C’è qualcosa di innaturale nel freddo di questa notte. Guardo la piccola stazione meteorologica che tengo sulla mensola di fronte al letto. Cinque gradi fuori. Dentro, una decina di più. Pigiama pesante, piumone, finestre sbarrate. Eppure, brividi gelati attraversano il mio corpo. Un freddo implacabile, di quelli che ti penetrano nelle ossa e non riesci ad attenuare neppure con la più pesante delle lane.
Giungo ben presto alla conclusione che si tratti di un gelo della peggior specie. Non di quelli causati da spifferi, vento, temperatura esterna. Ma una sensazione che viene da dentro. Che si propaga dal profondo dell’inconscio e ti rende preda e vittima della sua squassante ed incontenibile potenza.
Quel freddo che avverti dopo un incidente d’auto, quando il tuo corpo quasi esanime giace nell’attesa dei soccorsi. Quel brivido che si impossessa di te quando la morte ti strappa dalle braccia chi ami con tutto te stesso, lasciandoti dentro una voragine incolmabile. Quel gelo che prelude o accompagna le perdite più grandi, le sconfitte più brucianti, le delusioni più cocenti della vita.
Questa perdita, però, era inevitabile. Non dovuta alla morte, per fortuna. Ma a una dolorosa quanto elaborata scelta razionale. In una storia che di razionale non aveva nulla sin dal principio. Fidarsi di qualcuno, per me, è già qualcosa di davvero difficile. Da sempre. Aprirsi completamente con una persona, poi, è quasi utopia. Mostrare le debolezze, la vulnerabilità, l’insicurezza che continuamente influenzano le mie scelte, la ritengo un’attività di cui son degne talmente poche persone che, per contarle, le dita di una mano sono anche troppe. Eppure.
Eppure c’è chi ti prende subito. Quella persona con cui non puoi fare a meno di essere te stesso, perché sembra ti legga dritto nell’anima. Quella persona alla quale non ha senso nascondere nulla, mascherare i tuoi pensieri, perché sono anche i suoi. Quella persona che entra come un lampo nella tua vita, abbagliando e rendendo sfocato tutto il resto. Quella persona che, sebbene sia parte da un’ora della tua esistenza, ti sembra che lo sia da sempre. E che lo sarà per sempre. Invece, poi.
La magia si sgretola come un castello di sabbia. Quell’intesa, che sembrava roccia, si scioglie come ghiaccio all’equatore. In un minuto, le tue certezze crollano una dopo l’altra come tessere del domino. E vivi nel ricordo di ciò che era. Senza sapere perché non lo è più. Con la speranza che possa tornare ad esserlo e il timore che ciò speri non accadrà mai. Ed è allora che, piuttosto che vivere dei deboli riverberi di quell’intenso raggio di sole, preferisci sprofondare nell’oscurità, e nutrirti solo del ricordo di un angelo passato come una meteora nella tua vita, e non della sua copia sbiadita che ti avrebbe accompagnato nei giorni a venire, rendendo ancor più dolorosa ed insopportabile la nostalgia di qualcosa nato già grande e morto troppo in fretta.
La mia mente vaga, alla ricerca di alibi, di ricordi che incrinino la sua figura. Ricaccia indietro i momenti speciali, quelli che avvolgono l’anima in un tepore piacevole e familiare. E, al loro posto, stringe avidamente a sé i malumori, le delusioni, ogni spina di ogni rosa, così che il dolore, dovuto alle punte acuminate, impedisca a quello stupido cuore di sopraffare la fredda ragione.
Finché il gelo, i brividi, i pensieri, i rimorsi e i rimpianti non si confondono in una fitta nebbia che accompagna un corpo sfinito e una mente distrutta in un agognato sonno profondo.
E lì, nell’inconscio, c’è ancora lei. La sua essenza più pura. I suoi abbracci più sinceri. Le sue parole più dolci. Lei, bellissima, sensuale, rassicurante.
Sento il suo corpo nudo stretto al mio, a darmi quel calore che nella veglia non riuscivo a provare. La morbidezza della sua pelle mi accarezza come seta. Il suo respiro regola il mio, donandogli un ritmo carico di pace. ‘Sta’ tranquillo’, sembra dirmi, ‘Ci sono io con te adesso. Andrà tutto bene’.
Le mie mani accarezzano la sua schiena, mentre il suo corpo aderisce al mio sempre più. I suoi folti capelli scuri solleticano il mio viso. Ma non li scosto, mi piace inebriarmi del loro aroma, sentirli sulla faccia, a pizzicarmi.
Le sue grosse mammelle premono contro il mio petto, sembrano quasi voler scoppiare tanto sono gonfie e piene. Ed anche i suoi capezzoli, così pronunciati, turgidi, invitanti, si schiacciano contro il mio torace. Quasi lo bucano per quanto sono duri. Vorrei morderli, leccarli, impastare a piene mani quelle tette favolose, saziarmi delle curve del mio angelo. Ma ho quasi paura di allentare la presa, di staccarmi dal suo abbraccio, di rinunciare al suo calore. Di sentirla scivolare via dalle mie braccia. Ho paura che il suo corpo si sgretoli in miliardi di granelli di sabbia.
Le sue gambe sono avvinghiate alle mie. Il pelo del suo pube sfrega contro il mio mentre il mio membro, inevitabilmente eretto, si insinua tra le sue cosce, finendo stretto tra di esse. Sulla mia asta, che attraversa per lungo l’apertura della sua vagina calda e aperta, si infrangono i suoi umori, rendendola lucida e amplificando ancor più il mio piacere.
La sento eccitata almeno quanto me. La sua intimità è completamente lubrificata e continua, incessante, a produrre nettare saporito che vorrei bere direttamente alla fonte. Vorrei infilare la testa tra le sue gambe, farla gemere di piacere mentre lecco il frutto della sua eccitazione, il succo che non smette di sgorgare dalla sua figa bollente e bramosa di essere violata, riempita dal mio pene ormai al massimo della sua consistenza.
I nostri sospiri si insinuano nel respiro dell’altro. Pochi millimetri separano, ormai, le nostre bocche voraci. In un impeto salgo sopra di lei, che continua a restarmi avvinghiata con le gambe attorno alla vita e con le braccia a cingermi il collo.
Mi sorride nella penombra, maliziosa, porca, vogliosa come sempre. ‘Fai godere la tua troia’, mi sussurra, mentre le nostre labbra quasi si sfiorano, e il mio cazzo, duro, bagnato dei suoi umori, preme contro l’ingresso della sua vagina spalancata, in attesa solo di essere riempita senza ritegno, come piace a lei.
Non faccio neppure in tempo a sentire la consistenza delle sue labbra contro le mie, che tutto svanisce. I miei occhi si riaprono, e sotto il mio viso c’è solo il cuscino. Sopra di me solo il piumone. E intorno, e dentro di me, solo quel maledetto gelo che non accenna a placarsi. Il primo sole del mattino mi impone di iniziare una nuova giornata. Altre dure ore di cruenta battaglia tra una testa certa delle sue dolorose conclusioni e un cuore che non vuol saperne di arrendersi neppure di fronte all’evidenza.
In attesa che il tempo metta fine alla lotta. E con la tremenda certezza che non accadrà tanto presto.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…