Le valvole di sfogo sono fatte così. Arrivi ad un punto in cui senti di poter esplodere, trovi il modo di sfogarti, poi quasi te ne dimentichi. A volte è vergogna, altre paura di aver esagerato. E così anche io mi sono quasi dimenticata di questa valvola di sfogo, fino ad oggi.
Vedo che la mia presentazione è piaciuta e questo – inevitabilmente – va a nutrire il mio ego e il mio bisogno di sentirmi desiderata. Oh, se ne ho bisogno! Penso di essermi fatta fare di tutto anche per colpa di questo desiderio. Non mi pento, però. A ripensarmi usata dagli uomini che mi hanno scopata mi verrebbe quasi voglia di toccarmi, ma non devo farlo. Devo resistere. Devo ricordarmi che sono qui per un percorso.
Se fossi una persona precisa direi: andiamo con ordine. Invece no. Andiamo in disordine, visto che è il caos a regnare nella mia vita al momento. Non penso riuscirò nemmeno a mantenere uno stesso modo di scrivere o di condividere le mie esperienze: voglio essere senza filtri, come sono io e come piace a me.
Quindi sono di nuovo qui a condividere un pezzetto della mia storia, sperando che possa piacere o interessare a qualcuno.
Otto mesi. Sono a Milano da febbraio di quest’anno: otto mesi. Otto mesi di scoperta dei miei lati più nascosti, più perversi. Ma anche otto mesi di viaggi. Nemmeno ricordo più quante volte ho preso quel cazzo di treno, quante volte mi sono sentita di portare del piombo nella borsa quando dovevo tornare giù dalla mia famiglia. Quante volte, invece, mi sono sentita libera nel secondo esatto in cui il treno partiva dalla mia stazione in direzione Milano.
I primi mesi era meno pesante, anche perché scendevo meno spesso. Con l’inizio dell’estate, però, le scuse per non scendere hanno iniziato ad essere meno e Milano si è lentamente svuotata, lasciandomi sempre più la sensazione di essere destinata a rimanere da sola in tutta la città. La sensazione è difficile da spiegare, perché è come se tutti avessero un posto dove andare prima o poi, mentre tu resti lì, abbandonata a te stessa. E con l’estate è iniziato anche il mio periodo più selvaggio, proprio perché ho capito che qualsiasi legame non sarebbe durato e l’unico modo di non stare da sola era buttarmi sulle app di dating, trovare il turista o il business bro che era libero quella sera, andare da lui, farmi scopare come meglio poteva, e tornare a casa piena di energia (e di sborra). Poi c’erano i viaggi in treno e i giorni passati al paese con la mia famiglia.
Devo dire che questo giugno avevo già un’esperienza invidiabile in fatto di scopate. Sono sempre stata una persona curiosa, e ho pochissimi taboo. Non mi vergogno a dire che ad un mese dai miei futuri 19 anni ho scopato con decine di ragazzi, e che il sesso ha ben pochi segreti per me. A giugno, in particolare, ero abbastanza affascinata dal sesso anale, e avevo già comprato con i miei risparmi i miei primi sex toys, tra cui un paio di dildi ed un set di cinque plug anali di dimensioni crescenti. Farsi una scopata soddisfacente è già abbastanza difficile per una ragazza, quindi mi sono convinta che fosse necessario un vero e proprio “allenamento” quotidiano, così da poter prendere i cazzi senza pretendere che lo sconosciuto di turno sapesse anche andarci piano. I miei giochi erano sempre con me (e lo sono ancora). Sempre.
Così, per la prima volta ad inizio giugno ho deciso di portarli con me al paese, occupandomi di fatto un quarto della piccola borsa che avevo per il viaggio. Dopo qualche giorno di sole e mare (e di masturbazioni notturne di nascosto), è finalmente venuto il momento di tornare.
Fino a giugno i miei hanno sempre fatto in modo di accompagnarmi in stazione, involontariamente (o volontariamente) facendomi sentire incapace di arrivare da sola a prendere quel cazzo di treno. Ma anche limitandomi (per ovvie ragioni) nel vestirmi come volevo. Con l’inizio dell’estate ho iniziato sempre più ad apprezzare gli sguardi nei miei confronti, e volevo farmi carina per il viaggio, così da rendere il viaggio un pochino più interessante. Così, un po’ più furba del solito, ho comprato il biglietto per un treno alle 2 del pomeriggio (durata 7 ore circa), in un orario in cui i miei non avrebbero potuto portarmi. Ho avuto così l’intera mattinata per prepararmi al viaggio della mia libertà, con una nuova sensazione che non mi riuscivo più a togliere di dosso: stavo diventando una porca, quel tipo di porca che è pronta a prendersi i suoi spazi per poter essere porca quanto vuole.
Mi sono svegliata, mi sono tolta di dosso quell’inutile pigiama (lo mettevo solo giù a casa ormai) e mi sono guardata allo specchio. Sono rimasta più del solito, pensando a quanto Milano mi avesse cambiata, anche fisicamente. Mi ero già fatta i miei primi tatuaggi (uno piccolino sul collo, due sulle braccia e uno sulla caviglia) e piercing. I miei ovviamente sono impazziti quanto hanno visto che nel giro di poco tempo mi sono fatta il septum, il piercing all’ombelico e quello alla lingua. Quello che non sapevano, allora, era che avevo fatto un piercing pure ai capezzoli, e che era quello che a Milano si vedeva di più. La parola reggiseno mi era infatti sconosciuta al nord, e con il caldo potevo finalmente mettere in mostra le mie tette – non grandissime, ma belle sode. Il piercing ai capezzoli faceva la sua porca (letteralmente) figura, e molti ragazzi capivano da subito che tipo di ragazza fossi. Per me era un motivo di vanto. Sempre addosso avevo anche numerosi bracciali colorati, due collanine, e due-tre cavigliere per ciascun piede. Non mi sono mai reputata una strafiga ma piaccio, ho delle belle tette, un bel culo ed un bel viso. Sono bassina (poco più di 150cm), bionda scura, abbastanza magra. Ho uno stile un po’ particolare e colorato, ma sono rasata e curata, e amo essere guardata.
Con questi pensieri sono scesa nel giardino condominiale ad aprire al mio tipo (sì, avevo ancora un ragazzo a giugno, e non sapeva di essere stato tradito parecchie volte). Sono scesa così, nuda, scalza. Lui ha avuto un sussulto quando mi ha aperto, e non è riuscito a dire nulla se non un “Ciao…” a mezza voce. Visto il suo imbarazzo, gli ho detto “Beh, come se non mi avessi mai vista nuda!” e l’ho accompagnato per la mano in casa. Siamo tornati in cucina, abbiamo fatto colazione insieme, poi mi sono inginocchiata e l’ho obbligato a farselo succhiare. Lì, in cucina. Ovviamente a lui piaceva ma stava iniziando a capire che in me qualcosa era cambiato, e quindi non sapeva bene come reagire: se essere eccitato, contento o preoccupato. Ed io, dall’altro lato, iniziavo a provare un leggero sadismo per quel ragazzo che non aveva la minima idea di cosa fossi capace. La mia sete di sborra era incredibile, e la sua voglia di sborrare ancora maggiore. Due minuti ci ha messo, poverino. Appena ho preso in bocca le sue palle, ha emesso un lamento imbarazzato per avvisarmi che stava esplodendo. Ho cercato il suo sguardo mentre indirizzavo il suo cazzo verso la mia bocca aperta, ma lui ha potuto solo chiudere gli occhi e buttare la testa all’indietro, mentre mi riempiva la bocca di schizzi. Patetico.
L’orario del treno era studiato perché potessimo farci la mattinata al mare, poi lui mi avrebbe accompagnata a casa per farmi una doccia, prendere le mie cose e mangiare un boccone, e sarebbe andato a lavoro subito dopo avermi portata in stazione. Quello che non sapevo è che la giornata sarebbe stata completamente stravolta (forse per colpa mia).
Mentre lui si riprendeva dalla sborrata che aveva appena rilasciato nella mia bocca e che io avevo ingoiato senza che lui (ovviamente) se ne curasse, mi sono preparata per il mare con l’intenzione di dargli un segnale: o tiri fuori le palle (figurativamente ma anche letteralmente) oppure non sei più adatto per me. In realtà avrei dovuto lasciarlo quella mattina, mentre mi ripulivo dalla sua sborra in bocca. Solo che non mi sarei mai presa la responsabilità e speravo avrebbe capito lui che non c’era più niente tra noi due. Decisa a farglielo capire, sono andata in camera e mi sono messa solo un pareo e delle infradito, costumino nello zaino (comprato a Milano), così da poter dare spettacolo in spiaggia.
Nonostante il viaggio in motorino non si è reso conto di nulla (forse le macchine si). Arrivati alla spiaggia ho notato con piacere che era semideserta. Solo due ragazzi molto lontano, che si stavano facendo i cazzi propri. Quale migliore occasione di dargli un segnale forte? Ho deciso che il costumino sarebbe rimasto nella borsa, mi sono tolta il pareo, sfilata le infradito, e con sua sorpresa sono corsa nuda verso l’acqua. Imbarazzato dalla situazione o forse dal mio gesto, è rimasto interdetto ma poi ha deciso di unirsi a me.
“Sara, cosa fai…?”
“Il bagno, scemo, perché?”
“Sara, sei nuda”
“Lo so, non c’è nessuno e mi piace stare nuda, che problema c’è?”
“Il problema è che qualcuno c’è. Ci sono due ragazzi in fondo alla spiaggia”
“Ma se nemmeno hanno notato che sono nuda… E poi goditelo il mio corpo, che per un po’ non lo vedi!”
“Sì Sara, sei bellissima. Però non è il momento…”
“Sai che sei veramente cagacazzi? E io che pensavo volessi altro dopo stamattina!”
“Sara, qui no… Magari dopo a casa…”
“Va bene, ho capito. Dai io mi vado ad asciugare”.
Non so descrivere le emozioni che stavo provando in quel momento, so solo che ero incazzata e decisa a farla finita con quella persona che mi sarebbe stata solo di peso. Sono salita verso l’asciugamano e non ho nemmeno pensato di coprirmi. Mi sono messa a prendere il sole così, nuda, come ero. Lui è salito e dopo poco, ha chiuso gli occhi e si è appisolato. Ancora incazzata per lo scambio di prima, ho colpevolmente lasciato che il micro-pensiero che ho sviluppato non so bene in quale angolo della mia mente diventasse sempre più grande, fino a che da pensiero è diventata azione. Mi sono alzata, e come un automa sapevo già quello che volevo fare. Ho fatto tutta la spiaggia così, nuda. Sono arrivata dai due ragazzi, e ho iniziato ad attaccare bottone. Niente più. Non volevo farci nulla, solo dare un segnale a lui.
Inutile dire che appena si è svegliato e mi ha vista a chiacchierare con i due ragazzi, completamente nuda, ha dato di matto. Mi è venuto a prendere, dicendomi che era ora di andare a casa. Mentre tornavamo alle nostre cose ha finalmente trovato il coraggio di fare la sua mossa:
“Sara, io non ti riconosco più, che cazzo stai facendo?”
“Tu non ti rendi conto di quanto sei fortunato ad avermi con te. Non stavo facendo nulla!”
“Stavi facendo la troia”
“Ah, se avessi voluto fare la troia avrei fatto ben di peggio!”
“Senti, ora ti vesti, ti lascio a casa e ti arrangi”
“Ma dovevi accompagnarmi in stazione”
“Fatti accompagnare da loro!”
E così ho rimesso il pareo, le infradito, e siamo partiti verso casa mia.
Arrivati al mio palazzo, mi fa scendere e senza nemmeno guardarmi bene mi fa “Vabbé Sara, ci vediamo fra due settimane?”
“Vediamo, se fai il coglione come oggi magari non mi va”
“Senti, fai pace con te stessa. Ripensa a quello che hai fatto e poi mi scrivi”.
E così se n’è andato. Di fretta, incazzato, imbarazzato. Devo dire che pensavo mi dispiacesse vederlo che si allontanava, ma non poteva fregarmene un cazzo. Anzi, si stava svegliando in me la voglia di liberarmi da tutte le catene che ancora portavo appresso: primo fra tutti lui. E la cosa mi eccitava, cazzo.
Sono salita in casa, mi sono spogliata, e senza nemmeno lavarmi dal sale del mare mi sono messa sul divano della sala, ho aperto la galleria del mio telefono e ho iniziato a guardare foto e video che mi sono fatta fare nelle settimane prima mentre scopavo. In due secondi ero fradicia e con i sex toys pronti per un’altra sessione. Il primo ad essere usato è stato il secondo plug per dimensione. L’ho preso, infilato in bocca per inumidirlo e lentamente l’ho fatto entrare nel mio buco del culo. Fra l’eccitazione e il desiderio non so cosa mi abbia fatto quell’effetto, ma il giochino è entrato dentro come burro. Nel frattempo ho iniziato a toccarmi il clitoride, mentre con il plug facevo dentro e fuori dal mio buchino. Dopo poco mi sono resa conto che non bastava, così ho preso il terzo plug, la misura successiva. Anche lui è entrato dentro facilmente, nonostante fosse il più grande che avevo provato sino a quel momento. Gli ultimi due sono infatti parecchio grossi, con un diametro di 5.5 e 6.5 cm. Dopo vari minuti di masturbazione ho deciso di fare la follia che aspettavo da tanto tempo: ho tolto il plug medio, lubrificato quello da 5.5 cm di diametro, e ho iniziato a spingerlo contro il mio buco del culo mentre mi toccavo con l’altra mano il clitoride. Nel momento esatto in cui è entrato di botto senza difficoltà ho avuto un orgasmo potentissimo, che mi ha fatta godere dalla testa alla punta dei piedi.
Non so quanto sia durato quell’orgasmo, ma ci ero riuscita: avevo aumentato la misura dei plug che riuscivo ad infilarmi in culo, ed ero estremamente eccitata ed orgogliosa di questo. Fradicia e con il plug ancora dentro, ho percepito che al mio corpo non bastava, che avrei avuto bisogno di altro. Lentamente ho tolto il plug, concentrandomi sulla sensazione del mio culo usato. Non potevo lasciarlo così, mi sembrava vuoto. Ho rimesso il plug medio e mi sono preparata ad una nuova sessione.
– Fammi guardare che ore sono… – ho pensato. Cazzo. Sono le 13 e io devo ancora prepararmi. Come vado in stazione? Posso prendere un taxi, ma ce la farò? Devo forse chiamarlo ora…
Ancora nuda e con il plug dentro al culo chiamo il taxi. “10 minuti e siamo da lei”. Cazzo. Cazzo.
Non so cosa succeda al nostro cervello quando ci troviamo di fronte a cose che ci sembrano impossibili, ma in qualche modo riusciamo a condensare tutte le nostre emozioni e a produrre un risultato. Così, ancora eccitata e di fretta, ho buttato due cose dentro alla borsa (solo due magliettine che volevo portarmi ed un paio di pantaloncini) e ho iniziato a mettere via i sex toys. “Sai cosa? Il plug lo tengo dentro…”. Questo pensiero è stato tanto naturale quanto devastante per la mia situazione, e mi ha spinto a fare quello che, in fondo, volevo fare dall’inizio: vestirmi da troia per il viaggio in treno.
Un top giallino molto leggero fatto tipo maglietta ma tagliato appena sotto le tette è stata la prima scelta. “Cazzo, si vede attraverso… Però quanto cazzo mi sta bene! Si vede pure l’aureola del capezzolo… Vabbé dai, sarà la luce, in treno non sarà così!” (spoiler: lo era).
Vista la scelta ho pensato che il ventre scoperto, con la mia già buona abbronzatura, fosse d’obbligo (anche per mostrare il mio piercing all’ombelico). Così ho messo una gonna a vita bassa, super colorata, leggera, lunga fino a poco sopra il ginocchio. Mutande? Non so se sia stato volontario o meno, ma nemmeno ci ho pensato.
Cazzo, i 10 minuti sono già passati. Corri! Aspetta, che scarpe metto? Vabbé, solite Birkenstock e via!
Scesa sotto casa, ho trovato ad aspettarmi il tassista che, non appena mi ha vista, ha probabilmente pensato di stare stare vivendo in un sogno. Così, mentre lui cercava qualche parola da dire, gli ho chiesto di portarmi alla stazione ed il mio viaggio è iniziato…



Complimenti Sara sei una ragazza molto intrigante
Mi piacerebbe farti una domanda
leap74n@gmail.com