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Erotici Racconti

Vento

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il vento soffiava tra i suoi capelli, seduta su quello spuntone di roccia
che sembrava essere lì apposta per dare riposo a chi si era cocciutamente inerpicato fin lassù.
Il vuoto davanti, solo roccia che precipitava nel mare.
Il sole era appena tramontato e la luce rifratta dava alle ombre una forma triste, allungata come il broncio di un bel volto.
La mano si muoveva lenta sul foglio, mentre la matita tracciava le linee brusche e interrotte della costa frastagliata.
Ogni tanto si fermava, cancellava qualche segno appena delineato, e lo ripensava.
Poteva rendere il biancore della spuma, ma quell’odore di sale e di mare e di terra non poteva essere descritto dai colori, e la carezza del vento si sarebbe inevitabilmente persa.
Così come l’infrangersi delle onde sulla scogliera, sarebbe riuscita a
fermarne il suono nella propria mente?
Chiuse gli occhi, inspirando profondamente, e la brezza si fece più calda sulla sua pelle riarsa, come l’alito di un amante.
Giocava con i suoi riccioli, li spostava ora a destra ora a sinistra, ora
sul naso come per farle il solletico, dispettosa.
Li aveva sciolti, ora le ricadevano sulle spalle, e la sua pelle era
rassicurata da quel familiare contatto.
Quando alzava lo sguardo dal foglio per catturare con gli occhi lo splendido scenario naturale che si stagliava sotto di lei, sollevava più del necessario il mento, in modo da sentire i capelli sfiorare la sua pelle.
Si sorprese a pensare a lui, lui che aveva adorato i suoi lunghi riccioli
scuri, li aveva accarezzati, sciolti, ne aveva saggiato la forza tirandoli
con dolcezza.
Lei ne era stata felice, orgogliosa di piacergli, e in quei momenti era
quasi timorosa di parlare, per non rovinare l’atmosfera quasi onirica che le sue carezze creavano.
Ma no, non era il momento, troppo facile, troppo scontato pensare a lui adesso.
“Sola. Sono sola. ”
Si costrinse a tornare alla realtà, sbarrò gli occhi finché il vento non li
fece lacrimare.
“Sono le uniche lacrime che ti concedo. ” si ripeté, con vacillante
fermezza.
Lassù, in quel luogo, sola con se stessa, era però inevitabile la resa dei conti, il bilancio di quei mesi vissuti con incredibile intensità.
Lo aveva evitato fin troppo a lungo, gettandosi prima nello studio, poi
dedicandosi al recupero delle amicizie fino ad allora dimenticate.
Difficile pensare che fosse tutto finito, di essere due estranei.
Si può condividere tutto con una persona per mesi e mesi e poi, un mattino, esser diventati due sconosciuti? Arduo costringersi a non telefonare.
Inutile cancellare il numero dalla rubrica, se era stampato nella memoria.
Impossibile pensare a quei mesi come alla storia parallela vissuta,
conclusa, finita, da archiviare. E penoso spiegare perché aveva mollato improvvisamente tutto e tutti, cercando di evitare la pietà dei pochi amici rimasti con un’ennesima menzogna.
Poi finalmente le vacanze, sole, mare, odore di creme abbronzanti,
discoteche.
L’ideale per rigenerarsi, per cercare di ritrovare l’entusiasmo, la gioia di vivere.
Ma tutto le ricordava lui, le ore trascorse in lunghe conversazioni, l’anima che si scopriva, il cuore che si rendeva vulnerabile, ricordi, progetti, promesse.
Rumore di mare, stridere di gabbiani.
Frasi sospese, un’esplosione nella sua mente.
Chiacchiere, erano solo chiacchiere.
Sarai il mio rimpianto. Ti odio. Ci provo. Non posso. Ti amo. Non riesco.
Difficile. Dura. Non lasciarmi. Sei la cosa più importante per me. Rimaniamo amici. E’ un addio. C’è un limite al male che puoi farmi. Resta.
BASTA.
Lui l’aveva dimenticata, cancellata, esclusa dalla sua vita.
Cercò un appiglio alla realtà, si ancorò alla sensazione spiacevole della
dura roccia sulla quale era seduta, avvertiva le pietruzzole attraverso la corta veste leggera.
Posò per terra i fogli e le matite, e, spostandosi leggermente su un fianco, sollevò la stoffa. Come aveva intuito, la pelle era tutta costellata di buchini più o meno profondi, lì dove la roccia scabra aveva lasciato la propria impronta, come su carta carbone.
Ne sfiorò con un dito la superficie, lentamente, quasi solletico sotto i
polpastrelli.
Ricordava quando, da bambina, dopo aver scritto una pagina di dettato, la girava e ne toccava il retro per sentire quella sensazione sotto le dita.
Si sfiorò il viso, versi densi di ricordi le salirono sulle labbra “J’ai eu
longtemps un visage inutile, mais maintenant j’ai un visage pour etre aimé, j’ai un visage pour etre heureux”.
Strinse i pugni, ora non aveva più un volto. Prima forse, quando aveva avuto qualcuno da sorprendere con gesti d’amore assoluto, come prendere un aereo solo per stare insieme durante la pausa pranzo.
Era stato felice, nessuno aveva mai fatto nulla di tanto bello per lui,
prima.
E adesso lei sapeva che nessuno avrebbe mai fatto nulla di tanto bello per lei.
Chissà cosa si provava ad essere amati così totalmente?
Glielo aveva chiesto, ma lui non aveva mai avvertito l’invidia nelle sue
parole.
La sua voce, sì. forse era la cosa che più le mancava, la sua risata, i
giochi insieme, il dirsi quanto era bello stare insieme, il confidarsi
dubbi, paure, speranze e farsi promesse. Promesse. chiacchiere, erano solo chiacchiere.
Scattò in piedi, lasciando lì le sue cose.
Lo fece velocemente, come per sfuggire a quel momento di malinconia autocompiaciuta, o forse solo alla realtà di non contare più nulla per lui.
ed ebbe un capogiro.
Per un lungo istante fu in bilico lì su quello strapiombo, raggiunto forse consapevolmente.
C’è un limite al dolore che si può sentire. Perse l’equilibrio, si sentì
cadere, e finalmente sorrise, tra le braccia del vento, mentre un ultimo pensiero balenava nella sua mente
“Non lo saprà mai”.

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