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Racconti Erotici Etero

A casa

By 9 Agosto 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Al secondo bicchiere di rosso si era sentito finalmente più rilassato. Luisa sedeva davanti a lui, il corpo nascosto in un vestito color ruggine. Di lei, oltre al nome, sapeva che aveva da poco passato la cinquantina e che era rimasta vedova tre anni prima. Sapeva anche che, da quando l’unico figlio si era trasferito in città, viveva sola nella villetta accanto al mulino. In paese si diceva che il marito le avesse lasciato un discreto patrimonio che le consentiva di vivere in maniera più che dignitosa.

Per mesi la sorella l’aveva spronata ad uscire con qualcuno, a fare nuove amicizie, preoccupata che quella vita solitaria potesse peggiorare la sua depressione. Luisa, inizialmente, si era infuriata. Aveva interpretato gli inviti della sorella come una mancanza di rispetto per il marito. Con il passare del tempo però, da quando le nottate insonni si erano moltiplicate, aveva cominciato a chiedersi se sua sorella non avesse ragione.

Davanti a Luisa, costretto in una giacca di velluto color sabbia, c’era Mario. 58 anni, di cui oltre quaranta passati in Francia come muratore in un’azienda tutta di Italiani. Era tornato in paese solo da poche settimane quando una cugina gli aveva parlato di Luisa. Durante gli anni passati all’estero, Mario aveva vissuto a lungo con una ragazza di Reims, fino a quando lei non aveva capito che lui non l’avrebbe mai sposata. Allora aveva preso le sue cose, un bel pò dei soldi che Mario teneva nascosti in casa, e se ne era andata. Da quel momento Mario non aveva più avuto storie importanti ed era diventato un fedele cliente dei bordelli di Mulhouse.

Quando Mario aveva bussato alla sua porta, Luisa era rimasta senza parole. Per quanto lei non fosse bassa, Mario la sovrastava di almeno trenta centimetri. Era di corporatura robusta, il viso brunito di chi ha passato tanto tempo al sole, e le mani, massicce, che testimoniavano le giornate trascorse in cantiere. Luisa non potè fare a meno di paragonarlo a suo marito. Impiegato nell’ufficio dell’amministrazione al comune, mingherlino, sempre ben vestito e curato. Domenico era l’opposto di quel gigante che cercava, tirnado in dentro la pancia, di tener allacciata una vecchia giacca troppo stretta. Mentre andavano verso la trattoria, Luisa si accorse che Mario zoppicava leggermente. Dovevano essere i postumi dell’incidente in cantiere che l’aveva fatto rientrare in Italia, pensò senza dir nulla.

La cena trascorse piacevolmente. Anche se lui aveva vissuto praticamente tutta la sua vita lontano da casa, aveva comunque assorbito quei gesti, quelle movenze e quei modi di dire caratteristici del loro paese. Questo aveva rincuorato Luisa che adesso, mentre tornavano, non voleva che quella serata finisse.

Fu per quel motivo che, arrivati davanti al piccolo cancelletto verde, Luisa gli chiese di entrare per un bicchiere di Sambuca. Mario accettò volentieri. L’idea di rientrare a casa di sua sorella e sdraiarsi nel piccolo letto che gli aveva preparato in soggiorno non lo attirava.

Mentra seguiva Luisa lungo le scale, Mario le osservò il sedere. Non era paragonabile, per bellezza, a quello delle ragazze che lavoravano il sabato sera al “Le Marquis”, tuttavia non lo lasciò indifferente.

La camera da pranzo era arredata come una qualsiasi delle altre camere da pranzo del paese. Su una credenza, decine di foto mostravano facce in bianco e nero di quelli che una volta erano stati zii e cugini. Un viso ricorreva più spesso degli altri e Mario immaginò che dovesse essere Domenico.

Da una vetrinetta Luisa estrasse due piccoli bicchieri e una bottiglia di vetro spessa e senza etichette. Li riempì entrambi fino all’orlo e quindi invitò Mario a bere. Erano seduti, uno accanto all’altro, intorno ad un grosso tavolo di noce posto al centro della stanza. Mentre beveva, senza rendersene conto, Mario aveva toccato con il ginocchio più volte quello di Luisa. Quel contatto fortuito non era sfuggito a lei, che per darsi coraggio si era versata, e aveva versato anche a Mario, un altro generoso bicchiere di Sambuca. Ad un certo punto, come fosse la cosa più naturale del mondo, Luisa posò la sua mano su quella di Mario. In realtà si era dovuta quasi costringere per fare quel gesto, e il tepore suscitato dalla Sambuca l’aveva indubbiamente aiutata.

Mario rimase stupito. La guardò e le sembrò piccola piccola su quella sedia. Luisa teneva gli occhi bassi, timorosa di incontrare quelli di Mario. Lui le scostò dalla fronte un ciuffo di capelli e quindi la accarezzò il braccio. Poi le mise una mano sulla sua schiena sentendo, sotto la stoffa del vestito, il rilievo del reggiseno. Dopo essersi mossa circolarmente, la mano si fermò alla base del collo alla ricerca della zip. Lentamente la fece scendere fino a quando non fu arrivato con la mano all’altezza dei fianchi. Luisa continuava a tenere gli occhi verso il tavolo ma non si era opposta a nessuna di quelle azioni. Lui le spostò le spalline facendo cadere il vestito fino alla seduta della sedia. Mario aveva cercato di usare tutta la gentilezza di cui era capace per quei movimenti. Pensò a quanto diversamente si comportava quando stringeva per i fianchi le ragazze Polacche che volevano 100 euro solo per sedersi con lui. Più di una volta era successo che una di loro si mettesse a piangere perchè, presa per i capelli, lui l’aveva costretta sul suo inguine fino a farle ingoiare tutta la sua solitudine.

A questo punto si alzò in piedi facendo capire a Luisa che doveva fare altrettanto. In questa posizione il vestito le scivolò giù fino alle caviglie. Luisa ora era in piedi davanti a lui e lo guardava. I suoi occhi avevano preso coraggio e lo fissavano. Erano occhi profondi, così diversi da quelli cerulei di Lena o di Maja.
Mario portò le mani dietro alla schiena di Luisa per liberarla dal reggiseno. Il suo corpo era morbido e i suoi seni, pieni, avevano atteso da tempo che altre mani, oltre alle sue, li stringessero. Mario vide i capezzoli di Luisa prendere vita, e nel farlo diventare più scuri. Guardò giù verso i fianchi. In alcuni punti la pelle aveva delle piccole striature che Mariò accarezzò con la punta delle dita quasi a volerne assorbire la storia.
Poi le guardò le mutandine. Erano semplici, nere, e nascondevano alla vista qualsiasi dettaglio dell’intimità di Luisa. Mario l’abbraccio e cominciò a baciarla. Mentre muoveva la sua lingua nella bocca di Luisa, sentì il sapore dell’anice misto a quello della saliva. Luisa ricambiò il bacio mentre con le mani cercava di liberarlo da quella giacca.

Staccatasi da lui gli disse ‘Vieni, spostiamoci di là’ e per una mano lo condusse verso la camera da letto. Appoggiato ad una parete, un grande letto con la testata in ottone era affiancato da due comodini, di cui solo uno sormontato da un piccolo lume acceso. Mario si mise seduto mentre Luisa restò in piedi davanti a lui. Cominciò a baciarle la pancia mentre con le mani le stringeva i glutei. Luisa, con la testa reclinata verso di lui, gli accarezzava i capelli.

Era passato così tanto tempo da quando qualcuno l’aveva baciata, pensò. In molte di quelle notti insonni aveva creduto che nessuno l’avrebbe più fatto, e si era toccata in silenzio, provando vergogna per quello che faceva.

Mario le sfilò le mutandine e la fece indietreggiare per osservarla. Una folta peluria scura le copriva l’apertura. Mario l’accarezzò e Luisa emise un leggero gemito. Mario la fece sdraiare sul letto, la pancia in sù e le braccia lungo il corpo. Lui era accanto a lei e faceva viaggiare una mano dal seno fino all’attaccatura delle cosce.

Illuminata dalla tenue luce del lume, Luisa era abbandonata a quelle carezze con gli occhi socchiusi e la testa leggermente girata da un lato. Mario vide che una piccola lacrima le stava scivolando lungo la guancia. Finalmente, dopo tanto tempo, Mario si sentì a casa.

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