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Racconti Erotici Etero

(abbastanza) giovane e bella

By 12 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Il film che ho appena visto con la mia amica Valeria, si intitola esattamente come questo racconto, a parte la prima parola tra parentesi.
Ci ha colpito molto la pellicola che abbiamo appena visto, ma le nostre reazioni sono state diverse, anzi opposte. Lei, mentre camminiamo per raggiungere la mia macchina, che ho parcheggiato parecchio lontano, vorrebbe parlarne, mentre io, invece, preferirei di no, perché ho un sacco di strani pensieri che mi frullano per la testa.
Mi sono immedesimata molto nella giovane e bionda protagonista del film.
Se non l’avete visto, vi dico subito che tratta della storia di una giovanissima studentessa parigina, che inizia a prostituirsi con uomini molto più grandi di lei.
Non dovrei immedesimarmi, visto che a parte il fisico molto snello, sono assai diversa da quella ragazza.
Innanzitutto lei è minorenne ed io ho 43 anni suonati, lei frequenta il liceo ed io sono un ingegnere, che lavora in una grossa società di progettazione di impianti tecnologici industriali, in cui ho una posizione di rilievo, a livello dirigenziale. E poi, a parte la magrezza, siamo diversissime: lei bionda con gli occhi chiari, io scura, di capelli e di carnagione, e con gli occhi marrone.
Ho continuato a pensarci dopo aver riaccompagnato Valeria a casa sua, e il chiodo fisso in testa non mi ha mai abbandonato nei giorni successivi.
Perché una donna ancora giovane, di bell’aspetto (la parola abbastanza che ho aggiunto al titolo è dovuta al fatto che, sinceramente, non sono così carina di viso, non lo ero a diciassette anni e, meno che mai, ora che ho passato la quarantina), dovrebbe andare con uomini che neanche conosce? Non ho assolutamente bisogno di soldi, ho delle buone relazioni sociali e, in passato, ho avuto diverse storie, anche importanti.
Insomma ho ancora degli uomini che mi corteggiano, se solo volessi, mi basterebbe incoraggiarli, senza imbarcarmi in avventure potenzialmente pericolose, con sconosciuti.
La risposta la conoscevo, era dentro di me, ma ci ho messo una settimana buona per sputarla fuori.
La prova, superare la prova.
La mia vita non è stata facile. Mio padre aveva già deciso per me cosa avrei fatto da grande: laurea in lettere e insegnante, perché le donne devono occuparsi della famiglia e non possono essere impegnate più di tanto dal lavoro.
Mio padre è sempre stato un uomo duro e all’antica e, quando mi iscrissi ad ingegneria, non fu per niente contento. Quello era un lavoro da uomini, buono al limite per i miei fratelli, non certo per me.
Invece ce l’ho fatta, ho superato la prova e mi sono laureata a pieni voti, poi sono riuscita ad impormi sul lavoro in un ambiente per niente facile per le donne. Già, la prova, la mia vita è sempre stata un susseguirsi di prove da superare.
Ora avevo davanti a me una prova molto particolare: dovevo convincere degli uomini, a me perfettamente sconosciuti, che io ero la persona adatta da portare a letto.
La ragazza del film era giovanissima, aveva un visetto delizioso, qualsiasi uomo maturo l’avrebbe accettata ad occhi chiusi, e io? Potevo essere considerata abbastanza giovane e bella?
E poi mi avrebbero pagata. Se qualcuno compra qualcosa, deve essere soddisfatto al 100%, mentre invece, se la ottiene gratis, può anche accontentarsi.
Quindi era fondamentale che io lo facessi a pagamento. Molti uomini sarebbero disposti ad andare con una donna gradevole che gli si propone, ma pagando, era tutta un’altra faccenda.
Infine c’è l’ultimo aspetto: il momento in cui avrei accettato i loro soldi, non mi sarei più potuta tirare indietro, sarei stata totalmente a loro disposizione, e questo mi spaventava, ma mi intrigava terribilmente, allo stesso tempo.
Nel mio lavoro sono sempre stata abituata a pianificare le cose, quindi ho cominciato a pensare come organizzare questa attività.
Primo problema, come trovare gli uomini. Più o meno il sistema della ragazza del film andava bene, non avevo certo intenzione di mettermi a battere i marciapiedi.
Quindi potrei aprire un sito internet. No, non capisco nulla di informatica e non potrei farmi costruire un sito del genere da qualche amico.
Restavano le chat.
Dovevo trovare una chat erotica frequentata da persone della mia stessa città, in modo da rendere più facili gli incontri.
Così ne ho trovata una, mi sono iscritta con il nick di Pat75 ed ho iniziato a ‘seminare’.
Non è stato facile, ho dovuto selezionare quattro o cinque persone, tra decine di soggetti, e con quelle ho iniziato una fitta corrispondenza.
La cosa difficile è stato chiedergli i soldi. Non è che mi vergognavo, perché, nascosta dietro una tastiera, potevo dire quello che volevo, ma i primi due, al solo nominare la parola euro, si sono volatilizzati. Il terzo, quando gli ho scritto che se voleva vedermi avrebbe dovuto pagare 300 ‘ per due ore, si è zittito.
Sono rimasta qualche minuto in attesa di un suo messaggio, convinta di aver fatto un altro buco nell’acqua, poi ‘

-sei una prostituta?-
-no, assolutamente, ma sono disposta a farlo solo così. Sono un problema per te, 300 ‘?-
-affatto, però, prima di incontrarti voglio una tua foto, non importa il viso, ma il corpo deve vedersi tutto, e poi ti voglio sentire al telefono-

Così ho comprato una seconda scheda ed ho rimesso in sesto il vecchio cellulare, per l’occasione. Gli ho mandato anche una mia foto, di qualche anno fa, scattata al mare, sdraiata sul lettino e senza reggiseno.
Mi sono chiesta se non avrebbe trovato le mie tette troppo piccole, ma poi mi sono fatta coraggio e, dopo averla passata allo scanner glie l’ho inviata. Non c’è stato neanche bisogno di nascondere il viso, perché avevo un grande cappello di paglia calato sulla faccia.
Si chiama Marco ed ha una bella voce. Dice di avere 55 anni, magari non è vero, però anch’io non sono stata sincera, visto che ho detto a tutti di averne 38 e, per questo, ho messo nel nick un numero che può far pensare al mio anno di nascita.
Ci siamo sentiti diverse volte per telefono. Gli ho detto che ci vedremo in un albergo. Troppo pericoloso andare a casa di sconosciuti o farlo in macchina, l’albergo mi da più sicurezza. Lui ha accettato ed abbiamo fissato per venerdì nel tardo pomeriggio.
è tutto pronto, il venerdì in genere finisco prima, quindi ho il tempo di tornare a casa, farmi una doccia e cambiarmi.
Per l’occasione ho comprato un vestito molto aderente e scollato, discretamente corto, per mettere in evidenza le mie gambe, che sono sempre state il mio punto di forza.
Ho fatto anche le prove del trucco: più forte del solito, ma non troppo ‘puttanesco’.
Tacchi alti, io non li ho mai amati troppo, ma nell’immaginario del maschietto italiano, la ‘gnocca’ deve avere i tacchi alti.
Ho optato per il collant, perché sono freddolosa, e poi non sopporto quelle robe demodé come le giarrettiere, meno che mai le autoreggenti, perché mi danno fastidio gli elastici sulle cosce.
Insomma, il mio cliente aspetterà pazientemente che io mi sfili il collant.
Sono eccitata da morire, per la prima volta ho un appuntamento con un uomo che non conosco, ignoro totalmente il suo aspetto, so soltanto che per due ore sarò a sua disposizione.
La notte prima ho dormito poco e male, come mi accadeva all’università, prima di un esame. Ma questo è tutto un altro genere di esame e, mentre mi preparo per andare in ufficio cominciano a prendermi mille paure: non mi troverà abbastanza bella di faccia. Dai Patrizia, lui vuole solo scoparti, che gli importa del tuo viso. Ricordi quella volta che origliasti due compagni del liceo che parlavano delle ragazze e sentisti benissimo quando fecero il tuo nome? Uno dei due disse ‘è bona me la farei di corsa, però, bisognerebbe metterle un cuscino in faccia’. Da quel giorno avevi cominciato a truccarti e la situazione era migliorata, almeno così ti sembrava.
Mentre mi mettevo il reggiseno ho pensato che forse avrebbe trovato le mie tette troppo piccole. Ma no, per questa sera ho comprato apposta un pushup leggermente imbottito. Già, brava, ma poi te lo devi togliere e scopre il trucco.
E poi, magari si accorge che gli ho mentito sull’età, e poi magari mi impappino, non riesco a fare tutto quello che mi chiede, e poi …
Ho smesso di torturarmi solo quando sono uscita di casa.
Mi sono tranquillizzata solo quando sono uscita di casa per andare in ufficio.
Un breve sguardo nello specchio dell’ascensore. Mi piace il tailleur grigio perla leggermente gessato, con sotto le calze sottili, un po’ fumè. Apro il soprabito e mi guardo le gambe.
Perfetto, la gonna finisce quattro dita sopra al ginocchio e la stoffa mi fascia perfettamente il sedere, mettendone in mostra, con le righine verticali, la sua rotondità.
Dai, Patrizia, hai un gran bel culo e, questa sera, con il vestito che hai lasciato a casa sul letto, andrà anche meglio.
è stata una giornataccia, nonostante le previsioni rosee della vigilia.
I francesi che dovevano firmare il contratto sono arrivati con due ore di ritardo, poi, fra problemi tecnici, il computer che si impalla, la fotocopiatrice che va in blocco ogni dieci copie, quando sono finalmente riuscita ad abbandonare l’ufficio, mi accorgo di avere un ritardo mostruoso.
Non riuscirò mai a passare per casa, lavarmi, cambiarmi, truccarmi e raggiungere l’albergo, anzi, a malapena, se prendo direttamente un taxi e non trovo traffico, riuscirò ad arrivare giusta giusta.
Questa non ci voleva. Il vestito è troppo serio, dovrei fare un trucco diverso, non mi lavo da questa mattina ed ho con me pure una pesante valigetta 24 ore in cuoio.
Ora telefono a Marco e gli dico che non se ne fa nulla. No, non posso disdire adesso, così prendo un taxi e do all’autista l’indirizzo dell’albergo.
Spero solo che gli piaccia il tipo donna-manager-in-carriera, stanca ed anche un po’ sudata.
Mentre il taxi cerca di districarsi nel traffico caotico del venerdì sera, azzardo un’annusata di ascella. Meno male che è inverno. Insomma non profumo di rosa, ma neanche puzzo di cipolle.
L’albergo è uno di quelli importanti del centro, 4 o 5 stelle, ed il taxi mi lascia proprio davanti alla grande porta girevole.
Mentre entro nel sontuoso atrio mi riprendono le paure. Non si può entrare in un albergo così, senza che ti dicano nulla.
Stanza 307.
Sì, certo, lo so: terzo piano, prendo l’ascensore e seguo la numerazione, ma mi fermeranno, mi chiederanno dove vado. Che gli dico?
Invece nessuno ferma una donna alta, elegante, vestita con un tailleur grigio gessato, armata di 24 ore di pelle, che passa davanti al bancone della reception, con un’andatura veloce e sicura di sé.
Avverto solo lo sguardo di uno degli impiegati che si sofferma sulle mie gambe che spuntano dal soprabito aperto.
Sono in ascensore, mi specchio per controllare se il rifacimento veloce del trucco, che ho tentato in taxi, è venuto bene.
Sono fuori, percorro rapidamente il corridoio. In numeri decrescono, 320, 319, ‘ 309, 308,
307.
Rimango un paio di minuti ferma davanti alla porta.
Dall’altra parte c’è uno sconosciuto cinquantacinquenne, pronto a scoparmi per le prossime due ore, in cambio di 300 ‘.
Sempre se tutto va come previsto.
Posso sempre andarmene. Lui non conosce il mio nome, il mio indirizzo, la mia faccia. Mi basta buttare la scheda telefonica e non rispondere più alla chat.
Sono in ritardo di cinque minuti.
Busso leggermente alla porta, due volte.
‘Vieni, è aperto.’
Riconosco la sua voce, che avevo già sentito per telefono.
Marco, chissà se è il suo vero nome, non è quello che si potrebbe dire un bell’uomo: piccolo di statura, un po’ sovrappeso e quasi completamente calvo, a parte due ciuffi sparuti sopra le orecchie.
Mi sa che ha mentito anche lui sull’età, oppure dipende dal fatto che gli uomini calvi sembrano più vecchi.
Indossa una vestaglia di seta blu e mi fa cenno di chiudere la porta.
Mi toglie il soprabito e lo poggia sulla poltrona all’ingresso. è stato un gesto non brusco, ma deciso.
‘Prima di tutto, Patrizia’, mi dice porgendomi una busta, ‘questi sono i soldi, io ho mantenuto la mia parola, ora tocca a te.’
Prendo la busta e la metto nella borsetta, senza guardare, poi la poggio sulla poltrona, a fianco del soprabito.
I suoi occhi mi stanno scrutando. Si sta chiedendo se sono abbastanza giovane e bella?
Beh, ormai mi ha pagato, quindi lui non si tirerà indietro.
Supererò la prova, e poi riuscirò a farlo con lui? Un uomo così non lo avrei mai scelto, di questo sono sicura.
Non mi piacerà, non mi ecciterà, e allora? La donna può anche fingere, a te non si deve drizzare nulla.
‘Devi spogliarti.’
Il suo tono non è brusco, ma semplicemente deciso. Mi riporta alla realtà e mi rammenta che, per le prossime due ore, sarà lui a comandare.
Mi tolgo la giacca grigia. La camicetta bianca, di seta, è un po’ macchiata di sudore sotto le ascelle, così cerco di farla sparire in fretta, prima che lui lo noti.
Sento il suo sguardo fisso su di me. Le mie tette supereranno la prova? Peccato, il pushup è rimasto a casa, accidenti ai francesi.
Il suo viso è una maschera impenetrabile.
Mi fa cenno di sfilarmi anche la gonna.
Ora sono rimasta in reggiseno, mutandine e collant.
Le scarpe sono sul pavimento, le raccolgo e le metto una a fianco all’altra, vicino alla poltrona.
Sto cercando di prendere tempo? Sì, probabilmente mi vergogno a spogliarmi davanti ad uno sconosciuto. Sei una cretina, Patrizia, ci dovrai scopare con lui, non l’hai ancora capito?
‘Girati.’
E’ un ordine, dato gentilmente ma in maniera ferma.
Ruoto di 180 gradi e rimango un po’ così, mostrandogli le spalle.
La sua mano mi carezza il culo, poi mi spinge verso il letto, in maniera ferma e decisa ed io posso solo assecondarlo.
Ora sono seduta sul letto e mi sto sfilando le calze.
Lui è alle mie spalle, non oso girarmi per vedere cosa sta facendo.
All’improvviso sento le sue dita prima sollevarmi i capelli scuri che mi ricoprono la schiena, poi un scatto leggero.
Mi ha aperto il reggiseno, le mie tette scendono leggermente verso il basso, ormai libere dalla costrizione e ringrazio di averle piccole, altrimenti sembrerebbero due pere mosce.
Le sue mani sollevano il reggiseno e me le stringono forte.
Mi manca il respiro, però mi rendo conto che è una sensazione piacevole, nonostante le premesse negative sull’uomo piccolo e calvo, che non doveva essere il mio tipo.
Gioca un po’ con i miei capezzoli, bene, le mie tette, sembrano aver passato l’esame.
‘Devi togliere anche le mutande.’
Il tono questa volta mi è sembrato più brusco. Evidentemente la sto tirando troppo per le lunghe.
Mi sdraio ed inizio a far scendere il piccolo slip bianco che indosso da questa mattina.
Solo ora mi accorgo che sono bagnata, e neanche poco. Tutta questa faccenda mi sta eccitando, sento l’odore che proviene dalla mia vagina e mi chiedo se anche lui lo avverte.
Parla di nuovo quando mi sono liberata anche dell’ultimo brandello di stoffa.
‘La prossima volta, se ci sarà una prossima volta, dovrai depilarti. Non mi piacciono le fiche pelose, sembrano degli animali.’
Questa volta il tono è stato aspro. Mi ha fatto capire che lei non ha superato l’esame, per ora, è poi ha usato il termine volgare, come per ribadire che le donne hanno la vagina e le puttane la fica, o forse questa è solo una mia paranoia.
‘Sì, va bene, scusa, lo farò.’
Accidenti, mi dovevo depilare, ho sbagliato.
‘Ora però, devi darti da fare.’
Mi volto verso di lui, è seduto in mezzo al letto e si è aperto la vestaglia.
Mi indica, con un gesto eloquente, il suo pene moscio, che spunta sotto la sua pancia.
‘Il mio cazzo aspetta la tua bocca e la tua lingua per essere svegliato.’
E’ come uno schiaffo, che mi risveglia di colpo. Che ti credevi Patrizia, che eri venuta qui per giocare? Questo ti ha appena dato 300 ‘.
Mi prende forte per un polso e mi fa avvicinare. Non è un gesto violento, ma la stretta mi fa capire che a questo punto non è possibile una mia marcia indietro.
Ora il mio viso è a pochi centimetri dal suo corpo. Sento l’odore della sua pelle pulita, si deve essere fatto la doccia da poco.
Mi spinge leggermente verso il basso, premendomi sulla nuca ed io apro la bocca.
La mia lingua sfiora leggermente il suo pene, quasi con timidezza e Marco mi ricambia con un leggero grugnito di piacere.
Riprovo con più convinzione e mi sembra che inizi a drizzarsi.
è parecchio che non faccio una cosa del genere e ricordo che con il mio ragazzo, ai tempi dell’università, bastavano pochi colpi di lingua per farlo diventare duro. Dipende da lui o da me, con non sto facendo bene?
Già non glie è piaciuta la mia cosa troppo pelosa, se sbaglio ancora finisce che mi butta fuori, così mi faccio coraggio, apro le labbra e lo prendo.
Comincio a succhiarlo e mi sembra che lentamente inizi a prendere vita.
Ecco, ora è abbastanza duro, niente di speciale, ma tutto sommato accettabile. Quando comincio a pensare che preferirei non portare fino in fondo il pompino, lui mi scansa, prendendomi per una spalla.
La mia bocca semi aperta si stacca dal suo pene, lasciando un filo di saliva, che fa una specie di piccolo ponte, prima di spezzarsi.
‘A questo pensi tu, naturalmente. Credo che dovresti essere abbastanza pratica.’
Io rimango qualche secondo a guardare la bustina con il profilattico, posata sulle lenzuola e vengo presa di nuovo dal panico.
No, non l’ho mai infilato a nessuno, gli uomini che lo usavano, con me, se lo sono sempre messo da soli.
Cerco di non tradire l’emozione, ma mi tremano le mani mentre apro la bustina.
Lui mi guarda imperturbabile. Chissà se ha capito che sto bluffando ed è la prima volta che faccio una cosa del genere. Comunque alla fine riesco ad infilarglielo, senza tagliarlo con le mie unghie lunghe e curate.
A questo punto la situazione si evolve molto rapidamente, lui mi prende sotto le ascelle e mi mette a sedere dall’altra parte del letto.
Mi ha sistemato un cuscino proprio sotto al sedere, in modo che rimango un po’ sollevata.
Prima ancora che possa capire cosa stia succedendo, mi allarga le cosce, mi spinge il busto indietro fino a sdraiarmi completamente e poi mi sale sopra.
Non mi aspettavo una tale velocità ed agilità da parte sua ed ora mi trovo inchiodata sul materasso con il suo corpo sopra di me.
Il suo pene mi entra di colpo, lo vedo sparire dentro la mia vagina, poi inizia a ‘pomparmi’ con un vigore inaspettato.
Per un attimo penso che gli possa prendere un colpo, come ad un cliente della ragazza del film. No, questo non è così vecchio e malandato, questo arriverà fino alla fine e mi farà guadagnare tutti i 300 ‘.
Ansima forte e mi pianta le unghie nelle chiappe. Chissà perché mi aspettavo che mi insultasse, mi chiamasse troia, vacca, o altri simili parole, temevo o speravo che mi prendesse a schiaffi, invece nulla di tutto ciò, continua a sbatacchiarmi, sempre più veloce.
Ecco, è venuto.
Ho sentito le contrazioni, ho avuto quasi l’impressione di sentire il profilattico gonfiarsi sotto la spinta dello sperma che usciva, ma forse è una mia suggestione, poi, silenzio e tranquillità.
Si è girato e si è sdraiato dall’altro lato del letto, lasciandomi a gambe larghe.
Non mi guarda, così ne approfitto per toccarmi. Non so se lui gradisca o meno, allora cerco di non farmi sentire.
Solo alla fine non resisto più e mi scappa qualche grido soffocato.
‘Hai finito? Guarda che abbiamo giusto il tempo per farlo un’altra volta.’
Io mi tiro su e lui mi indica il suo pene ammosciato, con ancora il profilattico infilato.
‘Su toglilo, buttalo nel cestino e ricomincia.’
Glie lo sfilo delicatamente e lo prendo tra due dita, come se scottasse.
‘Stai attenta, che stai sporcando le lenzuola.’
Non me ne ero accorta, ma il profilattico sta sgocciolando sul letto, allora ci metto una mano sotto e vado in bagno.
Lo butto nel cestino sotto il lavello e mi sciacquo le mani impiastrate di sperma.
La voce di Marco mi arriva attutita dalla stanza da letto: ‘Torna qui, sbrigati, me lo devi pulire per bene, prima di rifarlo.’
Quando mi vede apparire nuda con in mano un rotolo di carta igienica, mi guarda perplesso.
‘Ma che ti sei messa in testa? Non sei mica un’infermiera. Le puttane puliscono i cazzi con la bocca e con la lingua.’
Poso il rotolo sul comodino e risalgo sul letto carponi.
Questa volta è più complicato, perché il pene di Marco è ricoperto di sperma che si sta essiccando. Devo dire che fare queste cose non è mai stata la mia passione, ma non ho proprio scelta, e lui sembra divertito del mio imbarazzo e della mia repulsione. Alla fine, per fortuna, gli torna su, in erezione, lui mi porge un altro profilattico, che questa volta riesco ad infilare molto più velocemente.
Si ricomincia. Mi ha di nuovo sbattuta giù. Questa volta mi ha messo sotto anche un secondo cuscino. Mi allarga completamente le cosce e mi penetra per la seconda volta.
Mentre mi scopa mi tocca, le sue mani mi carezzano il sedere, le cosce, poi salgono lungo la pancia, per stringersi intorno ai seni. Mi prende i capezzoli tra due dita e li strizza forte. Allora io grido e proprio in quel momento lui viene nuovamente.
è finita, guardo l’orologio, non farà in tempo a scoparmi una terza volta, e poi mi sembra abbastanza stanco.
‘Dai, che hai finito, per oggi. Devi solo levarmi il preservativo e ripulirmi il cazzo, poi sei libera di andartene.’
Ancora una volta le mie labbra e la mia bocca provvedono a questo compito e mi accorgo che comincia a risultarmi meno spiacevole.
Ci vado più leggera, perché non devo farglielo rizzare di nuovo.
Marco si è rivestito e se ne è andato. Mi restano nelle orecchie le sue ultime parole: ‘fai pure con calma, ci sentiamo in settimana per la prossima volta. Ah, mi raccomando, depilati la fica.’
Sono rimasta un po’ sdraiata sul letto, a pensare all’accaduto, mentre la mia mano mi toccava sempre più in profondità, fino a raggiungere l’orgasmo.
Era questo quello che volevi Patrizia?
Non lo so, ma se volevo essere comandata e umiliata, è andata benissimo.
Quando esco dalla stanza 307, vestita esattamente come quando ero entrata due ore prima, mi sento una donna diversa: orgogliosa per aver superato la prova, ma allo stesso tempo prostrata per l’umiliazione e la dominazione subita.
Me ne accorgo quando ripasso davanti alla reception: io dovrei essere la stessa, eppure mi sembra che gli sguardi del personale quasi parlino. Puttana, lurida puttana, mi sembra che mi gridino dietro.
Solo quando ho superato la porta girevole ed i rumori del traffico prendono il sopravvento, smetto di sentire queste voci. La seconda volta era partita molto meglio.
Niente ritardi al lavoro, così ho fatto in tempo ad andare a casa e cambiarmi.
Ho pensato che per me la cosa migliore sia il tailleur grigio da donna manager, tipo quello del primo incontro con Marco, il cinquantenne pelato. Per l’occasione ne ho comprato uno più aderente e più corto di gonna, con anche due piccoli spacchi di lato.
Ho pensato a tutto, sono pulita e profumata, il pushup imbottito, fa sembrare il mio seno meno scarso di quello che è, le calze con la riga dietro (un bel daffare per sistemarle dritte) sono perfette per le mie gambe lunghe, le scarpe hanno il tacco proprio al limite di quello che riesco a sopportare, e nella borsetta ho messo anche un paio di mutandine di ricambio.
Ignoro come si chiami il mio nuovo cliente. Di lui so soltanto quello che mi ha detto: sui trent’anni, fisico atletico, occhi azzurri.
Magari non è vero nulla, ma lo saprò presto, perché sto andando da lui.
Il nome dell’albergo non mi dice nulla ed anche la strada ‘ non ricordo che lì ci fossero degli hotel.
Ecco, mi ha dato un indirizzo sbagliato. A quel civico c’è un normale portone.
Poi la vedo, la targhetta. è piccola, di ottone e deve essere molto tempo che nessuno si prende la briga di lucidarla.
L’albergo è al secondo piano. Una sola stella.
Entro nell’androne, sulla porta dell’ascensore, sistemato nella gabbia di metallo annerito, al centro della tromba delle scale, un cartellino messo di traverso, sentenzia: GUASTO.
Così inizio a salire le scale, maledendo i tacchi alti e per niente tranquilla riguardo al posto in cui sto andando.
Una stella, in una grande città, significa nella migliore delle ipotesi una topaia lurida.
La porta di legno scuro è socchiusa e quando si apre cigolando leggermente, mi mostra un ambiente piccolo e buio.
L’unica zona di luce è in corrispondenza del bancone, dove siede una vecchia con gli occhiali.
Sarà la suggestione negativa, ma mi viene da pensare che fino a qualche anno fa abbia battuto i marciapiedi di periferia.
Mi rendo conto che il mio abbigliamento da donna in carriera, qui è assolutamente fuori posto, mentre lei mi guarda con aria interrogativa ed io farfuglio ‘stanza n. 7’.
Mi indica con la mano di proseguire ed io mi incammino verso la mia seconda esperienza di prostituzione, molto meno tranquilla di quando ero uscita di casa.

Il mio secondo cliente non mi ha mentito sul suo aspetto fisico. è veramente un gran bell’uomo, uno di quei maschi che in spiaggia fanno voltare tutte le donne, a prescindere dall’età. Sotto l’abito blu, di ottimo taglio, si intuisce un fisico asciutto e muscoloso. Mi fissa dall’alto della sua statura notevole, con un paio di occhi azzurri che mi mettono i brividi.
Comincio però a capire subito che con lui sarà dura.
Mi sono appena tolta il soprabito e intuisco che, dopo un primo sguardo, non è contento di me.
‘Trentotto? Ma che cazzi dici, troia, ne hai almeno dieci di più.’
Mi sento morire, ma lui continua imperterrito.
‘E tu pensi che io pagherò 300 ‘ per una vecchia befana rinsecchita? Beh, vediamo come te la cavi.’
Sono veramente abbattuta. Lui mi ordina di togliermi la giacca e di mettermi a quattro zampe.
Ubbidisco. Certo se cercavo qualcuno che mi umiliasse di brutto, questa volta credo di aver fatto centro.
Lui si è seduto su un angolo del letto e mi fa cenno di avvicinarmi, così avanzo lentamente con le mani e con le ginocchia, sul pavimento sporco e consumato, come se fossi un cane.
Quando gli sono di fronte, mi prende le mani e me le porta sotto al letto, poi sento un piccolo scatto e mi accorgo che mi ha ammanettato alla zampa del letto, nel senso che per togliermi da lì, dovrei alzare il letto per far passare le manette oltre la zampa.
Si alza dal letto ed inizia a spogliarsi.
Io osservo il suo corpo possente che lentamente appare da sotto i vestiti e comincio ad eccitarmi, anche se le manette e la posizione in cui sono costretta, mi trasmettono una certa ansia.
Quando è completamente nudo lo vedo scomparire alla mia vista, tenendosi il pene già eretto tra le mani.
Mi sento sollevare da dietro la gonna. Poi uno strappo violento.
Con le mani mi ha lacerato il collant.
A questo punto io provo a gridare, ma era preparato alla mia reazione, perché prima mi mette una mano davanti alla bocca, poi mi ci ficca dentro un fazzoletto e infine mi annoda la sua cravatta intorno alla faccia.
Un altro strappo ed allarga il varco, poi tira ancora ed il tessuto leggero del collant cede del tutto, lasciandomi il sedere completamente scoperto.
La sua mano si infila in mezzo alle mie cosce e prende le mutandine proprio in mezzo, tira con violenza, poi sento che taglia, non so se con una lama o con delle forbici, perché non riesco a vedere.
Lo sento, il suo pene, grande e duro che comincia a spingere contro le labbra della mia vagina. Dopo la prima esperienza con Marco mi sono completamente depilata, chissà se a lui piace.
Non credo chi si faccia molti problemi a riguardo: me lo ficca dentro brutalmente e comincia a fare avanti e indietro.
Io ho la faccia affondata nel materasso e gemo sommessamente, a causa del fazzoletto e del bavaglio.
‘Troia, sei una lurida troia. Non vali un cazzo. Oggi ti sfondo e alla fine, neanche ti pago, perché non vali nulla, dovresti essere tu a pagare per venire con me.
Sei brutta e secca, e pure vecchia.
Hai solo una cosa buona: il culo.’
In quel momento lo tira fuori, lo sento armeggiare un po’ e poi capisco.
Cerco di muovermi, ma sono bloccata in quella maledetta posizione e lui è troppo forte per me, così posso solo gridare, o almeno provare a gridare, quando lo sento forzare brutalmente il mio ano.
‘Ti piace prenderlo in culo, vero troia?’
Mi fa male, ho la faccia piena di lacrime, mentre lui continua a spingermelo sempre più in fondo, però i suoi maltrattamenti mi stanno eccitando.
Lo deve aver capito anche lui, perché mi toglie il bavaglio, io sputo il fazzoletto sul letto, non mi esce dalla bocca un grido, ma solo un gemito di piacere.
è attaccato al mio corpo, mentre con le mani mi stringe forte i fianchi.
Non sono mai stata presa con una simile brutalità e penso che forse mi sono persa un’esperienza interessante.
Continua a gridarmi insulti nelle orecchie mentre mi allarga sempre di più, mi fanno male le ginocchia ma lui non mi molla, finché alla fine, con una spinta più forte delle altre, mi manda a sbattere la faccia contro il materasso, poi accelera il ritmo, mente mi affonda nella carne le unghie, corte e forti.
è venuto. Lo sento uscire dal mio corpo. Ora mi rimane solo il dolore causato dalla violenta penetrazione e la sensazione di bagnato dello sperma che mi ha riversato dentro.
‘Su troia, tirati su, che abbiamo appena cominciato.’
Mi solleva la testa e mi accorgo che si è seduto sul letto, a gambe larghe di fronte a me, con il pene a pochi centimetri dalla mia bocca.
Mi prende il naso tra due dita, stringe forte le narici e tira verso l’alto, costringendomi ad aprire la bocca.
‘Fammi vedere quanto sei brava a succhiare cazzi’, mi dice mentre me lo depone sulla lingua.
Ha un pessimo sapore, ma io tengo duro ed inizio a succhiarlo.
Impiega pochissimo a tornare in tiro, molto meglio di Marco, l’altro cliente, penso.
‘Su, datti da fare, che c’è, non sai come si fa un pompino?’
Mi stringe le guance tra le mani e mi fa muovere la testa avanti e indietro, in modo che il suo pene, stretto tra le mie labbra, entri ed esca parzialmente dalla mia bocca.
‘Ecco, brava troia, continua così.’
Sono stanca, non ce la faccio più a stare per terra a quattro zampe, come se fossi un cane, mi fanno male le ginocchia, mi fa male dietro e fra un po’ mi dovrò fare una bella bevuta di sperma, che non è mai stata la mia bevanda preferita.
Ora non puoi lamentarti, Patrizia, te la sei cercata questa situazione.
‘Dai troia, che ci sei quasi, ora succhia.’
Smetto di muovermi e ubbidisco, poi sento che lui mi blocca la nuca e me lo spinge dentro più in profondità.
Arrivano le contrazioni: una, due, tre ‘
Tossisco, mi viene da sputare, ma lui tiene duro.
Ora è fuori, ho i capelli davanti agli occhi ma riesco a vedere il suo pene che mi molla gli ultimi schizzi in faccia e sul collo.
Improvvisamente sento le mie mani libere, deve avermi aperto le manette, poi mi sento prendere sotto le ascelle e mi ritrovo in piedi, stanca e umiliata.
Mi sembra di avere sperma dappertutto, in bocca in faccia, sul collo, attaccato ai capelli.
Guardo in basso, la camicetta è tutta macchiata.
‘Toglitela’, mi ordina ed io apro lentamente i bottoni.
La lascio cadere a terra e mi guardo, una bella chiazza di sperma è finita nella spaccatura tra i miei seni, tenuti su dal pushup.
Lui infila le mani sotto il bordo del reggiseno e lo fa salire di colpo.
Mi ha fatto male, perché il bordo mi ha strusciato sui capezzoli, ma il peggio deve ancora venire.
Il trucco del pushup è stato scoperto e le mie tette un po’ striminzite ora si mostrano a lui al naturale.
Il manrovescio, secco e violento, arriva all’improvviso, i miei poveri seni oscillano sotto il colpo che si lascia dietro, sulla pelle, una scia rossa .
Continua a colpirmi, mentre mi grida: ‘e le tette, troia, te le sei vendute? Sei un cesso, non ti darò neanche un euro.’
Quando si ferma i miei seni sono completamente arrossati ed io me ne sto a testa bassa davanti a lui, singhiozzando sommessamente.
‘Stammi a sentire troia. Ora sei a zero, zero euro. Da questo momento se ti comporti bene, guadagni qualcosa. Capito?
Ora finisci di spogliarti e datti da fare.’
Così, mestamente, mi tolgo quello che resta del collant, mi sfilo le mutandine ormai inutilizzabili e, per ultimo mi libero del reggiseno.
Sono nuda, nuda ed indifesa, di fronte a lui, che si è seduto in mezzo al letto e mi guarda trionfante.
‘Un minuto, solo un minuto, vado in bagno a darmi una ripulita.’
‘Non devi ripulire nulla, che succede, ti spaventi per un po’ di crema in faccia?
Sbrigati, il mio cazzo vuole essere succhiato.’
Così lo raggiungo sul letto. Ormai ogni mia residua resistenza è stata sconfitta, sono un oggetto nelle sue mani.
Me lo fa succhiare solo per un po’, poi mi ordina di mettermi sopra di lui.
‘Devi impalarti troia, io adesso mi riposo e tu mi fai godere, hai capito?’
Io mi abbasso ed il suo pene mi entra nuovamente dentro, le labbra si aprono al suo passaggio e lo accolgono.
‘Su muoviti, dai … su, giù, su giù ‘ continua così.’
Comincio ad essere stanca e, ad un certo punto, rallento il ritmo.
‘ahi!’
Mi ha stretto i capezzoli tra pollici ed indici e poi li ha schiacciati.
‘Non devi rallentare, hai capito troia?’
Io riprendo il ritmo di prima e lui molla la presa.
Quando è venuto mi ha ordinato di togliermi subito.
‘Levati troia, che mi sporchi.’
Io mi giro su un fianco e poi ricado di schiena sul materasso, sono stanchissima, indolenzita e la mia vagina dilatata sta eruttando sperma sulle lenzuola.
‘Ora vai un po’ meglio, cominci ad imparare. Asciugati con il lenzuolo, che lo rifacciamo.’
Guardo l’orologio e mi rendo conto che è l’unica cosa che ho indosso. Il tempo sta per scadere, ma non sono in condizione di contrattare con lui, così ricomincia tutto da capo.
Per tre volte mi capita di perdere il ritmo e rimedio altrettante dolorose strizzate ai capezzoli, che mi costringono a rimettermi subito in riga.
è venuto di nuovo, sembra che le sue batterie non si scarichino mai, mentre io sono distrutta, se lo vuole rifare ancora glie lo dico, che le due ore sono terminate.
Invece non riesco a trovare il coraggio, lui mi ordina di salirgli di nuovo sopra, questa volta di schiena ed io ubbidisco ancora senza protestare.
‘Stai diventando una brava troia, ora te lo fai mettere di nuovo nel culo e per oggi può bastare.’
Mi fa abbassare piano, io stringo i denti, perché mi fa male, mentre penso che dopo quest’ultima prova, potrò tornare a casa.
Mi muovo più lentamente, perché i muscoli delle mie gambe sono troppo affaticati, mi sento come dopo aver fatto una lunga salita con la bicicletta.
Un paio di volte mi fermo, lui mi incita ma senza più tormentarmi i capezzoli, forse ha capito che sono al limite.
è finita.
Mi sdraio di nuovo sul materasso, completamente sfinita. Mi sento il ricettacolo di tutto lo sperma del mondo, ho voglia di lavarmi, di cambiarmi, ma la sua voce mi riporta alla realtà.
‘Su troia, dai un’ultima ripulita al mio cazzo ed abbiamo finito.’
Alla fine si è alzato dal letto soddisfatto e mi ha messo in mano 50 ‘.
‘E’ quanto vali adesso, ma puoi migliorare se ti applichi. Ora vado a farmi una bella doccia e, quando esco dal bagno, non voglio vedere la tua faccia.’
‘Un momento, per favore, non posso uscire da qui in queste condizioni, fammi dare almeno una sciacquata, ti prego.’
Non mi ha nemmeno risposto e si è chiuso in bagno, così non ho potuto far altro che rivestirmi, dopo avere cercato di eliminare il grosso con il lenzuolo.
Sono in condizioni pietose: il trucco sfatto, i capelli in disordine ed impiastrati di sperma essiccato che solo in parte sono riuscita a togliere con le unghie.
Ho preso dalla borsetta le mutandine di ricambio ed ho lasciato per terra quelle rotte, insieme al collant strappato, poi chiudo il soprabito in modo che non si vedano le macchie sul tailleur ed esco dalla stanza.
La vecchia con gli occhiali, alla reception, mi guarda appena, ma ho l’impressione che sogghigni.
Fuori dall’albergo, l’aria fredda della notte mi si infila sotto il soprabito e mi gela le gambe nude. Vorrei prendere un taxi, ma l’odore che emano, un misto di sperma e sudore, mi dissuade, così, nonostante la stanchezza ed il freddo mi avvio a piedi.
Cammino veloce, nonostante i tacchi alti e spero che il movimento mi scaldi, ma non è sufficiente.
Arrivo a casa dopo un tempo che mi è sembrato interminabile. Un tizio lungo la strada mi ha pure importunato e mi ha seguito per diversi isolati, ma alla fine sono riuscita a chiudermi alle spalle la porta del mio piccolo ed accogliente appartamento.
Più o meno, anche la seconda volta è andata. Sono passati parecchi giorni dall’incontro con il biondo atletico e non ho più avuto contatti.
Né lui, né Marco, il cinquantenne pelato, si sono fatti più sentire. Sono abbattuta e demotivata.
Avevo sperato che gli insulti ed i maltrattamenti facessero parte del gioco e che mi avrebbe richiamato, invece nulla, forse gli faccio schifo veramente.
E l’altro? Sembrava ben disposto, a parte la faccenda dei peli. Dai Marco, chiamami, mi sono depilata perfettamente, aspetto solo una tua telefonata, gli ho anche mandato un paio di SMS, ma non mi ha risposto.
Così ho provato a trovare altri contatti sulla chat, ma niente da fare, ho incontrato solo gente che lo vuole fare gratis e su questo non sono disposta a scendere a patti.
All’inizio tenevo il secondo cellulare spento, quando ero al lavoro, e lo accendevo solo a casa, per vedere se c’erano chiamate, ma non trovavo mai nessun messaggio, così, da qualche giorno lo tengo sempre acceso.
Oggi ero in riunione, in ufficio, un incontro con i massimi dirigenti della società ed ha squillato.
Accidenti, durante quelle riunioni è tassativo tenere il cellulare spento ed io lo avevo fatto, con l’altro, quello che uso sempre, ma mi ero dimenticato del secondo, quello vecchio che ho riattivato per questi miei incontri molto particolari.
La musichina inconfondibile della Nokia si sovrappone alle parole dell’amministratore delegato, che sta parlando proprio in quel momento e gli sguardi di tutti i presenti puntano su di me.
Ecco, ho fatto una figura di merda terribile.
Mentre cerco di estrarlo dalla tasca della giacca farfuglio: ‘scusate, l’ho lasciato acceso, perché aspetto una telefonata molta importante ‘ una questione di famiglia, molto seria …’
‘Va bene, abbiamo capito, su, risponda allora’, mi fa con aria scocciata l’amministratore delegato, che nel frattempo aveva smesso di parlare.
-pronto-
-ciao troia, come stai?-
-bene ‘ sì, bene …-
-che c’è? Non puoi parlare? Ha già, stai al lavoro, scommetto che sei nella stanza del tuo capo ufficio. Magari ti ho beccata sotto la sua scrivania ed ho interrotto un bel pompino-
-no, sono in una riunione molto importante, dimmi rapidamente, poi ti richiamo-
-ah, una riunione, vuoi dire che stai facendo un pompino, a giro, a tutti quanti? Non ti preoccupare non ti trattengo. è per domani, stesso albergo, stessa stanza e stessa ora.
Vediamo se riesci a guadagnare qualche soldo in più dell’altra volta. Ci sentiamo dopo per i dettagli.
Buon pompino, troia-
Ha riattaccato, mi sento terribilmente imbarazzata, perché gli sguardi dei presenti sono ancora puntati su di me e si capisce che si aspettano una mia risposta.
‘Tutto bene?’, azzarda uno.
‘Sì, sì, tutto bene, grazie.’
Per un attimo mi immagino l’A.D. che prende la parola e dice: ‘allora ingegnere, per farsi perdonare l’interruzione, ora si mette a quattro zampe sotto il tavolo e fa un bel pompino a tutti, cominciando da me.’
Naturalmente non dice nulla di tutto ciò e riprende a parlare dal punto in cui si era interrotto, come se non fosse accaduto nulla.
Lo richiamo appena finita la riunione.
-hai finito con i pompini?- mi dice come sente la mia voce.
-sì ‘ cioè no … ma che mi fai dire-
-stammi a sentire, per domani voglio la mia troia, vestita da troia, non con quella roba che avevi l’altra volta. Capisci cosa intendo?-
-sì ‘ credo di sì-
-hai presente le battone che ci sono per strada? Le avrai viste qualche volta, no? Io ti ho capito, sai, tu sei una di quelle per bene, una specie di principessa, che trova eccitante ogni tanto giocare a fare la puttana, ci ho colto vero? L’ho capito dal tuo impaccio. Scommetto che lo fai da poco tempo, però ti eccita da morire e magari la sera, nel tuo lettuccio caldo, ti sditalini fino a sfiancarti pensando a quello che hai fatto.-
Per un attimo penso che sappia tutto di me ed abbia piazzato microfoni e telecamere nella mia stanza da letto. Ma no, dai Patrizia, ha solo tirato ad indovinare.
-senti, troia, facciamo una cosa, perché non mi fido del tuo gusto in fatto di abbigliamento, dimmi che taglia porti ed anche la misura delle scarpe. c’è un negozietto di un mio amico, che ha tutto quello che ti serve. Io adesso ci vado e scelgo qualcosa di adatto a te. Poi tu passi a ritirare il tutto. Ah, mi raccomando, paghi tu, naturalmente.-
Uscita dal lavoro sono andata subito in quel negozio.
è un buco sudicio in uno scantinato e per entrare bisogna scendere una scaletta di ferro ripida e scivolosa.
Il proprietario è un vecchio cinese, con pochi capelli in testa che mi accoglie con un sorriso molto sdentato.
‘Ciao, tu sei troia di Matteo, vero?’
Ora so anche il nome del mio secondo cliente. Dopo Marco, Matteo, mi chiedo se i prossimi saranno Luca e Giovanni, così avrò fatto i 4 evangelisti.
In quella specie di antro c’è di tutto, dai vestiti da sera ai jeans, passando per sciarpe, cappelli e scarpe.
Decine, centinaia di pezzi tutti diversi.
‘Ma che roba è?’
‘Usato, tutto usato. Non ti preoccupare, con Matteo abbiamo già scelto per te’, mi dice porgendomi una busta di plastica.
‘Per provare il camerino è lì’, continua indicando una tenda a righe in fondo al negozio.
Chiudo bene la tenda, perché il cinese non mi piace per niente e guardo nella busta.
Matteo mi vede vestita di rosso. Non ho mai amato troppo quel colore, perché mi sembra troppo vistoso e lui, come se avesse intuito questa mia idiosincrasia, ha scelto quasi tutto di quel colore.
Mi tolgo i vestiti, lasciandomi solo il collant e la biancheria intima, e provo subito la gonna.
è rossa, naturalmente e cortissima al punto che se non sto attenta mi si potrebbero vedere le mutandine.
In quel momento si apre la tenda. Io grido e cerco di coprirmi.
‘Matteo ha detto che devi fare prova completa. Tutto quello nella busta e solo quello nella busta. Capito?’
Io lo guardo perplessa.
‘Togli tutto. Nuda! E poi metti roba della busta.’
Io faccio per richiudere la tenda ma lui mi blocca il polso stringendomelo forte.
‘No, fai ora ed io controllo.’
Devo ubbidire, anche se non mi piace per niente.
Il cinese rimane fermo, appoggiato al montante della tenda, mentre io mi finisco di spogliare. Sorride e mi aspetto da un momento all’altro che mi metta le mani addosso, ma non succede.
‘Prima questo’, mi dice porgendomi un indumento nero.
Me lo giro tra le mani per capire di cosa si tratti.
‘Per tenere calze.’
Lo giro e realizzo che si tratta di un reggicalze con le giarrettiere. Una roba del genere l’avevo vista solo sui cataloghi di biancheria intima. Lo sistemo intorno alla vita, mentre il cinese mi porge le calze.
Sono parecchio scure e pesanti. Una delle due ha una profonda smagliatura, che l’attraversa di cima a fondo.
Mi siedo sul panchetto e cerco di sistemarle. Il cinese è sempre più interessato a me, segue le mie mani che si accarezzano le gambe per stendere le calze, poi mi rialzo in piedi e cerco di attaccare le pinzette, ma devo prima regolare la lunghezza delle giarrettiere in modo che siano tutte uguali.
Ora è la volta della gonna, provo a muovermi e mi accorgo che arriva precisa alla fine delle calze e quindi, se faccio il passo troppo lungo si vede la giarrettiera.
è la volta della maglietta, dello stesso colore della gonna. Al tatto mi accorgo che non è lo stesso tessuto, ma la gradazione di rosso sembra perfettamente uguale, molto bene.
Patrizia, ti stai vestendo come una puttana e ti preoccupi delle gradazioni di colore?
La maglietta è molto stretta e leggera ed i miei seni, per quanto piccoli, si vedono in trasparenza, con i capezzoli che spuntano in rilievo.
Faccio per riprendere le mie scarpe perché non mi piace stare scalza su quel pavimento sudicio e umido, ma il cinese mi ferma con un cenno della mano e si allontana.
Torna subito tenendo in mano un paio di stivali rossi.
è quanto di più brutto, scomodo e pacchiano io abbia mai visto.
Zeppa spropositata, tacco altissimo, alti quattro dita sopra al ginocchio ed una fibbia dorata enorme per chiuderli in cima.
Fatico non poco ad infilarli perché la plastica di cui sono fatti è molto rigida ma, alla fine, riesco ad entrarci e provo ad alzarmi in piedi.
Non riuscirò a fare più di dieci passi senza inciampare, penso, mentre il cinese mi porge una giacca nera, molto scollata e con il collo di pelliccia rosso.
‘Perfetto’, mi dice lui mentre esco dal camerino rollando e beccheggiando a causa di quei dannati stivali.
Attaccato alla porta del cesso, da cui proviene un odore per niente invitante, c’è uno specchio sbeccato e così posso guardarmi.
‘Stai benissimo’, mi dice mentre mi appoggia una mano sul culo e comincia a carezzarlo.
Sto per dirgli qualcosa quando lui parla ancora.
‘Sono 60 ‘.’
La mano si è infilata sotto la gonna.
‘Se vuoi, puoi pagare anche in altra maniera.’
‘No grazie’, dico io mentre mi scanso per sottrarmi alla sua mano.
‘Ho la carta di credito.’
‘Ma io non accetto carte di credito.’
‘Il bancomat?’
‘Neanche.’
Frugo freneticamente nella borsetta e tiro fuori il portafogli. Contando anche gli spicci, arrivo a 46 ‘.
‘Vado a cercare un bancomat e torno.’
‘No, sto per chiudere.’
Sono disperata e non faccio in tempo a ritirare i vestiti domani.
‘Sicuro che non vuoi pagare in altra maniera?’
Mi chiedo se mi fosse capitato il cinese come cliente, cosa avrei fatto.
La sua mano si infila di nuovo sotto la mia gonna e risale in mezzo alle cosce.
Quando mi arriva a sfiorare la vagina grido.
‘no!’, e lui toglie la mano.
‘C’è una soluzione: lasci qui tuoi vestiti in pegno. Però torni, sennò li vendo.’
Cerco di ragionare: ho tre possibilità.
1) pago in natura il vecchio cinese, pelato e sdentato.
2) torno a casa vestita da puttana.
3) rinuncio all’incontro con Matteo, attualmente mio unico cliente.
Delle tre, la meno peggio, mi sembra la seconda, così il cinese, a malincuore, mi lascia andare via.
Già la salita della scala di ferro, con quegli stivali, mi fa capire che il mio rientro a casa non sarà dei più agevoli.
Sono le sette e mezzo di sera, di una fredda giornata invernale, mi trovo dall’altro capo della città, in un quartiere dove non girerei volentieri neanche di giorno, vestita come una che batte il marciapiede, credo che possa bastare, in quanto a problemi.
Realizzo che la soluzione migliore sia prendere un taxi.
L’autista mi squadra malamente e mi chiede, senza tanti preamboli, se ho i soldi per pagare la corsa. Mi fa salire solo dopo che ha visto le banconote.
Ho fatto bene a prendere il taxi, perché vestita in questo modo, mi sarei presa una montagna di freddo oltre a tutti gli altri problemi.
Arrivati davanti al portone di casa c’è un’ultima complicazione: c’è una macchina ferma con diverse persone che stanno caricando i bagagli. Li conosco, è una famiglia che abita al terzo piano. Non posso certo scendere dal taxi e passargli davanti conciata così.
Chiedo al tassista di aspettare qualche minuto, ma lui dice che ha già un’altra corsa e deve andare via. Acconsente solo a farmi scendere cinquanta metri dopo il mio portone.
Sono rimasta appiccicata al muro del palazzo, aspettando che quelli finissero di caricare tutto in macchina e sperando che non passasse sul marciapiede qualcuno che mi conosce.
Accidenti a loro, ma quanto ci mettono?
Alla fine se ne sono andati e, mezza congelata, sono riuscita a guadagnare il portone di casa.
Ecco, adesso incontro qualcuno e sono finita.
Invece è andata bene e, una volta varcata la soglia di casa, ho tirato un gran sospiro di sollievo.

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