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Erotici Racconti

Il triangolo

By 13 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

L’ascensore s’era fermato silenziosamente al quarto piano e la porta s’era aperta automaticamente, con un leggero fruscio. Carlo, avvicinatosi all’ appartamento, aveva estratto dalla tasca interna della giacca l’astuccio dov’erano custodite delle strane chiavi a snodo, ognuna ripiegata su s’ stessa, con mappe a diversa scanalatura.

Aprire dall’esterno la porta di casa era un vero e proprio rito: le chiavi dovevano essere introdotte nelle serrature e fatte girare nelle toppe con una sequenza stabilita, che non accettava sbagli o distrazioni. Altrimenti bisognava ricominciare da capo tutta la manovra. Ma solo una seconda volta. Poi, per riprovare di nuovo, bisognava attendere due ore, altrimenti tutto si bloccava.

Solo al penultimo scatto della terza chiave, quella della serratura centrale, si disinseriva l’allarme collegato con la guardiania dell’edificio e con la polizia, e si sbloccavano le sicure delle chiusure dei balconi e delle finestre.

La paura dei ladri, il timore che un estraneo potesse entrare nel suo appartamento e violare la sua privacy, avevano qualcosa di maniacale. Erano stati ipotizzati eventi del tutto improbabili, tentativi di scasso fantasiosi, scalata ai balconi, discesa dal tetto, sofisticate apparecchiature per la forzatura delle serrature, per la individuazione dei circuiti elettronici di sicurezza, per l’aggressione all’uscio dell’ingresso e ai cancelli che proteggevano finestre e balconi.

In ogni vano, invisibili occhi erano pronti a registrare chiunque fosse entrato durante quello che i tecnici definivano il regime protetto. Appositi accumulatori assicuravano il funzionamento delle apparecchiature, in caso di sospensione dell’erogazione dell’elettricità, e prima che gli accumulatori fossero scarichi entrava in moto un gruppo elettrogeno munito di un perfetto sistema di espulsione dei residui della combustione.

Le combinazioni per l’apertura della cassaforte poteva mutare giornalmente, era programmabile per un intero anno, ed era gestita attraverso il secret file del computer e del memory pocket cui si accedeva con personal pass-word che conosceva solo Carlo. Copia di tutto era nel dischetto, in busta sigillata, in una scatoletta a prova d’inquinamento magnetico, depositata presso il notaio Quadri.

Carlo chiuse la porta dal di dentro, fece scorrere il fermo non manovrabile dall’esterno, mise in sicurezza tutte le chiusure, andò nello studio.

Il guardiano l’aveva salutato, e aveva annotato nel registro l’orario del suo rientro. Nella finca intestata ‘con’, aveva scritto solo.

E solo, Carlo, sarebbe stato fino all’indomani, quando lui stesso avrebbe consentito l’apertura della porta, per far entrare Luigi, il cameriere, che era andato a troncare la madre a Mentana.

Entrò nella sua camera, sostituita la giacca da passeggio con quella del pigiama, tornò nello studio, andò verso il mobile sul quale erano vari bicchieri e bottiglie, si servì del whisky, aprì lo sportello del frigo, ornato del dorso di eleganti volumi così che sembrava una piccola libreria, prese due cubetti di ghiaccio, li mise nel bicchiere, andò a sedere in poltrona, di fronte al televisore, con a fianco un grosso pacco di giornali e riviste.

Col telecomando fece scorrere alcuni canali, decise per un documentario sul Sahara, molto interessante. Aprì il quotidiano finanziario che preferiva, inforcò gli occhiali e cercò qualcosa di particolare. Bevve piccoli sorsi dal bicchiere. Fece scendere in bocca quanto restava dei cubetti di ghiaccio, li ruppe coi denti, ne mandò gi’ i pezzetti pi’ piccoli e rimise gli altri nel bicchieri .

La testa gli cadde lentamente sul petto, il bicchiere gli sfuggì di mano e cadde, senza rumore, sul tappeto. Il giornale s’afflosciò sulle ginocchia.

* * *

Luigi premette a lungo il pulsante del campanello, ne sentì chiaramente il forte trillo. Non accadde nulla, non percepì il lieve ronzio che precedeva la rimozione del fermo interno e l’apertura della porta. Forse il signor Carlo era sotto la doccia e non sentiva. Strano, perche’ anche nel bagno c’era un riporto del campanello. A quell’ora, poi, di solito il signor Carlo era in piedi da un pezzo e intento a guardare le pagine del televideo.

Scese in guardina. Provò a citofonare, a telefonare. Nessuna risposta.

Il signor Carlo doveva necessariamente essere in casa, perche’ dopo l’annotazione del rientro non v’era altro, sul registro.

Telefonò alla signorina Rosetta. No, non s’era sentito. La sera prima Carlo l’aveva accompagnata a casa, dopo la cena al ‘Chez lui’, e le aveva detto che l’indomani sarebbe andato a Napoli. No, non aveva specificato l’ora della partenza e le avrebbe telefonato quando contava di tornare. Certo, Carlo stava benissimo, era di ottimo umore. Adesso, però, cominciava a preoccuparsi, sarebbe stata lì in un momento, il tempo di scendere e prendere un taxi, perche’ così agitata non voleva guidare.

Si fece attendere pi’ a lungo del prevedibile. Era visibilmente sconvolta. Luigi le andò incontro. Non aveva acuto alcuna risposta dall’appartamento, e aveva deciso di avvertire la polizia.

‘Che c’entra la polizia?!’ Esclamò Rosetta, rifiutando di ammettere che Carlo non stesse bene, che qualche cosa di strano c’era. Poi riconobbe che era quello che si doveva fare.

* * *

Il sovrintendente e l’ispettore di polizia tentarono, a loro volta, di farsi sentire da Carlo. Suonarono a lungo il campanello, dettero violenti colpi all’uscio, tornarono a citofonare, telefonare, bussare, picchiare forte. Decisero di forzare la porta.

Luigi li mise al corrente di tutti gli aggeggi che di solito erano in funzione, dei collegamenti con la guardiania e col pronto intervento.

Tornarono al quarto piano. L’ispettore aveva preso dall’auto di servizio un voluminoso mazzo di chiavi e una serie di grimaldelli. Con l’aiuto della torcia elettrica e di una lente d’ingrandimento osservò attentamente le toppe, scelse dei ferretti adunchi e li introdusse con attenzione e lentezza nelle serrature. Improvvisamente scattò l’allarme, s’illuminò la spia nella sala del guardiano, squillò il telefono nella centrale della polizia.

Il sovrintendente scese di corsa le scale, dall’auto telefonò al Commissariato, per informarlo su quanto stava accadendo e per far disattivare l’allarme telefonico. Chiese l’intervento di specialisti in porte blindate e con comandi elettronici. Fece un lungo respiro, incaricò l’autista di stare bene attento a chi entrava e usciva. Si avviò al bar perche’ un caff&egrave ci voleva proprio. Poi, in attesa dei tecnici, avrebbe mandato Morace, l’ispettore, a prenderne anche lui uno e a dare il cambio all’autista perche’ facesse la stessa cosa.

* * *

L’esperto, dopo aver esaminato la porta e le serrature, scosse la testa. Forse non sarebbe bastata neppure la lancia termica, bisognava demolire il muro intorno alla porta. Incaricò i suoi aiutanti di prendere gli attrezzi nel furgone, e si mise a battere su diversi punti della porta, per stabilire se convenisse aggredire le serrature, gli stipiti, lo specchio. Con lo scalpello tolse la doghettatura esterna, in legno, e cercò di scalfire il metallo che apparve. Fece una smorfia col volto, strinse le labbra.

Erano giunti i vigili del fuoco, avvertiti dalla polizia. Salirono sul balcone dell’appartamento. ‘Cancellate in metallo speciale’ -dissero- ‘e non sappiamo quali infissi e vetri ci attendono’. Riuscirono a isolare l’ apparecchiatura dell’allarme acustico e si posero al lavoro con una particolare sega-diamante, raffreddando il metallo con un getto d’acqua.

Il Commissario aveva raggiunto i suoi uomini. Era meglio attendere l’esito dell’intervento dei vigili del fuoco, prima di aggredire la porta o demolire il muro. Lasciarono gli attrezzi sul pianerottolo e scesero in strada per vedere come andavano le cose.

Il cancello del balcone fu segato con grande difficolt’. Fu, quindi, la volta delle tapparelle metalliche. Con una grossa punta pneumatica fu colpito lo spesso vetro della portafinestra, pi’ volte, finche’ s’incrinò e poi si ruppe. Col mazzuolo furono tolti i residui. Un vigile, finalmente, riuscì a entrare. Precauzionalmente, indossava l’autorespiratore. Dopo poco tornò sul balcone, dove l’attendevano gli altri compagni di lavoro, s’affacciò, alzò la mano destra e fece un segno di croce, come se volesse benedire quelli che dal marciapiede di fronte, a testa in s’, stavano in attesa di notizie.

Rosetta guardò interrogativamente Luigi. Lui la prese sottobraccio: ‘Si faccia coraggio, signorina…’

Liberti, il Commissario, voleva salire attraverso la scala dei vigili.

Luigi gli si avvicinò: ‘Aspetti, signor Commissario, vado s’ io, so come togliere il paletto e aprire dal di dentro, lei potr’ entrare dalla porta.’

Dovette attendere che un vigile portasse sul balcone la corda dell’ imbragatura che fu costretto a indossare, e lentamente raggiunse il quarto piano. Insieme a due vigili, entrò nell’appartamento, andò nello studio.

Carlo sembrava dormire: il capo sul petto, la mano abbandonata, verso il bicchiere che s’era rovesciato sul tappeto, il giornale sulle ginocchia, la televisione si stava riaccendendo, perche’ avevano ripristinato l’erogazione dell’elettricit’.

Luigi e i vigili pensarono subito a un infarto. Strano, però, si disse Luigi, il signor Carlo non era cardiopatico.

* * *

La sbarra di sicurezza fu rimossa, ma la porta non si aprì. L’introduzione del grimaldello aveva fatto scattare il meccanismo di blocco. Le chiavi non funzionavano. Il magistrato, avvertito del ritrovamento del cadavere, era giunto sul luogo e ordinò la rimozione della porta stessa.

Non fu un lavoro breve, n’ facile.

La parte delle serrature era la pi’ protetta. Con un apposito apparecchio si identificarono i vuoti lasciati dai pistoni entrati negli appositi alloggiamenti dei muri laterali. Fu necessario mettere una bocca d’aspirazione per convogliare lo scarico della lancia termica fuori della finestra posta sulla rampa delle scale.

Finalmente, il rivestimento metallico cedette, si riuscì a far rientrare i pistoni e, con l’aiuto di Luigi e dei due vigili, a far girare la porta sui cardini.

Il magistrato, accompagnato dal Commissario, dal medico legale e da due agenti di polizia, andò nel vano che Luigi gli aveva indicato. I tecnici della scientifica attendevano di poter mettersi al lavoro.

‘Avete toccato qualcosa ?’ Chiese il magistrato a Luigi e ai vigili.

Gli uomini scossero la testa, in segno negativo.

‘Fate molte foto’ -proseguì il magistrato- ‘in particolare della posizione del cadavere, in diverse proiezioni, della mano tesa verso il bicchiere, del bicchiere rovesciato, di tutto, insomma. Fate portar via il bicchiere e il tappeto, e tutte le bottiglie che sono su quel tavolino, e qualsiasi altra cosa riteniate da sottoporre ad eventuali analisi. Dopo gli accertamenti del medico, potete farlo trasferire all’istituto di medicina legale.

Chi ‘ la signorina Rosetta? Vorrei sapere quando ha visto il Ferrara per l’ultima volta. Comunque ci pensi lei, Commissario, io torno in ufficio.’

Paolo, il fratello di Carlo che viveva a Milano, avvertito telefonicamente da Luigi, era in volo per Roma.

* * *

Rosetta, pallidissima, con le labbra tremanti, gli occhi sbarrati, pieni di lacrime, era seduta su una poltrona dello studio, di fronte a Carlo. Lo guardava con sgomento. Il Commissario le aveva impedito di avvicinarsi al cadavere.

Non riusciva a parlare. Luigi le era accanto, in piedi, tenendole una mano, gelida, tra le sue.

‘Signorina’ -disse Liberti- ‘deve allontanarsi da qui, il medico e gli specialisti devono svolgere i loro compiti, potr’ tornare quando tutto ‘ terminato, ma ci vorr’ un po’ di tempo. Venga con me, adesso, ha bisogno di prendere qualche cosa.’

Le andò vicino, l’aiutò ad alzarsi dalla poltrona, la prese sotto braccio e s’avviò verso le scale, con lei che si muoveva come un automa, entrarono nell’ascensore e uscirono nella strada, dove s’era formato un capannello che prese a vociare sommessamente quando la vide. Andarono nel caff&egrave all’angolo, seguiti da un agente che fece un eloquente segno a qualche curioso che avrebbe voluto accodarsi. Sedettero a un tavolino, lontano dall’entrata e dalla vetrina.

‘Un caff&egrave?’ Chiese Liberti.

Rosetta assentì con la testa, senza parlare.

Il Commissario alzò la mano, con due dita aperte.

‘La comprendo, signorina, ‘ una cosa tremenda. Lei deve cercare di affrontare questa tragica situazione con molto equilibrio, controllandosi. Se la morte non ‘ dovuta a cause naturali….’

Rosetta alzò di scatto la testa e lo guardò interrogativamente.

‘Si’ -continuò Liberti, calmo, sottovoce- ‘bisogna essere preparati a qualsiasi cosa. Potrebbe essere interrogata, forse pi’ volte, dalla polizia, dal magistrato, avr’ la sensazione di essere sospettata, potr’ sentirsi quasi torturata, non rispettata, senza alcuna comprensione per il suo dolore. Quando aveva visto, ultima volta, Carlo?’

Aveva fatto cadere la domanda senza darvi importanza, chiamando confidenzialmente per nome il Ferrara.

Il cameriere aveva posto sul tavolino un vassoio con i caff&egrave. Liberti teneva un cucchiaino con lo zucchero sospeso sulla tazzina di Rosetta. La donna scosse negativamente la testa. Versò lo zucchero nella sua tazzina, rimise il cucchiaino nella zuccheriera, preso quello che era nel suo piattino e cominciò a girare lentamente, guardando Rosetta.

Lei bevve un sorso di caff&egrave, deglutì pi’ volte, aprì la borsetta, ne trasse un fazzolettino ricamato, lo portò al naso tirando un po’ s’.

‘Siamo stati a cena insieme, ieri sera, al ‘Chez lui’, era sereno, come al solito. Lui non manifestava mai allegria esteriore, ma io ne comprendevo benissimo lo stato d’animo. Avevamo parlato delle solite cose, io avevo fatto qualche pettegolezzo, ma lui, come sempre, aveva concluso, con un sorriso,che ognuno ha le sue stranezze, nel proprio comportamento, ognuno può essere criticato per quello che fa e per quello che non fa. Bisogna disinteressarsi di quanto non ci riguarda direttamente.

Eravamo anche tornati sull’argomento ‘matrimonio’. Carlo era del parere che v’erano moltissime probabilit’ che la nostra unione potesse proseguire e durare tranquillamente, il passato ne era una prova pi’ che attendibile.

A me quel suo modo d’esprimersi non sempre piaceva, ieri sera m’irritò pi’ del solito. Fui un po’ acida. Gli chiesi se, in sostanza, credeva che non avremmo mai litigato e che saremmo stati sempre reciprocamente fedeli.

Il mio tono non lo turbò, almeno in apparenza. Mi rispose che solo nella teoria e nelle favole rosa vi ‘ sempre una perfetta identit’ di pensiero. Del resto, se ciò si verificasse le parti finirebbero col respingersi, come si respingono i poli dello stesso segno. Anche il termine ‘fedelt” necessitava di qualche considerazione. La fedelt’ dev’essere soprattutto intesa come dovere di non rivelare ad altri debolezze e difetti, manifestazioni poco eleganti del partner. Fedelt’ ‘ sincerit’ d’abbandono, spirituale e materiale. Bisogna voler essere felice, quando si ‘ con l’altra met’ della coppia, godere intensamente, senza inibizioni, con trasporto, con volutt’, i momenti di intimit’. L’appetito, gli appetiti, non devono far disprezzare le prelibatezze domestiche, e se accadesse di trovare in altri, pi’ che nel proprio partner, l’appagamento delle proprie esigenze spirituali e fisiche, fedelt’ impone di considerare senza infingimenti l’opportunit’ del proseguire o meno il rapporto di coppia.

Lei comprende, Commissario, che un uomo del genere o lo si accetta così com’ o lo si evita. Non c’ via di mezzo.

Devo riconoscere che stavamo bene insieme. I venti anni che ci separavano erano, forse, l’elemento che maggiormente ci univa. Erano la diversit’ di segno che ci faceva attrarre l’un l’altro. Carlo ‘… era un uomo sicuro di s&egrave, non per presunzione, ma perch’ accettava il dissenso, degli altri e proprio, senza far pesare ciò sulla convivenza nello stesso gruppo. Diceva che bisognava trarre da ognuno il bene che aveva, sorvolando sul male che si credeva di scorgere. Il bene ‘ universalmente riconoscibile, affermava, il male &egrave spesso solo quello che noi vogliamo considerare tale. A volte ‘ il male che abbiamo in noi che cerchiamo di trasferire negli altri.

L’ho conosciuto all’Universit’. Dovevo sostenere un difficilissimo esame e mi seccava di dover essere interrogata dal giovane assistente che si rivolgeva ai candidati con aria di sufficienza. Quando fui chiamata, dissi che preferivo attendere il titolare della cattedra. ‘Non deve attendere molto, sono io’ rispose sorridendo Carlo, invitandomi a sedere. ‘Non si lasci ingannare dall’aspetto esteriore’ -proseguì- ‘ho almeno dieci anni pi’ di quanto lei vuole generosamente attribuirmi’.

Fu lui a guidarmi in quello che allora era per me un groviglio inestricabile. Con pazienza, con garbo, indicandomene i tranelli, spianandomene le asperit’. Avevo studiato, moltissimo, ma non credevo che avrei saputo esprimermi con tanta propriet’ e precisione di linguaggio. Al ternine, aprì la stilografica, ma prima di scrivere sul verbale mi chiese quanti esami mi mancavano, che media avevo, se avessi gi’ chiesto la tesi di laurea.

Mi mancavano due esami, abbastanza facili. Lo scoglio era quella materia, la sua. La media era buona, non avevo ancora chiesto la tesi.

‘Perch’ non discute la tesi con me?’ -disse- ‘si tratter’ di un argomento attuale e concreto’. Aggiunse che mi avrebbe seguito personalmente, perch’ l’argomento e la stesura avrebbero meritato la pubblicazione. Dovevo pensarci, e se avessi deciso di accettare potevo telefonargli al suo studio. Se fosse stato assente, come spesso gli accadeva per i numerosi incarichi che aveva in Italia e all’Estero, avrei dovuto lasciare un recapito alla segretaria.

Per ora si congratulava con me per il ‘trenta e lode’ che avevo meritato.

Quando telefonai, la segretario mi trattò come una vecchia conoscenza: il professore mi attendeva il lunedì successivo, alle nove.

Andai nel suo studio, mi sembrò di entrare in un tempio sacro dove si trattavano delicata problemi di finanza internazionale. Mi accolse sorridendo, nella sala delle riunioni dov’era coi suoi principali collaboratori. Mi presentò a loro. ‘Questa ‘ Rosetta’ -disse- ‘e fra non molto sar’ una nostra collega, dobbiamo aiutarla tutti a redigere la sua importante tesi. Trovatele un tavolo dove possa lavorare.’ Si alzò e andò nel suo studio, accanto.

Mi trovai improvvisamente e inaspettatamente coinvolta in qualcosa pi’ grande di me. Mi indicarono un tavolo, sarebbe stato il mio posto di studio, e quello era il computer. Mi avrebbero dato il pass per accedere alle informazioni di cui avrei avuto bisogno.

All’ora della colazione, Carlo mi disse di andare con lui, per i dettagli. Senza chiedermi nulla ordinò due filetti e due insalate, acqua minerale e succo d’arancia.

‘Prima di tutto’ -cominciò- ‘devo dirti che, come avrai notato, a studio ci diamo tutti del tu. Qualche giovane collega ti dir’ che ‘ il tu che intercorre tra Dio e le sue creature, tu lascialo dire, segno che ha bisogno di sentirsi protetto e, nello stesso tempo, vuole qualcuno cui imputare i propri errori. Secondo argomento ‘ che devi sbrigarti a sostenere i due esami che ti restano. Alternerai lo studio alla preparazione della tesi, e tutto ciò lo farai a studio, nelle ore d’ufficio, perch’ da oggi sei una mia dipendente, con contratto di formazione e lavoro. Ho preso le dovute informazioni, fai la pendolare con una localit’ troppo lontana per consentirti di studiare e riposare come necessario. Bisogna cambiare. Non sono riuscito a trovarti un posto nel pensionato universitario, ma le simpatiche e allegre suore irlandesi ti accoglieranno volentieri. Avrai una cameretta tutta per te, potrai consumare nel loro refettorio i pasti che vorrai, ad eccezione del lunch dei giorni lavorativi perch’ non ne avrai tempo. Dalle suore farai pratica d’inglese, nella nostra professione ‘ indispensabile’.

Non attendeva risposta, perch’ iniziò subito a tagliare il filetto, che intanto era stato servito.’

Liberti l’ascoltava attentamente. Aveva finito di sorbire il caff&egrave, aveva preso dalla tasca il pacchetto delle sigarette, l’aveva teso a Rosetta, che aveva scosso il capo, le aveva chiesto il permesso di fumare, con un gesto, senza parlare, aveva acceso una sigaretta e tirava lunghe boccate.

La donna aveva bisogno di parlare, seguitò.

‘La tesi, alla cui stesura avevano contribuito un po’ tutti ma soprattutto Carlo, fu pubblicata a cura dell’Universit’, alcune parti apparvero sulle pi’ importanti riviste, tradotte in molte lingue. Ebbi molti consensi da economisti del MEC, degli Usa, del Giappone, d’Australia. Avevo lasciato le suore irlandesi e vivevo per conto mio, in un piccolo appartamento, con aspre critiche dei miei genitori. Io, figlia unica del preside Mauri, invece di fare subito domanda di supplenza nelle scuole secondarie della mia piccola citt’, m’ero messa in testa chiss’ cosa per restare nel pericolo della grande citt’. Poi, i miei conobbero Carlo, videro l’ambiente di lavoro, il tipo di attivit’, valutarono le prospettive e tutto si calmò, anche se pap’ ha sempre insistito perch’ tentassi la carriera accademica.

Carlo si ‘ sempre mostrato affettuosamente cortese, cordiale, a suo modo, come faceva lui. Prese a parlarmi di s’. Aveva un fratello, di otto anni maggiore di lui, a Milano, sposato, con due figli. Lui non aveva avuto tempo per formarsi una famiglia, era sempre in movimento nei vari Paesi in cui era chiamato. Aveva compiuto 43 anni, viveva in un vasto e comodo appartamento, in uno dei quartieri pi’ esclusivi. Me lo fece visitare. Mi parlò delle mille diavolerie che aveva fatto installare per evitare visite sgradite. Custodiva documenti che facevano gola a molti, specie a chi era interessato a conoscere progetti e programmi dei Paesi concorrenti. Viveva solo, Luigi era il suo angelo custode. La casa era troppo grande per lui, lo riconosceva, ma solo da poco credeva d’aver intravisto l’altra met’ del suo cielo.

Una sera rimasi con lui.

Decidemmo che non mi sarei trasferita definitivamente in quell’appartamento. Dovevamo accertare cosa significava frequentarci, vivere una vita di coppia. Un esperimento da fare con cautela, a piccole dosi, che poteva naturalmente sfociare in qualcosa d’altro o dolcemente sfumare, senza recriminazioni, senza rimpianti.

Da allora sono trascorsi quasi due anni, meravigliosi, mi creda Commissario. I nostri differenti modi di vedere, d’essere, d’amare, di vivere, erano le parti che insieme formavano perfettamente un tutto. Ho viaggiato con lui, sono stata presentata a chi si avvaleva della sua consulenza come la pi’ valida e preparata del suo team, diceva con non dovevano farsi trarre in inganno dalla mia giovane et’ perch’ ero una maga che non sarebbe mai invecchiata, una maga con la bacchetta magica che le faceva trovare la soluzione di tutti i problemi che ci venivano sottoposti.

Da qualche mese diceva che l’esperimento gli sembrava riuscito, ripeteva le stesse cose che mi ha detto anche ieri sera. Ormai il matrimonio era vicino.’

Chinò la testa, restò in silenzio.

Liberti lesse il biglietto col prezzo della consumazione, estrasse dalla tasca dei pantaloni il portamonete, mise alcune banconote, piegate, sotto il piattino.

‘L’accompagno a casa. Per il momento non può far nulla. E’ inutile tornare sopra. Il povero professore sar’ all’obitorio. Le consiglio di informare i suoi genitori, la mamma, il preside vorranno esserle vicini. Dobbiamo attendere il fratello di Milano. A quanto lei e Luigi sapete, ‘ l’unico parente. Ci saranno delle formalit’ da espletare. Il fratello potrebbe chiedere la presenza di un perito di parte, durante l’autopsia. Venga, l’accompagno.’

Rosetta s’alzò, rassegnata, si diresse verso l’uscita.

* * *

Paolo Ferrara era giunto contemporaneamente al furgone della polizia mortuaria. Era pallidissimo, le labbra esangui.

Luigi, quando vide il taxi fermarsi al portone, gli andò incontro, lo presentò al Sovrintendente. Salirono insieme nell’appartamento.

Paolo rimase impietrito di fronte al fratello, che era stato adagiato sul divano. Sembrava assopito. Fece un lungo respiro, chiese chi fosse il magistrato che seguiva il caso. Non disse nulla quando l’informarono che l’appartamento sarebbe stato sigillato. Fece cenno a Luigi di seguirlo sul pianerottolo.

‘Io contatto subito il magistrato, lei segua tutto con la massima attenzione. Mi dia notizie al Bernini, se non ci sono lasci detto dove posso trovarla.’

Scese in fretta, senza prendere l’ascensore. Il taxi l’attendeva. Dal telefono cellulare chiamò Giulio Fortuna, suo compagno d’Universit’ e uno dei migliori penalisti della capitale.

‘Giulio, sono Paolo. Ti ho detto di Carlo. Sono gi’ a Roma, l’ho visto. Sto andando al Bernini.’

S’interruppe per ascoltare quello che Fortuna gli diceva.

‘Va bene’ -riprese- ‘passo prima da te.’

Dette l’indirizzo all’autista e non pronunciò parola durante tutto il percorso.

Fortuna lo accolse con un affettuoso abbraccio. Senza dire nulla, aggiunse, perch’ le parole non servono in questi casi.

‘Come ti ho telefonato da Milano’ -cominciò Paolo- ‘Carlo ‘ stato rinvenuto senza vita, nel suo appartamento, seduto in poltrona di fronte al televisore, con un giornale finanziario sulle ginocchia, il braccio destro pendente fuori della poltrona, la mano aperta, il bicchiere rovesciato sul tappeto. Così ha descritto Luigi. Hanno dovuto chiamare i vigili del fuoco, scassinare la porta. Sai che lui aveva la mania della sicurezza. Ora lo stanno portando all’obitorio. Il magistrato che segue il caso ‘ Mario Sereni.’

Fortuna l’interruppe.

‘Lo conosco, ottimo elemento, preciso e scrupoloso. Vuoi che nominiamo un perito di parte? E’ bene essere sempre presenti.’

‘Giulio, ho il sospetto che non si tratti di morte naturale. Luigi mi ha detto che Rosetta, la donna che Carlo chiamava la sua fidanzata, ‘ stata la prima a precipitarsi nell’appartamento di mio fratello, e poi si ‘ allontanata col Commissario. Non ‘ pi’ tornata. Rosetta Mauri, bella e intelligente, ha vent’anni meno di Carlo. Da allieva all’Universit’ ‘ riuscita a divenire la sostituta di Carlo, ad ogni effetto. All’inizio ho creduto che si trattasse di un fuoco di paglia, ma Carlo mi ha assicurato, qualche mese fa, che la relazione tra lui e Rosetta era una cosa seria: l’avrebbe sposata e associata allo studio, con pari diritti. Intanto, aveva provveduto a stipulare una polizza assicurativa, a favore di Rosetta, per una cifra urgente, ma non la precisò. Anche nel testamento, disse Carlo, aveva pensato a Rosetta.

Gli avevo fatto osservare che se polizza e testamento si fossero riferiti agli eredi legittimi, quando Rosetta fosse stata sua moglie…

Carlo non mi fece proseguire, mi sorrise con quell’espressione che non ti lasciava capir nulla di quanto pensava, e se ne andò dicendo che, pur non essendo molto esperto in materia di successione, certe cose le sapeva.

La notizia di questa improvvisa scomparsa ci ha sconvolto. Tu sai quanto gli eravamo vicini. Per Emma era un fratello, non un cognato. Non ti dico dei ragazzi. Ho stabilito io di partire da solo. Mario mi sostituisce nello studio, dove abbiamo cose urgenti e delicate da sbrigare; Carletto, il nipote prediletto, che porta lo stesso nome dello zio e che dallo zio ‘ stato tenuto a battesimo, ‘ rimasto in Ospedale, a fianco di Martelli, il professore col quale sta specializzandosi.

Tu comprendi, Giulio, quanto voli la fantasia, specie in momenti come questo. Non mi ‘ chiaro perch’ due persone formano coppia fisse, ‘stanno insieme’, come si usa dire, e vivono in appartamenti distinti. Perch’ Rosetta, dopo una cenetta intima, torna a casa sua proprio la notte in cui Carlo muore misteriosamente? Ha le chiavi dell’appartamento, ne conosce il complicatissimo uso, ma non le consegna alla polizia quando sente che dev’essere abbattuta la porta. E’ intelligente, lo riconosco, ma mi fa un po’ paura. Può aver saputo dell’assicurazione a suo favore, forse ne conosce la somma. Sa che, ormai, un certo nome se l’ fatto e anche se restasse sola, sulla piazza della consulenza finanziaria, potrebbe sbrigarsela bene anche se non pi’ protetta dal nome Ferrara.

Vorrei tanto sperare che si tratti di morte naturale, ma un tarlo mi distrugge la mente.’

L’amico l’ascoltò in silenzio, gli batt’ una mano sulla spalla.

‘Mi muovo subito per la nomina del nostro perito. E’ un caro amico, studioso ed esperto, molto stimato da colleghi e magistrati. Sta sicuro, Paolo, ogni tuo dubbio avr’ completa ed esauriente risposta. Dovremmo anche informare la compagnia d’assicurazione. Qual’?’

‘Non lo so’ -rispose Paolo- ma lo sa certamente il notaio Quadri, e forse anche Franca, la segretaria di Carlo, certamente Rosetta. Franca l’ho intravista nell’atrio della casa, insieme ad altri collaboratori, ma nella confusione e nella fretta non li ho salutati. Mi auguro che mi comprendano e mi perdonino.’

‘Va a riposare in Albergo’ -disse Giulio- ‘ti telefonerò appena possibile. Ti chiamo un taxi…’

‘No, grazie’ -rispose Paolo- ‘gi’ ce n’ uno che mi aspetta.’

Accompagnato dall’amico, fino all’ascensore, lasciò lo studio di Giulio.

* * *

L’esame necroscopico doveva rispondere a precisi quesiti del magistrato.

Oltre rilevare eventuali segni, di qualsiasi genere, sul cadavere, si dovevano identificare l’ora presunta e le cause del decesso. Ove necessario, si doveva procedere ad esami sui tessuti, sui visceri, ecc., sia per la determinazione di eventuali patologie pregresse o in atto al momento della morte, sia per analisi tossicologiche. Si desiderava anche conoscere il termine entro il quale sarebbe stato possibile rispondere esaurientemente ai quesiti posti.

Ai periti d’ufficio s’erano aggiunti quelli nominati dal fratello di Carlo e dalla compagnia d’assicurazione.

La stesura del verbale non ebbe contrasti.

Nessun segno esterno. Corpo ben conservato, senza accumuli adiposi al di l’ della norma. Nessuna cicatrice. Ben curato. Cibo in parte ancora nello stomaco, in fase di digestione, con presenza di sostanze alcooliche in modica quantit’. L’esame degli organi interni portava a far risalire il decesso a collasso cardio-circolatorio. Si riteneva utile procedere ad esami di laboratorio per accertare l’eventuale presenza di sostanze tossiche.

L’esito sarebbe stato comunicato al magistrato entro 120 giorni.

In attesa di avere il rapporto tossicologico, Mario Sereni sollecitò la rilevazione di impronte su tutto quanto era nella casa di Carlo Ferrara, con particolare riguardo agli oggetti esistenti nello studio, e dispose l’analisi di quanto contenuto nelle bottiglie, dei residui del bicchiere, dell’eventuale liquido versatosi dal bicchiere sul tappeto.

La scientifica rilevò sul bicchiere solo le impronte del defunto, le stesse trovate sulla bottiglia del whisky. Nessun’altra impronta sugli altri bicchieri , sulle altre bottiglie, sul pomolo della porta, sui mobili. Era evidente che chi aveva messo bottiglie e bicchieri sul tavolino calzasse guanti o li avesse accuratamente strofinati con un panno. Il cameriere, Luigi, dichiarò che provvedeva personalmente al ‘ripasso’ dello studio, dopo le pulizie della domestica giornaliera, e che usava guanti di cotone.

L’esame spettroscopico, condotto sui residui prelevati dal bicchiere e dal tappeto, evidenziava la presenza d’una sostanza estranea al whisky, e ciò fu confermato dalla comparazione dello spettro dei predetti residui con quello del liquido trovato nella bottiglia di whisky. Era verosimile concludere che il liquido contenuto nel bicchiere era whisky cui era stata aggiunta la predetta sostanza che risultò essere aconitina, un alcaloide dell’aconito napello, la cui formula ‘ C34 H17 O11 N; P.M. 645,72; p.f. 204 Gradi Centigradi, usata in farmacia per la preparazione di medicinali sedativi e analgesici.

L’esame dei visceri evidenziò la massiccia presenza di aconitina, sostanza mortale per l’uomo alla dose di 2 mg.

Sereni convocò Liberti. Si soffermarono sulle foto scattate nell’ appartamento del Ferrara, sulla meticolosa descrizione verbalizzata. Il magistrato decise un ulteriore sopralluogo, alla ricerca di una fiala, bottiglietta, o qualsiasi altra cosa che avesse potuto contenere l’aconitina, il cui effetto letale ‘ rapido. Il ritrovamento avrebbe favorito l’ipotesi del suicidio, in mancanza si doveva concludere per omicidio. Ma commesso da chi? Dal registro del guardiano non risultava che in casa fosse saliti qualcuno prima o dopo Carlo. Carlo, quindi, era solo. Del resto come sarebbe uscito qualcuno dall’appartamento, se che il paletto interno di sicurezza era inserito?

‘A proposito’ -disse Sereni- ‘bisogna sequestrare il registro di movimento inquilini, e anche il precedente. voglio sapere i movimenti dell’ultimo mese, e se non baster’ risaliremo ai periodi precedenti. Devo anche sapere quante chiavi erano in giro e chi le aveva. Facciamoci dare copia della polizza d’assicurazione, dalla compagnia e chiediamo al notaio Mauri se sa di un eventuale testamento del Ferrara. Desidero incontrare, per ora informalmente, Luigi, la Rosetta Mauri, e fare quattro chiacchiere con l’avvocato Paolo Ferrara. Ed ora, caro Liberti, mettiamoci al lavoro.’

* * *

II

Nell’appartamento Ferrara non fu trovato nulla che potesse aver contenuto l’aconitina. Le uniche medicine, conservate in un armadietto, nel bagno, erano l’aspirina e la magnesia bisurata.

I registri del guardiano indicavano chiaramente che di solito entravano, separatamente, il professore, la dottoressa Mauri, il cameriere Luigi Fossi, A volte, il professore e la Mauri entravano insieme. Il giorno prima della tragedia, era giunto il fratello del professore, l’avvocato. Era entrato la sera, insieme al fratello, il mattino dopo era uscito verso le dieci, lasciando a casa Luigi. Aveva dormito in casa Ferrara.

Era stato facile accertare che le chiavi di casa erano tenute, in serie completa, dal professore, dalla dottoressa Mauri e da Luigi. Una quarta serie era depositata, in busta chiusa e sigillata, presso il notaio Quadri.

Luigi rinunciò ad essere assistito da un avvocato durante il colloquio col magistrato. Disse che poteva cavarsela benissimo da solo. Ma Paolo Ferrara insist’ tanto che, alla fine, Luigi fu accompagnato da un legale dello studio Fortuna.

Aveva poco da dire. Era al servizio del professore da oltre dieci anni. Era aiutato da una donna che andava cinque mattine la settimana, meno il sabato e la domenica, dalle nove alle tredici, quando il professore non c’era, perch’ lui non voleva gente che girava per casa. Luigi pensava a tutto, alle spese per la casa, alla retribuzione della donna aiutante e alle assicurazioni sociali, agli acquisti per i suoi pasti. Condominio, luce, gas, riscaldamento, telefono e altre cose del genere, venivano addebitate direttamente in banca, su un conto del professore. Luigi comprava anche quanto serviva per la prima colazione e teneva sempre qualcosa in dispensa, per il caso che il professore volesse restare a casa. Questo, però, non capitava quasi mai da quando la dottoressa Mauri frequentava regolarmente l’appartamento. La Mauri era tranquilla, non chiedeva mai nulla d’eccezionale. Lui sperava molto che quella ragazza divenisse la signora Ferrara. L’avvocato Paolo non andava spesso a trovare il fratello. In genere si vedevano nello studio del professore o s’incontravano al Bernini, dove l’avvocato prendeva alloggio quand’era a Roma. Un paio di giorni prima il professore era rientrato assieme al signor Paolo, lui aveva preparato una cena leggera. Avevano chiacchierato in salotto ed erano andati a letto presto. L’indomani il professore aveva fatto colazione col fratello ed era uscito abbastanza presto. L’avvocato Paolo aveva chiesto di chiamargli un taxi ed aveva lasciato l’appartamento verso le dieci.

A lui dispiaceva moltissimo la perdita del professore. Un uomo buono, giusto, generoso, bravo, sereno, rispettato da tutti e benvoluto da molti. Del servizio perduto non gli interessava, aveva sempre ottime offerte. L’avvocato Paolo e la dottoressa Mauri lo avevano pregato di restare a loro disposizione. Lui era addolorato per la fine immatura del povero professore,

* * *

Rosetta s’era fatta accompagnare da un collega dello studio che, di quando in quando, esercitava la professione forense e ‘era guadagnato la meritata stima di tutti come ottimo penalista.

Ripet&egrave il lungo racconto gi’ fatto a Liberti.

No, non era ancora in grado di stabilire cosa si riprometteva di fare in futuro. Anche se il fratello del professore, Paolo, avesse l’intenzione di lasciarlo aperto, lo studio Ferrara non sarebbe stato pi’ quello di prima. Nessuno era in grado di sostituirlo. Lei, poi, non si sentiva di seguitare a lavorare nell’ambiente dov’era nata professionalmente, quasi per gemmazione, dal professore. Era una perdita incolmabile, specie per lei. Sperava solo nel tempo. Per il momento non riusciva a soffermarsi su nulla, il pensiero di quanto era accaduto non le dava pace, non riusciva a comprendere come un uomo così calmo, sereno, avesse ceduto di schianto, per un collasso cardiaco.

Carlo non prendeva medicinali, stava benissimo, conduceva una vita regolata, senza eccessi. Non aveva bisogno di nulla. Un caff&egrave al mattino e qualche volta anche dopo il pranzo. Pochissimo vino, solo a cena. Ogni tanto, la sera, se si fermava a leggere, a guardare la televisione, a chiacchierare con lei, un whisky, uno solo. Lei no, preferiva il cognac.

Per quanto sapeva e aveva potuto constatare, i rapporti col fratello, Paolo, coi nipoti, erano ottimi. La cognata, poi, lo ammirava.

No, certamente, Carlo non aveva problemi economici. Guadagnava molto, pi’ di quanto spendeva. Non si faceva mancare nulla e, a suo modo, era anche generoso. La sua piccola mania era la segretezza, il timore che qualcuno potesse frugare nelle sue carte. Aveva speso un’enormit’ per la sicurezza dell’abitazione e dello studio. Temeva sempre di perdere qualche documento e ne depositava copie, a centinaia, presso il suo notaio e amico,Quadri.

Di assicurazioni non sapeva niente. Non ne avevano mai parlato, non aveva mai pensato, lei, che potesse essere argomento di conversazione tra loro.

Lei? Si, aveva stipulato un’assicurazione sulla vita a favore dei genitori. Di includere Carlo tra i beneficiari non aveva proprio pensato. Le sembrava una cosa ridicola. Carlo aveva di che vivere agiatamente per tutta la vita, che significato avrebbe avuto inserirlo nell’assicurazione!

Non aveva motivo o desiderio di lasciare la citt’. Forse, avrebbe potuto ricevere qualche invito improvviso e urgente da un cliente. In tal caso, prima di allontanarsi, sia pure per qualche giorno, avrebbe informato il magistrato.

* * *

Paolo s’era presentato spontaneamente, accompagnato da Giulio Fortuna.

Come parte interessata, aveva saputo dell’aconitina.

Per lui, l’ipotesi che Carlo si fosse suicidato non reggeva.

Suicidarsi? e perch’?

Suicidarsi mentre era professionalmente sulla cresta dell’onda? alla vigilia di sposarsi?

Bisognava cercare chi poteva aver interesse che lui sparisse, e quale interesse: professionale? economico? sentimentale?

Lui non voleva insinuare nulla. Sapeva di non essere del tutto sereno. E come avrebbe potuto esserlo dato quello che era accaduto.

La scomparsa di Carlo significava quasi certamente la chiusura dello studio, quindi nessuno dei suoi collaboratori aveva interesse a perderlo. Relazioni significative con altre donne non ce n’erano state. L’unico rapporto serio e duraturo che lui conosceva era quello con Rosetta, e sembrava proprio che fossero decisi a sposarsi entro breve tempo.

La dottoressa Mauri era molto pi’ giovane di Carlo, bella, professionalmente preparata, e Carlo, forse, ne era rimasto affascinato, fino al punto di considerarla la propria sostituta di fatto. Rosetta era brava, indubbiamente, ma non poteva certo avere la necessaria esperienza per sostituire Carlo. Lui ne aveva accennato al fratello, ma aveva constatato che era inutile battere su quel tasto. Carlo, così oculato, cauto, spesso diffidente, non voleva neppure prendere in considerazione la possibilit’ che Rosetta fosse attratta dall’uomo di successo, ricco, affermato, riverito ed apprezzato in tutto il mondo; dall’uomo che la faceva condurre una vita di favola: lusso, viaggi, incontri con i nomi pi’ prestigiosi della terra. Il matrimonio significava, per Rosetta, la sua sistemazione per sempre. Il matrimonio… se non c’era altra possibilit’.

Era una cattiveria, lo sapeva, era il dolore a farlo essere aspro, ma sapersi beneficiaria di una polizza di tre miliardi poteva far pensare a qualcosa di diverso dal matrimonio.

Aveva detto tutti senza mai cambiare tono di voce.

* * *

Sereni e Liberti avevano trascorso tutto il giorno per districare quella che diveniva sempre pi’ una matassa imbrogliata.

Il veleno che aveva ucciso Carlo Ferrara era estratto dalle radici di una pianta, l’aconito napello. Ne erano state trovate tracce nel bicchiere e sul tappeto, niente nella bottiglia del whisky, o in altre. Un veleno di cui si parla in molti romanzi polizieschi. Non altera i tratti del volto, agisce sul sistema centrale ‘fermando’ il cuore. In dose non mortale può provocare, in determinate condizioni, uno stato di morte apparente.

Non era stato rinvenuto alcun contenitore del veleno: boccetta, ampolla, fiala…

In caso di suicidio tale oggetto poteva essere stato fatto sparire prima dell’ingestione: nello scarico idraulico del cesso, gettato dalla finestra…

Ogni ricerca in proposito a non aveva dato risultati positivi.

Se si scartava il suicidio, bisognava stabilire ‘chi’ e ‘come’, tenendo conto che la porta era chiusa dal di dentro con una sicura non rimovibile dall’esterno.

Un’accurata indagine sulla vita di Carlo non aveva evidenziato legami sentimentali precedenti tali da far sospettare un’azione per gelosia. Una di quelle, come si dice, del tipo ‘niente a me niente a nessuno’.

Gelosie professionali interne allo studio non emersero: solo l’azione di un folle avrebbe potuto agire in nome di ‘muoia Sansone con tutti i Filistei’. Inoltre, anche ammettendolo, ‘chi’? ‘come’?

Paolo Ferrara aveva sottolineato l’esistenza della polizza a favore di Rosetta Mauri. Strano che non sapesse che la polizza indicava ‘beneficiari, gli eredi nominati nel mio testamento in mani del notaio Quadri’. Questo era stato scritto da Carlo, di proprio pugno, firmato e datato, oltre le normali firme in calce.

Il notaio Quadri s’era presentato al Sereni. Carlo Ferrara l’aveva incaricato di consegnare una busta sigillata al magistrato, in caso di morte sospetta, o comunque improvvisa. Quadri riteneva opportuno informare Sereni di aver ricevuto una visita di Paolo Ferrara che, come il pi’ prossimo parente vivente di Carlo, desiderava conoscere se il fratello avesse lasciato qualche comunicazione, scritta o verbale, per lui o per altri, se il notaio sapesse di polizze assicurative, si custodisse lui il testamento. Il notaio si era limitato a rispondere che lui non aveva alcuna comunicazione di Carlo per il fratello Paolo.

La compagnia assicuratrice, alla quale s’era rivolto Paolo, disse che la copia della polizza destinata allo stipulante era in mani del notaio Quadri, e che le condizioni era tali per cui a loro non interessavano le cause del decesso.

Il magistrato aprì la busta. Conteneva la copia della polizza di assicurazione, per quattro miliardi, e la copia autenticata del testamento.

‘Lascio la titolarit’, propriet’ e avviamento del mio studio professionale, la propriet’ di ogni mio altro bene immobile o mobile, ivi compresi depositi bancari, e titoli di qualsiasi genere, il tutto come si trova al momento della successione, alla dottoressa Rosetta Mauri.————————————–

Dai titoli di cui sopra dovranno essere prelevate le seguenti somme in obbligazioni: ————————————————————————-

Lire un miliardo da consegnare a mio fratello Paolo.—————————

Lire cento milioni al caro e fedele Luigi Fossati. ——————————– In caso di indegnit’ di uno dei suddetti eredi, la parte a lui spettante sar’ suddivisa in parti uguali tra gli altri.———————————————- In caso di indegnit’ di tutti i suddetti eredi, ogni mio avere sar’ suddiviso in parti uguali tra i collaboratori fissi del mio studio esistenti al momento della successione.———————————————————————

Il notaio Quadri curer’ l’esecuzione del presente testamento.—————‘

Paolo Ferrara non era ben informato, lui aveva detto che l’assicurazione era per tre miliardi.

* * *

Sereni e Liberti fecero il punto della situazione.

La morte per avvelenamento era stata causata da una sostanza abbastanza conosciuta, soprattutto per il frequente ricorso che se ne faceva nei romanzi polizieschi.

Nessuna traccia del contenitore del veleno, nell’appartamento.

Nessuna traccia di veleno nella bottiglia di whisky, n’ nelle altre.

Carlo Ferrara era rientrato solo e s’era chiuso dal di dentro.

I frequentatori abituali dell’appartamento erano Carlo, Rosetta, Luigi, la cameriera part-time. Solo i primi tre avevano le chiavi.

Qualche volta vi andava il fratello Paolo.

Tutte le entrate e le uscite erano, comunque, registrate dal guardiano.

Il movente economico doveva essere considerato a seconda dei benefici che dalla morte di Paolo avrebbero tratto i sospettabili: nell’ordine, c’erano Rosetta, Paolo, Luigi.

Come era stato procurato il veleno?

Non ‘ che l’aconito si venda liberamente in drogheria n’ la pianta in erboristeria.

Non era credibile che il responsabile del delitto avesse raccolto le pannocchie dell’azzurro fiore a forma di elmo, strappandole con tutte le radici, e da ciò avesse estratto quanto necessario alla macabra bisogna. La pianta, inoltre, cresceva in zone ben lontane da Roma.

Luigi aveva escluso tassativamente che il professore assumesse medicinali. Rosetta non aveva mai visto scatolette, pillole, fiale, o qualcosa che custodisse medicinali. Paolo non poteva dir nulla, lui abitava a Milano e non sapeva di terapie od altro. Paolo aveva aggiunto che Carlo si sentiva bene e aveva rifiutato di sottoporsi a check-up, a Milano, presso la Clinica dove suo figlio, Carlo come lo zio, era assistente del professor Martelli. Il fratello aveva detto che lui lo sapeva per esperienza, era sempre bene stare alla larga dai consulenti.

‘Senta, Liberti’ -disse Sereni- ‘domani torniamo nell’appartamento, e si faccia accompagnare dalla scientifica.’

* * *

Il magistrato era seduto nella poltrona dov’era stato trovato il cadavere. Quelli della scientifica stavano vicino alla finestra, in piedi, con le loro valigette, in attesa di disposizioni.

Liberti s’era avvicinato al tavolo dal quale erano state prelevate le varie bottiglie, per l’esame del contenuto. Fece il gesto di prendere una bottiglia,stapparla, versare qualcosa in un bicchiere, scoprire il portaghiaccio, trarne dei cubetti, metterli nel bicchiere. Aprì il frigo-bar, e lo sportello del freezer dov’era il contenitore dei cubetti. C’erano tutti, un po’ pi’ piccoli del normale.

Il ridotto volume dei cubetti poteva significare che era stato prelevato del ghiaccio ed erano rimasti vuoti alcuni spazi, quando successivamente era stata tolta l’energia elettrica, per agire sulla porta e sugli impianti di sicurezza, tutto il ghiaccio s’era liquefatto e l’acqua si era ridistribuita, logicamente con un livello inferiore al precedente. Poi era stata ripristinata. la corrente e s’erano formati nuovamente i cubetti, pi’ piccoli del normale.

Liberti chiamò Sereni e gli mostrò quanto aveva in mano. Il magistrato fece un segno di assenso col capo.

Liberti si rivolse ai tecnici della scientifica. ‘Prendete questo recipiente e fate analizzare il ghiaccio. Attenti, potrebbe contenere del veleno pericolosissimo.’

Un agente indossò dei sottili guanti di gomma, estrasse una busta di plastica dalla borsa che aveva con s’, vi introdusse il recipiente col ghiaccio, la sigillò con un nastro adesivo e appose il timbro dell’ufficio in modo che attraversasse il nastro e prendesse parte della busta. Vi fece apporre la firma del magistrato e ripose il tutto in un contenitore termico.

‘Aspettatemi in laboratorio’ -disse Sereni- ‘divideremo il ghiaccio in due parti, una per l’analisi e l’altra per il riscontro.’

Liberti andò nel bagno a lavarsi accuratamente e abbondantemente le mani.

* * *

L’analisi rilevò la presenza di almeno 5 milligrammi di aconitina in ognuno dei dodici cubetti di ghiaccio. Quindi, in totale, si poteva presumere che, in origine, il recipiente avesse contenuto intorno a 70 milligrammi di veleno.

‘Una quantit’ sufficiente per uccidere alcune decine di persone.’

Concluse il tossicologo.

* * *

Sereni e Liberti avevano alcune nuove tessere per il loro ‘puzzle’, ma erano lontani dal decifrane il contenuto.

Carlo era rientrato solo, senza alcuna compagnia. A un certo momento aveva versato del whisky in un bicchiere, prima o dopo aver preso due cubetti di ghiaccio dal frigorifero e averli messi nello stesso bicchiere. S’era seduto in poltrona, aveva bevuto il whisky, s’era accasciato senza vita. Il bicchiere gli era scivolato dalla mano, sul tappeto, versando qualche piccolo residuo di liquido.

C’era sempre da rispondere a ‘chi’, ‘come’, ‘quando’. Il ‘perch” sarebbe balzato fuori di conseguenza.

‘Luigi Frossi ‘ l’unico presente tutti i giorni’ -osservò il magistrato- ‘e ha dichiarato che un paio di giorni prima il professore era rientrato con Paolo… l’indomani in professore era uscito presto… l’avvocato s’era fatto chiamare un taxi ed aveva lasciato l’appartamento verso le dieci…’

Il veleno nel recipiente del freezer avrebbero potuto metterlo Luigi, Paolo, e forse la cameriera. Rosetta era da escludersi perch’ la sera che era stat con Carlo avevano bevuto insieme e la mattina Luigi aveva trovato mancanti alcuni cubetti di ghiaccio

Bisognava chiarire cosa intendesse dire, Luigi, con le parole un paio di giorni prima.

‘Io parlerò di nuovo con Frossi e la Mauri’ -disse Sereni- ‘la polizia cerchi di scoprire la possibile provenienza del veleno.’

* * *

Rosetta confermò che aveva dormito a casa di Carlo la sera precedente la visita di Paolo. Come al solito, s’erano fermati a chiacchierare nello studio-salotto. Lei aveva preparato due bicchieri: uno con due cubetti di ghiaccio, presi nel freezer, e del whisky, l’altro col suo cognac preferito. La sera successiva Carlo era rimasto in casa col fratello. Si giungeva, così, alla sera dell’improvvisa morte di Carlo, tutto solo nel suo appartamento, seduto nella stessa poltrona che occupava sempre. Dopo la cena al Chez Lui l’aveva riaccompagnata a casa. Forse, se fosse salita da lui lo avrebbe potuto salvare, o sarebbe morta con lui.

Gli affari dello studio andavano benissimo, ma ora nessuno avrebbe sostituire Carlo. In nulla. Lei, ogni mattina, gli faceva trovare una rosa sulla scrivania. Una rosa rossa, come quelle che lui le regalava a dozzine.

Luigi precisò che un paio di giorni prima era un modo di dire. In effetti, l’avvocato Paolo era ripartito per Milano la mattina del giorno in cui Carlo, molto presumibilmente, era morto.

A mettere in ordine lo studio-salotto era lui personalmente. La domestica si limitava solo al pavimento. Lui spolverava, per bene, senza alterare l’ordine delle cose, nemmeno delle riviste o delle bottiglie. Controllava che non mancasse nulla, liquori, ghiaccio nel freezer, acqua minerale, soda, bibite varie.

Quella mattina il contenitore dei cubetti di giaccio era pieno, lo ricordava benissimo. Eppure, la sera precedente dovevano aver bevuto qualcosa, Carlo e Paolo. Aveva trovato due bicchieri sporchi. Strano che il professore avesse bevuto il whisky liscio.

Forse ci si stava avvicinando al ‘chi’ e al ‘quando’.

Ma come era stato procurato il veleno?

* * *

Sereni s’era incontrato con Quadri.

Il notaio avrebbe convocato nel proprio studio gli eredi, per l’apertura del testamento, affrettando la procedura dato lo svolgesi degli eventi.

Paolo Ferrara avrebbe voluto rinviare la cosa a dopo la chiusura dell’inchiesta, ma Fortuna gli aveva fatto notare che una presa di posizione del genere non gli avrebbe giovato, anche perch’ il magistrato aveva chiaramente detto che la soluzione del mistero era a portata di mano, e prima dell’apertura del testamento.

Liberti era tornato a Roma la sera precedente alla riunione presso il notaio, ed restato com Sereni fino all’alba.

* * *

Nello studio del notaio c’erano Paolo Ferrara, Rosetta Mauri, Luigi Frossi. Nella sala adiacente, il giudice Sereni, il commissario Liberti, l’avvocato Fortuna.

Paolo sollevò una pregiudiziale. Date le circostanze della morte e le non ancora accertate responsabilit’, era possibile, anzi probabile, che uno o pi’ dei convocati, qualora eredi, non potessero adire efficacemente l’eredit’.

Quadri ascoltò attentamente e osservò, con molta calma, che i presenti, qualora eredi, avevano piena capacit’ a succedere.

Una eventuale causa di esclusione dalla successione, come, ad esempio, l’indegnit’, non andava riferita alla capacit’ di succedere ma all’acquisto della successione stessa, L’indegno, infatti, potet capere sed non retinere, proseguì il notaio, ma ‘ sempre necessaria la pronuncia del giudice per dichiarare l’indegnit’.

Ad ogni modo, concluse Quadri, al momento dell’apertura della successione, cio&egrave al momento in cui il patrimonio di Carlo Ferrara era rimasto privo del proprio titolare a causa della morte di questi, non risultava accertata alcuna indegnit’. Qualora ciò fosse avvenuto successivamente, e sempre giudizialmente, l’indegno avrebbe dovuto restituire eredit’ e frutti.

La lettura del testamento venne fatta nel massimo silenzio, e richiese pochissimo tempo.

Rosetta portò il fazzoletto alle labbra, a soffocare il grido che voleva uscirle dalla gola, scuoteva la testa, gli occhi pieni di lacrime.

Paolo non le toglieva lo sguardo da dosso, freddo e sprezzante, e si vedeva che riusciva a stendo a dominarsi. Le narici esangui, le mascelle contratte, le labbra stirate. Deglutiva a fatica.

Luigi guardava Rosetta, attentamente. Quando il notaio pronunciò il suo nome non ne comprese bene il motivo. Forse il professore gli aveva lasciato quel bell’orologio che lui ammirava tanto. Un orologio da taschino, come quello di suo padre, ma d’oro, e suo padre si rammaricava di averlo perduto perch’ lo aveva destinato al figlio, a lui, a Luigi.

Dopo che il notaio ebbe spiegato le formalit’ che si dovevano osservare, chiese timidamente se cosa il professore avesse destinato a lui. Quando udì la cifra scoppiò a piangere. ‘Non ‘ possibile’ -diceva- ‘non lo merito, non posso accettare tutti questi soldi. Perch’? Cosa gli ho fatto?’

Sembrava quasi che avesse ricevuto un torto.

La prima a uscire nella sala adiacente fu Rosetta.

Paolo fece un cenno al notaio e disse che si sarebbe fatto sentire, ovviamente, l’indomani. Seguì Rosetta.

Non appena entrò nella sala, Liberti gli andò incontro.

‘Paolo Ferrara, in nome della legge la dichiaro in arresto.’

Si voltò verso i due ispettori in borghese, che nel frattempo erano sopraggiunti, e ordinò loro di ammanettare Paolo e di tradurlo in carcere.

Fortuna guardava allibito. Si volse al magistrato, senza parlare. Sereni assentì col capo.

Rosetta e Luigi non credevano ai propri occhi.

L’avvocato Paolo arrestato. Così, senza alcuna discrezione, come se si volesse dare la massima pubblicit’ all’evento.

Paolo fu condotto fuori.

‘Giudice’ -sussurrò Fortuna- ‘si poteva evitare una scena del genere. Fino a quando non si ‘ giudicati nessuno ‘ colpevole, tutti hanno diritto al rispetto, alla riservatezza. Io…’

Sereni l’interruppe:

‘Sto andando a interrogarlo, venga con me.’

Uscì, seguito da Liberti e Fortuna.

* * *

Il magistrato era dietro la propria scrivania. Il cancelliere, verbalizzante, aveva preparato il registratore ed anche, a ogni buon conto, la tastiera del computer.

Paolo Ferrara gli era seduto di fronte, al suo fianco Fortuna.

Con voce calma, fredda, priva d’inflessioni, Sereni cominciò:

‘Signor Paolo Ferrara, lei é accusato d’omicidio premeditato, per aver procurato la morte, mediante avvelenamento, di suo fratello Carlo Ferrara.

Le ricordo, come lei ben sa, che può rifiutarsi di rispondere, ma desidero, prima di tutto, metterla al corrente degli elementi in nostro possesso.

Suo figlio Carlo, medico, ‘ assistente del professor Martelli e segue, come interno, un corso di specializzazione in clinica medica. Nel contempo, suo figlio frequenta il Centro Ricerche ‘Riccardo Bianchi’, dove collabora allo studio degli analgesici e alla ricerca di sostanze che possano combattere il dolore.

Lei, nei mesi passati, ‘ andato spesso al Centro Bianchi, a trovare suo figlio, e le ‘ stato facile entrare nel laboratorio. Non ‘ riuscito, però, a procurarsi quanto desiderava. Lei aveva letto con interesse a attenzione gli appunti di suo figlio, sugli effetti collaterali dell’aconitina e dei suoi derivati. Aveva fatto domande, che potevano apparire di semplice curiosit’, per conoscere i preparati farmaceutici che usano tale sostanza, i modi di somministrazione, la posologia. Non sapendo come eventualmente estrarre l’aconitina dai medicinali, e consideratone il modesto contenuto nei medicinali stessi, decise di risalire alla fonte.

Il Centro Bianchi si riforniva di aconitina dalla ‘P.& D.’ svizzera.

Lei telefonò a quella Societ’, disse di essere il dottor Ferrara, del Centro Ricerche, e rappresentò l’urgenza di avere subito dell’aconitina per concludere gli esperimenti in corso sulle cavie. Il dottor Gustav Heilinger, della ‘P.& D.’, si meravigliò della richiesta, dato che non era trascorso il tempo che generalmente intercorreva tra una fornitura e l’altra, ma alla fine si disse disposto di fornire non pi’ di 10 grammi di sostanza pura, in soluzione all’1 per cento. Era necessaria, però, una richiesta scritta del Centro Ricerche, con l’indicazione della persona che avrebbe ritirato la soluzione.

Lei tornò a trovare suo figlio, andò a salutare il direttore del Centro. Con un espediente (gli disse che qualcuno aveva fatto capolino alla porta e s’era allontanato) lo fece alzare dalla scrivania, riuscì a impossessarsi di alcuni fogli intestati, quelli con l’indicazione Il Direttore, e si accomiatò subito.

Telefonò di nuovo alla ‘P.& D.’, chiese di Heilinger, si scusò per aver incaricato Ferrara della richiesta, sostenendo di essere molto raffreddato, e la voce roca lo dimostrava ancora, e confermò l’urgenza della fornitura. Il dottor Ferrara avrebbe portato di persona la richiesta scritta e avrebbe ritirato il prodotto.

Il giorno stabilito, lei, Paolo Ferrara, uscì di casa verso le nove, dicendo che andava a Como, da un cliente e che sarebbe tornato in serata. La stessa cosa comunicò alla sua segretaria. Andò a Linate, spense il telefono cellulare, e alle 11.30 della stessa mattina presentò alla ‘P.& D.’ di Zurigo la lettera del Centro Bianchi. Non le fu chiesto alcun documento. Il Flacone era pronto. Pagò in franchi svizzeri e ritirò la fattura. Chiese scusa se per la fretta non poteva andare a salutare Heilinger. Tornò all’aeroporto di Kloten, acquistò, al duty free, una bottiglia di cognac, una di quelle in scatole di cartone. Gettò la bottiglia in un cestino per i rifiuti e nella scatola mise il falcone con l’aconitina. Ripose il tutto nella borsa di plastica datale dal duty free. Alle 14.30 partì per Roma, a Fiumicino trasferì il flacone nella sua borsa di pelle e lasciò il resto nel cestino della toilette, alle 16.55 s’imbarcò sul volo per Milano, alle 19.00, circa, rientrò a casa.

Qualche giorno dopo, prelevò dal flacone due decilitri di soluzione, cio&egrave due grammi di aconitina pura, e li mise in una bottiglietta che aveva preparato. Andò a trovare suo fratello. Attese, l’indomani, che fosse uscito e si ritirò nello studio asserendo di dover fare delle telefonate riservate. Svuotò il contenitore del ghiaccio, quello del freezer, nel lavandino della stanza da bagno adiacente lo studio, vi versò il contenuto della bottiglietta che aveva portato con s’, vi aggiunse ancora dell’acqua, non molta perche’ la formazione di ghiaccio ne avrebbe fatto aumentare il volume. Rimise tutto a posto. Simulò varie telefonate per potersi trattenere nello studio, si accertò che il liquido si fosse trasformato in ghiaccio. Uscì dallo studio, si fece chiamare un taxi. Ripartì per Milano.

Solo quando seppe della morte di suo fratello gettò nel cassonetto dell’immondizia, poco lontano dal portone di casa sua, il flacone col resto della soluzione. E ciò col pericolo che la bottiglia si rompesse e il veleno di spandesse con imprevedibili conseguenze.

La bottiglia, però, non si ‘ rotta, e dopo lunghissime, pazienti e difficili ricerche ‘ stata ritrovata nella discarica. La ‘P.& D.’ l’ha riconosciuta, ha stabilito che il contenuto era parte di quanto consegnatole. Si, consegnato a lei, perche’ lei ‘ stato identificato, in fotografia, dalla persona che le aveva dato il pacchetto.

E’ tutto.’

Paolo era mortalmente pallido; Fortuna lo fissava come se vedesse un fantasma.

‘Questa sua ricostruzione ‘ stata registrata?’ Chiese al magistrato.

‘Certamente.’

‘La faccia scrivere. La sottoscriverò come confessione.

Non potevo consentire che un’estranea derubasse mio fratello.

Non ho da aggiungere altro.’

Si ricolse a Fortuna.

‘Non so se riuscirai a trovare qualche valido elemento per la difesa, Giulio, ma se non vorrai accettare di assistermi lo comprenderò benissimo.

Ti prego di informare tu i miei, e di stare vicino a Emma, a Mario e Carlo. Non hanno colpa alcuna, non sanano nulla.

Mario ‘ gi’ un bravo avvocato, se la caver’.

Io mi rammarico solo di aver gettato il falcone col resto della soluzione. Ora un po’ di quel liquido mi sarebbe servito.

Ne avrei dovuto portare sempre una fiala con me.’

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