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Erotici Racconti

Divagazioni di una mamma sprint

By 2 Luglio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono una mamma culona. Ecco. L’ho detto. Una di quelle donne che si vedono in coda al supermercato mentre avanzano ancheggiando come papere, gli stivaletti che puntano in direzioni opposte sul pavimento. Una di quelle insopportabili femmine che sta parlando al cellulare con una sua amica depressa e nel frattempo è alla ricerca di un figlio smarrito al reparto latticini, mentre l’altro figlio, attaccato alla sua gonna, urla e piange da psicopatico perché la sua mamma papera si è rifiutata di comperargli l’ennesimo Gormito.
Una di quelle donne che, nonostante il lavoro, due figli maschi di sette e otto anni da crescere e un disastro di casa da mandare avanti, non si stanca mai di prenderlo. Che desidera essere scopata con vigore animalesco da quello strano grizzly di suo marito, davanti e dietro. Essere posseduta dal suo matterello venato come una mappa lunare. Essere presa nel culo ma non per il culo. E poi farcita come un bombolone dalla sua crema (mio marito fa il pasticcere!).
«Guarda amore, guarda che gran bel culone da mangiare che hai!», dice quel porcello di mio marito dopo avermi scattato questa foto. Lo dice in tono convinto, emettendo un grugnito di soddisfazione, e la cosa mi lusinga. Mi avvicino a lui accarezzandogli il pancione peloso e godendomi le sue coccole nella nostra camera da letto, prima che i bambini arrivino dal catechismo. Mi piace quando “Orso” – così lo chiamiamo io e i bambini – mi riempie di complimenti. Mi fa sentire speciale. E, nonostante dodici anni di matrimonio e sei di fidanzamento, sentirlo così vicino a me ed entusiasta per quelle due chiappe al vento ancora capaci di farglielo rizzare, mi fa sentire una donna fortunata.
Certo, non è sempre tutto rose e fiori, perché anche lui (come la maggior parte dei mariti delle mie amiche più strette che mi confidano i fattacci loro, come io racconto i miei) ha i suoi momenti di irritabilità. Momenti in cui è scontroso, permaloso, pignolo e pronto a farmi sentire in colpa per qualche cazzata. E poi io non somiglio a nessuna di quelle che piacciono a mio marito, il che è impressionante, visto che gli piacciono tutte. Poi se ne esce con frasi senza senso: «Non ho deciso se mi piace o no Belen Rodriguez». Come se Belen Rodriguez se ne stesse là sulle spine a girarsi i pollici in attesa che lui decida. Per non parlare di quando mangia la frutta… Io non so voi, ma quando sbuccio una banana tolgo sempre quei fastidiosi filetti prima di mangiarla. Orso mangia invece tutto. Potesse, si mangerebbe anche la buccia. Si mangia pure i torsoli delle mele. È come dire: «Ciao. Guarda che animale che sono. Potrei mangiarti anche la testa, se me lo lasciassi fare».
Menomale che in quei momenti posso contare sulle mie amiche, sfogarmi con loro, ricevere e dare consigli. Il bello dell’amicizia non è tanto aver accanto qualcuna che abbia il coraggio di dirti in faccia che i colpi di sole di quella sfumatura nespola putrefatta non valorizzano il tuo caschetto; qualcuna che si sforzerà, sinceramente, di trovare una buona ragione per cui tu debba comprarti la nona collana di jais, perché con quel nodo proprio ti risolve il guardaroba; qualcuna che ti dica che meravigliosa scelta organizzativa hai fatto e gestito benissimo, e com’era imprevedibile che i quattordici amichetti dei figli che avevi a casa ti sfuggissero un po’ di mano e sventrassero a pallonate le uniche due piante di rose che erano riuscite a fiorire.
No, dal mio punto di vista avere amici è necessario principalmente perché mi permette di dare libero sfogo a quello che sento quando ho bisogno di essere ascoltata, di scaricarmi insomma, e perché mi permette di distribuire e ricevere consigli.
Il fatto è che gli amici, le amiche più precisamente, mi hanno tra i piedi per un periodo di tempo limitato, e quindi sono in grado di tollerare un più alto tasso di molestie da parte mia.
Invece, i figli, ai quali sto incollata come una cozza, alle mie predichelle inseriscono la modalità audio “off”, e mi guardano fissando credo un mio orecchino su un lobo a scelta, mentre pensano alla stupefacente avventura degli X-Men che potranno finalmente finire di leggere quando io avrò terminato di illustrare loro i benefici di uno studio metodico e accurato.
Quanto a Orso, il mio marito dal petto irsuto e l’addome prominente come una pagnotta troppo lievitata, lui è un uomo intelligente, e ha imparato da subito a rispondermi «Aha» oppure «Ma davvero?», o anche «Ma sì lo penso anch’io» e «Certo» quasi sempre a tono, ciò che gli permette di simulare conversazioni con me con il minimo sforzo. Se ho il dubbio che non mi stia ascoltando, per fare una prova, gli dico: «Caro, sono di nuovo incinta». Lui, a quelle parole, rotea gli occhi come se gli avessero dato la notizia più sconvolgente che le sue orecchie abbiano mai sentito, si gira verso di me con un’espressione da ebete (o forse sarebbe meglio dire da prendere a schiaffi), ammutolito, lo sguardo vitreo da merluzzo morto. Oppure non si volta, ma, piegandosi come un condannato a morte, porta le mani alla testa ed emette un suono strozzato. E questo significa che l’estremità superficiale di quello che dico gli arriva. Poi lo guardo. Gli occhi sono la sua parte migliore, marroni punteggiati di verde. Il nasino da maiale è troppo piccolo per il suo faccione. Quanto alle sopracciglia, non è che si toccano appena a metà strada ma s’intrecciano in mezzo alla fronte come gente a una festa. La bocca è piccola, ma a culo di gallina, cosa dovuta a parecchi denti sporgenti. Sì, lo guardo. E rido.
Ma per il resto, Orso è comunque un uomo onesto, sensibile e abbastanza paziente, e ciò è sufficiente a farmi dimenticare ogni altro suo difetto. Certo, a volte può volerci un pomeriggio, o una serata intera, seduta in cucina da sola a pensare, per riuscire a vedere le ragioni dietro ai suoi gesti. Come quando lo mando a fare la spesa nel negozio di alimentari sotto casa. È da un po’ che ho rinunciato a mandarlo a fare acquisti lì. È come mandarci una scimmia. Gli dico di arrivare giù al negozio della signora Luisa a comperare un paio di cosette e gli porgo la lista, alla vista della quale Orso si ritrae di scatto, come se gli avessi avvicinato un serpente.
«Non mi serve la lista», protesta.
«Dai, prendila, così non ti dimentichi nulla», ribatto io.
«Non mi serve», insiste Orso senza neanche guardarla, «basta che me lo dici a voce».
Lo guardo dritto negli occhi e, fiduciosa, comincio con l’elenco.
«Allora, un filoncino di pane bianco, margarina, formaggio, tonno e farina di granturco».
Nove volte su dieci si presenta con un filone di pane integrale, burro, farina di granturco e niente formaggio né tonno. E se mi permetto di dire qualcosa, Orso attacca a battere sul tasto della farina di granturco e va avanti all’infinito dicendo che qualcosa l’ha azzeccata, in fondo.
«Lo so che hai preso la farina di granturco, ma mi servivano anche le altre cose», cerco allora di spiegargli.
A quel punto, lui rotea gli occhi e se ne esce insofferente con strane smorfie da prenderlo a sberle, alzando le mani come chi ne ha abbastanza e non vuole sentire altro.
«Dai, non importa, passami ciò che hai preso», gli dico come a far finta di niente.
Orso inizia a darmi i prodotti appena acquistati e poi tira fuori un sacchetto dalla tasca posteriore.
«Dolcetti per il mio tesoro», dice sorridendomi.
Mi ritrovo allora lì, senza formaggio né tonno, senza il necessario per preparare la cena, ma ho un sacchetto di caramelle al miele, in compenso.
«Come faccio ad arrabbiarmi con questo scimmiotto?…», penso tra me.
Tutto quello che posso fare è starmene seduta a tavola, tirar fuori una caramella al miele e succhiarla con tutte le mie forze, riflettendo su quell’uomo che rimane senza soldi per il formaggio e il tonno solo perché compra le caramelle al miele alla sua dolce metà.
Invece le amiche sembrano ascoltare i miei pensieri, e addirittura talora prenderli in considerazione. Quando sono loro a sfogarsi con me dei loro problemi (o, come direbbe Orso, a scaricare i loro barili di merda nella mia testa), di solito, la mia risposta a qualsiasi problema è una a scelta tra le seguenti: ha ragione lui; sposalo; fate un figlio; obbediscigli; fate un altro figlio; trasferisciti nella sua città; perdonalo; cerca di capirlo, e infine fate un figlio. Per questo le amiche che non vogliono sentirsi dire queste cose, perché io so essere delicata come una betoniera se mi impegno, scompaiono dagli schermi radar: io però sono acuta e di solito, dopo aver inviato tredici mail a vuoto e ricevuto quattro sms freddissimi, capisco. Quelle che la pensano come me, invece, o che nonostante tutto mi vogliono bene, continuano a telefonare. E quelle sì che danno soddisfazione!

E poi, una delle lamentele preferite del gentil sesso ha per oggetto l’uomo mascherato. Vediamo di capirci. Il sesso non è mai molto divertente, se l’uomo rimane mascherato. La cosa più divertente del sesso è proprio la caduta della maschera. Forse questo non è vero per quanto riguarda quello che gli uomini vogliono dalle donne, ma lo è di certo per quello che le donne vogliono dagli uomini.
Ah, gli uomini – il sesso imperscrutabile. Che cosa vogliono gli uomini, avrebbe dovuto chiedersi Freud, perché quello che vogliono le donne è così pateticamente chiaro – vogliono uomini senza maschera! Una donna, anche se “navigata” o tutt’altro che inesperta in fatto di maschi, può arrivare ben presto alla conclusione di non aver mai veramente capito gli uomini. Non è che non le piacciano, è solo che si nascondono, non si svelano – come se indossassero tutti maschere di ferro.
Uno ha una maschera di ferro, come l’eroe omonimo; un altro una maschera da sub; un altro ancora una mascherina di seta nera come un gentiluomo veneziano; un altro una maschera da gorilla; un altro ancora di Topolino; eccetera eccetera.
Una delle ragioni per cui una donna può apprezzare il sesso è che durante il sesso può avere l’attenzione assoluta di un uomo. Per un po’, almeno, l’uomo getta la maschera insieme ai pantaloni. Naturalmente di solito fa anche in fretta a rimettersela. Proprio come ci sono uomini che vanno matti per le docce, e altri che si vestono solo in giacca e cravatta, ci sono uomini che riescono a rimettersi la maschera entro mezz’ora dall’ultimo orgasmo. Ma di solito c’è quella mezz’ora di grazia, quella luna di miele, quel felice intervallo a faccia nuda.

Il motivo della necessità di tanti «Scusa un attimo saluto la mia amica e arrivo», marito mio, è che, come ho detto, dare consigli è meraviglioso. Inoltre non c’è altro modo per fingere di avere qualcosa da fare quando due figli (sono entrambi la copia di Orso) si stanno percuotendo, con l’apposita borraccia da bicicletta, per la testa di un omino Lego grande mezzo centimetro, che però ha dei baffi di cui nessuno dei due può fare a meno.
Ma più di ogni altra cosa le amiche servono perché noi donne non abbiamo, come invece è stato per tante generazioni precedenti, una strada segnata davanti a noi. A volte ci serve ragionare insieme a voce alta, chiarirci le idee sulla nostra vita, sulle identità, sulle scelte possibili, che sono tante, come mai prima di questi anni. È per questo che ci dobbiamo telefonare in continuazione e devolvere così cifre stratosferiche alle compagnie telefoniche!
E così ci scambiamo le notizie di un figlio che deve mettere l’apparecchio ai denti, delle rate di un mutuo da pagare che sembra non avere mai fine, di una suocera che vorremmo vedere tre metri sotto terra o di un marito che sta troppo tempo attaccato ai siti porno (a Orso piacciono i video amatoriali che di tanto in tanto scarica e che finisco poi sempre per guardare anch’io, masturbandomici sopra con l’ausilio di un cetriolo o una candela, avvolti con cura in un profilattico ben lubrificato, e ben piazzati dentro una vagina ancora vogliosa e stretta, nonostante il devastante passaggio dei miei due marmocchi…).
E poi ci sfoghiamo l’una con l’altra sull’ostilità che il mondo del lavoro ha nei confronti dei nostri figli, che solo se li metti in orfanotrofio puoi aspirare a essere quasi sullo stesso piano delle colleghe che non hanno prole. Figli che è meglio se in ufficio non li nomini troppo. Magari una loro foto in fondo al secondo cassetto, sotto una copia di Vanity Fair, quello è già più accettabile… Noi donne ci turbiamo quando qualche figlio ha la febbre a trentanove nella settimana in cui i nonni sono in vacanza – è un’evidenza scientifica, succede ogni volta – e la tata non viene (ha lo stesso virus del figlio), e gli impegni del padre non si possono spostare. Allora una madre che sta a casa col bambino e non si dà malata, per non dire una bugia, si vede: a) decurtato lo stipendio, e qui ci possiamo anche stare; b) tolti i contributi e i giorni di anzianità; c) richiesta una dichiarazione di notorietà – ma che è? – da fare davanti a un funzionario comunale, per andare dal quale sarà necessario un giorno di ferie. Eccheccazzo!!! E meno male che i figli sono un bene di tutta la società. Questo a noi donne e madri ci turba. Così come ci turbano i film per bambini che traboccano di doppi sensi e strizzano l’occhio ai grandi, e purtroppo ci impediscono di dire tutte le volte che vorremmo «Tesoro, vatti a vedere un po’ di televisione». Perché va bene adoperare bassi mezzucci per riposarsi un po’, ma la Madre Decente che è dentro di noi purtroppo vigila sempre.
È lei, la Madre Decente, che ci costringe, per esempio, a modulare una voce flautata nel dire «Tesoro mio, forse è meglio che non ti tuffi di testa dal letto a castello, indossando il mio unico vestito da sera presentabile a mo’ di mantello di Batman». Perché noi siamo calme e padrone della situazione, e questa volta non urleremo.
Ed è sempre lei, la Madre Decente che dovrei essere, che mi costringe a sfoggiare un sorriso sciropposo quando mi alzo dopo aver fatto la notte al lavoro e, con quattro ore di sonno alle spalle, devo dirimere un litigio rimasto in sospeso la sera prima, mentre vorrei dedicare tutte le mie energie a ricordarmi quale delle due lenti a contatto vada a destra, che se non sbaglio sarebbe dalla parte della mano con cui scrivo.
A parte questi problemucci quotidiani, con le amiche si parla e si ragiona su un po’ di tutto, cercando possibilmente un terreno comune. Si fa con le amiche, si fa anche con le conoscenti, visto che a noi basta un incontro di un’ora a una festina per bambini per mettere in comune l’intimità, tra pizzette spiaccicate e fiumi di succo di pera. Secondo me, le donne sono davvero chiamate a collaborare tra loro, lo dico un po’ da madre scassa palle. Il nostro genio è nel tessere relazioni, prima di ogni altra cosa. Mi sembra evidente che sta a noi, e la prova è che se la vita sociale della famiglia fosse delegata agli uomini camminereste per le strade del quartiere senza salutare anima viva, visto che ogni volta che scambiate due parole con il vicino, la pediatra o la catechista, quell’orso che vi è accanto vi chiede «Ma chi era?», e soprattutto come siete riuscite a ricordarvi il nome dei suoi figli. Solo noi sappiamo trovare linguaggi, tradurre, che a volte con chi ci è vicino ci vuole l’interprete. Quando mio marito dice «Volentieri, mia cara», per esempio, significa «Lo faccio ma è chiaro che preferirei essere alla festa di comunione del figlio dei vicini», credo una delle più orrende eventualità per lui, un tipo così conviviale che se non intervengono cause esterne di una certa gravità, come per esempio il mancato reperimento delle chiavi, preferisce non sprecare parole, tanto meno di circostanza.
Noi per prime abbiamo il talento di accogliere, accettare ed educare. E non solo i figli (io ad esempio sto ancora cercando di addomesticare un orso…). Noi siamo capaci di vedere il bene in noi stesse e negli altri. Con speranza, anche quando questo bene è solo un lumino lontano.
Da quando sono diventata mamma o, come direbbe il panzone che ho sposato, “dopo che mi ha ingravidato” (ogni tanto, quando facciamo l’amore e sta per venire, mi chiama “vacca” e non so mai se esserne lusingata o meno) la mia vita ha acquisito un senso nuovo. E penso che l’istinto materno sia una forza davvero potente. Credo che si possa essere materne con chiunque abbia bisogno di aiuto. Le donne, quando arrivano alla maternità si trasfigurano di felicità. Mettono da parte i loro problemi e si rimboccano le maniche. Diventano spesso madri affettuosissime, donne generose, anche quando prima erano delle squinternate (perché guardate me? Chi ve lo ha detto?).
Chissà come mai mi vengono da dire queste cose dopo che Orso mi ha fatto posare con le chiappe al vento? Sarà meglio che mi prepari per l’arrivo dei due orsetti. Ed è anche ora che vada a lavare questa gonna di jeans su cui si trovano (ma voi non le vedete perché sono sul davanti) ditate di Nutella ormai incorporate.

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