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Erotici Racconti

Perenne freschezza

By 10 Gennaio 2019Febbraio 12th, 2023No Comments

Dopo un’attiva, estenuante, laboriosa e snervante giornata, in conclusione rientro verso la mia abitazione. A dispetto di tutto l’affaticamento e il logoramento accumulato che mi ritrovo addosso, sono in grado persino d’escogitare il periodo di tempo necessario per compiere la mia abituale e defaticante corsetta, a ridosso della boscaglia nei pressi della mia dimora. La giornata in effetti è piuttosto assolata, è fine maggio e le giornate sono temperate, l’aria è gradevole, giacché tutt’intorno si può riscontrare l’animata e profumata vegetazione che ti circonda invogliandoti d’uscire. 

In quella circostanza mi svesto alla svelta dagl’indumenti della giornata è m’incammino sulla salita adiacente il boschetto per effettuare il mio benefico e giovevole percorso. L’abitazione nella quale dimoro è situata in una zona silenziosa, in assenza di traffico, racchiusa dal verde, lontano dal chiasso, dai frastuoni molesti, dove posso godermi indisturbato la radicale quiete e la penombra del luogo, giacche molti miei conoscenti me l’invidiano ammirandola e rodendosi, alludendo e riferendomi che sono stato e che sono molto fortunato di soggiornare lassù. Tempo addietro, invero, non ci pensavo neppure di dimorare in quell’abitazione peraltro isolata e fuori mano, la consideravo da disgraziato e a tratti sventurato, eppure oggigiorno a ben vedere mi sta ricompensando in maniera egregia ed eccellente. La questione per l’acquisto fu caparbiamente e sonoramente discussa assieme ai miei genitori, perché fu in special modo a seguito delle ripetute insistenze di mio padre, che infine mi convinsi e la comperai a poco prezzo ristrutturandola al meglio, ricavandone in conclusione un vero gioiellino. Al presente, a conti fatti, i benefici e i giovamenti che ne traggo sono molteplici su tanti aspetti: l’assenza di confinanti che t’assillano e t’infastidiscono, la mancanza di veicoli che ti ruotano attorno, la riservatezza del luogo, il silenzio che ti dona pace e quant’altro.

Per l’occasione ho infilato gl’indumenti adeguati e mi dirigo all’esterno inerpicandomi e avvicinandomi ben presto in pochi minuti nei pressi di tutta quella radura adiacente il sottobosco. La florida e verdeggiante distesa verde tempera agevolmente l’arsura, anche se a quell’ora della giornata è ancora alquanto sopportabile. In quel frangente annullo il cronografo da polso iniziando a procedere placidamente lungo lo sterrato, che s’incanala terminando verso un disabitato e incustodito vecchio fabbricato dell’Anas. Tento di districarmi e di sollevare la mente da ogni pensiero dedicandomi solamente sulla corretta respirazione, armonizzando in definitiva le variazioni delle braccia e delle gambe per limitare al minimo l’affaticamento.

In breve tempo arrivo nei pressi di quella piccola costruzione pericolante e inservibile dell’Anas, attraversando ciò che rimane dell’ormai trascurata stradina che utilizzano i mezzadri in estate quando tagliano la legna e passano là con i trattori. Di frequente osservo il cronografo, mi sollecito nell’accelerare l’andatura per percorrere quanto più tragitto possibile riesca, lassù invero non c’è nessuno, però da dove mi trovo, scorgo nell’avvallamento là di sotto non molto distante da me della gente. Intravedo infatti persone sconosciute che s’intrattengono spassandosela in svariati modi, allorquando attraggono richiamando la mia concentrazione: chi si rincorre, chi salta, chi adopera la bicicletta, chi conversa, fintanto che m’accorgo d’una donna che come me ha preferito attuare la corsa.

A seguito dell’intenso movimento compiuto io sono manifestamente accaldato, m’asciugo la fronte con il braccio e verifico il tempo segnato dal cronografo. Sto attraversando a ritroso il sentiero che conduce verso la vallata, nel tempo in cui distinguo a distanza una donna affrettarsi nella mia identica direzione, lei mi precede di circa centocinquanta metri, sicché io miglioro l’andatura per analizzare più soddisfacentemente da vicino la sua corporatura, perché all’istante la mia immaginazione divaga e vaneggia in libidinose, sfuggenti e triviali considerazioni. Appena mi trovo nelle sue vicinanze, rivolgendole una cordiale occhiata celermente le espongo:

“Devo ammettere che hai un notevole incedere, molto bene, davvero brava” – le manifesto io giustappunto per ottenere un contatto.

In quella circostanza io resto all’istante vivamente impressionato dal carisma di quell’inattesa marciatrice, perché è alta suppergiù quanto me, porta i capelli raccolti a forma d’una coda di cavallo, ha la corporatura d’una giusta proporzione, il didietro è compatto, le gambe sono toniche, assieme a una sfumatura da non sottovalutare, ha invero le caviglie ridotte. Quando lei mi vede rallenta sogghignando riservatamente, è anch’ella assai accaldata, sicché si ferma giovandosi della mia insperata indiscrezione dicendomi:

“Pure tu non scherzi, non vai per nulla adagio” – mi risponde lei, ovviamente meravigliata.

Io mi fermo a esaminarla, indossa uno spezzato di colore fucsia molto aderente, che mette in rilievo il seno e in notevole sporgenza il sedere. Intravedo con reale sbalordimento che non indossa le mutandine, poiché la fenditura della sua fica è apertamente individuabile a vista. Ambedue in quel mentre ci fermiamo boccheggiando:

“Mi chiamo Michele, molto lieto” – le enuncio io stendendole la mano.

“Tanto piacere, io mi chiamo Carmen” – si limita lei a esprimere, quasi meravigliata per quel trattamento.

Nel tempo in cui le nostre mani sudaticce si stringono, io avverto un convulso e incontenibile pungolo, una lussuriosa esortazione di saltarle addosso. Ho il ghiribizzo di dominarla e di brandirla là in quel modo, così com’è, affannata, sfiancata, sudata e trafelata. Bramerei lambire ogni centimetro del suo favoloso corpo, annusare e assaggiare l’amarognolo e l’asprigno liquido del suo sudore, della sua intima essenza, del suo essere donna al naturale. In quella circostanza la squadro con un’intensità anomala e sproporzionata, quasi patologica, percependo subito in cuor mio che pure lei non vede l’ora d’essere afferrata. Chissà, se quell’accidentale situazione, ha avviato in entrambi attivando il prorompente e trascinante impeto della passione: forse si tratta del cosiddetto colpo di fulmine.

Io proseguo nello stringere la mano di Carmen, finché l’impulso naturale non m’ammonisce d’accostarla alla bocca per baciarla: la donna pare non rifiutare né snobbare il mio disavvezzo comportamento, sicché arrischio nel baciarle persino con vigore il polso e ugualmente il braccio. Carmen sbarra gli occhi nel tempo in cui capta il contatto della mia lingua sulla sua cute, per il fatto che rompendo gl’indugi io m’approssimo meglio serrandola all’altezza dei fianchi. Lei per l’occasione emette dei sospiri rinvigorendole quel florido seno, perché m’abbranca per la mano e m’accompagna verso una mulattiera di sotto, là ci appartiamo sotto la spessa boscaglia distanti da tutti in completo abbandono. Carmen scioglie la capigliatura a coda di cavallo dalla limitazione da quel laccio di gomma, scrollandosela spesso in maniera tale e scombinandosela per mostrarsi meglio, è realmente incantevole. Adesso mi scruta svenevolmente negli occhi, come se bramasse invocarmi per servirsi del suo corpo, io manifesto un’inusuale inturgidimento appena Carmen si porta alla bocca il suo dito medio inumidendolo, per poi sfiorarsi ambedue le tette ancora imboscate da quello stretto reggipetto.

Io osservo la donna durante il tempo in cui giocherella con il suo corpo denudandolo a rilento dagl’indumenti sportivi che indossa, toccandosi per fomentare in me l’ardore della cupidigia. Pure io mi svesto restando soltanto con le calzature da corsa, perché alla vista del mio cazzo Carmen dilata in maggior misura gli occhi per osservare il mio attrezzo, in verità non è enorme, ma sa compiere egregiamente il fatto suo. In modo naturale io appoggio la schiena contro il tronco d’una grossa quercia restando in piedi e l’avvenente donna colloca la propria faccia in mezzo alle mie cosce: io afferro con una mano il cazzo, lei deliziosamente e con esperta abilità se lo imbocca. Carmen è competente, è alquanto ferrata, in quanto abbranca il mio cazzo con particolare voracità e mi fa sragionare per il piacere che sperimento. Io nel contempo gli trastullo la chioma e le tette, mentre lei prosegue la sua lasciva e lussuriosa opera con la sua favolosa e accogliente bocca. Il mio cazzo esulta, io sto perdendo letteralmente il lume della ragione per il benessere che ricevo, è indubitabilmente una vera maestra, un raro portento.

Approssimativamente, dopo circa dieci minuti che esegue il pompino, io devo chiederle fervidamente di rallentare in maniera decisa, le chiedo di sospendere il rapporto orale, perché onestamente non è il mio personale intento sborrare sulla sua faccia, in quanto desidero cospargerle il mio sperma sui seni e su quella deliziosa e pelosissima nera fica che si ritrova. In primo luogo ho il capriccio di pregustare le abbondanti nascoste secrezioni gocciolate dalla sua pelosissima intimità, sicché esorto Carmen ad addossarsi con la schiena nella postura della pecorina su d’un vecchio tronco per terra accanto alla gigantesca quercia, successivamente l’abbranco da dietro. In quel mentre m’abbasso, Carmen è lanutissima, la sua odorosa fica m’inebria mandandomi in visibilio, è interamente ricoperta, io in quell’istante da dietro inizio a leccarle la fica facendo aderire esattamente le mie labbra contro le sue: debutto nel baciarle inizialmente la pelosissima fica, in seguito mi trattengo pure sull’ano, estorcendole gemiti che non immaginavo neppure.

Carmen frigna per il piacere che prova, dopo colloca ambedue le sue mani sulle chiappe allargandole come per facilitarmi l’avanzata. Io assolvo il gesto ed eseguo prontamente il suo desiderio, aspirando e succhiando quell’irrorata e magnifica fenditura. Il suo addome sobbalza dalle contrazioni muscolari sotto il ritmato pressare dei miei baci, perché trascorre soltanto un minuto che Carmen mi segnala il suo trascinante e sbraitante orgasmo: io d’altro canto m’aizzo e m’infervoro oltremodo, allorquando faccio godere la femmina in questa modalità adoperando solamente le labbra e la lingua, perché m’esalto e m’ubriaco del suo intimo liquore, fintantoché non le pulisco completamente la fica. In quella postura la domino come piace a me, la padroneggio al massimo, perché la penetro gentilmente facendole sdrucciolare il mio cazzo tra quelle intrise labbra della sua allettante e stuzzicante pelosissima nera fica.

Entrambi stiamo scopando svisceratamente, siamo tutti e due affrancati, emancipati e svincolati da ogni pensiero, esclusi ed esentati da qualsivoglia limitazione e oppressione, perché adesso a ben vedere, l’interesse e il richiamo fisico ha agito e a conteggiato in modo sostanziale, è stato basilare e primario operando sulla nostra attività mentale, acconsentendoci di mettere in disparte ogni affabile e gentile dettame, imposto, comminato e talvolta richiesto dalla collettiva e sociale morale. In quel frangente io fruisco con selvaggio impeto il corpo di Carmen, il cazzo invero prosegue in modo taciturno e imperturbabile il suo spontaneo incedere, con la precisa veemenza seguendo il suo naturale tragitto, io le tasto le tette bisbigliandole vocaboli mielosi e al tempo stesso indecenti e triviali.

Infervorato più che mai estraggo il cazzo dalla posizione della pecorina e faccio voltare Carmen sul davanti collocandola al suolo. Attualmente siamo eccitatissimi, inizio sennonché a lambirle le tette digradando sul monte di Venere, assaggiando la fragranza della sua individuale traspirazione, intanto che lei m’abbranca tenacemente il cazzo. Io esorto Carmen di distendersi sul dorso, intanto che le introduco il cazzo fra la pienezza dei seni. Carmen blocca il cazzo fra le tette affiancandole con ambedue le mani. Io incomincio a sfregarle il cazzo fra quel confortevole luogo, fino al momento in cui non annuncio la mia sborrata: zampilli di lattescente sperma impiastricciano il busto e in parte la faccia di Carmen, con il cazzo colloco il glande contro i capezzoli della donna, intanto che i residui spruzzi dello sperma scendono garbati e premurosi tra l’infossamento dei seni. Carmen ha golosità del mio sperma, perché afferra il mio cazzo e se l’introduce in bocca, ripulendomelo dalla viscosa secrezione della sborrata. Inizia a succhiarlo con voglia sfrenata concludendo l’azione con un focoso bacio sul glande:

“Devo riferirti che sei una delizia, veramente un vero diletto quando provi affetto” – le annuncio io con molta franchezza.

“Forse non crederai alle mie parole, eppure bramavo d’incontrarti dentro l’animo” – mi proclama lei, tangibilmente estenuata e spossata a seguito dell’appassionato e dall’inatteso amplesso.

Rapidamente ci ricomponiamo e scendiamo dalla boscaglia, riguadagniamo la mulattiera fino a raggiungere l’ingresso della piscina comunale del paese. Io saluto Carmen con l’esultanza e la soddisfazione nel cuore, ribadendole l’incontro per il giorno successivo, lei accetta elargendomi un conclusivo e caloroso bacio.

Io ripiglio a correre festosamente e spensieratamente, giacché devo rientrare a casa. Quest’oggi mi ero riproposto di fare altro, al contrario, l’effettivo e lo schietto addestramento l’ha compiuto il mio cazzo, perché di fatto l’attività fisica e la sessualità, è e resta una corrispondenza assodata e ineguagliabile: l’incomparabile, l’esclusiva e attendibile sorgente dell’eterna giovinezza. 

{Idraulico anno 1999} 

 

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