Skip to main content
Racconti Erotici EteroRacconti sull'Autoerotismo

Ago e filo

By 2 Luglio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments


«A proposito, come mai non ti ho ancora visto addosso il vestito rosso… quello cortino e un po’ scollato?», chiedo a mia madre, in tono un po’ accusatorio. «E la gonna con lo spacco? E il top “troppo stretto abbastanza”?»
«L’abito che tu definisci “cortino e un po’ scollato” copre poco più di un costume da bagno, ed è di un rosso-semaforo che sembra dire “guardatemi, guardatemi”», risponde lei.
«Proprio l’effetto che dovrebbe avere», faccio io.
«E la gonna … non offenderti, ma non posso portarla. Se mi siedo, si vedono le mutande»
«Esagerata! Non si ve….»
«Te lo avevo detto di non fare lo spacco»
«Senza spacco non riusciresti a camminare»
«Allora potevi farla più larga»
«Più larga e senza spacco sembrerebbe un sacco per la segatura, come tutte le altre che hai. Su, un po’ di audacia!»
«Sì, e poi lo senti tu, papà».
Rido. Questo tipo di conversazione con mia madre non è una novità, ma il risultato è sempre lo stesso: gli abiti che potrebbero mettere un po’ di evidenza le curve di mamma – a mio giudizio una donna davvero bella – rimangono a far le pieghe nell’armadio e lei continua a indossare maglioni slabbrati, T-shirt enormi, jeans «antiaderenti», come li chiamo io.
«Con tutto quel ben di Dio! Mi fai quasi rabbia!», le dico per prenderla un po’ in giro, tornando a occuparmi dei miei lavori.
Amo cucire seduta al grande tavolo della cucina e, di tanto in tanto, gettare uno sguardo al di là della finestra. I palazzi di fronte casa mia hanno l’aria estenuata delle donne che non pensano più al sesso, né a guardarsi allo specchio, ma che portano il segno indelebile dell’odore di spezzatino e delle polpettine in brodo. E gli edifici a più piani, coi balconi dall’intonaco crepato, come seni flaccidi e cascanti, fanno pensare a donne tradite, invecchiate e arrivate al capolinea.
Amo cucire seduta al grande tavolo della cucina. Mi fa sentire meno sola. La nostra cucina ha qualcosa che ricorda il sapore della torta con crema al limone che mia madre prepara non appena esprimo la mia voglia di “qualcosa di dolce”: quando sono in cucina annuso un’aria piacevole e corroborante. Quando ero bambina, era la stanza di passaggio, dove non mi soffermavo mai più di qualche minuto o, in seguito, il tempo di una chiacchierata coi miei genitori, davanti a un caffè o a un dolce, preparato da me. Ho questa passione di cucinare da quando ero bambina. Anche ora che ho ventidue anni amo dilettarmi nella preparazione di dolci, soprattutto nei miei momenti di pausa dal lavoro, quando decido di accantonare sul tavolo ago e filo.
Fra i tanti, il tiramisù è il dolce che preferisco preparare in assoluto. È buono in ogni periodo dell’anno, ma personalmente ritengo che la primavera sia la stagione più adatta. Rispetto agli altri dolci, è più difficile da conservare, per questo non lo preparo spesso, ma in primavera faccio sempre in modo che non manchi sulla nostra tavola.

C’è un tipo di pazzia innocua che è endemica nel mio mestiere di sarta. È come una forma di melanconia prolungata che a tratti esplode in accessi di litigiosità. È probabilmente il risultato delle troppe ore trascorse in un lento, preciso, microscopico lavoro che procede un punto dopo l’altro, centimetro per centimetro, ipnotizzandomi con la luce riflessa di un ago che guizza dentro e fuori dal tessuto.
L’occhio di una sarta deve seguire la cucitura con grande precisione, ma i suoi pensieri sono liberi di vagare in direzioni diverse: può scavare nella sua vita, meditare sul passato, rimpiangere le opportunità perdute, creare drammi, immaginare sgarbi subiti, rimuginare… in breve, una sarta, mentre cuce, ha troppo tempo per pensare.
E tra le tante cose a cui penso mentre sto cucendo, c’è magari un ex che mi ha scaricato per un’altra ragazza, con la quale aveva una tresca mentre stavamo ancora insieme, o Davide, che mi piace ma è già impegnato.
Lo conosco da un anno e mezzo, da quando ho preso la patente e non ho fatto altro che rovinare la carrozzeria della mia Seicento perché non sono capace di fare un parcheggio decente. E Davide, con quel suo particolare carisma che mette immediatamente a loro agio le persone, mi sorride ogni volta divertito dicendomi che può succedere e che si sistema tutto. Lo dice sollevando in aria le sue mani grandi e robuste, come a dire «Dai, poteva andare peggio». Emana un calore quasi palpabile. Di rado ho percepito un’energia sessuale così esplicita senza provare al contempo un vago senso di minaccia. E io, ipnotizzata dalla sensualità con la quale subito dopo tocca la lamiera sfregiata, immagino – sentendomi maledettamente porca – una delle sue dita esperte dentro la vagina, giù giù, fino al punto più dolce e sensibile, sulla parete anteriore. Sfregandolo con mosse esperte, mentre la sua lingua trilla sul clitoride e l’altra mano preme sulla pancia, mi porta in men che non si dica a pisciarmi addosso e a contrarmi nell’orgasmo più intenso fino ad allora provato.
È dotato secondo me del tipo di virilità più apprezzabile, quella di chi non se ne rende conto.
Amico di mio fratello e nostro meccanico di fiducia, Davide ha trentadue anni, ha un viso normale, ma i suoi occhi color nocciola sono dolci ed espressivi. Ha le labbra sottili, il naso pronunciato, i capelli castano chiari un po’ ribelli, e nell’insieme è decisamente carino. È alto un metro e 75 e ha un fisico asciutto, sul quale spesso immagino di posargli le mani, nelle mie fantasticherie solitarie, quando una mano corre tra le gambe, due dita a separare le pieghe della mia carne.
Nella vasca da bagno, una gamba appoggiata sul bordo, immagino di ricevere il suo pene nella vagina, da dietro, come piace a me, spinte forti e prolungate. Fantastico quasi sempre un paio di situazioni, tra cui uno stupro in cui Davide, improvvisamente uscito fuori di senno e in preda a un desiderio incontenibile, mi solleva la gonna e mi forza l’ingresso con la sua cappella gonfia. In un angolo nascosto della sua officina, tra gli odori di grasso e benzina, mi tappa la bocca con una mano ordinandomi di tacere, mentre con l’altra mi stringe forte un seno, fatto uscire dalla coppa.
«Non riesco a smettere di desiderarti», mi sussurra a un orecchio, dopo avermi immobilizzata contro un muro, che immagino così freddo da favorire l’istantaneo inturgidirsi dei miei capezzoli.
«Davide, tu sei impegnato», cerco di dirgli non appena si allenta la pressione del palmo sulla bocca. Una frase banale e detta con finta aria da santarellina.
Una volta entrata la cappella – bagnata come sono – è un gioco da ragazzi affondare fino alle palle senza alcuna esitazione.
«Ho sempre desiderato riempire la figa di una bella tettona come te, con questi fianchi larghi da vacca e il viso da santarellina!», mi dice ansimando per lo sforzo di spinte via via più veloci.
Mi possiede con tutta la passione di cui è capace, come a voler cancellare dal mio sesso ogni traccia lasciata dai miei ex.
«Voglio essere il tuo uomo», ringhia vibrandomi un colpo potente, «il tuo uomo, il tuo uomo, il tuo uomo».
Resto senza fiato per il piacere e la sorpresa.
«Questo è per F», dice spingendomelo dentro, «e questo è per M, per A, per tutti gli altri!».
Vibra stoccate potenti e poi lecca e bacia il mio collo, muovendosi dal basso verso l’alto, fino ad afferrare con le labbra e succhiare il lobo del mio orecchio.
«Non possiamo farlo», gli dico con le lacrime agli occhi, mentre le mie gambe tremano per l’arrivo di un primo intenso orgasmo che mi fa pulsare il basso ventre e perdere gocce di urina, dandomi brividi per tutto il corpo.
«Sì che possiamo!», ribatte lui sbattendomi ancora più infoiato.
Sembra interrompere poi i suoi affondi. Mi pare per un attimo che voglia uscire e invece, tutto di colpo, entra fino in fondo, il mio sedere a stretto contatto con la pelle sudata del suo bacino.
«Sei mia», dice portando entrambe le mani sui miei fianchi, serrati in una presa forte. Una presa che mi impedisce di muovermi, grazie alla quale mi sento completamente in balia sua, e che gli permette di godersi la vista del pene che affonda dentro di me con prepotenza.
E così, chiusa nella mia vasca, una gamba appoggiata sul bordo, vengo mentre fantastico di lui che dà alla mia vagina gli ultimi colpi prima di riempirmela. L’intero mio corpo viene invaso da un calore che si irradia da un unico punto. Calore, adrenalina, calma, e tutto in una volta sola. Mi godo questi orgasmi nella pace e nel silenzio improvvisi del mio piccolo bagno, illuminato dalla luce tenue della plafoniera che ho lasciato accesa.

Sì, una sarta, mentre cuce, ha troppo tempo per pensare. E al sesso penso spesso. Però desidero anche essere amata e protetta da un uomo che mostra interesse per i miei sentimenti e mi fa sentire speciale, che mi ascolta senza essere giudicata e che rispetta i miei diritti, desideri e bisogni. Penso a un uomo paziente, capace di “sopravvivere” alle mie tempeste emotive e insicurezze.
Un uomo che ora non c’è.
Chiedete a una donna qualsiasi che tipo di amore desidera da un uomo e la sua risposta suonerà pressappoco così: voglio che sia umile e in gamba, divertente e romantico, sensibile e gentile ma soprattutto affidabile. Voglio che mi guardi negli occhi e mi dica che sono bella e che lo completo, che mi abbracci e baci spesso. Voglio un uomo abbastanza sensibile da riuscire a piangere quando viene ferito, che mi presenti a sua madre con il sorriso sulle labbra, che ami i bambini e gli animali e che sia disposto a cambiare i pannolini e a lavare i piatti senza che io debba chiederglielo ogni volta. E se avesse anche un bel fisico, un sacco di soldi e indossasse scarpe decenti, sarebbe magnifico! Amen.
Aspettarsi questo tipo di amore – e di perfezione – da un uomo è totalmente irrealistico. Perché l’amore di un uomo non è uguale a quello di una donna.
Non sto dicendo che gli uomini non siano capaci di amare. Sto solo dicendo che l’amore di un uomo è diverso, molto più semplice, diretto e forse difficile da ottenere. Un uomo innamorato di una donna probabilmente non le gironzolerà intorno accarezzandole i capelli e tamponandole la fronte per accudirla quando è malata, mentre lei sorseggia un tè bollente.
Ma il suo amore è comunque amore.
Solo, è diverso dall’amore che le donne offrono e, in molti casi, desiderano.
Gentile, compassionevole, paziente, dolce e incondizionato: così è l’amore di una donna. Se siete il suo uomo, lei vi parlerà fino a quando non ci saranno più parole da dire, vi incoraggerà quando avrete toccato il fondo e penserete che non ci sia più alcuna via d’uscita, vi stringerà fra le braccia quando sarete malati, questa volta voi a sorseggiare il tè bollente. E se siete il suo uomo, e quella donna vi ama davvero, vi tirerà su quando sarete spenti, vi conforterà quando sarete abbattuti e vi difenderà anche quando non sarà assolutamente certa che abbiate ragione e le sue amiche le diranno che siete una testa di cazzo e che non valete niente. Così come io ho difeso – sentendomi poi una stupida – il mio ex dalle critiche di coloro che volevano aprirmi gli occhi sulla sua infedeltà, di cui non sapevo nulla e che alla fine è venuta allo scoperto perché il codardo si è fatto beccare.
«No, non c’è nessun’altra», era solito rispondermi quando iniziai a incalzarlo di domande sulla sua fedeltà, dopo aver nutrito i primi sospetti.
Ricordo perfettamente la sua espressione. C’era qualcosa di vagamente crudele nella curva della sua bocca, compensato però dai suoi occhi gentili; gli occhi più gentili che abbia mai visto, in realtà – bisogna fare attenzione con degli occhi così – o rimani fregata, dato che lui, in effetti, non era una persona particolarmente gentile. Occhi grigio scuro venato di pagliuzze, la qual cosa rendeva la loro gentilezza ancor più impressionante, e orlati di ciglia lunghe.
E poi, mentre fissi il suo sguardo gentile che si fa più imbarazzato a mano a mano che lo incalzi di domande per sapere se ti sta dicendo davvero la verità, l’insicurezza che provi dentro, quella dei suoi sentimenti nei tuoi confronti, cresce progressivamente, una piccola lacerazione che ben presto si allarga fino a diventare uno squarcio. Ti chiedi in quale dannato posto stiano volando i suoi pensieri quando state insieme, mano nella mano, e lui è come assente. Passi tutto il giorno a chiederti cosa lui prova per te. Sei così ossessionata dal pensiero di come mantenerlo nella tua orbita di attrazione che non ti capita mai di chiederti se tu sei veramente felice con lui. Continui a fargli regalini, a romperti la testa per trovare cose brillanti da dire e a spendere buona parte del tuo stipendio in robette carine da metterti: in breve, in sua compagnia non ti rilassi mai.
Non è importante – ti ripeti – se lui non telefona quando aveva detto che l’avrebbe fatto: è sotto pressione, dici a te stessa. Chiudi un occhio su quel vizio di lanciare svenevoli sguardi alle altre quando è con te: è sensibile al fascino femminile, ti ripeti questa volta. E questo va avanti fino a quando non ti rendi conto di toccare il fondo. Inizi a chiedere conferma sul fatto di essere ancora attraente e interessante per qualcuno. Sfarfalleggi come una scema, diventa tutto un gran battere di ciglia e ti domandi presto chi tra te e il tuo ragazzo sia peggio. Ti dai molto da fare nei due minuti di carinerie con il bel cameriere che in tutta la quotidianità condivisa con il tuo ragazzo. E finisci presto col farti schifo da sola perché ti rendi conto, al di là delle sciocchezze che hai fatto, di non essere così forte e coraggiosa come pensavi prima di metterti insieme a lui.
La paura di scaricare qualcuno è un’area in cui le donne regnano sovrane. Hai capito che così non può andare avanti, eppure non hai la forza di tagliare quel cordone che ti lega a lui. Sei abituata a pensarti come la metà di una coppia. Avete i vostri piccoli rituali, le facezie che capite solo voi due e una storia condivisa. E poi lui – per quanto scostante e sempre più freddo nei tuoi confronti – ti conosce e ti vuole pur sempre bene in un modo diverso da chiunque altro, verso il quale senti che, per quanto desiderabile, è pur sempre un “estraneo”, uno al quale puoi lasciare che possieda le parti più intime del tuo corpo, ma solo a caro prezzo.
Troncare il rapporto comporterà un senso di perdita e un dolore che non sei pronta ad affrontare. Invece di portare avanti il proponimento di scaricarlo, lo rinvii, almeno fino a quando non ti sentirai un po’ più forte.
Una codarda veramente determinata può sprecare mesi o addirittura anni prima di riuscire a piantare un uomo e poi sciupare ancora più tempo a rimproverarsi per tutto quello dissipato prima.
Una volta che tutto è finito, però, per quanto si senta a pezzi o vuota, intuisce che c’è ancora una luce dentro di lei. È debole ma c’è. E dopo un po’, nonostante le ferite siano ancora aperte, si rende conto che si può ricominciare a sperare nella possibilità in avvenire di dare e ricevere amore, e trovare dunque il senso di quello fa, magari con qualche consapevolezza in più rispetto a prima.

È come se noi donne desiderassimo essere capite e amate dagli uomini credendoli simili a noi e con la nostra stessa sensibilità. Secondo me, la prima cosa da fare è riconoscere la loro diversità.
Gli uomini sono diversi.
E poi capire che in fondo uomini e donne sono complementari, come un gioco a incastro. E il sesso ne è la prova. Sembra che non possa esserci un incastro più perfetto di quella cosa perfettamente dura e liscia che penetra in un posto perfettamente bagnato e stretto. Penso che il sesso esista per verificare il mistero di questo incastro unico. Nessun dolore, nessun ostacolo, tutti e due felici, e quando pensi che vorresti andare avanti così all’infinito, proprio allora finisce e perciò hai poi voglia di rifarlo.

-

Leave a Reply