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Erotici Racconti

Esperienza tenera

By 21 Agosto 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Da un po’ di tempo a questa parte s’affacciava sempre più spesso alla porta del mio ufficio con quello sguardo spaurito, impacciata, timida e quasi a disagio per il disturbo, quantunque il permesso preso al lavoro, i bambini che aspettavano a scuola, l’auto parcheggiata perfino in divieto di sosta, erano tutti abili e validi motivi per chiedermi d’aiutarla per non fare un’ora di fila allo sportello. Quelle erano in realtà delle piccole cortesie che io volentieri le concedevo, quell’adorabile e squisita femmina, tra l’altro vedova apparentemente fragile, magra e slanciata, vestita un po’ troppo giovanile per i suoi evidenti e innegabili quarantacinque anni, spesso con i jeans attillati a vita bassa, che non nascondevano nulla delle sue forme poco appariscenti accompagnate da quelle lunghe gambe ben rifinite, inoltre l’ombelico dall’aspetto occhieggiante le attribuiva un aspetto alla moda, donandole però un lineamento poco elegante e persino indirettamente e velatamente volgare.

Quel lunedì il gilet dei suoi jeans s’incrociava sui piccoli seni lasciando scoperte la schiena, assieme ai fianchi e al ventre piatto, in quanto aveva acceso vistosamente i miei sensi più delle altre volte. La scollatura molto profonda mostrava due collinette appena accennate, non più grandi d’una coppa di champagne, dalla pelle delicata, quasi diafana, eppure compatte e sode. In piedi accanto a lei, infatti, appena si piegava in avanti aprendo la scollatura, io scorgevo i suoi capezzoli duri, poco pronunciati con l’areola molto delicata, poco marcata, dato che non facevo nulla per distogliere lo sguardo, neanche quando guardandomi e ricomponendosi lei mi diffondeva un sorriso allusivo e malizioso, quasi di rimprovero e di rinfaccio per quell’impertinente e tangibile sfacciata insistenza.

Nei suoi gesti e nei suoi movimenti c’era sennonché la consapevolezza della voglia sfrenata dei miei sguardi, dal momento che la voce era quasi roca, incrinata da una leggera emozione e i suoi occhi più verdi e più profondi del solito, mi scrutavano a fondo con petulanza appena distoglievo lo sguardo. Io non potevo fare a meno di perdermi in quel verde assoluto, quasi un bosco di pini e glielo dissi senza smettere di fissarla. Lo splendido sorriso che lei mi restituì, fece cadere gli ultimi dubbi che ancora mi trattenevano dal farle proposte più spinte, perché nel porgerle la penna per firmare io le sfiorai con insistenza la mano, con un’evidente carezza che lei ricambiò restituendomela argutamente in modo sagace.

Io la guardavo fissa negli occhi, visto che nel mio sguardo si leggeva la voglia senza ritegno d’abbracciarla, d’accarezzarla, di stringerla e di farla mia, incurante e indifferente del fatto che da un momento all’altro potesse affacciarsi chiunque sulla porta della mia stanza, giacché quando alzandosi e avanzando flessuosamente s’avvicinò per salutarmi fissandomi negli occhi senza distogliere lo sguardo, le dissi in maniera schietta quanto mi piacesse e quanto la desiderassi. Lei mi rispose con un sussurro appena percettibile, farfugliando qualcosa d’incomprensibile, quasi un lamento o meglio un rantolo per l’emozione evidente che coinvolgeva entrambi, perché quelle mani strette contemporaneamente ci attirarono l’uno verso l’altra, avvicinando in tal modo le nostre labbra. Un attimo d’incertezza e d’assurda e incongrua pudicizia ci allontanò, per farci ritrovare immediatamente abbracciati in una stretta quasi violenta, talmente intensa che i nostri corpi sembravano volessero fondersi, diventare tutto d’un pezzo, in un turbine di passione, di desiderio e di sensualità da tanto represso e rimandato.

Le sue mani nervose stringevano le mie spalle e i miei fianchi con una forza non comune, azzarderei dichiarare insolita e rara per una donna apparentemente mingherlina come lei, quasi volessero in un attimo conoscere e possedere il mio corpo, palparne ogni muscolo, ogni piega, saggiarne la consistenza e in ultimo la reale vigoria. La sua lingua penetrò profondamente nella mia bocca esplorandola in ogni cavità, per il fatto che c’era in lei una voglia d’uomo da lungo tempo trattenuta e non espressa, convulsa e irrefrenabile era la sua energia, tenuto conto che non mi dava la possibilità di prendere l’iniziativa, tranne quella d’accarezzare i suoi fianchi, le sue sode rotondità e le sue spalle. Il suo pube premeva sulla mia già poderosa reazione, volendo quasi fondersi senza penetrazione con dei movimenti circolari, in quanto ne aumentavano innegabilmente l’inturgidimento e la sua voglia bramosa d’essere posseduta. Ogni suo gesto manifestava in realtà una voglia di maschio disattesa e insoddisfatta da lungo tempo, quasi come per voler riconquistare acchiappando sensazioni ed emozioni perdute, svanite nella forzata astinenza e nella solitudine impostale dal fato avverso.

Io passavo le mie mani sui suoi fianchi, sui glutei fasciati da quel tessuto dei jeans attillato e ruvido, che non consentivano ai miei sensi di gustarne quelle sensazioni che avrebbero voluto trarre dal contatto, per poterne avvertire prima la morbidezza della sua pelle e poi sentirne i suoi pori per l’eccitazione crescente, cogliere le prime perle della sua sudorazione profumata, che le mie narici avvertivano in maniera intensa di femmina in evidente calore. Allargando il gilet, infatti, io le sfiorai il capezzolo che in brevissimo tempo divenne duro, teso e prepotente, cominciai in tal modo a torcerlo gentilmente stringendo l’areola con i polpastrelli, con una pressione delicata ma sempre più intensa, sentendolo diventare compatto e raggrinzito per il piacere del contatto. La cintura stretta a fianchi m’impedii d’arrivare al centro del suo vulcano in piena eruzione, perché tale doveva essere l’esuberante foga con la quale pressava sul mio pube, riuscendo a sfiorare soltanto la sottile peluria che lo avvolgeva. La sensazione che trassi dal riuscire a insinuare le mie dita nel suo culetto sodo e perfettamente tondo fu invece delizioso, facilitata e favorita sennonché dalla vita bassa dei suoi jeans.

Il solco che partiva per raggiungere il suo paradiso era morbido e vellutato, agevole da percorrere nella sua lunghezza e la rosetta del suo ano mi fiorì sul dito medio già umida dai fluidi. Non scambiammo nessuna parola, accalorati ed eccitati da quel contatto così improvviso, consapevoli che una serie di circostanze fortuite e di combinazioni, ma anche d’istinto e di sensualità, ci avevano spinto giorno dopo giorno in quei mesi di saltuaria frequentazione a cadere in quell’abbraccio così frenetico e furente. Un improvviso rumore proveniente dalla stanza di Francesca ci spinse ad allontanarci ancora stupiti, increduli ed emozionati, con il cuore d’entrambi che batteva velocemente, incapace di ritornare all’abituale prassi. Sfiorando le mie labbra con un ultimo bacio e ricomponendosi lei s’allontanò in fretta camminando in maniera incerta, ondeggiando sulle gambe insicure forse per i tacchi troppo alti o per l’emozione imprevista e intensa del momento.

Io non le diedi il tempo di salire in auto e la chiamai al cellulare, riuscendo finalmente a riprendere quel colloquio troncato deliziosamente di botto. La nostra conversazione fu già da subito a senso unico, scambiandoci in un soffio tutte le nostre sensazioni, le nostre emozioni, il desiderio di conoscere, di frugare e di possedere i nostri corpi, rimasto inappagato e da tutti e due tenuto dissimulato e latente per tanto tempo.

Il giorno dopo iniziò un’esperienza amorevole e tenera, nello stesso modo carica d’una sensuale e insperata intesa, che in breve ci portò a gustare ogni nostro intimo centimetro, ogni piega della pelle, esplorando e raggiungendo in tal modo i punti più sensibili per entrambi, toccando il piacere estremo con orgasmi talmente appaganti e meravigliosi, da lasciarci sfiniti e svigoriti nel nostro recente rifugio.

{Idraulico anno 1999} 

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