Skip to main content
Erotici Racconti

I’ve got my mojo working (nuovo blues di notte, ovvero, Mojo Boogie)

By 25 Agosto 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Sussulta e riaccende i pensieri, l’onda delle note.
E apre al desiderio.
(faber)

La stanza è buia.
Solo il ritmo della sveglia che scandisce i secondi, lì sul comodino.
E sul comodino, a lato, appoggiato come un fazzoletto accartocciato scuro, il mojo che lui le ha donato.
Un sacchetto nero di tela un po’ sgualcita, legato da un cappio passante, di cuoio ammorbidito dal lungo tempo e dalle manipolazioni di anni.
Nel sacchetto, il segreto del suo mojo. Che lui le ha regalato.
Forse nulla, ma nulla non può essere, il sacchetto non è vuoto.
Forse una zampa secca di animale, sembra di sentire un sasso o qualcosa di duro e senza spigoli vivi.
O chissà cosa.
Un piccolo mojo, amuleto nero di neri e di musiche lontane.
Colmo di nulla e di tutto.
Di tempo e di emozioni, di piccole magie e di legami.
Ma un mojo non si apre.
E resta lì accanto al ticchettio, al buio della stanza.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you
(Il mio amuleto funziona’ ma questo amuleto con te non funziona)

L’orologio non si vede nell’oscurità della notte artificiale di persiane chiuse e luci spente.
Scandisce il tempo a battiti pulsati, metallici, la ragazza seduta nel letto, nuda, le gambe ripiegate verso il seno, le ginocchia alte, strette tra le braccia, ascolta e anticipa col pensiero ogni secondo che si stacca in suono dal quadrante.
Poi, come scivolata sotto la porta, la prima nota.
Entra, liquida nell’aria sospesa dell’oscura stanza.
Appena percepibile all’inizio tanto da non saperle dare inizio o attimo di partenza.

E’ un do leggero, quasi a chiedere ..posso entrare?
Sussurrare la domanda.
Ma la nota non attende risposta e si fa seguire da altre.
Alzano la voce, prima erano quasi aderenti al battito dei secondi, appiattite timidamente sul ritmo monotono del tempo scandito dai meccanismi immutabili del quadrante, o almeno così inevitabilmente la donna le sentiva.
Ora sovrastano il ticchettio monotono, lo avvolgono e inglobano, e salgono a spirale.
Tornando e ritornando mille volte su se stesse.
Spirale blues che sale e incanta inconsciamente.
Riavvitate e ipnotiche dopo solo tre giri.
Giri di blues nel buio della stanza.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you.

La musica, ora, affrancata e impudica, corre nella stanza e carezza la schiena nuda della donna.
Lecca di note il collo.
Pettina la pelle di striscia umida e calda.
Scioglie e dilava.
Scivola sulla schiena con tocco caldo di labbra.
Disegna un pentagramma di brividi sottopelle, arabesco bagnato di parole scritte nell’acqua.
La sveglia sembra zittita dall’ovatta musicale.
Ottavo giro di note, il blues è nella stanza.
E al buio della notte nella casa a luci spente, l’uomo apre la porta.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you.

Il passo è muto sul parquet lamato, nemmeno il passaggio del piede dal legno al tappeto raso di lana rossa muta alcunchè nel suono della stanza.
Solo l’aria densa di note si apre come una tenda impercettibile e pesante al tempo stesso a lasciar passo e strada fino al letto.
La donna seduta sul letto ha gli occhi chiusi.
Buio nel buio.
Serrati fino a vedere per lo sforzo luci strane, ora una macchia blu che si fa porpora all’istante.
Strano la macchia sembra sangue caldo e rosso ora e scivola sul ritmo delle note fino a svanire, sprofondata.
E resta un buio grigio sul fondo della retina e degli occhi, vuoto di bottiglia al buio, con profondità percepite e non viste.
La musica carezza le cosce della donna.
Sale dai piedi, come una nuova pelle calda, le caviglie elettriche al contatto con le note.
Poi indugia su un assolo di chitarra, riparte, percorre il polpaccio disegnato, disegna percorrendolo il profilo del muscolo scolpito e dolce, la donna è seduta con le ginocchia alte e le gambe rannicchiate, strette al corpo dalle braccia.
La musica le bacia il collo, dove l’ultimo capello sembra farsi pelo, docile, sottile, quasi evanescente. Solleva soffiando note i piccoli peli di seta lì e si insinua molle, aderente, plasmata al contatto come labbra.
La donna ha un brivido leggero, le percorre la schiena e serra le scapole all’indietro al culmine della piccola scossa.
E perde, per un istante, per seguire il lampo sul collo, il suo pensiero.
La musica ora le sale a lato delle cosce.
L’uomo ha il respiro forte e caldo adesso. Lei lo sente.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you.

La musica le allarga e stende le gambe.
A correre scostate sul letto.
La ragazza scivola sulle reni fino a posare la testa appena un po’ più in basso del cuscino.
Ora è sdraiata, non sente né lenzuolo né materasso sotto.
Una nuvola di note.
E una folla di note adesso, un assalto simultaneo, imprevedibile, che si fanno cento e una mani sulle cosce.
Allarga le gambe. La musica le sale in mezzo.
Ma poi prosegue, non si ferma lì, dove le cosce si fanno casa e taglio.
Sale sul corpo.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you.

La donna sente il materasso cedere e abbassarsi. Lui le è adesso a fianco, ma nel buio di occhi e stanza lei ne percepisce solo l’elettricità del corpo.
Lui non la sfiora quasi nemmeno, la pelle potrebbe fare scintille nel buio però a quella vicinanza.
La musica le sale lenta camminando in punta di note sul ventre.
La pelle sembra alzarsi e seguire le note nel loro sfiorare. Come se fosse un’onda la pelle e aderisse all’onda del blues di notte.
O l’onda delle note fosse calamita e la sua pelle cercasse di raggiungerne il volo radente per stabile rabbiosa di voglia un contatto finalmente.
La pelle resta poi rabbrividita, eccitata e insoddisfatta, priva della consolazione di un qualsiasi contatto,alla salita verso il petto le si ferma anche il respiro.
Respira come se si respirasse dentro, senza attingere aria dalla stanza.
E si accorge che la musica anche ora le è dentro.
Dentro, e intorno e sopra, a lato, sfrega morbida sulla pelle del seno, circonda di suono e umido bacio i capezzoli, si insinua nel solco dei seni, sotto i seni, come volesse staccarli, alzarli ancora, là dove la pelle è più calda, dove i seni forti della donna quando è in piedi, posano pelle su pelle, e in mezzo, morbido e sensibile, il caldo.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you.

La musica ora la avvolge e tocca tutta. Pelle su pelle.
Vernice elettrica di scosse lievi e tensione.
L’uomo del blues la carezza, sposta i capelli di lei corti dalla fronte, guarda nel buio gli occhi chiusi stretti.
Poi unisce le dita alle note.
Suona la pelle.
Le dita si posano inattese, senza logica né ordine di tasto.
Sfiorano.
Posano lievi o calde e salde.
Sfregano in punta di polpastrello.
Si fanno più dure e forti e poi scompaiono e rinascono altrove come battito di goccia sulla pelle.
O premono un capezzolo a saggiarne eccitazione e durezza.

Got my mojo working’ but that mojo does not work on you.

L’uomo sembra leggero come una nota, ora, e caldo come la musica sul corpo.
Il capo tra le cosce, a suonare lei con la bocca.
Il respiro e la lingua.
La saliva che lava e da pace alla tensione.
Le labbra che baciano le labbra, la lingua che le scosta e gioca sui solchi che le schiudono ormai gonfi.
Carezza sulle note ogni labbro, lo scosta, ci gioca come corda di chitarra.
Poi schiaccia di punta sotto, dove il taglio si chiude, e si fa striscia di carne chiusa prima di rinnovarsi in piccola apertura.
Le gambe della donna, violino appoggiato sulle spalle dell’uomo ora.
Un violino per spalla, dove la spalla su fa collo.
E la lingua sulla corda.
Gioca veloce come un virtuosismo delle note.
Sfrega percuote e succhia.
Posa i denti, la bocca schiusa tra il taglio di fessura e l’anello stretto, serra piano tra i denti il lembo di carne che divide gli accessi, poi lo placa e carezza come se fosse gatto sul collo della gatta, col tepore bagnato della punta della lingua.
Vernicia di saliva la terra di mezzo, la diga che divide i due piaceri, poi ritira i denti e rioffre le labbra, e succhia il lembo, la striscia. E aspira la piccola linea di confine tra le labbra.
I violini ora gli serrano la testa, imprigionano e impediscono ogni ritirata, reclamano impazienti delle note nuove e della loro forza.
La musica e l’uomo suonano la donna.
Impugnata alle anche sollevate, come uno strumento.
Pizzicata sulla corda più sensibile a strapparle il suono.
Le gambe strette, violini paralleli sulle spalle, le mani sue afferrate ai suoi capelli fino a fargli male, come se lei volesse quasi così soffocarlo e sentirlo agitarsi e agitarsi’

Il mojo sul comodino a fianco alla sveglia è luminoso ora, nella notte della stanza.
Ha acquisito luce propria in un impercettibile crescendo, parallelo al gonfiarsi della voglia.
Al piacere dato e ricevuto,l’amuleto giallo caldo, ora, trasuda luce attraverso la stoffa.
La luce allarga l’alone fluorescente nella notte della stanza, come togliesse un sipario e scoprisse i volti sul letto a fianco.
Illumina il volto della donna.
Gli occhi serrati chiusi.
La bocca aperta e il fiato che sembra solido, liquido e caldo nella luce di oro scuro che illumina il viso.
Nella penombra, a fondo letto, lui, a sfumare nella luce che là ben fioca arriva ad illuminare, la morsa stretta dei violini e delle gambe al collo.
Il bacino di lei che dondola affannato adesso, scosso, lì, appeso alle sue spalle.
Le dita serrate nei suoi capelli, strette a imprigionarli come briglie, lo spasmo del muscolo delle cosce sue nell’orgasmo.
La donna suona lei. Adesso. La sua musica di notte.
E sul respiro suo che, lentamente, a sussulti, torna a farsi regolare, e da ritmo agli ultimi ondeggiamenti delle anche appese al collo, il mojo affievolisce la sua luce.
Alla luce che svanisce, ora, il volto dell’uomo. Riemerso.
Spettinato e rosso in viso, la bocca lucida di saliva e di donna.
L’uomo asciuga con lentezza e gola con la lingua le sue labbra.
Le lava del piacere della donna.
Lo sguardo caldo intanto corre e scivola sul corpo di lei, che si annerisce e torna, buio nel buio, allo spegnersi della luminescenza.

La stanza è nuovamente come fu prima buio nel buio.
Adesso.
La musica è finita, rifluita all’indietro come risucchiata sotto la porta chiusa. Sotto la soglia.
Acqua di note srotolate e poi rifluite all’indietro sino a svanire e lasciare il vuoto.
Replay all’indietro, film di note che si riavvolgono e svaniscono nel nulla di un’altra stanza.
Nel silenzio della stanza solo due respiri.
Che ritrovano, per caso, lentamente, un ritmo quasi sovrapposto.
Profondo e lento.
E il ticchettio, scandito ogni secondo di una sveglia.
Nella mente, adesso, vuota e leggera, entrambi anticipano il battito metallico successivo.
Non c’è che un ritmo solo in quella musica piccina adesso.
Quello dei secondi.
Uguali e certi.
Come la notte e l’alba.
Sul comodino un sacchetto di tela resa morbida dal tempo.
Legato con un laccio in cuoio. Il laccio stesso morbido di mani che l’hanno stretto, rigirato tra le dita, fatto ciondolare per anni e anni.
Un mojo scuro, spento, opaco nel buio della stanza, posato lì da lui come regalo.
Dormono ora, ma la musica si è spenta.
I secondi scanditi si fanno nenia e culla.

Got my mojo working’ and that mojo works on you.
( Il mio amuleto funziona’ funziona con te)

Note a margine

Secondo o terzo racconto (non ricordo) che dedico al blues e alla donna della stanza buia.
Alla donna, non serve che dica perché, né chi la donna stessa sia.
Se e quando leggerà saprà ritrovarsi in quel respiro.

Al blues perché in giornate strane, e queste mie da tempo lo sono, il blues è l’unica vera medicina che conosco e che mi curi.
E’ la mia musica del sangue, del battito cardiaco, dell’emozione.
Un’erezione di note, che si rinnova, ogni volta, con piccole seduzioni musicali.

Stanotte dopo un ennesimo concerto blues mi è venuta voglia, più che voglia direi esigenzea di scrivere una canzone nuova da dedicare proprio alla canzone.
La canzone specifica è di Muddy Waters (all’anagrafe Muddy Waters Mc Kinley Morganfield 1915-1983), il titolo, “Got my Mojo workin'”, il mio “mojo” funziona, ed è un grandissimo pezzo di blues.

Il mojo, poi.
Per chi non amasse o avesse dimestichezza col blues, il mojo ricorre anche in altri pezzi, di altri autori, ed è un amuleto portafortuna. Viene citato spesso, a volte fatto proprio come quello che ho fatto regalare stanotte dall’uomo alla donna nel racconto.
E’ una superstizione che arriva dalle terre di origine dei bluesman neri, ma io stasera qui ho dato prova di come possa anche avere poteri reali.
Dimenticavo, …nella vena ironica ed essendo spesso il blues legato ai temi del sesso e dell’amore in genere, il mojo ha anche assunto il significato di ..cazzo’ma quello dicono che per fortuna non si accenda mai né diventi luminoso nella notte’

Ovviamente la dedica è alla Donna del blues.
Nonchè a Muddy Waters e a tutti i musicisti che hanno suonato questa canzone, anche stanotte a Milano.

A seguire il testo originale della canzone:

I Got My Mojo Working
Muddy Waters

Got my mojo working, but it just won’t work on you
Got my mojo working, but it just won’t work on you
I wanna love you so bad till I don’t know what to do

I’m going down to Louisiana to get me a mojo hand
I’m going down to Louisiana to get me a mojo hand
I’m gonna have all you women right here at my command

Got my mojo working, but it just won’t work on you
Got my mojo working, but it just won’t work on you
I wanna love you so bad till I don’t know what to do

I got a gypsy woman givin’ me advice
I got a gypsy woman givin’ me advice
I got some red hot tips I got to keep on ice

Got my mojo working
Got my mojo working
Got my mojo working
…..
But it – uh uh – just won’t work on you

Vieni a
trovarmi sul mio sito: clicca qui!

Leave a Reply