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Erotici Racconti

L’ottomana di felpa

By 9 Luglio 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Lui non era per niente un bell’uomo, all’opposto, aveva un fisico magro e vestiva come un giurista, pronto a entrare in qualche aula dimenticata e impolverata d’un qualsiasi tribunale, con la barba e i capelli lucenti che componevano un forte contrasto esaltando il resto con l’incarnato di quel viso scuro solcato da quelle rughe profonde. Quando lo vidi per la prima volta rimasi un po’ contrariata, delusa e pure sconfortata, poiché lui stava dritto come uno stremato all’angolo della strada, dove c’eravamo fissati l’appuntamento accanto a un’automobile assai lussuosa. Io avevo paura, però mi feci avanti con l’aria baldanzosa e spavalda, perché sapevo o almeno credevo di sapere che cosa m’aspettasse, in quanto pensavo di poter controllare tenendo a bada in modo agevole e semplice la situazione. In definitiva quella condizione io l’avevo sennonché volutamente generata tempo addietro, replicando zelantemente a quell’avviso pubblicato su quel rotocalco, che a me pareva talmente avvincente e intrigante, misurandomi con me stessa, valutando in ultimo dove sarei potuta arrivare saggiando inconsapevolmente i miei innati limiti.

Io volevo tradire ponderatamente mio marito e volevo metterlo in atto per soldi, in quanto desideravo e m’imponevo di comprendere raggruppando i miei viziosi pensieri, cercando di rendermi conto che cosa si prova realmente in ultimo nel fare sesso senza un briciolo d’amore o almeno di passione. Salii sennonché in auto senza dire una parola, lui mi squadrò alla svelta da dietro le lenti degli occhiali e dopo esigue ed impacciate espressioni a seguito della presentazione avviò il motore. Io francamente reputavo che lui m’avrebbe portato in qualche alberghetto di periferia, eppure mi sbagliavo, dato che uscì fuori dalla città e s’avviò verso la silenziosa e verdeggiante campagna.

‘La casa dove ti sto portando l’ho comprata tempo fa, anzi, onestamente non la utilizzo quasi mai, tenuto conto che i miei figli sono ormai diventati grandi’ – mi riferì pacatamente con il suo flebile tono di voce.

Io iniziavo a sentirmi alquanto impensierita e risolutamente inquieta, lui se ne accorse e mi sorrise confortandomi, si fermò davanti a un cancello di ferro battuto attraverso il quale s’intravedeva il rigoglioso fogliame degli alberi.

‘Andiamo, vieni’ – mi riferì prendendomi con prestanza la mano.

L’ingresso era rivolto direttamente sul soggiorno, in quanto era buio e scuro, perché la poca luce che filtrava penetrando in quella stanza sfiorava appena i pesanti mobili di mogano, i tappeti e i quadri, illuminando un grande canapè di velluto dal colore rubicondo scurito. Continuando a tenere la mia mano nella sua, lui mi fece accostare proprio vicino a quel canapè, poi si collocò di fronte a me, mi tolse il cappotto e mi squadrò per bene dalla testa fino ai piedi, scrutando ogni centimetro di me come se volesse misurarmi e valutarmi. In nessun caso, come in quella precisa circostanza, io mi ero sentita così imbarazzata e insicura, malgrado ciò anche se mi sentivo di questo andare avvisata e consapevole che il mio organismo stava per diventare uno strumento, che lui avrebbe accortamente adoperato a suo totale e indiscusso piacimento. Nonostante le mie ansiose e inquiete aspettative, indubitabilmente l’esame complessivo sulla mia persona lo aveva opportunamente soddisfatto, perché quando si tolse gli occhiali vidi chiaramente un bagliore nei suoi occhi come un segnale d’un palese apprezzamento, giacché ancora una volta m’apparve nitidamente e innegabilmente quell’immagine dell’espressione depravata, oserei aggiungere satira, d’un individuo vizioso che t’ammalia. Con cautela lui iniziò a denudarmi con una pacata indolenza, i miei indumenti cascavano per terra ammassandosi, io in quel frangente ero giuliva ed esultante per quello che m’attendeva.

Per quel singolare pretesto io avevo selezionato con notevole premura abbinando tutti i miei indumenti migliori, facendo magnificare a meraviglia la carnagione della mia epidermide, perché anelavo smaniando come non mai d’essere eccitante in sua presenza, insomma una vera etera di classe, una cortigiana modello che non avrebbe di certo dimenticato. Lui mi fece tenere anche il reggipetto e quello che mi stupì un poco fu probabilmente il mio seno a non essere abbastanza avvenente per lui, poiché non ancora del tutto vestito lui s’adagiò confortevolmente sull’ottomana allargando le gambe e aprendosi la patta dei pantaloni, giacché per quell’improvvisa visione alla quale assistetti rimasi per svariati secondi allibita, incredula e pure inorridita, tenuto conto che fino a quel preciso momento il solo maschio che avevo potuto ammirare e osservare inerme e senza vestiti era stato esclusivamente il mio sposo, in quanto i primi armeggi e gl’intrallazzi intimi con il sesso li avevo esplorati essenzialmente con lui quand’ero una marmocchia appena diciassettenne e non lo avevo giammai deluso né tradito. Lealmente non avrei mai immaginato, un giorno d’intravedere che lì di sotto, un uomo potesse avere un cazzo talmente grande, così lungo, poiché l’asta che si ergeva dall’ammasso tra quei peli neri era d’un rosso vivo di tutto rispetto con un glande massiccio, e anche se non l’avevo ancora toccata ne percepivo cogliendone spiccatamente già il fervore e il vigore. Di colpo, tutte le mie sicurezze andarono incontestabilmente in frantumi sminuzzandosi, poiché ero più che sicura che non avrei mai sopportato una cosa del genere, così tentai di fare un passo indietro.

Lui acutamente m’afferrò di nuovo la mano, stavolta con una certa rudezza, poi mi fece accoccolare in mezzo alle sue gambe, mentre con l’altra spingeva la mia testa contro il suo cazzo costringendomi ad avvicinare sempre più le labbra a quell’arnese rosso e pulsante riuscendo in ultimo a forzare la mia bocca. Io mi sentivo soffocare da quel bavaglio di carne e sentivo il suo sapore salmastro, dato che mi lacrimavano persino gli occhi, perché lui lo spingeva di proposito dentro e successivamente lo allontanava un poco, però non lasciava mai del tutto la mia bocca, che ormai era diventata la sua accogliente tana. Continuò per un tempo che mi sembrò lunghissimo, mi fece rialzare mentre sorrideva con un’aria tranquilla e serena, come se non avesse sentito i gemiti soffocati che m’aveva indotto e costretto a emettere.

‘Adesso inginocchiati sull’ottomana e appoggia il mento alla spalliera’ – fu la sua perentoria reazione.

‘Ti prego, io non so se posso’ – gli risposi io con la voce insicura e malferma temendo il peggio, eppure io avevo già capito che non avrei potuto sottrarmi a quella prova.

Le sue mani, quelle ruvide mani da contadino m’avevano qualche tempo prima abilmente artigliato le spalle e mi sospingevano verso il bordo dell’ottomana, cosicché lui cominciò a penetrarmi pigramente da dietro, perché coglievo sentendo raffinatamente che stava allargando il mio fiore nascosto, giacché provavo una sensazione insolita e stravagante, poderosa e solida, poiché non avevo mai captato prima d’ora nulla di così fervido e di passionale dentro di me, perché la mia carne non si era mai divaricata fino a quel punto. In quella circostanza lui cominciò a muoversi con un ritmo flemmatico e graduale, anche se ancora non m’aveva completamente aperto. Inaspettatamente cominciai a provare un inconsueto piacere, in quanto il suo calore stava diventando il mio, la mia fica s’inumidiva sempre di più, alzai i fianchi per accoglierlo meglio per fagli capire che mi piaceva, sì, gradivo tanto, perché stavo per arrivare all’orgasmo, eppure lui m’impedì intenzionalmente di godere interrompendo il coito. Estrasse il suo cazzo un istante prima con la sua consueta pacatezza, lasciandomi lì fremente e smaniosa in ebollizione, in attesa d’un piacere che non sarebbe arrivato, poiché era equanime così, per il fatto che io ero lì unicamente per il suo piacere, giustamente e lecitamente non per il mio.

In quell’occasione captai spiccatamente il tocco delle sue mani che accarezzavano il mio solco e la punta del suo cazzo oramai tutto intriso dei miei abbondanti e odorosi fluidi, perché quel carezzevole e scivoloso cazzo tentava d’infilarsi imboccando il pertugio più stretto. Io pativo, soffrivo mentre me lo allargava, m’affliggevo, in quanto mi sentivo spaccare in due, percepivo il senso del bruciore, volevo divincolarmi, allontanarmi da quel cazzo così brutale, perverso e sadico, eppure non potevo, perché lui m’aveva saldamente afferrato per i capelli e mi costringeva a restare ferma tirando con forza. Per me era effettivamente la prima volta, dal momento che non ero mai stata sodomizzata prima d’allora, perché nessuno aveva in nessun caso cercato di violare né di profanare quel passaggio, neppure mio marito.

Io non resistevo al dolore, m’accapigliavo, lottavo tentando d’oppormi per svincolarmi, gemevo forte scongiurandolo con la voce rotta di smettere almeno per un poco, lui però non ebbe compatimento né pietà, viceversa, lasciò i miei capelli e m’allargò le natiche con le mani per impalarmi del tutto. Io non potei trattenermi dall’emettere un urlo di dolore, pensai accortamente che lui m’avesse lacerato le carni, che non sarei mai più stata come prima: in nessun caso il mio grido gli aveva acceso i sensi, perché iniziò a muoversi in fretta entrando e uscendo dal mio corpo, ormai completamente aperto con un delirio e una frenesia convulsa e irrefrenabile, scardinandomi tutte le membra e l’intelletto, finché il getto fulmineo del suo sperma tra il solco delle chiappe e sulla mia pelosissima e nera fica mi fece capire che aveva in conclusione completato l’opera.

Lui rimase in seguito appoggiato sulla mia schiena per un poco, poi si staccò da me con cautela, come se non volesse abbandonarmi e mi fece adagiare su quell’ottomana di felpa dal colore rosso. Per un momento anche il contatto con quella superficie mi sembrò doloroso, io gli guardai il viso, sembrava invecchiato, stanco, il luccichio degli occhi ormai spento, poi con la mano un po’ malferma m’indicò il bagno e andai a lavarmi. Quando m’asciugai vidi sull’asciugamano le tracce evidenti di quanto mi aveva aperto, quelle lievi macchie rosate e il suo sperma insieme al mio sangue. Io rientrai nel soggiorno e lo trovai perfettamente vestito con indosso il cappotto, anch’io feci altrettanto mi rivestii però tremando. Lui sorrise, mi rincuorò, mi mise in mano dei soldi, tanti, io lo guardai notevolmente meravigliata, poi scosse lievemente la testa in un gesto simile a quello che può compiere un padre, quando si rende conto che la sua fanciulla a questo punto si è trasformata diventando donna e in un certo modo era vero. 

Io ho dimenticato e trascurato molti degli uomini che m’hanno nel tempo posseduto, indubbiamente tutti quelli che m’hanno pagato, però lui si è talmente distinto differenziandosi, perché lui con il suo modo d’agire si è impresso e si è stampato così accuratamente nella mia mente come un tatuaggio, con la stessa efficacia e con la medesima incisività con la quale quel pomeriggio ha marchiato e segnato rigando per sempre la mia carne.

Da allora non l’ho mai più rincontrato né rivisto.

{Idraulico anno 1999} 

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