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Turno di notte

By 5 Settembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Il ronzio delle ventole era il solo rumore che permeava l’ufficio; accadeva sempre a quell’ora, quando la stanchezza inizia a prendere il sopravvento e inizi a desiderare di essere nel tuo letto anzichè di fronte a un monitor. Anche Gabry se ne stava appoggiata con le gambe sul tavolo, cercando di prendere una posizione abbastanza comoda ma che al tempo stesso non la accompagnasse nel mondo dei sogni. I numeri filavano veloci sugli schermi, a differenza dei minuti che invece sembravano non passare mai.

“Che ne dici di un caffè, socio?” disse biascicando in mezzo a uno sbadiglio. “Questa cavolo di nottata sembra eterna…”.

Ci avviammo pigramente verso la macchina del caffè, cavallerescamente la lasciai uscire per prima dalla porta. Seguendola, notai una volta di più la perfezione del suo corpo, la giusta quantità di curve in una figura non troppo alta. Gli occhi furono immancabilmente calamitati dal suo culo, così tondo e perfettamente fasciato da quei jeans sdruciti. Il pavimento flottante scricchiolava sotto i nostri piedi, l’unico rumore presente in tutta l’ala. Arrivammo davanti la macchinetta, luogo di ritrovo nelle consuete pause caffè.

“Il solito espresso senza zucchero?” le chiesi. Premetti senza aspettare la risposta, dopo cinque anni passati insieme come colleghi avevo imparato a conoscere bene le sue abitudini. La macchinetta si avviò con un rumore un pò soffocato, anche lei forse stava accusando l’ora. Stavo contemplando i suoi lunghi ricci castani quando un sibilo annunciò che la bevanda era pronta. Sollevai con attenzione il bicchiere e glielo porsi ruotando la mano in maniera tale da costringerla a venire in contatto con la mia. Sfiorare la sua pelle e le sue dita era sempre un piacere, quelle dita che così tante volte, nei miei momenti di piacere solitario, avevo immaginato stringersi attorno al mio cazzo.

Stavo inserendo le monete per la mia dose di caffeina quando la sentii imprecare. “Cazzo, che sbadata che sono. Questa proprio non ci voleva”. Mi girai e notai subito una grossa chiazza di caffè sulla moquette grigia. “Come se non bastasse, ora mi toccherà anche pulire”. La donna delle pulizie aveva già fatto il consueto e sbrigativo giro e quella macchia vicino all’ingresso andava assolutamente tolta. Sempre che l’indomani non si avesse avuto la voglia di sentire il cazziatone del capo.

Ci armammo di carta assorbente inumidita ed iniziammo a tirar via il caffè dal pavimento. Se non altro si stava in movimento e questo aiutava a far passare la botta di sonno. Dopo aver consumato il mio primo foglio di carta, con scarsi risultati, mi alzai per andarne a prendere un altro in bagno. Al ritorno vidi Gabry in ginocchio concentrata a strofinare il pavimento.

“Ehi Cenerentola, guarda che la mezzanotte è passata da un pezzo!” la canzonai.

“Altro che Cenerentola, qui ci vorrebbe la bacchetta della fata turchina…”

Mi inginocchiai accanto a lei e il mio sguardo cadde sulla scollatura, che, data la posizione, si era aperta generosamente lasciando in vista una delle sue morbide colline. La tetta, non troppo grande ma bella soda, sobbalzava seguendo il ritmo del braccio che puliva. Il capezzolo, leggermente più scuro della sua pelle, usciva quasi completamente dai pizzi neri del reggiseno. Continuai a sbirciare con insistenza, facendo finta di dare il mio contributo alla pulizia, ipnotizzato com’ero da quella invitante collina di carne. Avrei dato qualsiasi cosa per poterla succhiare e mordicchiare.

Le mie fantasie furono bruscamente interrotte dal suo scattare in piedi. “Fanculo la macchia, io vado a farmi una sigaretta fuori.”

Uscì dalla porta senza aspettarmi, tanto sapeva che non l’avrei seguita, il fumo mi dava particolarmente fastidio. La visione del suo morbido petto mi mise un fremito da cui facevo fatica a riprendermi. Dentro di me esplose una voglia di spogliarla ed esplorarla lentamente, centimetro dopo centimetro. Mentre gettavo via il pezzo di carta oramai sporco e consumato pensavo a lei, senza reggiseno, stringermi la testa tra le mani ed avvicinarla al suo corpo per farsi osservare, per farsi respirare. La immaginavo togliersi lasciva le mutandine ed avvicinare vogliosa il mio viso alla fonte del suo piacere.

Subito un’idea mi attraversò la mente come un lampo: spensi la luce del corridoio davanti ai bagni e tornai in ufficio. Sapevo che spesso, dopo aver fumato, faceva anche una capatina ai servizi. Rimasi in piedi, pronto a scattare qualora avessi sentito l’inconfondibile rumore della serratura che si chiudeva. Cazzo, ci stava mettendo un’eternità.

Poco dopo sentii il rumore della porta esterna e i suoi passi echeggiare per il corridoio. Il rumore sempre più ovattato mi stava facendo ben sperare sulla direzione da lei intrapresa. Finalmente il rumore della porta che si chiudeva e l’inconfondibile scatto della serratura. Con il cuore a mille tolsi le scarpe e mi avviai con passo svelto verso la sua intimità. Raggiunsi l’angolo oltre il quale si trovavano i bagni. L’ambiente era in penombra, avevo spento le luci per non correre il rischio di essere scoperto dalla fessura di pochi centimetri sotto la porta. Speravo che le luci spente non l’avessero messa in allarme, ma per lei, ambientalista convinta, limitare ogni spreco di corrente era cosa buona e giusta.

Mi fermai e tesi l’orecchio; dal bagno arrivava l’inconfondibile rumore di una persona che sta facendo pipì. “Sono ancora in tempo” pensai tra me. Iniziai ad avvicinarmi il più lentamente e silenziosamente possibile, il breve corridoio era lievemente rischiarato dalla luce calda che filtrava da sotto la porta. Mi chinai ed incollai l’occhio sul buco della serratura.

I sanitari erano disposti in maniera tale da vederla di fianco. La prima cosa che riuscii a mettere a fuoco furono i jeans abbassati attorno alle caviglie. Salii con lo sguardo fino ad incontrare le ginocchia e la coscia nuda. Gabry era appoggiata con i gomiti sulle gambe, le mani che sorreggevano il viso. Il suo sguardo era fisso in un punto sulla parete di fronte, persa nei suoi pensieri. Quella situazione iniziava fare un certo effetto su di me, il cazzo cominciò a pulsare e a crescere nei pantaloni. Fissai le sue labbra e le immaginai schiudersi ed accogliere umide il mio bastone di carne, fissandomi con i suoi dolci occhi azzurri. Sempre molto lentamente, appoggiai un ginocchio a terra, i miei muscoli non erano abituati a quella postura.

Il rumore della pipì si stava facendo sempre più flebile, iniziavo già a pregustare lo spettacolo che avrei avuto di lì a poco di fronte ai miei occhi. Aspettavo con trepidazione l’attimo, oramai sempre più vicino, in cui la mia dolce collega mi avrebbe deliziato con la visione delle sue parti più nascoste. Vidi il braccio muoversi e sentii il rumore del flusso d’acqua del bidet. “Bene bene” pensai, la cosa si stava facendo interessante. Dopo un pò di tempo, che sembrò non passare mai, chiuse l’acqua e si accinse a strappare la carta igienica ed iniziò ad asciugarsi. Oramai c’eravamo, stavo sistemandomi meglio quando improvvisamente si alzò, sparendo dal mio campo visivo. Iniziai convulsamente a spostare lo sguardo quando finalmente riuscii a mettere a fuoco l’inconfondibile triangolo nero. La sua fica, splendida, si stagliava finalmente di fronte ai miei occhi, il pelo soffice e ben curato a proteggere il bocciolo. Ai lati il triangolo presentava un bordo netto, segno di una recente depilazione estiva.

Si chinò, armeggiando con gli slip, ed andò ad accovacciarsi sul bidet, mostrandomi ora il suo lato sinistro. Vedevo il suo braccio ma non la sua mano, che in mezzo alle cosce, deliziava le labbra del tepore dell’acqua. Lentamente si rialzò in piedi, esponendo ai miei occhi le chiappe tonde e sode. La voglia di baciarle, di morderle mi stava facendo impazzire. Si chinò afferrando le mutandine ed esponendo ancora meglio il culo, e, anche se solo per un attimo, mi incantai di fronte a quel buco stretto che avrei voluto forzare e riempire col mio arnese ormai di marmo.

Lo slip oramai risalito sancì la fine di quell’eccitante spettacolo. Mi alzai ed aspettai il rumore dello sciacquone per riguadagnare l’ufficio a passi piuttosto svelti. Avevo appena finito di allacciarmi le scarpe quando la vidi entrare, apparentemente ignara di quello che era appena capitato. Si rimise seduta di fronte al monitor e tirò fuori una bottiglia d’acqua dalla borsa. A quanto pare, era finito solo il primo tempo.

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