapevo!».

Questo sarebbe potuto succedere, ma non successe. Norm le lanciò un’occhiata furba e sentenziò a un volume considerevole: «Lesbiche! Siete tutte uguali, cazzo!».

Be’, lei gli ruppe il naso. Si lanciò sul tavolo, versando pinte dappertutto, e presentò il suo minuscolo pugno al consistente naso di Norm, producendo un rumore da pelle d’oca che posso solo descrivere come un “crac”. Un giorno qualcuno mi chiederà che rumore fa la cartilagine di un naso quando lascia improvvisamente la sua sede naturale al centro della faccia di una persona per una nuova vita sotto il suo occhio destro.

«Semplice», dirò io, «fa crac».

Norm ruzzolò già dalla sedia, il sangue e il moccio che già colavano dal naso, mentre noialtri balzammo in piedi e…Be’, niente. Ci limitammo a balzare in piedi. Qualsiasi tipo di zuffa sarebbe stata un territorio pressoché vergine per noi. E fare a botte con una ragazza era una novità senza precedenti. Catherine – o La ragazza Con Il Culo Che Aveva Spaccato Il Naso A Norm, come la conoscevo io – sembrava sbigottita. Osservandola con qualcosa di simile al timore reverenziale, scambiai la sua espressione per rimorso. Quando batté le mani e squittì deliziata, mi resi conto che in effetti si trattava d’orgoglio. Le sue amiche le si strinsero intorno, dandole pacche sulla spalla e lanciandoci occhiate piene di disprezzo. L’unico maschio del gruppo avanzò verso di me, presumibilmente perché ero il più piccolo, e mi piantò il dito indice nel petto.

«Che cazzo sta succedendo?», chiese, sputacchiandomi in faccia. «Che cosa le hai fatto?».

Era di una corporatura media, non era molto più grosso di me in effetti, ma non c’è dubbio che avrebbe potuto riempirmi di botte se solo avesse voluto. Posso dirlo con sicurezza perché praticamente chiunque poteva riempirmi di botte. La Ragazza Col Culo Che Aveva Rotto Il Naso A Norm avrebbe potuto farmi secco.

«Non le ho fatto niente», protestai, assumendo la classica posa a braccia spalancate della serie “Chi? Io?”, che adottavano spesso i calciatori professionisti quando atterravano qualcuno assestandogli un calcio nella rotula. «Stavamo chiacchierando tranquillamente e lei ci ha aggredito!».

Fu stupido da parte mia dire una cosa simile perché prestai il fianco a un contrattacco…

«Stavate chiacchierando?!», ringhiò lei, ostentando un’espressione disgustata. «È così che lo chiamate? Portarsi a letto con l’inganno povere donne inermi e poi ridere alle loro spalle? Lo chiamate chiacchierare?».

Le sue amiche, che evidentemente non avevano ascoltato la nostra conversazione, impallidirono.

«Non l’ha ingannata!», urlò Stenie, come se servisse qualcosa. «Le ha detto che voleva scoparle via il cervello!».

In quel momento comparve Leonard, borbottando qualcosa a proposito del fatto che dovevamo piantarla. In realtà non c’era niente da piantare, ma indietreggiammo tutti simbolicamente di un passo formando un piccolo cerchio. Nel frattempo Norm era riuscito a tirarsi su a fatica e fissava il soffitto lamentandosi a un volume quasi impercettibile di aver subito un’aggressione.

«Fuori, tutti quanti», disse Leonard, con un tono che lasciava intendere che se avessimo voluto avremmo potuto farci un’ultima bevuta.

Dato che eravamo tutti dell’idea di mettere fine all’incidente, nessuno protestò. La ragazza e il suo entourage si apprestarono ad andarsene e guardandoci in cagnesco si diressero verso la porta principale. Uscendo, resistettero alla tentazione di insultarci un altro po’, cosa che mi parve un buon segno. Nel locale c’era solo un’altra dozzina di persone che fino a quel momento erano rimaste col fiato sospeso. Quando si furono resi conto che non ci sarebbero stati guai seri, ne approfittarono per farsi una risata liberatoria. Con le giacche strette in pugno e gli occhi fissi a terra, guadagnammo l’uscita secondaria. Una volta fuori, ciondolammo lì davanti per un altro po’ commentando l’accaduto. Malgrado nessuno di noi volesse ammetterlo, il vero scopo di quella sosta era di evitare di imbatterci in quegli altri. Continuando a guardarci i piedi e lanciando di tanto un’occhiata nervosa in fondo al vicolo, convenimmo sul fatto che eravamo stati trattati malissimo, quantomeno da Leonard, che ormai ci conosceva. Giurammo che ce ne sarebbe voluto prima che rimettessimo piede Dallo Splendido. Discutemmo anche della violenza del colpo inferto. Degno di un uomo, osservò Stenie – di un uomo che avesse perfezionato la sua tecnica nel prendere a pugni la gente sul naso. Ci furono delle smorfie impressionate e dei mormorii di incoraggiamento quando esaminammo a turno la proboscide malconcia di Norm. Una manciata di minuti dopo, quando fummo sicuri che la via era libera, sgattaiolammo fuori dal vicolo e su per la strada e ci disperdemmo, con Go-go che si offrì coraggiosamente di accompagnare Norm al pronto soccorso. Mentre mi allontanavo, sentii distintamente Norm affermare che il suo assalitore si salvava solo per una cosa. «Però che culo, eh?», disse.

 

 

 

Leave a Reply