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Erotici Racconti

Indiscreta e irriverente

By 3 Dicembre 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Dopo un pranzo lento e altrettanto duraturo, eravamo usciti finalmente da quella locanda, perché poco dopo cominciava quel percorso associato a quei numerosi cenni della testa, accompagnati da composti e riservati sorrisi e dalle difficoltà evidenti del respiro. Ero più che certo, in quanto m’accorgevo che Federica era realmente la mia beneamata sottomessa: curiosa, fresca, perversa, sensuale e per di più imprevedibilmente e sorprendentemente timida: era lei, la mia Federica. Io l’agguantai per mano per portarla nel luogo dove avrebbe potuto alitarmi in silenzio, lassù in quella salita impervia ostacolati solamente dai raggi brucianti del sole. La sua pelle delicatamente chiara era rossa per le sensazioni forti d’avermi accanto, perché il martellare della luce aveva lo stesso effetto del lento ruscello, dolce e impetuoso su quel ciottolo delicatamente adagiato ed esposto nel suo letto, perché voleva indossare gli occhiali per proteggere gli occhi colore del cielo.

In quella speciale occasione glielo proposi, d’altra parte come mia costante abitudine, ovverosia l’essere guidata da me mano nella mano, per la strada a occhi chiusi affidandosi completamente alle mie grinfie. Io frattanto ne verificavo l’eccitazione strattonando la punta dei seni a forma di piccolo calice, mentre i bottoni deformavano la linea della maglietta aderente, già divenuti compatti fra le mie dita, disponibili e in ultimo remissivi. Il baccano cittadino diminuiva, scomparivano i rumori molesti, spariva il brontolio dei tanti turisti, così come lo scoppiettio dei numerosi motorini guidati dagli adolescenti sempre di corsa, mentre le macchine con il loro noioso e ripetitivo rombo rimanevano soltanto un ricordo. Ecco finalmente il silenzio, il canto degli uccelli, la voce del vento che attraversava le frasche maestose degli alberi, il tacchettio dei nostri passi cadenzati e dopo i suoni ecco magicamente gli odori, l’umidità raccolta nell’aria, l’odore del bosco, il profumo dell’erba tagliata, l’assenza dell’inquinamento, giacché i polmoni s’aprivano desiderosi e lieti di gustare inedite novità.

Le uniche sensazioni palpabili per la mia Federica costretta con le palpebre serrate, erano quelle tonalità chiaro-scure dovute ai forti raggi solari che penetravano fra i folti rami, donando sulla pelle bruschi schiaffi di calore. Io ti feci sbattere contro l’angolo della panchina e seduta ti feci aprire gli occhi mentre la bocca si spalancò gioiosa per l’occasione, giacché era entusiasta del luogo e piena sennonché di me. Da ultimo, dopo tanta attesa, tu scoprivi il paradiso che t’avevo promesso per giorni, in quanto t’avevo portato incredibilmente nel cuore della città, poiché era uno spazio immerso in un bosco ben nascosto all’interno di quelle mura cittadine, che ben pochi conoscevano. Alla fine, come un animale domestico, che viene liberato dopo giornate di forzature in casa, annusavi l’erba circostante, ti facevi carezzare dalla brezza calda che raggiungeva i nostri visi. Io in quel preciso frangente, senza farti abituare all’aroma del luogo, ti chiesi di togliere le comode scarpe da ginnastica assieme alle calze sportive, sì, perché io t’avevo appositamente richiesto di camminare scalza sul prato appena rasato perché eri deliziosamente curiosa, cominciasti così a esplorare la zona attorno a quella comoda panchina di legno, cornice e teatro d’amanti frettolosi, di litigate furiose e di perenni battibecchi familiari.

Io sorridevo vedendoti felice e positiva, audace e libera d’eseguire ogni mia richiesta, malgrado ciò dovetti farti tornare come una cagnetta sciolta dal collare, dacché scorrazzavi a destra e a sinistra, marcando con il tuo respiro il territorio che ci circondava. Io comincio sennonché a sedurti marcatamente con le parole, dato che quello era il luogo confacente, dal momento che avevo la necessità di confermare avvalorando in seguito ogni mio dubbio, che seppur distante, la tua intenzionalità era stabilita da un periodo che si era prolungato per settimane con continue attenzioni da parte d’entrambi. Finalmente eravamo davanti per poter conversare di quello che sarebbe stato, in altre parole riconsiderare riesaminando voce su voce il nostro rapporto così privato e speciale: una disparità di ruoli complementari che si sarebbero combinati nel giro di qualche manciata di secondi, poiché come in un convenzionale contratto chiesi scandendo ogni singola sillaba:

‘Mia Federica, sei proprio sicura che vuoi essere la mia schiava?’.

Questa era una domanda né retorica né scontata, tutt’altro, perché era una precisa richiesta che prevedeva un impegno notevole da parte d’entrambi, abbandonarsi, affidarsi, donandosi del tutto senz’alcun limite, giacché è ben raro come offerta che si può fare verso terzi. D’altra parte impugnare la promessa integrale della vita d’una persona, che tra l’altro s’accoglie sotto la propria protezione è un impegno gravoso e ricorrente, perché ambedue eravamo ben certi di quello che volevamo radicalmente. Al tuo assenso io ti chiesi di cambiarti indossando al posto dei jeans la gonna, al posto delle scarpe comode i tacchi alti e aggiunsi sottolineando:

‘Senz’intimo, ricordi?’ – espressi io, perché in tal modo volevo.

Le tue seducenti culottes nere le sfilasti con candore e pudicizia, regalando un nuovo rossore alle tue guance, perché fu solo un attimo, giacché poco dopo sorridevi alquanto sbalordita. Camminare con la gonna svolazzante e senza nulla sotto per qualche chilometro era persino un modo per anticiparti il mio piacere d’esporti, per il semplice fatto che unicamente il tuo padrone conosceva che cosa indossavi di sotto: nulla. Ogni tanto sfioravo i tuoi glutei che sentivo compatti muoversi senza niente attorno, lo stesso facevano i capezzoli afflitti a turno, perché nel tempo in cui le scarpe eleganti mordevano i tuoi talloni costringendoti a una camminata innaturale e sofferta, tu in punta di piedi trovavi la posa meno dolorosa e in quella posizione il fondo schiena risultava ancora più seducente mostrandosi pienamente a ogni movimento. Tu mi chiedesti di togliere le scarpe e di proseguire scalza, eppure io non ti permisi quella supplica:

‘Lo farai dopo, non adesso, aspetta quando saremo in albergo’ – ti sussurrai io animato per la faccenda.

Il sole pomeridiano bruciava le nostre fronti, io avevo indossato un completo primaverile nero ed elegante con una camicia celeste, mi sentivo sciogliere per le emozioni che tu mi donavi e per quelle continue fantasie che in modo insperato si stavano materializzando, oserei riferire che decantate si stavano realizzando. Tu osservavi i negozi che s’affacciavano sul viale che costeggiava il fiume, che in modo naturale divideva in due parti la città piena di turisti, la tua camminata era rapida per seguire le mie orme, come imposto e come richiesto per rispetto del mio ruolo di guida. Sorridendo ti chiesi se avessi gradito una caramella da succhiare fra le labbra e fra i due aromi disponibili, arancia e limone, tu scegliesti il primo, allargasti le labbra aprendo la bocca come assetata di nuove sensazioni. Io ti chiesi di non masticarla, perché doveva sciogliersi, perché non erano quelle le labbra dove si sarebbe dovuto sciogliere con estrema lentezza. Tu imbarazzata e con estremo candore mi facesti osservare che eravamo in mezzo a una strada molto transitata, io sorrisi e trovato un ripostiglio d’un vecchio negozio d’anticaglie ti feci scudo con il mio corpo e ti detti il tempo:

‘Hai quindici secondi per metterla dentro’.

Tu con modo di fare fulmineo, curiosa, stravagante e irrispettosa delle regole, alzasti in conclusione la gonna e armeggiando con le dita te l’infilasti dentro, accontentandomi sorridendo come una ragazzina che ha appena commesso una birichinata, sentendoti un po’ imbarazzata per paura di sentirla scivolare fra le cosce temendo di perderla, eppure felice, lieta e soddisfatta d’aver eseguito un mio nuovo capriccio, perché compiendo tutta l’opera alla fine raggiungemmo l’albergo.

{Idraulico anno 1999}   

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