Skip to main content
Erotici Racconti

Nell’alone della semioscurità

By 17 Novembre 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Nell’ombra compatta e spessa d’una camera silenziosa si nota appena un filo di luce debole e e per di più tremolante, sul letto le lenzuola sono leggermente sgualcite, giacché coprivano a malapena il corpo rannicchiato d’una giovane donna. Di nuovo quella luce dunque, dal momento che le tempie avevano finito di pulsare accompagnando i battiti furiosi e irati del cuore, però gli occhi non potevano accettare né accogliere ancora quel contatto con il mondo esterno. Per quanto tempo aveva dormito? Quanti giorni, ore o soltanto minuti erano passati? Com’era arrivata a casa? In macchina probabilmente, ma poteva solamente supporlo, perché dopo quegl’istanti nitidi la sua mente si disperdeva in una nebbia fitta senza memoria. Sono stata realmente io? E’ successo proprio a me? Com’è potuto accadere? Forse avrei dovuto osare oppure no: ecco, al presente il pensiero ritornava di continuo sui suoi passi e s’ingigantiva di momento in momento, nel frattempo lei aveva cercato sollievo nel sonno, tuttavia i sogni sono un popolo e una razza che non sperimenta, che non ravvisa fandonie né conosce menzogne, mentre nel ricordo accanto al dolore si presentava il sapore agrodolce d’emozioni e d’impressioni amabilmente e gradevolmente illecite, ingiuste e al tempo stesso responsabili.

Lei aprì sennonché gli occhi e con uno sforzo scivolò giù dal giaciglio cercando il piccolo bagno, la luce al neon si rivelò al primo istante dolorosa come una ferita, successivamente lo specchio inflessibile le restituì la sua immagine squadrandosi a lungo come se volesse scoprirsi, cercandosi diversa e inconsueta da quello che credeva d’essere, eppure lo specchio rifletteva sempre la stessa immagine con il volto d’una giovane donna dai lineamenti aggraziati, a tratti dolci come nella curva leggera degli zigomi peraltro impenetrabili e severi, come nel taglio quasi orientale degli occhi intensi e profondi. Il cielo grigio con le sue minute goccioline risaltava facendo emergere già l’odore tipico del muschio e dell’erba da sotto gli alberi, mentre l’umidità accumulata negli ultimi giorni di un’estate stanca faceva da abile contorno a tutto quello contesto, perché pure i ricordi dei giochi estivi sembravano dileguarsi disperdendosi con la stessa rapidità con cui s’infittivano le nebbie nelle prime ore del mattino, trasformando quegli albori del mese di settembre in paesaggi umidi.

Innumerevoli, erano state in verità le volte che lei aveva varcato la soglia di quell’edificio con quelle pareti ingrigite che s’innalzavano di fronte, però in quell’atmosfera un po’ sconsolata si fermò curiosamente a contemplarlo. Il gioco generoso del caso l’aveva infatti condotta proprio lì offrendole quell’inaspettata fortuna, cosiffatto entrò nel corridoio vuoto al presente debolmente illuminato. Eccola la porta di legno pesante dove su di essa c’era impressa la targhetta in ottone con in risalto la scritta: ‘Redazione’. Lavorare finalmente dentro la testata d’un giornale: la sfida, la meraviglia e il sogno d’una giovane intraprendente venticinquenne, tanto entusiasmo ma nessuna esperienza: questa era la Silvia in persona che aveva bussato timidamente alle porte dei giornali locali ottenendo in cambio qualche risposta vaga, infruttuose e vane promesse sbandierate qua e là, però nessun appoggio né alcun sostegno da parte della famiglia, in quanto questi ultimi erano stati gli unici e soli risultati di quell’assillante e inoperosa ricerca. Almeno fino a quell’inaspettato incontro, avvenuto mediocremente con una persona apparentemente qualunque, ebbene sì, un ragazzo come lei unicamente con una buona stella in più a fianco della sua.

Lui l’aveva incrociata e seguendo un istinto poco meno che illogico e irrazionale, aveva solleticato per lei la curiosità del direttore di quei pochi giornali che non le avevano ancora ostacolato né sbarrato il cammino, perché si trattava d’un giovane gentile e invadente già conosciuto in quegli ambienti, dove la presenza d’un giornalista pende nell’aria come una spada di Damocle, poiché si era rivelato un buon mezzo per imparare in fretta i trucchi del mestiere, per il fatto che Silvia possedeva oltre a una mente acuta e geniale nientemeno che un’intelligenza vigile, accompagnata dal raro dono d’ispirare attraendo dalla sua parte un’immediata fiducia nelle persone con le quali veniva a contatto. La dinamicità, l’intraprendenza, la caparbietà e la tenacia diffidente di lei, essendo energica e vivace, dato che più d’una volta era riuscita a sollevare il marcio da svariati affari non del tutto puliti e trasparenti, guadagnandosi i titoloni della prima pagina, assieme all’astio, all’ostilità e al risentimento di metà delle amministrazioni comunali dell’epoca. La vita però ha immancabilmente e perennemente le sue ombre nascoste, perché accanto alla Silvia forte, inarrestabile e sorridente viveva una ragazza delicata, dolce e squisita, troppo presto beffata e disillusa dal fallimento e dal tracollo d’un amore inesistente, tenuto conto che erano stati mesi difficili, lunghi e pesanti, senza tregua, in attesa di decidere per definire una volta per tutte quella crudele, penosa, eppure necessaria separazione.

Lei in quel periodo aveva pianto angustiandosi e soffrendo fino allo sfinimento, anzi, qualcuno le aveva riferito che era troppo deliziosa e incantevole perché potesse restare da sola e alla fine aveva avuto ragione, in quanto pochi mesi dopo la rottura un altro principe azzurro aveva bussato con il suo cavallo bianco alla porta del castello e con sé aveva portato in dono un amore appagante, sereno e soddisfacente. Senza nascondere un sorrisetto orgoglioso sfilò dalla borsetta un mazzo di chiavi, perché quella chiave sarebbe entrata in quella serratura e quella porta si sarebbe infine aperta. Questo non era in effetti un privilegio per tutti, giacché possedere il mezzo per accedere a quell’ufficio e la possibilità d’avere la più completa libertà di movimento all’interno di quel magico mondo di archivi e cumuli di carta erano soltanto in tre: il direttore, Federico e lei. La serratura faceva resistenza, se Federico fosse già lì? Il cuore le balzò rapidamente nel petto, dato che aspettava i suoi appunti, non lui, frattanto una voce inconfondibile, caloroso e sempre venata d’ironia disse:

‘Vieni’.

Silvia entrò, perché tutto era rimasto così come lo aveva lasciato il venerdì precedente, il tavolo grande e chiaro, le sedie ordinatamente disposte in modo circolare attorno ad esso, infine sulle scrivanie i computer che mostravano in un allegro gioco a incastro i grossi pannelli pieni di spine e di spinotti:

‘Che cosa ci fai qui?’.

‘Esattamente quello che fai tu, io lavoro signorina’ – sorridendo.

Silvia lo fissò, mentre il viso abbronzato metteva in risalto gli occhi color ebano, che lei aveva spesso paragonato a quelli afflitti, profondi e tristi d’un cerbiatto spaesato. Intensi, palesemente ombrati sempre da un velo di abbattimento e di malinconia, che li faceva brillare d’una luce liquida e sfuggente, eppure capaci d’accendersi di un’inquietante passione quando qualcosa o qualcuno risvegliava la sua curiosità. Il suo era uno sguardo attraente e intrigante, dove il mistero e la sensualità si confondevano senza sbavature, dopo quel sorriso triste, dietro un’amarezza e un dispiacere così a lungo trattenuto da essere nera e infinita come una notte polare:

‘Sei riuscito a ottenere quei tabulati?’.

‘Sì, certo, eccoli qui, ci sono delle cifre interessanti’.

Si trattava in sostanza d’un plico gigantesco di fogli pieni zeppi di cifre, alcune delle quali già rilevate in giallo, ammanchi non ben documentati nella gestione del bilancio comunale, di certo un bocconcino che poteva rivelarsi appetitoso, compromettente e stuzzicante per la penna penetrante, ruvida e tagliente di Silvia. Federico la squadrava meravigliato, mentre le sue mani sottili sfioravano i fogli nell’atto di girarli e i suoi occhi s’incupivano nello sforzo della riflessione, perché in quel momento provava uno strano senso di sollievo, poiché lei non ha perso la sua magia pensava tra sé e sé, per il fatto che più le parole riecheggiavano nella mente, maggiormente si rendeva conto che poteva trattarsi solamente d’una specie di magia. Una ragazza bella eppure lineare e semplice, brillante e non per questo grintosa, immodesta e insieme dolcissima. Il suo sorriso aperto, il dono raro e unico di saper ascoltare senza giudicare in modo frettoloso, quel buon umore che sapeva accettare recependo adeguatamente crolli e glorie l’aveva trasformata ai suoi occhi in una specie di donna giusta e ideale, ma innanzitutto in una confidente insostituibile e preziosa.

Il vero prodigio però era un altro: l’averlo convinto senza fare nulla, perché le fossero concesse le sue simpatie, rivelarle i sentimenti più profondi, le piccole e grandi afflizioni che si era allenato a nascondere così bene, ricoprendole con una corazza di disinteresse, di distacco e di netta insensibilità. Lunghi dialoghi spesso sfociati in monologhi, in cui lui si confessava lasciandosi andare ai sentimenti, dimenticando ansie, riserve e timori, mentre si facevano compagnia nei bar, nelle vie della città e nelle pizzerie semi deserte. Silvia in quell’occasione si si sedette sul bordo del tavolo, perché non sopportava quello sguardo su di lei, adesso gli era più vicina ma erano stati così tante altre volte, in quanto parecchie volte lui l’aveva avuta accanto, l’aveva toccata con una carezza amichevole e lei aveva lasciato che le guardasse la pelle chiara delle gambe, lasciate forse intenzionalmente scoperte dalla gonna corta. Se avesse voltato gli occhi scostandoli da quei fogli misteriosi, sapeva che avrebbe incontrato il suo sguardo e probabilmente sarebbe stato uno di quei momenti in cui il silenzio sembrava unirli in un dialogo profondo, dove il solo guardarsi costituiva a pieno titolo un discorso che nessun’altro poteva afferrare né intendere. Oggi però quei momenti così più volte collaudati e sperimentati a lungo sembravano assumere un’importanza e uno spessore diverso, forse era la pioggia che cadeva battendo sui vetri, oppure il vento che filtrava da sotto la porta, o ancora l’atmosfera umida che invitava a cercare il calore, nel frattempo guardò fuori dalla finestra rigata di pioggia sbottando:

‘Allora, che cosa ne dici? Non male, vero?’.

‘Ci sono in modo categorico delle cifre decisamente interessanti, ci vorrà un po’ di tempo per poter scrivere un bel pezzo, però promette e assicura molto bene la riuscita dell’articolo’.

Lei lasciò cadere il plico sulla scrivania e mentre s’alzava alcuni fogli scivolarono per terra, Federico li raccolse sporgendosi dalla poltrona, mentre Silvia arretrò di qualche passo:

‘Sempre la solita pasticciona’ – la schernì lui, mentre lei ricambiava con un cordiale sorriso:

‘Dovrò fare un lungo giro di telefonate’.

‘Per quando posso aspettarmi un pezzo come soltanto tu sai elaborare?’. Le piaceva lusingarla.

‘C’&egrave parecchio da lavorare, penso due, forse anche tre settimane, se vogliamo fare le cose per bene’.

‘No, tesoro, io ho bisogno di te molto prima’. Silvia lo guardò in modo bizzarro invitandola nel predisporre quell’articolo in tempi brevi.

‘Se mi dari una mano, forse potremmo sbrigarci con un po’ d’anticipo, ma comunque non prima di dieci o dodici giorni. Sai, non voglio correre rischi, perché quando si parla di soldi non si scherza’.

Lei sapeva che faticando un po’ di più avrebbe potuto agevolmente rispettare quel termine anche senza il suo aiuto, ma se lui avesse accettato forse avrebbe potuto sperare di rivivere la piacevolezza di quelle sere invernali, quando davanti a due tazze di caffè fumanti passavano ore e ore discutendo di lavoro e di sentimenti Quelle, infatti, erano sennonché atmosfere calme e rilassanti, in cui tutti i dubbi, i cattivi ricordi di tutte le varie esperienze passate, le paure e il senso d’inadeguatezza alle situazioni sembravano perdersi scivolando nella forza di quel presente che sapeva invadere riempiendo il cuore e la mente. Lei si era sentita per così tempo sotto esame faticando e convincendosi d’essere finalmente riuscita a conquistare un posto di tutto rispetto, dove i suoi sforzi potevano essere accettati e premiati senz’ulteriori attese troppo angosciose, ovverosia un posto dove potersi realizzare liberandosi da quel paralizzante senso d’incapacità, sperando d’aver trovato persone disposte a concederle la loro stima.

Adesso certamente non era più da sola, eppure quelle serate avevano un’intimità e una complicità molto diversa, una serenità che a volte le era mancata, Federico frattanto sorrise, cercando di trattenere l’impazienza nell’accettare quella proposta. La sua mente già correva ai ricordi, quella cucina accogliente e calda, il tavolo ingombro con le carte disordinate, il caffè aromatico e fumante, la sua mano che si dirigeva veloce sul foglio per prendere gli appunti necessari, nel frattempo con lo sguardo lo fissava per assecondarlo o per smentirlo. Quella collaborazione significava altre ore da passare insieme, dove poter godere anche di quel colpevole e peccatore piacere di sapere, che in quello stesso istante qualcun altro la desiderava e lei invece era lì con lui:

‘Adesso devo andare, fammi sapere qualcosa’.

Alzandosi gli aveva voltato le spalle e s’accorse del suo movimento soltanto quando sentì la sua mano stringersi attorno alle dita sottili, perché sapeva già che cosa aspettarsi. Lui l’avrebbe trattenuta per un po’ canzonandola come il solito, l’avrebbe stuzzicata fino a farle perdere per un attimo la pazienza e poi l’avrebbe salutata. Federico si era alzato e adesso la stringeva nello spazio angusto tra lui e la scrivania, Silvia sentì la paura scorrerle nel sangue insinuandosi sotto la pelle mentre il cuore accelerava i suoi battiti. Perché quel contatto la conturbava così tanto? Perché adesso quel respiro contro il suo le faceva sudare i palmi delle mani, tormentandole allo stesso tempo le tempie con il martellare del sangue? Non c’era motivo di temere nulla, lei si era sempre fidata di Federico e anche di sé stessa:

‘Devi proprio andartene?’.

La sua voce era bassa e profonda con lo sguardo fisso in lei, in quell’istante Silvia si sentì stordita, incapace di riconoscersi: che cos’era quel piacere leggero che le vibrava nel cuore provocandole una sensazione di brivido quando tentava di muoversi per liberarsi da quel delicato assedio? E perché non si muoveva? Non voleva muoversi?

‘Non mi crederai, lo so, però mi sei mancata tanto in questi mesi’.

‘Io pensavo che tu avessi altro per la mente’.

Crudele, ruvido e tagliente, una maschera che copriva benissimo la sua complicità colpevole di quel momento. Federico la guardava negli occhi, la sentiva tremare, avrebbe voluto lasciarla libera, era tutto inutile, lo sapeva, perché lei non lo avrebbe mai assecondato né sostenuto, questo era chiaro, non era fuggita, perché si fidava di lui, ecco tutto.

‘Molte altre cose, però tu sei la mia spina’.

Lui la squadrava con quello sguardo intenso, vellutato, era come vedere la notte che con la sua seduzione che t’incanta stregandoti, invogliando e solleticando gli anfratti più profondi del desiderio. No, Silvia non poteva, doveva andarsene e in fretta.

‘Federico, io non posso restare’.

‘Lo so, però vorrei tanto che almeno una volta mi portassi con te nell’incontro con lui’.

Silvia sussultò e seguendo l’impulso d’una rabbia mista alla passione lo strinse a se piantandogli le unghie nei fianchi. Voleva che conservasse il suo ricordo quando il sapore dell’amore fosse tornato alle sue labbra. Quante volte, infatti, lei sulle scale di casa aspettando quell’incontro per portare con esso l’intrigante freschezza d’una femminilità provocante, lui era stato capace di risvegliare quel brivido? Era precisamente come attingere l’energia da una fonte lontana per rinnovare l’acqua del proprio mare, come una scossa che rianimava la fiammella quasi penante d’una passione troppo spessa affondata nella normalità e nella regolarità ti tutti i giorni. Adesso lui le diceva una cosa simile, lei lo avrebbe preso indubbiamente a schiaffi:

‘Che cosa vuoi che ti dimostri?’ – aggredirlo forse era l’unica via di fuga.

‘Niente, Silvia, niente’.

Parole naturali e semplici pronunciate come una carezza confortante, una debolezza dolcissima, con lo sguardo sempre velato dalla tristezza, da quella luce che adesso aveva nuovamente l’intensità delle lacrime. Lui adesso la stringeva, lei sentiva imperioso il bisogno d’abbandonarsi fra le sue braccia, sentirlo vicino, sentirlo egoisticamente suo, almeno per una volta, una volta soltanto. Il buio d’una sera giunta troppo in fretta avvolgeva adesso quasi tutta la stanza e immersi nell’oscurità della sera che calava poteva sentire i loro respiri mescolarsi, i loro cuori rispondersi e le loro mani cercarsi.

Federico le carezzò il viso, lasciò scivolare la mano lungo la curva del collo, scese nella scollatura, cercò le sue labbra, le morse senza violenza, si tuffò nei suoi seni e lei non si oppose. Prima timidamente e via via crescendo, poiché la passione di Federico la invase senza lasciarle illusione né speranza. Pregò che qualcosa interrompesse quel momento, che il telefono squillasse, perché lei non poteva abbandonarsi, in quanto non era giusto, non era accettabile né ammissibile, no e poi no. Il suo profumo, le sue mani, le sue labbra, la vitalità e la veemenza di quell’aspirazione si mostrava come il calore e la vampata che le prorompeva all’interno, giacché non avrebbe dovuto, però lo desiderava. Sì rimandava e lo aspettava, sì, aspettava quel momento con tutte le sue forze e quando sentì sulla pelle il freddo della nudità e il bruciare del suo corpo guizzante di passione, ruppe ogni catena e lasciò che la follia di quel bisogno si trasformasse in un assalto d’inebriante e semplice piacere.

Il mondo adesso non esisteva, non c’era più, poiché un raggio di luce pallida piovuto nell’oscurità colpì un oggetto piccolo, un riflesso nel buio poi sparì velocemente nell’ombra. In una concitazione e in un desiderio per l’appunto, specificamente per sperimentare la piena soddisfazione.

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply