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High Utility

Episodio 28

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@hotmail.com

Luca sollevò lo sguardo dal piccolo schermo LCD della sua Nikon quando un’aquila, che stava sfruttando una qualche corrente ascensionale, passò sopra di loro lanciando il suo strido. Contemplò la sua magnificenza selvaggia e la libertà con cui dominava i cieli sopra le montagne di Caregan, chiedendosi come fosse librarsi in aria in quel modo.
Tornò a controllare le impostazioni della fotocamera, cercando di capire come correggere gli errori che aveva riscontrato durante gli scatti la volta precedente che era salito fin lì; le sue labbra si corrucciarono in un moto di irritazione nel rendersi conto che il sole era in una posizione in cielo che non permetteva di sfruttare al meglio il filtro polarizzato per rimuovere l’effetto dell’umidità nell’atmosfera che offuscava i dettagli delle cime dall’altra parte della valle. Forse, abbassando di uno stop la compensazione o, magari, in postproduzione…
– Troppo incasinato per me – commentò Flavia dopo averlo osservato per qualche istante, sentendolo borbottare termini che le dovevano sembrare privi di senso, premendo tasti con strane scritte e icone e scattando immagini di prova. – Io mi limiterei a lasciare tutto il lavoro alla macchina: schiaccerei il pulsante al momento giusto e basta. Non ce la fa da sola, no?
Luca guardò la ragazza, che si stava grattando la testa, confusa. Erano tre settimane che stavano insieme, le tre settimane più belle della sua vita. Se il periodo precedente gli era sembrato grigio e triste, da quando era il fidanzato di Flavia sembrava che tutto fosse cambiato, che ogni colore fosse più vivido e anche l’aria pareva avere un profumo migliore. Sì, anche con Sam era stato fantastico, ma era stata una cosa esclusivamente di passione, sesso, sesso e ancora sesso… sesso fantastico, con una donna incredibile, ma… Con Flavia, invece, la sua felicità continuava anche fuori dalle lenzuola, anche quando aveva le mutande addosso.
Flavia era dolce, simpatica, intelligente, istruita, a letto era una bomba quasi quanto la madre, ma… beh, era dannatamente impaziente. Sembrava non avesse il tempo per nulla che non le donasse un’emozione forte, come il sesso grezzo che consumavano anche tre o quattro volte alla settimana. Lo voleva al punto tale che i preliminari, che Sam pretendeva e che avevano avuto un peso non indifferente nell’istruzione che gli aveva impartito, a Flavia importavano ben poco. Dopo il sesso sì, ma prima no.
Non era, quindi, una sorpresa che non apprezzasse troppo la fotografia, il lavoro che richiedeva sia prima che dopo lo scatto, e che Luca adorava. Nonostante imprecasse quando un’impostazione si dimostrava sbagliata durante la programmazione della camera o una scelta nei ritocchi al computer peggiorasse la situazione, lui la trovava soddisfacente e rilassante.
Comunque, era una ragazza accomodante, a differenza di Giada, qualche metro più in là, che stava stressando Alessio con tutta una serie di recriminazioni sui pericoli del volo con il parapendio, quasi volesse obbligarlo a smettere e a dire all’istruttore, dall’altra parte della radura, che non aveva intenzione di continuare con quella follia.
Alessio lo guardò, con un’espressione esagerata di richiesta di soccorso sul volto. – Non è che facciamo scambio delle fidanzate – domandò, – nonostante quanto possa far credere, Giada ha anche dei pregi.
Luca sorrise, ma Flavia scoppiò in una risata che cercò di nascondere dietro ad una mano quando l’altra ragazza la fulminò con lo sguardo, gli occhi che non riuscivano a nascondere minimamente il divertimento che stava sconquassando il suo petto.
Lui e Alessio si erano accordati di salire fino alla Malga Ermete già da mesi, quando il secondo aveva mostrato sul telefonino le date in cui si sarebbero svolti i lanci con l’istruttore di parapendio, uno con il ruolo di immortalare l’altro nel mentre in cui si stava staccando dal suolo, ma, tenendo conto della volta precedente, non era previsto nessun altro insieme a loro, in special modo Giada, che aveva sostenuto che non avrebbe fatto tutta quella strada per vedere il suo amato ragazzo ammazzarsi con uno sport tanto idiota. Alessio non se l’era presa particolarmente e, sebbene avesse stuzzicato la ragazza per essersi persa il suo momento di gloria, quando aveva finalmente spiccato il volo e viaggiato fino a valle come un falco (“un pinguino”, l’aveva corretto la ragazza, stizzita, sostenendo che un falco non si sarebbe limitato a lanciarsi da una rupe per finire a terra nel prato vicino alla cava di Caregan), non si era certo aspettato che sarebbe venuta la seconda volta. La bionda, però, sembrò cambiare improvvisamente idea quando, dopo una mattina di lezioni, nel piazzale della scuola, riuniti tutti e quattro, Luca aveva chiesto a Flavia se quella domenica voleva salire fino a quota duemiladuecento metri a vedere il lancio dei parapendii; lui si era aspettato nulla più di un’alzata di spalle, seguita da un “sì” che lasciava intendere che, tanto, quella domenica, la rossa non avrebbe avuto nulla di meglio da fare: la ragazza, invece, sembrò prossima a saltare sul posto quando sentì la proposta.
Un istante dopo, Giada sorprese tutti sostenendo che sarebbe venuta anche lei, a sostenere il suo amato ragazzo, che strinse ad un braccio. Lui l’aveva guardata confuso e con il suo tipico sguardo di quando stava annusando una fregatura.
Domenica mattina, poi, si erano trovati davanti alla stazione degli autobus, dove avevano preso un mezzo per raggiungere la contrada a mezza montagna di San Gregorio, un pugno di case ristrutturate che davano sulla valle con vista fino a Belluno. Da lì avevano preso a camminare lungo una strada asfaltata che, dopo poche centinaia di metri, era diventata una carrareccia segnata dal passaggio di trattori e jeep. La risalita aveva richiesto quasi due ore, durante le quali Giada aveva ciarlato per quasi tutto il tempo, sebbene Luca avesse avuto la sensazione che parlasse soprattutto a lui, mentre Flavia sembrava quasi più eccitata di Alessio.
Era la seconda volta che il ragazzo si trovava alla Malga Ermete, una radura con una forte pendenza che prendeva il nome da una vecchia baita pericolante in un angolo, ultima vestigia del pascolo che, nei mesi estivi di decenni prima, ospitava bestiame proveniente da qualche stallone nel fondovalle. Era circondata da pini e abeti che davano la soffocante sensazione di un esercito vegetale che, in un paio di secoli, avrebbe preso possesso anche di quello spiazzo pieno di erba ancora secca o, per lo meno, da tre lati, perché quello meridionale cedeva in uno strapiombo oltre il quale si apriva la Valbelluna: per quella via i parapendisti si lanciavano, dopo una corsa lungo il prato e prendendo la corrente ascensionale che si formava dal calore sprigionato dalle rocce più in basso.
Una panchina di legno posta lì dalla Pro Loco di Caregan qualche anno prima, quando era stato istituito un percorso di montagna che attraversava alcuni comuni della zona, insieme ad una griglia su una struttura di metallo. Luca, la volta precedente, aveva deciso di controllarla e, sebbene non gli fosse sembrata troppo malmessa, aveva comunque consigliato uno spuntino al sacco piuttosto di qualcosa che avrebbe richiesto l’uso di fuoco per cucinare.
Un suono, simile ad un colpo di frusta, riportò Luca alla realtà: alzò lo sguardo su una manica a vento bianca e rossa che, improvvisamente, aveva cominciato a gonfiarsi sulla sommità di un’asta a pochi metri dal precipizio. Ricordava vagamente qualcosa che gli aveva detto Alessio, riguardo a quelle bandiere a forma di cono: a quanto pareva, a seconda di quante sezioni colorate si gonfiavano, era possibile determinare la forza e la velocità del vento in quel momento. Luca si chiese se lo stesso valore valesse a livello del mare così come ad una quota di 2200 metri, come dove si trovavano loro: con un sorriso perfido, decise che l’avrebbe chiesto al suo professore di scienze che sembrava sapere qualsiasi cosa con le speranza di vederlo tentennare ad una domanda simile.
– Partiremo tra quindici minuti – annunciò l’istruttore, vicino ad alcuni collaboratori, che stavano controllando le corde dei parapendii, alzando la voce. Alessio rispose che era pronto.
– Ma sei sicuro di volerlo fare? – domandò Giada, che non riusciva a nascondere un reale e genuino terrore osservando degli sconosciuti che ispezionavano dei fili un po’ grossi attaccati ad un pezzo di tela colorato. Luca ammise che l’unica differenza tra lui e la ragazza consisteva esclusivamente che lui la paura, a quello spettacolo, la sentiva tutta nelle viscere senza mostrarsi sul suo viso.
Alessio si lasciò sfuggire un sospiro di avvilimento. Ormai era abituato alle paure castranti verso qualsiasi cosa della sua fidanzata, ma, al tempo stesso, ormai aveva scoperto come distogliere la sua attenzione: – Come va con l’FFT?
Come previsto, il viso della bionda mutò di espressione completamente. – NFT, si dice! – lo corresse, con un tono di voce che sarebbe stato adatto anche ad una giovane maestrina che volesse riprendere uno scolaro discolo ma divertente, mentre prendeva il cellulare e faceva comparire l’immagine sullo schermo. – Dopo il lancio della serie anime in Giappone, il valore del mio “World of Girls” numero 281 ha raggiunto ben 0,7 Ether e…
Flavia, che sembrava ipnotizzata fino a quel momento osservando il lavoro di controllo dell’attrezzatura di volo, parve risvegliarsi. – 281? Ehi, è il mio numero! – esclamò, spiegando, quando gli altri tre la guardarono come se fosse impazzita. – Voglio dire: il 28 gennaio è il mio compleanno. 28-1… 281, no?
– Sì… – commentò Giada, senza riuscire a celare il fastidio di essere interrotta per una sciocchezza simile.
– Cos’hai detto che è quel coso? – domandò la rossa, – Un ETF?
– NFT – ribatté l’altra, questa volta ben più contrariata rispetto all’errore di Alessio.
– E cos’è?
Luca tornò a controllare per l’ennesima volta la fotocamera, non troppo desideroso di ascoltare l’ennesima spiegazione senza testa né coda della ragazza riguardo ad un disegno con una ragazzina da cartone animato con una spada e un gatto… un coniglio… un animale sulla testa. Flavia, invece, dimostrava una conoscenza della finanza ben maggiore di quanto il ragazzo si aspettasse.
– Ma come funziona? Tipo un’azione o un’obbligazione?
Giada balbettò qualcosa, confusa. Evidentemente era ignorante al pari del ragazzo che credeva che “azione” fosse il nome che il suo insegnante di italiano delle elementari usava per i verbi, mentre ignorava cosa potesse essere un’obbligazione, sebbene desse l’impressione di qualcosa di poco piacevole.
Flavia le rispose che non importava, ma la ringraziava comunque, senza mostrare un accenno di animosità, cosa che invece campeggiò sul viso della bionda, che parve si sentisse oltraggiata, sebbene non disse nulla, se non mettendo via il telefonino. Luca, spinto dalla paura che la ragazza desse fondo alla rabbia che, in certe occasioni, sembrava dominare il suo comportamento, distolse l’attenzione di tutti esclamando la prima cosa che gli passò per la mente.
– Ehi, la settimana prossima sarà un mese che stiamo insieme, Flavia!
La ragazza sollevò le sopracciglia a quelle parole, poi anche gli angoli della bocca presero la stessa direzione. – È vero! – Si strinse al fidanzato, abbracciandolo.
– Dovreste fare qualcosa per festeggiare – propose Alessio.
– Noi non abbiamo festeggiato il nostro primo mese! – ribatté Giada, che non aveva affatto perso l’acredine.
Il ragazzo guardò il bacino della fidanzata, sporgendosi all’indietro per ammirare il suo sedere fasciato in un paio di jeans che sembravano troppo piccoli per lei. – Io una proposta l’avevo avanzata.
– Pezzo di merda… – sbottò sottovoce l’altra, portandosi le mani dietro, come se non bastassero i pantaloni e le mutandine a nasconderle l’ano.
L’altro scoppiò in una risata, come ormai faceva ogni volta che Giada si esibiva in una delle suo ormai tipiche esplosioni di rabbia.
– Cosa facciamo, sabato, per festeggiare, cucciola? – domandò Luca.
– Decidi tu.
– Torniamo al lago. So che fanno una festa per qualcosa – propose il ragazzo.

****

– D’accordo – rispose Flavia, cercando di trattenere il sorriso che, all’improvviso, aveva sentito cedere di qualche millimetro alla prospettiva di passare un altro giorno al lago…
La voce di Giada grondava di fiele quando consigliò: – Magari è meglio la vecchia segheria… – Il sorriso di trionfo sul volto della bionda era l’esatto contrario dello sguardo di odio che la rossa le scagliò a quelle parole. Flavia non poté evitare di figurarsi per l’ennesima volta quella figa di legno mentre veniva posseduta dai quattro delle orge, nuda, lorda di sborra, le sue dannate tette sprimacciate senza pietà, la sua mona, il buco del culo e la bocca scopati contemporaneamente, lei che implorava pietà e Vittorio e gli altri che ridevano e, anzi, aumentavano il loro impeto e… Il sorriso della ragazza crebbe, ma era sicura che le sue labbra avessero assunto le forme delle corna del diavolo.
– Ma non è dove hanno fatto la gara di pompini, qualche anno fa? – chiese Alessio, confuso, mentre si metteva in movimento verso l’istruttore ma fermandosi per guardare la sua ragazza.
Giada non poté nascondere un sogghigno, come se avesse appena detto la migliore battuta al mondo. – Sì.
Il volto di Alessio si illuminò. – Ma allora loro lasciali al lago: ci andiamo noi alla segheria, magari prendi ispirazione dal luogo e… – aggiunse il resto della frase limitandosi a muovere una mano a tubo che si muoveva davanti e indietro alla bocca.
La bionda esplose in un grido che fece voltare tutti i presenti nella radura: – Vaffanculo, stronzo! –, seguito dalla crassa risata di Alessio, che si teneva la pancia, divertito. Dovette smettere prima di soffocare, ansimando e togliendosi le lacrime con le dita.
– Comunque, – aggiunse Alessio, ancora senza fiato, – adesso che mi ricordo, ieri mi ha mandato un messaggio Lorenzo per dirmi che tra un paio di sabati, visto che i suoi non ci saranno, organizzerà una festa e mi ha chiesto di informarvi. Venite?
Flavia vide Luca girarsi verso di lei. – Ci andiamo?
“Basta che non sia al lago…”, pensò, annuendo. – Sì.
Luca si limitò ad alzare il pollice come risposta al suo amico, il quale apparve compiaciuto. – Molto bene. A te Giada non domando nemmeno, tanto so che basta che ci sia da bere non ti si trattiene nemmeno con le catene.
Anche la bionda rispose con un dito che non fu il pollice, aumentando, paradossalmente, il divertimento di Alessio, il quale si accomiatò da loro, spiegando, prima di voltarsi, che ora doveva davvero andare a fare il suo lancio.
Flavia si scoprì interessata come poche volte in vita sua alla “vestizione” di Alessio, alle ultime raccomandazioni del suo insegnante e della corsa a scavezzacollo lungo la pendenza della radura. Per un attimo ebbe l’impressione che avrebbero messo un piede in fallo in qualche buca del pascolo dissestato, poi trattenne il fiato quando giunsero all’estremità del mondo. Sentì il suo cuore fermarsi quando il suo nuovo amico fu nel vuoto, sotto di lui l’abisso, una caduta fino a Caregan, la gravità che lo afferrava per strapparlo alla vita. Ma la vela si sollevò con uno schiocco, gonfiandosi nella sua interezza, i colori intensi che sembravano prendere possesso di una frazione di cielo. Poi Alessio, invece di cadere, si sollevò, qualcosa che quasi sconvolse la ragazza, come se la scena di un film che aveva visto decine di volte negli ultimi secondi proiettata nella sua mente nella realtà seguisse un copione completamente diverso. Flavia si ritrovò con la bocca aperta e, nonostante questo, dovette respirare coscientemente perché pareva che il suo corpo avesse dimenticato come farlo. Si accorse i suoi occhi si stavano inumidendo, come alla vista di Alessio che si sollevava in aria fosse il più maestoso spettacolo al mondo.
Luca che esclamava: – Fatto. Sembrano davvero buone! – ebbe su di lei il fastidio di qualcuno che bestemmiasse durante una sentita funzione religiosa. Fu come essere strappata da un sogno magnifico e gettata in una discarica. Giada, poi, imprecò davvero, e dall’espressione del suo volto sembrava fosse prossima a rigettare. Flavia la vide portarsi una mano sul viso, stringendo gli occhi.
– Tutto bene, Giada? – le domandò il ragazzo, sollevando lo sguardo dal monitor della Nikon.
– Come cazzo si fa… – gemette la bionda, sconvolta.
– Già… – sembrò lasciarsi sfuggire Luca in un sussurrò.
Flavia tornò a fissare il parapendio, che si stava celermente allontanando e, cosa che la stupiva sempre più, continuando ad alzarsi. Sentì le gambe tremarle all’idea di avere sotto di sé duemila metri di vuoto, e si stupì, con una punta di rammarico, che quella sensazione era una delle più dolci che avesse mai provato.
Solo quando Luca la interpellò la seconda volta ebbe l’impressione di tornare nel proprio corpo. – Cosa…
– Ti stavo chiedendo se stai bene – le rispose lui, studiandola un po’ inquieto.
– Sì, io… sì – balbettò, nemmeno la sua mente non si fosse ancora sincronizzato con la realtà dopo che si era alzata in volo seguendo la vela colorata che stava scomparendo nell’azzurro. – Adesso, cosa facciamo?
Luca spense la fotocamera e la ripose nella tracolla. – Beh, tecnicamente noi abbiamo finito, qui – spiegò, prendendo il treppiede e chiudendolo. – Volete fermarvi a mangiare qualcosa alla panchina o scendiamo subito?
Flavia sollevò le spalle, Giada quasi implorò di tornare indietro, con un biancore del volto che consigliava, piuttosto, di fare uso della panchina per qualche minuto, cosa che alla rossa sarebbe andata più che bene quando si accorse che anche gli aiutanti dell’insegnante avevano cominciato a lanciarsi, uno dopo l’altro.

****

La discesa era ben più semplice e, almeno per Luca, quasi noiosa. Non c’era la fatica della salita a dare soddisfazione e Giada, che durante l’ascesa lungo la carrareccia sembrava avesse il fiato corto, nonostante non volesse farlo a vedere, durante il ritorno pareva decisa a espellere ogni parola che le era rimasta in gola. In effetti, gli unici attimi che non era intenta a dire tutto e il contrario di tutto era quando si metteva in posa per un selfie, che quasi scattava a raffica ogni volta che un po’ di paesaggio compariva tra gli alberi del bosco, e poi postarlo subito su un social, senza modificare alcun parametro.
Flavia, invece, era caduta in un silenzio continuo, come se fosse intenta a elaborare qualcosa che Luca non riusciva a immaginare. Forse, provò a indovinare, era stato lo spavento del lancio, quell’idea che il loro amico stesse per morire in un modo tanto stupido che al primo lancio aveva avuto anche lui mentre stava scattando le foto. Si vergognava ad ammetterlo con sé stesso, ma aveva avuto il timore che lo scatto del primo volo potesse essere anche quello della lapide del suo amico. Non che al secondo lancio la cosa fosse stata migliore, ma aveva saputo occultare meglio il timore, anche perché in quel caso c’erano le due ragazze che avrebbero fatto da testimoni della sua paura.
Luca allungò un braccio e strinse a sé le spalle della fidanzata, la quale, dopo un sussulto, appoggiò la testa contro quella del ragazzo e cinse a sua volta i suoi fianchi.
– Stai bene?
Flavia sembrò avesse avuto bisogno di tempo per controllare. – Sì – rispose, ma pronunciò quella sillaba con un’intonazione ed una lentezza che lasciava credere che non lo fosse affatto o, per lo meno, non del tutto.
Luca non disse nulla, limitandosi ad abbracciare Flavia, a godersi il profumo della sua pelle sudata, ma un germe di preoccupazione aveva iniziato ad attecchire nel suo cuore che parve avesse cominciato a battere con più fatica. E se la ragazza che amava non fosse davvero felice con lui? Se lei avesse sperato di meglio? Se la sua vita precedente (non osava usare il termine “orgia” quando pensava al passato di Flavia) fosse stata più eccitante di quanto poteva donargli lui?
Fu quasi come se Flavia avesse percepito lo stato d’animo di Luca quando si voltò verso di lui e, quasi volesse rassicurarlo, lo baciò sulla bocca, un bacio lungo durante il quale gli succhiò il labbro inferiore. Lui percepì la piacevole sensazione di un’erezione svegliarsi nei pantaloni; per un istante si chiese se Giada potesse scorgerlo come rigonfiamento del tessuto all’altezza del cavallo. Se avesse continuato con quel lavoro di labbra, la rossa l’avrebbe fatto davvero venire nelle mutande… come sarebbe stato avere un orgasmo davanti alla bionda?, si domandò.
Quando Flavia fu soddisfatta, ma mai quanto lui, che al contempo era deluso che avesse smesso, gli diede una pacca sul sedere. – Quando arriviamo a casa mia, voglio fare la migliore scopata della mia vita, voglio che ti prenda ogni mio buco – gli promise.
Luca si limitò a sorridere soddisfatto, mentre la preoccupazione di poco prima svaniva come la nebbia mattutina ai primi raggi del sole.
– Fate schifo – si lamentò disgustata Giada dietro di loro, lasciando intuire, involontariamente, cosa sarebbe successo se fosse accaduto realmente quanto aveva pensato Luca mentre la ragazza gli succhiava il labbro.
Il ragazzo aveva intuito che Flavia non apprezzava particolarmente Giada, anche senza che questa glielo dicesse apertamente, e la stessa Giada sembrava non perdesse occasione perché la rossa non cambiasse opinione su di lei. Gli spiacque che non andassero d’accordo, ma era palese che le due avessero delle personalità troppo diverse.
In quel momento, Flavia sembrò voler andare al contrattacco, un’espressione sorniona e soddisfatta sul suo bel volto. – Dovresti vedere quando mi fa mettere sdraiata sul letto, – iniziò a raccontare senza nascondere la sua soddisfazione quando la pratica aveva davvero corso, – la testa che mi pende oltre il bordo: mi mette il suo lungo e grosso cazzo in bocca…
– Flavia! – esclamò lui, imbarazzato.
– …e inizia a fottermela…
Giada emise un gemito di disgusto che parve perfino esagerato.
– …e intanto mi mette un paio di dita in figa e con altre due mi sgrilletta – Flavia si morse il labbro inferiore, e la sua eccitazione era palesemente autentica. Luca non si sarebbe sorpreso se avesse iniziato a sgrillettarsi davvero da sola. Con una voce roca e lenta, continuò: – Se tu sapessi che piacere mi fa. Ah… mi fa venire come se dovessi morirne. Di tanto in tanto mi fa addirittura spruzzare…
Luca lanciò un’occhiata alle sue spalle, osservando la bionda. Camminava come un automa, il viso distorto in un’espressione di disgusto, ma il suo seno, già grosso di suo, sembrava cresciuto di un’altra mezza taglia, muovendosi sotto l’azione di una respirazione profonda e lenta, gli occhi fissi sulla rossa ma sembrava che stesse contemplando una scena ad anni luci più avanti. Ne fu turbato.
– Dai, Flavia… – le disse, contemporaneamente a disagio ma anche appagato per come la ragazza parlasse del loro sesso.
Flavia si dipinse sul volto un senso di colpa totalmente fasullo. – Ma Luca, magari la nostra amica Giada ha voglia di fare sesso con noi. Un bel treesome, che ne dici?
Luca dovette trattenersi dal gridare il suo disappunto, riuscendo a scaricare l’orrore di venire a mancare di rispetto ad Alessio facendo sesso con la sua fidanzata. L’unica conseguenza fu un irrigidimento dei muscoli della mascella, che, fortunatamente, sembrò sfuggire alle due ragazze.
La rossa si girò verso l’altra, continuando a infierire. – Noi due che ci scopiamo Luca, una che si cavalca il suo cazzo, l’altra seduta sulla sua faccia che se la fa leccare… Non ti ispira, Giada? – domandò, con un occhiolino che avrebbe dovuto essere di complicità. – O, magari, io e lui che ti leghiamo al letto e… – la ragazza concluse con un paio di alzate di sopracciglia, lasciando che Giada immaginasse come si sarebbero svolto il rapporto.
– Vaffanculo – mormorò la bionda, offesa e schifata.
Luca pensò che Flavia avesse decisamente esagerato, ma quando si accorse che Giada tenne chiusa la bocca per il resto della discesa e non impose più loro di fermarsi ogni volta che voleva farsi un selfie decise che l’avrebbe perdonata. Quando presero il pullman a San Gregorio, Giada si premurò di sedersi lontano da loro.

Continua…

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