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Racconti Erotici

Eneide Postmoderno-Delle riflessioni di Asteius e dell’arrivo presso i Lotofagi

By 4 Aprile 2020No Comments

Non fu per Asteius semplice determinare la colpevolezza di Janus e, nonostante le sue parole era ovvio che il saggio fosse statos cosso da tali rivelazioni. Nei giorni successivi si chiuse nella propria cabina, uscendone solo per lo stretto necessario, la mente presa in un vortice di ipotesi e pensieri.
Poteva accusare il giovane Janus di debolezza, additarlo come un traditore davanti a tutti?
Sarebbe stato giusto farlo? La nave necessitava di un capo competente ed eroico e tale era il ruolo dell’Esule. Intaccarlo ora avrebbe implicato causare un danno al morale della sua gente tale da poterne facilmente distruggere lo spirito di gruppo.
Janus era un leader, un capo rispettato da tutti loro. Se si fosse saputa la verità, in molti lo avrebbero additato come un debole, come un traditore, vi sarebbero state separazioni e scontri.
E quel superbo ideale, il sogno di una nuova e sicura patria, mai più avrebbe avuto a divenire!
Tuttavia, l’idea di Licanes, patria di tutti loro, sacrificata alla lussuriosa sbadataggine di Janus rendeva il sacerdote folle di indignazione.
Chiuso nella sua camera pregò gli Déi che potessero accordargli la sapienza e la saggezza con cui risolvere quel dilemma. In più, venne a sapere del fatto che le provviste di bordo, dopo settimane di navigazione, stavano finendo. Alle sue preghiere s’aggiunse dunque il disperato bisogno di un porto dove rifornirsi, finanche di poco! Ma l’oceano pareva totalmente piatto, una distesa d’acqua senza terre emerse in varie direzioni e gli déi parevano sordi alle suppliche del vecchio.

Janus osservava il mare, il viso scottato dal sole impietoso, la pelle resa bronzea dall’esposizione al cocente astro che imperava nel cielo, superbo e senza nubi.
-Non siamo messi bene a cibo.-, riferì Maghera, che rapidamente era divenuta il capo del gruppetto di amazzoni di Kelreas rimaste a cui si era aggregata anche Tia, la giovane donata dal Re Gunkal contro cui Janus e i suoi Esuli si erano battuti, -Abbiamo ancora quanto basta per qualche giorno, una settimana al massimo.-.
-E neanche uno scoglio in vista. Dovremo pescare.-, disse l’Esule.
-Linneus, Tia e Feona se ne stanno occupando.-, rispose Maghera, -Ma il rischio é di sprecare cibo per guadagnare poco e nulla. Dobbiamo trovare un posto dove rifornirci.-. Janus annuì. Si voltò, ma sentì la mano dell’amazzone sulla spalla. Gli occhi della giovane erano inquisitori, risoluti.
-Tu sai dove stiamo andando, vero?-, chiese. Lui sorrise, suo malgrado.
-Certo! So dove siamo diretti. Fidati.-, disse. Lei annuì, apparentemente quieta.
In realtà, Janus non aveva idea di dove fossero diretti. Erano ormai settimane che il padre aveva smesso di guidarlo e nessun’indicazione aveva seguito la visione avuta nel palazzo di Kelraes.
Errava alla deriva, pregando gli déi in cui mai aveva creduto di concedergli una guida.
E pregando che il suo peccato, la sua colpa, non ricadesse sulla gente affidatagli.

Giocoforza, Maghera aveva assoldato un po’ di gente perché pescassero. Il ruolo del comando mal le si adattava all’inizio ma rapidamente ci fece il callo. Purtroppo, l’attività ittica non diede i risultati sperati. Molto del pesce preso fu piccolo, salvo quando Linneus riuscì a portare a bordo una sorta di carpa sovradimensionata.
L’impersa gli valse la gratitudine dell’equipaggio e le attenzioni di Faona, consumate la notte medesima nella di lui stanza. La galea procedeva piano, solcando l’oceano. Le amazzoni avevano inizialmente sofferto il mal di mare ma rapidamente si erano adattate ed avevano tentato di ritagliarsi dei passatempi, aiutando ed addestrandosi quando possibile.
Tutto sommato, Maghera poteva dirsi soddisfatta della situazione, o almeno aveva potuto farlo sino ad allora, in quanto il cibo stava findendo e la situazione appariva preoccupante.
Pregava fervidamente la Dea Madre che concedesse a tutti loro un lido sicuro.

La navigazione procedette per altri due giorni, durante i quali le scorte si assottigliarono ancora e fu al terzo giorno che arrivò la tempesta. Non fu particolarmente forte ma flagellò il morale di bordo. Durò tutta una notte e il giorno dopo, l’equipaggio stremato si fermò per le riparazioni necessarie alle vele. Janus comunque notò il malcontento a bordo. Gli uomini non si ribellavano apertamente ma era palese la loro frustrazione, il loro scoramento, la loro disperazione.
-Uomini! Abbiate coraggio! Abbiate fede! Non siamo arrivati sin qui per perire tra le distese dell’oceano ignoto! Mi fu promesso un radioso futuro e lo otterrò, con tutti voi! Rifonderemo la patria che fu nostra in un luogo già di antiche glorie che risorgerà a nuova vita!-, esclamò rivolto a tutti coloro che poterono sentirlo.
-Chi ti promise tale futuro?-, chiese Aniseus, un giovane arrogante e pugnace.
-Fu mio padre! Egli mi disse che questo é il nostro destino!-, esclamò Janus in risposta.
-È morto!-, esclamò Aniseus, -Così come morti saremo noi! Io dico, troviamo terra e prendiamocela, in barba a profezie folli!-. Le mani di Janus sbiancarono di rabbia.
-Modera il linguaggio! Non é bene offendere i morti! Essi sono vendicativi!-, esclamò un’Amazzone. Aniseus si voltò.
-Per voi superstiziose figlie del Kelreas, forse, non per noi! I morti non hanno più a che fare con noi! Ed é per questo che io chiedo che invertiamo la rotta, torniamo all’Isola di Gunkal, tant’é che il Re sicuro ci accoglierà in amicizia e viviamo là il resto dei nostri giorni!-, esclamò.
Nonostante le occhiate di disprezzo della amazzoni e di alcuni membri dell’equipaggio dirette al giovane, Janus si accorse che in diversi parevano osservarlo, dubitabondi o persino rapiti dalla brutale attrattiva della sua proposta.
Stava perdendoli. E si sentiva esausto. “Resistere. Devi resistere”.
-Altri due giorni.-, disse, pregando silenziosamene che gli déi non lo abbandonassero, -Altri due giorni su questa rotta, poi la invertiremo e torneremo verso Gunkal se non troviamo terra. Vi chiedo solo altri due giorni!-, esclamo. Fu silenzio.
-E sia.-, disse Aniseus, -Altri due giorni! E ora, uomini, a pescare che dobbiamo rimpinguare le scorte.-.

Non era una vera soluzione e Asteius se ne accorse tosto. Era un azzardo.
-Non sai se c’é davvero terra in questi mari, o navigatore.-, disse il vecchio a Janus.
-No. Ma dovevo dargli qualcosa, guadagnare tempo. L’idea di reprimere nel sangue questo dissenso mi fa orrore. Mai all’apice della nostra civiltà fummo squarciati da lotte intestine, in mille anni di civiltà e ora, in questo disperato frangente uno scisma ci annienterebbe.-, disse.
-È vero. Ma resta che, qualora tu debba mantenere la parola data…-, disse Asteius.
-Già. Dovrò proseguire con coloro che mi seguiranno.-, concluse Janus, cupo.
Non era necessario specificare che era una pia speranza al massimo.

Il primo giorno passò nella trepidazione, il secondo nella speranza. E al tramonto la videro.
Un isola! Janus mai fu tanto lieto di veder terre emerse. Ordinò di duplicare la voga.
Aniseus si unì agli sforzi senza protestare, comprendendo di aver perso la sua scommessa.
Fu nel pieno della notte che la galea tocco terra su un’isola bizzarra, piena di vegetazione e più simile a un monte galleggiante. E sulle pendici del monte erano costruiti enormi templi dalle forme mai viste che fecero sgranare di stupore gli occhi dei naufraghi.
-Attendiamo l’indomani per esplorare codesto luogo.-, decretò Janus.
Dispose le sentinelle e si addormentò, stremato dalle prove imposte, domandandosi se realmente gli déi infine lo avessero graziato o se quell’isola fosse un ennesima prova.

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